34.2 (𝕷𝖞𝖆𝖒)
⚠️ Warning: ci sono descrizioni di violenza esplicita ⚠️
Albeggiava. Il bubolare dei gufi già si confondeva coi primi cinguettii mattutini delle allodole, venuti ad annunciare che la notte stava per finire. Lingue di luce bluastra e fioca si allungavano sull'erba bagnata, quella che Lyam fissava con insistenza, il passo lento come mai prima d'allora. Devon era stato molto chiaro con lui: un singolo sbaglio e l'intera missione si sarebbe conclusa con una disfatta e una serie di brutte conseguenze. Prima tra tutte, l'idea di dover correre ai ripari e trovare un altro modo per penetrare nelle difese del conte. Peggio ancora, doversi ritirare senza le informazioni necessarie.
«Se non te la senti o credi di non essere in grado, devi dirlo subito».
L'ipotesi era esistita, aveva avuto una possibilità di scelta. Ma aveva deciso che ce l'avrebbe fatta, anche stavolta. Per tutti gli dèi, quella testa piena di illusioni feroci se la sarebbe voluta staccare dal collo da solo.
Dietro di lui, il suono dei passi strascicati degli altri cavalieri, scelti per penetrare tra le mura per primi. Quell'andatura ciondolante gliel'aveva consigliata il comandante, dovevano rendersi credibili a un primo sguardo. Inutile farlo presente, però: ci pensava già la paura, a renderlo svogliato. Lo spingeva lontano da lì e lo continuava a bloccare, come una fune invisibile che tentasse in tutti i modi di tirarlo via. Devon doveva essere da qualche parte, dietro, nascosto da tutti gli altri. Sosteneva di avere un viso troppo rischioso, era possibile che il conte e i suoi uomini lo potessero riconoscere.
«Tu invece vai benissimo. Sei anonimo, impaurito e gracile. Non potranno mai scambiarti per un pericolo. Mi spiace darti quest'onere, ma è necessario».
Chiaro. Nemmeno Yrim poteva salvarlo, ormai. Il mago era venuto a dargli una pacca di conforto e una strizzata di spalla, per infondergli coraggio prima di andarsene a dormire. Era solo, in prima fila e finalmente incaricato di dimostrare qualcosa.
«Ragazzo, fermati. Ci siamo». Un sussurro dal lato sinistro, poco dietro di lui. Uno dei cavalieri, Ryonel, lo riportò in sé. D'accordo, era ora di alzare la testa. Di fronte, stagliato davanti a loro e accarezzato dai primi raggi bianchicci di una Agonos che si svegliava, il portone. Ai lati, solo roccia alta, quella delle mura di delimitazione.
Inspirò per l'ultima volta, prendendo un grosso quantitativo di aria col naso. La sua stessa carne lo solleticava, scossa da convulsioni febbrili e impazienza. Alzò la mano per agganciare il grosso anello di metallo appeso alla porta e lo batté contro di essa, per tre volte. Non attese troppo. Lo strusciare sgraziato della finestrella, legno contro legno. Da dietro le sottili grate, due occhi assonnati lo scrutarono, con un accenno di stizza. A cerchiarli, una pelle rugosa che lasciava intuire come la guardia avesse una certa età.
Avrà famiglia?
No, certi pensieri non poteva permettersi di farli. E poi, che cavolo, qualche Disertore lo aveva già fatto fuori, seppur da lontano e schioccando frecce. Non si era mai perso dietro a tali rimorsi.
Ma lui non ha colpe, serve solo il proprio signore. Non ha scelto.
Non importa, cazzo. Concentrati.
«Chi è là? Identificati». La voce era roca, gutturale. Impastata dalla stanchezza. Forse si erano appena dati il cambio. Assurdo, come il destino potesse giostrare le vite degli uomini con così tanta casualità. Sarebbe bastato arrivare due minuti prima, forse, e un altro sarebbe andato incontro a quel destino.
«S-s-salve, una consegna per le cucine. Avete richiesto farina di frumento per l'i-i-inverno».
«Anche balbettare andrà bene». Un altro dei consigli di Devon.
