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37.1 (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)

L'impotenza.

Eccolo, il vero problema. Quella fottuta, nauseante e onnipresente sensazione d'impotenza, a cui non era più abituato e che non lo mollava da due giorni e da una notte. Non che dormisse, di solito, ma a quel punto era diventato impossibile. La lucidità si era volatilizzata e la sua testa non era più in grado di placarsi.

Riusciva soltanto a rimuginare come un pazzo, preda di una febbrile voglia di fare qualsiasi cosa, di sventrare chiunque fosse nei paraggi e l'avesse anche solo toccata o pensato di farlo. L'aveva lasciata da sola come un emerito idiota, e ora tutto ciò a cui riusciva a pensare era come tornare indietro nel tempo e impedire che lei venisse portata via. Se solo avesse avuto un briciolo del potere di Lyam, avrebbe già battuto l'intera foresta alla ricerca della traccia giusta.

Non doveva essere troppo duro con lui, lo sapeva, era l'unico dei due che in quel momento si stesse rendendo davvero utile.

Vaffanculo.

Almeno era viva, doveva esserlo. L'avevano rapita per un motivo ben preciso, e se quella doveva essere l'unica speranza a cui aggrapparsi... ma cosa le avrebbero fatto?

Cosa le aveva detto, prima che si separassero?

Un bel niente. "Ecco la tua stupida spada".

Lei si era ritratta e Devon si era offeso, dopo che quel minuscolo guizzo di coraggio si era fatto strada dentro di lui ed era affiorato in superficie, sfuggendo al suo controllo. Quando si era lasciato scappare quella mezza confessione, e fatto gesti che non avrebbe dovuto compiere. Cosa cazzo si era aspettato? Che si fosse dimenticata del fidanzato scomparso, o dell'odio che provava per lui dal primo giorno? E aveva avuto anche il coraggio di prendersela e non dirle più niente, di convincersi che sarebbe stato meglio ignorarla e provare a dimenticare tutto.

Non era importante, ormai: che lei pensasse ciò che voleva, che lo trovasse ridicolo o lo schifasse da lì all'eternità. Contava solo che tornasse indietro.

Almeno lei. Almeno lei deve tornare indietro, non può finire così.

Non era neanche solo colpa sua, a ben vedere qualcuno da punire c'era. Non l'avrebbero scampata nemmeno loro.

Era fuggito a cercarla senza pensare a quelle inutili guardie che aveva piazzato a difesa delle ragazze, tornate da loro a dargli la notizia. Esseri senza un briciolo di senso del dovere. Non fregava a nessuno, della strega: che morisse o venisse rapita, non valeva la pena perdere tempo a difenderla, meglio lasciarla lì.

La storia non cambiava mai, qualsiasi cosa avesse cercato di fare o qualsiasi nuovo re imbecille avesse piazzato su quel trono.

L'ennesima scossa lo attraversò, non riusciva a starsene fermo. Scese dalla groppa di Tory e iniziò a camminare in tondo. Si diresse verso il punto da cui Lyam si era allontanato, all'imbocco di un minuscolo sentiero nella foresta. Fece dietrofront, e tornò ancora una volta indietro. Ma quanto ci metteva...

La vibrazione leggera sotto i piedi preannunciò che finalmente il ragazzo stava tornando. Il suolo tremò appena, un sentore lieve che poteva percepire mentre una chiazza di colore andava allargandosi nello spazio davanti a lui. Lyam apparì, uscendo dalla selva. A un occhio distratto sarebbe sembrato un ragazzo sbucato dal nulla, un fantasma palesatosi all'improvviso. Era davvero affascinante, quel suo potere, anche se non gliel'avrebbe mai confessato...

«Allora?»

Il ragazzo aveva il fiatone, si abbassò con le mani sulle cosce e attese qualche secondo prima di riuscire a rispondergli. Era già il quinto viaggio che faceva, forse era esausto.

«Credo che sia la direzione giusta, le tracce continuano a nord-est. Ho intravisto la presenza di un palazzo alla fine del percorso, sono tornato indietro prima di avvicinarmi troppo, per avvisarvi...»

Nord-est. Verso i laghi di confine...

«Una costruzione abbastanza ricca, ma di ridotte dimensioni e in apparenza inabitata, per quello che ho potuto scorgere da lontano».

Inabitata lo era, sì. Almeno prima che quei bastardi la occupassero, quindi.

«Tre piani soltanto, pianta squadrata, un paio di torri verso il retro, un giardino incolto nello spiazzo di ingresso, fatto di due ali chiuse a elle.... non so di cosa si tratti, di sicuro della residenza di un nobile».