Ma non c'era bisogno di dirgli neanche quello, gli veniva così naturale. L'uomo assottigliò gli occhi al di là della fessura. «Identificati!»
Lyam armeggiò con fare nervoso al di sotto del proprio mantello, con cui si era coperto per intero, il cappuccio calato sulla testa a nascondere qualsiasi avvisaglia di un abbigliamento strano. Ne tirò fuori una pergamena un po' consunta. L'aveva fatta Yrim, poteva fidarsi. Di certo non aveva disegnato dei timbri casuali. La aprì per mostrarla alla guardia, che la scrutò riducendo quei due piccoli bulbi a linee ormai impercettibili.
«Non vedo bene, avvicinati!»
La avvicinò un po', senza esagerare. Magari Yrim non era proprio così esperto nell'arte della contraffazione, la fioca luce mattutina era l'unico aiuto a sua disposizione. La guardia emise uno sbuffo spazientito e quello che aveva l'aria di essere un grugnito, prima di borbottare: «E va bene, ragazzo, ti apro. Fammi vedere cosa hai lì».
No, non aprire.
E invece sì, doveva farlo. E lui doveva smetterla di dimostrarsi un tale codardo.
Il torace gli stava per esplodere, il cuore tamburellava a un ritmo forsennato. Suoni metallici, il clangore di una serratura che veniva girata, altri rumori ferrosi. Chissà quanti chiavistelli aveva, quell'ingresso. Protezioni inutili, il vero tradimento lo rappresentava la sua faccia da ragazzino angelico. Il tamburellare lasciò il posto a un grosso chiodo che gli trapassava lo sterno. Portò la mano libera sotto il mantello, a toccare l'elsa della spada.
Tremava, ma contrasse i muscoli delle dita per afferrarla saldamente.
Si voltò a prendere uno dei grossi sacchi che avevano appeso ai due cavalli, lì con loro. Notò che i cavalieri erano scomparsi, che si fossero già nascosti? Solo Ryonel era rimasto, a fingersi un mercante anche lui, in silenzio.
Dallo spiraglio di apertura sbucò la grossa mano callosa della guardia, tesa ad attendere che gli mostrasse il contenuto del sacco. Si giocava tutto lì, in quei minuscoli frangenti.
Non sbagliare.
Sbaglia...
No. Inutile, ormai. O lui o me, non si può più tornare indietro.
Nell'allungargli il grosso sacco di iuta, si spinse con la punta del piede a toccare lo stipite di pietra lasciato libero dalla sottile apertura. Un gesto immediato, che il pover'uomo non sarebbe stato in grado di percepire. Captò solo lo sguardo che passava dal confuso all'incazzato, mentre la guardia apriva e si rendeva conto del contenuto. Lo alzò su di lui, ebbe un moto rabbioso e portò il braccio a chiudere di getto la pesante porta di legno. Troppo tardi, Lyam vi infilò tutto il lato destro del corpo: metà torace rimase pinzato, braccio e gamba destra già al di là della soglia.
La guardia aveva fatto in tempo a chiudergli la massiccia anta addosso, ma non bastò. Avvertì, nella confusione che gli dava vedersi schiacciato lì, qualcosa di violento che lo spingeva da dietro. Lottò lui, e lottò Ryonel per mantenere quello spiraglio aperto. Ci riuscirono e Lyam venne sbalzato via. Si trovava nel cortile, tutto era successo troppo in fretta.
Si spostò subito, senza esitare e senza timore di usare il proprio potere. L'uomo aveva tirato fuori la propria arma e gli era piombato contro. Iniziò una piccola danza, fatta di tanti movimenti repentini e invisibili, la mano della guardia che continuava a calare su di lui, con così meno prontezza di quella di Devon da essere un bersaglio facile... persino per lui.
Ma doveva farlo davvero? Cercò di guardarsi intorno per un secondo, fermandosi. Ryonel era più in là, a lottare contro altre due guardie che erano accorse nel frattempo. Forse non avevano ancora fatto abbastanza trambusto da venire uditi, ma di lì a breve l'intero castello si sarebbe svegliato.
Se fosse riuscito a convocare subito il comandante... Accennò un passo verso il portone: bastava aprirlo e chiamare a raccolta tutti. Alla situazione ci avrebbero pensato loro. Sobbalzò quando qualcosa lo ritirò all'indietro, senza dargli possibilità di sfuggire. Si era dimenticato di essere abbastanza veloce.
La manona della guardia lo aveva acciuffato. Lo rivoltò su sé stesso per guardarlo dritto in faccia, il viso paonazzo di rabbia e gli occhi minacciosi. Sputò: «Chi cazzo siete, si può sapere? Ladri? Avete avuto un'idea di merda, a piombare qui e pensare di cavarvela».
Non lo stava uccidendo. Lo stava rimbrottando, credeva fosse solo un comune ladruncolo.
Il fato stava rendendo la cosa sempre più difficile.
Cercò di sfuggire alla presa, con un colpo deciso, ma quello non lo mollò. Continuò a tenerlo per il mantello e a scuoterlo: «Siete qui per rubare? Rispondi. Chiama il tuo amico e potrò pensare di lasciarvi andare, prima che svegliate l'intero palazzo. Il conte non ama i poveracci come te, soprattutto se feccia magica...»
Feccia. A sentirsi insultare ci era abituato, d'altronde quello era il clima di casa. Lo conosceva, impossibile credere di esserne stupito, non importava quante ere avrebbe potuto trascorrere nella tollerante regione reale. Ma quell'uomo lo stava risparmiando... una vita intera passata a cercare clemenza, ed eccola nel momento meno opportuno.
«Ma che cazzo stai facendo? Muoviti, ragazzo!»
Un urlo gli giunse dalla posizione di Ryonel: brandiva l'arma e stava correndo verso di loro. Non c'era nessuna salvezza, inutile. Lo doveva fare lui. Per capire. Per iniziare a rendersi idoneo. Per intraprendere quel proposito che inseguiva da mesi. Non c'era più possibilità di scappare.
Sussurrò: «Perdonatemi, vi prego».
Estrasse la spada dal fodero, fino a quel momento la guardia non l'aveva notata. L'uomo lo mollò subito e indietreggiò, stupito. Si mise in posizione, ma Lyam fu più svelto. Non ci pensò nemmeno, a privarsi dei propri poteri, al diavolo Devon e le sue idee. Come poteva cavarsela, altrimenti...
Sgusciò via un po' di volte dai colpi che l'uomo gli rifilò: non era preciso come il comandante, né veloce come lui, ma quella danza macabra non sarebbe potuta durare in eterno. Doveva finire con uno dei due ancora in piedi.
A un certo punto capì di dover rispondere. Visualizzò un buco nella difesa dell'uomo e lo trafisse all'altezza del ventre con un colpo impreciso, ma impossibile da visualizzare. La lama non era affondata con la leggerezza che si sarebbe aspettato, però. Quel corpo umano, che si era immaginato tenero come il burro, aveva resistito. La sensazione di attraversare della materia viva, scricchiolante, pulsante, era tutta lì. Cercò di ignorarla.
La guardia si rilanciò contro, emettendo un ringhio. Lyam lo evitò per un soffio, preso alla sprovvista. Si diede lo slancio per infliggergli un'ulteriore coltellata poco lontano dal primo punto. Quando la spada uscì dalla carne, si ritrovò a percepire la forza del sangue che si liberava, come da una botte piena di vino che veniva trafitta da uno spillo. Uno sgorgare violento e puntuale, che eruttò dalla guardia ricoprendolo di vischioso liquido rosso. Ora bastava, no? Le gambe gli tremavano.
Non bastava, perché il soldato si reggeva ancora in piedi. La voce agonizzava e un po' di sangue iniziò a colorargli anche le labbra, una mano venne portata a schiacciare i tagli. L'altra non mollò l'arma e si rilanciò contro Lyam, in un tentativo rozzo.
Uccidere era meno semplice di quanto avesse creduto. Una coltellata, due al massimo: un paio di colpi leggeri e veloci, come tagliare una fetta di pane, e la persona si sarebbe accasciata a terra senza tanti problemi. Questo era ciò che si era sempre immaginato, dentro alle fantasie ridicole in cui si vedeva cavaliere ed eroe.