Quindi si erano stanziati proprio lì, a torturare, infliggere punizioni e compiere chissà quali nefandezze nel loro sporco tentativo di soggiogare ancora di più quella razza. Il destino sapeva essere davvero beffardo.

Usò il tono più asciutto che riuscì a trovare. Era ora di ritrovare un minimo di calma mentale, o non ne sarebbero usciti vivi.

«Si tratta di una residenza estiva, per l'esattezza, Lochdun. Andiamo, sei pronto? O hai bisogno di tempo?». Non serviva che Lyam sapesse altro, o come lui potesse conoscerla.

Che riposasse, se serviva. Devon non avrebbe aspettato oltre. Lyam si asciugò la fronte con una manica, serrò la bocca e gli rivolse un'occhiata dura.

«No, ce la faccio. Devo solo riacquisire l'energia per poter usare le mie capacità, temo sia del tutto esaurita».

Poco male, non l'avrebbe comunque fatto avanzare per primo. Il suo ruolo era pressoché finito, una volta arrivati ci avrebbe pensato lui.

*

«Come sarebbe a dire? Devo rimanere fuori e fare il palo? Tutto qui? Come diavolo pensate di farcela, da solo?»

Sospirò. Non era il momento per tenere lezioni, o dare corda a quei ridicoli tentativi di volersi unire a un'impresa eroica. Era già abbastanza difficile.

«Non è l'ora per inseguire sogni di gloria, mi servi fuori da lì». Parlò senza quasi aprire bocca.

«Non c'è nessun sogno di gloria! A me interessa salvarla, più che a voi!»

No di certo, ma non è questo il punto.

Tirò leggermente le redini di Tory, per rallentarne di poco il passo, e si voltò verso Lyam che lo guardava con espressione sdegnata.

«E a me interessa non avere troppi pesi a cui pensare. Vorrei non doverle dare la spiacevole notizia che il suo amico è morto, dopo averla tirata fuori. Non penso me lo perdonerebbe mai».

Troppo diretto, forse. Qualche domanda Lyam se la sarebbe fatta, di certo. Se già non se le era poste. Tutta la copertura che si sforzava di mantenere da settimane sarebbe stata gettata via, ma ormai. Che lo sapessero tutti, tanto la realtà non sarebbe cambiata.

Il ragazzo in effetti si era zittito, un po' esterrefatto. Stava collegando gli indizi, quindi?

Tranquillo, non ci sarà nessuna storia d'amore e nessun matrimonio strappalacrime. Solo un pazzo che dà retta a ciò che sente, e che ad avventura finita farà in modo di scordare tutto.

Proseguirono, ormai poteva scorgere la pietra rossastra della facciata di Lochdun, al di là delle fronde che coprivano il loro passaggio. Gli anni trascorsi non avevano potere, su certi ricordi. Si accorse con un leggero ritardo del fatto che Lyam si fosse fermato, si voltò verso di lui solo quando il ragazzo era a una considerevole distanza. Lo sguardo puntato nel vuoto e le mani serrate intorno alle redini del suo cavallo, la fronte aggrottata come in preda a una forte concentrazione. Devon gli si avvicinò: «Che sta succedendo?»

«Sssh. Per favore, aspettate...». Lyam alzò un dito nella sua direzione per suggerirgli di fare silenzio. Devon attese, confuso e scocciato, prima che un barlume lo portasse a intuire. Ma certo, aveva quel sospetto già da tempo. Loro potevano comunicare per via mentale.

«È lei? L'hai sentita, ci hai parlato?» gli sussurrò concitato.

Lyam rispose solo dopo qualche secondo: «È molto debole, ma sì, ci ho parlato, è riuscita a sentirmi e sussurrarmi qualcosa, prima di sparire». Devon avvertì il tonfo di un sasso che gli rotolava dentro al petto per impedirgli di respirare, il calore rabbioso che gli risaliva lungo le vene del collo. È troppo debole per parlare.

Però era viva. Quel calore si diffuse a tutto il resto del corpo, portandolo su di giri, la sensazione di qualcosa di appuntito che gli si conficcava nella gola.

Sedò tutto con gran fatica: «È riuscita a dirti dove si trova?»

«Lei non lo sa... non vede niente, se non a tratti. Ha nominato una finestra che dà sul nulla, ho capito solo grigio, verde smorto, grate nere».

Il tono leggermente disperato, Lyam iniziò a respirare con più affanno e a muoversi al di sopra del cavallo, come se non sapesse dove andare.

«Sto provando a chiamarla, ma non risponde più. Deve essere addormentata, o svenuta. Che facciamo?». Lyam aveva perso del tutto la calma, la voce incrinata.