Perché non muore?
Perché non smette di muoversi?
Diede un altro colpo. I rantoli dell'uomo iniziarono a diventare insopportabili. Gli graffiavano le orecchie, la mente, il cuore. Rimbombavano dentro di lui, grattavano come unghie disperate lungo tutte le pareti interne del suo corpo.
Voltò la testa: Ryonel si era fermato, la spada molle nella mano abbassata. Lo guardava senza battere ciglio. Non lo avrebbe aiutato, era chiaro. Aspettava che lui facesse da solo, che riuscisse a finire quell'unico, dannatissimo compito.
Chiuse gli occhi per un momento e affondò l'ennesima punta. Rimbalzò contro la placca di metallo, non ci aveva impresso neanche abbastanza forza. Ormai il soldato era persino incapace di reagire, traballava e continuava a perdere sangue. Il respiro gli era diventato pesante, così pesante da afferrare la sua anima e trascinarla in un abisso senza fondo.
Perché non si zittiva? Voleva che si zittisse, cazzo, che la smettesse.
Lasciò andare la spada e prese dalla fondina laterale un pugnale. Lo afferrò a due mani, spalancò gli occhi e si lanciò contro il collo dell'uomo. Non ci fu più alcuna distanza. Glielo conficcò portandosi vicino, una coltellata secca che affondò senza dare alcuno scampo. Il fiotto di sangue gli arrivò in pieno viso. Eppure, rantolava ancora.
Lyam urlò. Urlò a squarciagola senza preoccuparsi di niente e nessuno. La lama scese ripetutamente, su e giù, dentro e fuori. L'uomo si accasciò a terra, finalmente, ma lui continuò. Imperterrito, non smise di colpire con gesti meccanici, senza nemmeno mirare, in preda a una voglia spasmodica di veder finire tutto. Colpiva, colpiva, colpiva.
«Ragazzo».
Rallentò, ma portò il coltello ancora una volta in alto, e ancora una volta in basso. Ormai l'unico suono vibrante nell'aria era quello di oggetti molli che venivano sbattuti dentro a una pozza liquida. Il silenzio si ostinava a non arrivare...
«Ragazzo, basta! Basta, è morto. Sei stato bravo, forza. Tirati su, chiamiamo il comandante prima che la scorta del conte ci sorprenda qua fuori da soli».
Giusto, qualcuno gli aveva posato una mano sulla spalla, lo tirava via. Si alzò in piedi, la testa gli girava un po' e non rispose. Si accorse di avere pianto, quando ebbe l'istinto di tirare su forte col naso. Si sentiva bagnato, un refolo di freddo gli fece avere un brivido. Il respiro si tranquillizzò, pian piano. Si guardò attorno, notò il volto familiare di Ryonel e si incamminò con lui verso il portone. Rimase fermo a osservare il cavaliere che infilava due dita in bocca per emettere tre fischi: il primo più lungo, gli altri due ravvicinati e brevi.
Dovevano essere segnali in codice, forte. Chissà, li avrebbero insegnati anche a lui? Non aveva mai imparato a fischiare, era una cosa per cui si sentiva proprio un impedito. Ma in fondo bastava applicarsi e imparare, no? Come aveva imparato a uccidere.
Ho ucciso un uomo.
Già, era vero. Non si girò, non tornò a guardare il cadavere steso a terra, non avrebbe avuto senso. Era solo cibo per corvi, ormai.
Una calma incredibile lo avvolse. Aveva ucciso un uomo e non era cambiato nulla. Il mondo era lo stesso di prima, e nessuna punizione divina era calata dall'alto per lui. Nessuno sembrava accorgersene. Quante persone aveva ucciso, Ryonel, nella sua vita? Chissà, forse anche lui avrebbe imparato a non dare più peso a ogni singolo uomo. Anche lui avrebbe arricchito la propria coscienza con una lunga lista di corpi che avevano smesso di respirare da un momento all'altro. Il sole, alla fine, sorgeva lo stesso.