Grigio... verde smorto. Una finestra. Ogni finestra dell'ala sud dava sulla foresta, l'ala est affacciava sul cortile, quella ovest sulle stalle. A nord, il lago. Si trattava per forza del lago, era l'unico elemento grigio che poteva sbucare nel panorama invernale, come elemento di spicco sullo sfondo. D'accordo, ma da quale stanza?

Pensa, cazzo.

Grate nere. Ma quella era l'ala moderna, dove c'erano le stanze in cui avevano scelto di installare dei vetri pregiati a grande altezza. Un lusso che all'epoca era suonato come estroso e stravagante, limitato a quell'unica particolare zona del palazzo. Che fossero ancora lì, se nessuno li aveva fatti sostituire? Grate... Le uniche grate ricoprivano le finestre della torre, quella lasciata spoglia e priva di ornamenti. La torre nell'angolo più a nord-est, la finestra con le grate al terzo piano, quel quadratino che inquadrava lo scorcio del lago alla perfezione. Qualcosa si mosse, dentro ai meandri della memoria. Sì.

Sapeva dove l'avevano rinchiusa. E se tutto era rimasto come ricordava, avrebbe potuto sfruttare il balcone del loggiato centrale, far fuori quel dannato vetro ed entrare. Poteva riuscirci, una volta dentro rimaneva solo il compito di ucciderli. Tutti quanti.

Si rivolse a Lyam e gli fece un cenno, smontò da cavallo e portò Tory vicino a un grosso tronco, più a fondo nella boscaglia. Iniziò a legare le redini a un ramo, controllò che il ragazzo stesse facendo lo stesso prima di parlargli: «Costeggeremo tutto lo spessore della tenuta muovendoci nel bosco, ora ci troviamo sul lato ovest. Dobbiamo sbucare solo una volta arrivati all'altezza della facciata sul retro, entrerò da lì. Forza, andiamo».

Lyam sembrò voler replicare qualcosa, ma non gli lasciò il tempo di farlo. Si allontanò a passo spedito, dandogli le spalle e inoltrandosi nella vegetazione a piedi. Si assicurò che Lyam lo seguisse, captando il suono dei suoi passi dietro di lui.

Solo una volta giunti al punto prescelto, si fermò e lasciò che il ragazzo esternasse ciò che evidentemente si teneva dentro: «Non avete intenzione di aspettare la notte? Volete entrare lì dentro senza la protezione del buio?»

In condizioni normali non l'avrebbe fatto, era un rischio troppo stupido da correre.

Ma lei non riesce nemmeno a parlare, porca miseria.

Sarebbe andata bene lo stesso? La luce era fioca e la giornata stava comunque per volgere al termine, ma il tramonto era ancora troppo lontano per pensare di aspettarlo. Non aveva quel tempo, o non voleva concederlo a quei bastardi. Tastò sé stesso alla ricerca di placche metalliche superflue, levò tutto ciò che aveva addosso di inutile.  Rimase vestito soltanto di pantaloni e casacca neri, la spada salda lungo il fianco e le funi di cui aveva bisogno in una tasca. Si avvolse dentro al lungo mantello scuro e calò il cappuccio sul capo. Lasciò tutto il resto a terra, spingendolo dietro a delle fronde, sotto lo sguardo atterrito di Lyam.

«Tu non devi fare niente, tranquillo. Andiamo, cerca di correre e muoverti quanto più in silenzio possibile. Usa i poteri, se serve».

Ignorò il terrore che leggeva negli occhi di Lyam, in quel momento non poteva occuparsi anche delle insicurezze che il suo sottoposto covava. Ne aveva tante, troppe, lo aveva già notato. Sarebbe riuscito anche a sopirle, insistendo. Tutti ci riuscivano, prima o poi. Ma a quale prezzo... Lasciò stare, in fondo non erano fatti suoi. Si incamminarono a passo svelto, ma il più lieve possibile, senza tagliare in maniera diretta il prato che li separava dalla facciata. Lo percorsero muovendosi lungo i bordi esterni, per potersi rifugiare nella boscaglia a ogni minimo rumore sospetto.

Nessuno sembrò fare caso a loro, e riuscirono ad arrivare alla pietra del palazzo senza intoppi. Si appiattì col fianco contro di essa, una mano che ne iniziava a tastare le protuberanze e la solidità...

«Farai come ti ho spiegato, intesi? Aspetta qui, riparato e in silenzio. Io la farò uscire, costi quel che costi. Tu dovrai afferrarla e correre più che potrai, lontano da loro».