La luce si era fatta più forte, i raggi mattutini illuminarono l'ingresso di Devon e degli altri cavalieri del gruppo ristretto. Una ventina di uomini a piedi si riversarono dentro allo spazio ampio del cortile: veloci, sicuri, saldi. Chissà come appariva il cadavere, sotto la luce chiara. Non si girò. Non avrebbe avuto senso, in fondo, guardarlo.
Io sono cambiato?
Era finalmente degno di Idalia, quindi?
Che strano, non riusciva a ricordarla. Avrebbe pensato a lei più tardi, forse era un po' confuso.
Una stretta al braccio lo scosse dai pensieri e lo tirò via. Il comandante era venuto di persona a chiamarlo, a portarselo dietro, a trascinarlo con sé verso il prossimo obiettivo. Sì, forse era degno davvero.
Attraversarono lo spiazzo, diretti verso gli ingressi laterali della reggia. Camminando, percepì la presenza del corpo privo di vita, una grossa macchia rossa sul suolo che richiamava la sua attenzione. Lo superò senza voltarsi.
Non avrebbe avuto senso, guardarlo. Sul serio.
*
Di tutto ciò che venne dopo, Lyam non avrebbe ricordato nulla. Qualche torcia infuocata, stridii sinistri e violento cozzare metallico. La loro avanzata minacciosa all'interno della reggia, il resto della cavalleria che accorreva per accerchiarla. Il conte che si arrendeva a Devon e cercava un modo per chiamarsene fuori, dirsi innocente e trovare giustificazioni. Era stato obbligato ad agire in quel modo, così aveva detto.
Qualche lama Lyam l'aveva parata da solo, ma Devon si era tenuto vicino a lui per tutto il tempo e lo aveva difeso. Non si era imbattuto in nessuna nuova uccisione. Chissà se lo aveva fatto per proteggerlo e lo considerava ancora una mezza calzetta, o se finalmente era fiero di lui. Non se ne preoccupò e si limitò a seguire gli altri, a percorrere ogni scalino di pietra fredda senza battere ciglio. La paura era svanita, l'agitazione anche. Un velo di tranquillità e forza sembrava essersi posato su di lui, ottundendo i suoi sensi e portandolo a muoversi senza essere in grado di pensare.
Spade, fumo, altro sangue. Non troppo. Era stato uno scontro breve, per quel poco che poteva capirne.
Sapeva solo di trovarsi lì, nella grande sala di ricevimento del palazzo, appena oltre l'ingresso ormai divelto. Il conte era un uomo piccolo, più di quanto si sarebbe potuto aspettare. Avvolto dentro a una pelliccia che lui non avrebbe mai potuto permettersi, la barba rada a ricoprire a chiazze un mento ossuto e un po' olivastro. La spada di uno dei loro puntata contro la gola, ma sembrava stranamente a suo agio nella situazione.
Forse a nessuno importa, di quell'uomo che faceva la guardia. Però dovremmo sbrigarci, dovrebbero raccoglierlo. Prima che sia solo un insieme di resti putridi. Forse mi sarei dovuto fermare...
«Assicuratemi che non riceverò ripercussioni da parte del re, e vi darò ciò che volete. Ve l'ho detto».
Il comandante gli stava davanti, ritto e con l'espressione rabbiosa. Lyam avrebbe potuto giurare che emettesse ombre nere tutt'attorno, tanto era visibilmente irritato.
«Non siete nella posizione di pretendere un bel niente, mi pare».
Il conte accennò un'occhiata alla spada che non si spostava dalla linea della propria gola. Non si scompose.
«Voi sapete essere convincente, ma non siete l'unico. Una minaccia concreta si sta mangiando questa regione da parecchio tempo, noi nobili siamo stati costretti a venire a patti con essa per proteggere la popolazione. Non accetterò che le vostre accuse portino altro scompiglio».
«Potrei ordinare di farvi fuori in questo esatto momento» sibilò ancora Devon.
«E veder morire me e le mie informazioni? Non vi faccio così stolto, mio caro. Vi conosco di fama». Un sorrisetto beffardo.