Lyam deglutì vistosamente, le labbra tremolarono, ma non disse niente.

Devon si sentì in dovere di aggiungere: «Cerca di rimanere nascosto e non dare nell'occhio, sistemati sotto il balcone del loggiato, difficile che ti vedano. A meno che non escano dal piano terra, il che speriamo non accada. In caso, beh...»

Beh, niente. Doveva cavarsela.

«Stavolta non potrei aiutarti, cerca di fare affidamento su te stesso. Nella peggiore delle ipotesi, scappa».

Fece per voltarsi, ma tentennò e riprese: «Basta che poi torni qui, in qualche modo. La devi portare via più in fretta di quanto potrei fare io, mi sono spiegato?»

«Sarò ad aspettarvi, non mi muovo dalla postazione. Non vi deluderò». Un mormorio saldo e convinto, per quanto uscito da quelle labbra incerte.

Guarda che a me non devi dimostrare niente, ragazzo. Non avresti nemmeno dovuto essere qui...

L'aveva fatto per amore, giusto. Già.

Prese un piccolo respiro e si allontanò da Lyam senza più rivolgergli uno sguardo. Camminò a ridosso della parete, lento, la mano che strisciava leggera contro la sua ruvida scorza. Tirò fuori dalla tasca la lunga fune che si era portato dietro, legato a un'estremità vi era un piccolo arpione in metallo. Fece un altro passo verso sinistra, valutò la distanza aerea con lo sguardo, mimò il gesto con il braccio per capire la direzione da dare e quanta forza imprimere. Lanciò il pesetto, che superò la balaustra laterale del loggiato. La fune ritornò indietro, un impercettibile suono sordo, si fermò. Si era incastrato dove doveva, perfetto. Fece delle prove per testare la solidità del tutto, la strattonò, sembrava poterlo reggere.

Devon si diede una piccola spinta col torso, buttò entrambe le braccia in alto e afferrò la fune con le mani, le caviglie l'una contro l'altra. Trovò l'equilibrio che serviva, soppesò la distribuzione del corpo, attese che la corda smettesse di dondolare. Non doveva fare alcun rumore. Iniziò a salire, contraendo i muscoli del dorso e dell'addome a ogni piccola spinta verso l'alto, mani e piedi che si staccavano e riattaccavano con precisione, in una sequenza coordinata e mai dimenticata del tutto. Non faceva certe cose da un sacco, ma era impossibile pensare di scordarsele. Arrivò in cima, si aggrappò al cornicione e si diede lo slancio per arrivare a poggiare la suola di una scarpa su di esso, l'altro ginocchio poco più avanti. Si sollevò senza problemi, in piedi e stagliato contro il grande vetro che chiudeva il finestrone. Quel balcone non albergava più nella sua mente da così tanti anni.

Il riflesso gli restituì l'immagine di una sagoma nera ritta e minacciosa, il mantello che accennava qualche movimento nel vento lieve della sera. Quel bambino non esisteva più, i giochi erano finiti ormai da molto.

Saltò giù con un balzo silenzioso, atterrando ancora una volta in ginocchio. Afferrò l'arpione, lo staccò dal cornicione a cui si era agganciato, fece un passo indietro e lo roteò un paio di volte nell'aria. Colpì il vetro, che andò in frantumi. Lo colpì una seconda volta, non poteva permettersi di sbagliare.

Si infilò nel varco costeggiato di spigoli taglienti, abbassando la testa e chiudendosi a riccio. Lo superò. Sapeva cosa ci sarebbe stato al di là: percepì la massa d'aria che si spostava davanti a lui per fare posto a un'entità in arrivo frontalmente, ancora prima di vederlo, e capì di doversi chinare in fretta verso destra. Sfilò un piccolo coltello dalla fondina sul proprio fianco. Lasciò che il corpo del soldato di guardia venisse in avanti da solo, proteso verso il vuoto lasciato dal suo scansarsi. Si sistemò alle spalle dell'uomo, passò un braccio sotto il suo collo per tirarne la testa in alto, gli tagliò la gola con un unico passaggio di lama, netto. Il nemico si accasciò al suolo senza emettere alcun fiato.

Passi, dietro di lui. Il tintinnare dell'arma che si avvicinava veniva da sinistra, era mancino.

Attese, era ancora distante. Un piede, un altro, ora sì. Abbozzò una piccola rotazione verso destra al momento giusto, la spada della seconda guardia fendette l'aria a un minuscolo barlume dal suo naso. Ne approfittò per alzare la mano libera, agguantargli il braccio armato all'altezza dell'incavo del gomito, torcerlo su sé stesso e portare il collo ancora una volta a portata. Lo infilzò di punta, mirando alla carotide. Sfilò il pugnale, lasciò che il cadavere scivolasse a terra, accompagnandolo per evitare un tonfo. Si rialzò e scrollò in aria la manica del mantello, impregnata di sangue.