«Prima mi direte ciò che sapete». Lyam giurò di averlo visto digrignare i denti.
«Chiedete al vostro uomo di abbassare questa stupida spada, o non vi dirò proprio niente».
Un cenno secco del capo da parte di Devon, e il cavaliere abbassò la spada con una palese ritrosia.
«Allora?»
«Le mie garanzie».
«La vostra garanzia è di finire infilzato, se vi ostinate a non collaborare. Non ho nessun problema a uccidere un nobile, ve lo posso assicurare». Devon si spostò in avanti, facendo un passo nella direzione del conte. Lyam giurò di aver visto un brivido accennato attraversarlo, ma si riprese subito.
«Temo che invece ve li farete... Un conte innocente, lasciato a gestire i disordini da solo, ucciso per mano di un emissario del re? Che spiacevole evenienza, non credete? Non ci vorrà molto, prima che gli altri nobili insorgano contro di lui. Le voci sulla debolezza del sovrano arrivano lontano».
Devon si bloccò. La mascella contratta, era evidente che lottava contro l'istinto di lanciare il conte dalla finestra più alta del castello. Si limitò a replicare: «E sia. Avete la mia parola, non farò rapporto al sovrano del vostro viscido tradimento. Parlate».
Un ghigno compiaciuto: «Molto bene, prendo a cuore questo vostro proposito, sir Carraig. Quanto a Proteo... il castello in cui alloggia, al momento, è meno celato di quanto crediate».
Devon sembrava uguale a prima, ma Lyam notò come le nocche delle mani strette a pugno stessero impallidendo.
«Siate più chiaro».
Uno sbuffo, prima che il conte si decidesse a rispondergli con fare tagliente: «Tiene sotto controllo Màvrita già da qualche settimana. Il duca è sotto il suo giogo ed è stato costretto ad arrendersi».
Le mani erano ormai livide. Ma che cosa lo turbava così tanto?
Il comandante fece dietrofront senza rivolgere più alcuna parola al conte. Un cenno al resto dei cavalieri presenti, per dare ordine di seguirlo, e si diresse a larghe falcate verso l'uscita. Lyam non si trattenne, gli trottò vicino e provò a parlargli con voce bassa: «Sul serio quest'uomo non otterrà alcuna punizione? Dopo quello che ha fatto? Ha cercato di uccidervi...»
Devon si voltò di scatto verso di lui, senza smettere di camminare: «Quando avrei detto che la passerà liscia?»
«Ma... avete dato la vostra parola. Siete un cavaliere, per tutti i fulmini, non siete vincolato dall'onore?»
Scorse un'alzata di occhi al cielo. «Ho detto che non avrei fatto rapporto al sovrano, e così sarà. Non ho mai promesso che non lo avrei sgozzato nel sonno. Ma non oggi. Non abbiamo tempo. Muoviti».
Si ammutolì. Quell'uomo riusciva a essere davvero inquietante, quando lanciava certe minacce come fossero quisquilie. Era serio?
Magari era solo una facciata...
Uscirono dalla reggia. Il sole era ormai sorto, ma il cielo grigio di Agonos impediva che la luce irrompesse del tutto. Un colore smorto, lattescente e ovattato permeava l'aria, rendendola densa. Forse era giusto così, l'azzurro terso non aveva il coraggio di fare capolino. Non dopo quello che stava iniziando a gravargli come un macigno enorme sulla coscienza. Puntò gli occhi davanti a sé, col proposito di continuare a non guardare quel punto preciso del cortile... ma fu distratto.
Tutto cambiò in fretta. I soldati rimasti fuori erano nervosi, si muovevano, qualcuno di loro agitò le braccia in aria per richiamare l'attenzione di Devon, sbucato dal palazzo. Nel brulicare di persone, Lyam scorse una chioma riccia e mora. Nilde?
La ragazza rimase ferma al centro del cortile, non si mosse e aspettò che il comandante percorresse lo spazio che li separava. Devon la raggiunse con incredibile velocità. Lyam avvertì lo spiraglio di un presagio nefasto che iniziava a fargli mancare l'ossigeno dai polmoni, ma si sforzò di rimanere lucido e non muoversi dagli scaloni di pietra. Spostò gli occhi dalla scena di loro due, spaziando su tutto il resto dell'ambiente. Se ne fregò all'istante del cadavere che non voleva rivedere.