Diamine, aveva perso destrezza.

La voce di Zafyr gli rimbombò nelle orecchie, come ancora faceva ogni volta, a distanza di decenni.

"Se a fine lavoro si è troppo sporchi, esistono due possibilità: o il compito era complesso, o chi l'ha svolto non era abbastanza concentrato. Per quanto mi riguarda, la prima non devi neanche contemplarla, per te varrà sempre la seconda, a vita. Mi hai capito?"

Emise un piccolo sbuffo stizzito col naso. Si chinò per tastare il cadavere e trovare ciò che gli serviva, frugò un po' prima di afferrare il mazzo di chiavi che la guardia portava con sé.

Nel sollevare il capo e lo sguardo, gettò un'occhiata al grosso cumulo di vetri spezzati proprio di fronte a lui, in corrispondenza del finestrone ormai in frantumi.

Chissà cosa direbbe, se sapesse che sono stato io...

Scosse la testa e si voltò, diretto verso destra, il lungo corridoio che portava alla scalinata verso la torre a est. Ignorò ogni cosa, dai familiari muri rossastri agli arazzi che conosceva bene. Forse, se si fosse fermato a controllare, avrebbe ancora trovato i segni lasciati sulla pietra mentre si allenava o giocava con le spade. Qualcuno però aveva tolto di mezzo i quadri. Meglio così.

Corse tenendosi a ridosso della parete, pronto a scattare a ogni evenienza. Incontrò un altro paio di guardie, ma le prese di soppiatto e le uccise con velocità, non permise loro di emettere neanche un rantolo scomposto. Tutto si giocava sulla sua capacità di non richiamare attenzione. Quanti uomini potevano esserci, lì dentro? Di sicuro non passavano le loro giornate in quell'ala della tenuta, forse la usavano solo per tenerci Fawn, o chiunque altro stessero torturando oltre a lei.

Si concentrò sull'immagine del suo viso. Le lentiggini. Gli occhi tondi, che passavano dal nocciola al tronco scuro di quercia a seconda di come la luce li colpiva. La pelle chiara e quel colorito rosso intenso di cui l'aveva vista tingersi ormai spesso: ogni volta lo aveva scombussolato, come fosse stato un bambino alla sua prima cotta. E forse lo era davvero, avrebbe dovuto ammetterlo una buona volta? Prima di gettare tutto in fondo al proprio io e trovare il coraggio di soffrire. Era necessario, forse, per guarire e poter finalmente andare oltre, a sotterrare tutto.

Le scale erano sempre meno e la vista dalle minuscole aperture gli indicavano che la cima era vicina. Andò avanti, e avanti, si interruppe una volta arrivato alla porta di legno grezzo e spesso che chiudeva la soffitta. Si fermò lì, poggiò la fronte contro di essa e tese l'udito alla ricerca di suoni che gli suggerissero quante persone avrebbe potuto trovare dall'altro lato. Delle voci maschili c'erano, per quanto si tenessero basse. Più di uno, sicuramente. Due, forse tre.

Gli occhi tondi, le lentiggini, la pelle chiara. Cercò di imprimere ogni dettaglio nel cervello, nitido, di concentrarsi su di lei sana e viva. Qualsiasi cosa avesse visto al di là, aveva bisogno di non perdere del tutto la lucidità. E non era sicuro di riuscirci.








🦌🤎⚔️🔥

Cerbiattini, ciao!

Il capitolo 37 è un po' lungo, quindi ho deciso che farò come per il 34 e lo dividerò a metà: vi pubblico questa prima parte subito.

La seconda sarà disponibile già domani, perché di fatto è scritta e devo solo riguardarla ❤️.

Dulcis in fundo, il capitolo 38 sarà pubblicato martedì! ❤️

Come mai questa abbondanza di capitoli uno dopo l'altro, proprio ora?

Il motivo c'è ed è presto detto: martedì è il 31, e io sento il bisogno assoluto di finire l'anno PROPRIO con il capitolo 38 ❤️. Mi piace troppo l'idea di concludere il 2024 con lui, capirete perché...

Non posso dire niente, se non che consiglio a chiunque stia seguendo la storia di leggerlo 🥲. Io già piango all'idea, fidatevi.

Domani mi dilungherò un po' di più nei saluti di fine capitolo, per ora vi lascio con Devon  ❤️

A prestissimo!

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