La piccoletta, poco più in là, Yulia. La donna dai capelli scuri e la bionda erano più indietro, le trovò dopo qualche istante di troppo. Erano rimaste a ridosso delle mura e avevano l'aria stanca. Avevano cavalcato fin là? Li avevano raggiunti senza aver ricevuto alcun ordine?
Forse lei era riuscita a portarsele dietro, a combinare l'ennesimo pasticcio e a fare casino, imponendo a tutte di seguirli.
Ma la cercava, disperato, e non la trovava. Le figure femminili erano finite, e in mezzo a loro non c'era nessuna ragazza alta e incazzata.
Doveva spostarsi da lì, capire, andare a sentire cosa diavolo Nilde stesse dicendo al comandante. Usò i propri poteri e quasi si materializzò di fianco a lui. Guardò prima la curatrice: Nilde aveva gli occhi lucidi e non riusciva a sorreggere del tutto la stazza di Devon, li spostava di continuo verso il pavimento. Le mani nervose le si contorcevano una sopra l'altra. Lo notò e gli sussurrò qualcosa: «Lyam... stai bene, sono contenta».
«Sì, ma che è successo? Dov'è Fawn?»
Lei tornò a guardare per terra. «Lyam, mi dispiace un sacco, non sapevamo cosa fare», la voce era solo un flebile mormorio.
Che significa? Di cosa le dispiace? Che vuol dire?
«Che significa? Di che sta parlando?». Si voltò verso Devon e lo prese per un braccio, costringendolo a voltarsi verso di lui, noncurante di usare modi bruschi. Si bloccò, la bocca spalancata dallo stupore.
Il comandante non ce l'aveva nemmeno, uno sguardo da puntargli contro. Il colorito gli era sparito dal viso e fissava il vuoto, atterrito, una statua di ghiaccio immobilizzata in un'espressione di puro dolore. Vide le sue pupille spostarsi con uno scatto solo, nella sua direzione, quando dopo un attimo infinito si rese conto della sua presenza.
«Devo andare. Tu, vieni con me». La voce aveva perso tutta la forza abituale.
«Dove? Che è successo, cazzo?»
No, decisamente i modi gentili non riusciva più a mantenerli.
Devon ebbe almeno il raziocinio di rispondergli, la voce ancora più flebile e a tratti spezzata: «Lei... è colpa mia. L'hanno presa. Loro l'hanno trovata. Dobbiamo andare a cercarla, subito». Per tutti gli dèi, non l'aveva mai visto in uno stato del genere.
Devon gli disse quelle uniche parole, prima di essere catturato da una foga incredibile e allontanarsi da lì senza più guardare in faccia nessuno. Lyam lo seguì, gli stette alle calcagna cercando di capirci qualcosa, qualsiasi cosa. Lei era Fawn, e non era lì con le altre donne, poco ma sicuro. Nilde sembrava disperata e il comandante era preda di una follia improvvisa.
Lo vide ignorare tutti i cavalieri, uscire dal portone delle mura, lanciarsi verso il suo cavallo nero e salirci in groppa. Qualcuno provò a chiamarlo, a chiedergli cosa avesse in mente, gli sguardi di tutti puntati con incredibile sconcerto verso di lui. Lyam si limitò a portarsi al fianco di Bulnus e montare in sella. Qualsiasi cosa fosse successa, anche lui si sentiva sull'orlo di una crisi di panico.
Talom si avvicinò al cavallo di Devon e Lyam notò che gli rivolgeva delle parole concitate, a cui il comandante rispose senza neanche scendere, iniziando a voltare Tory verso la radura alle loro spalle. Il suo secondo prese a gridargli dietro: «Ti ha dato di volta il cervello? Intendi lasciarci tutti qui e sparire così? Per l'amor del cielo, Devon, abbiamo una missione!».
«Non me ne frega un cazzo, pensaci tu».
Lyam ebbe solo il tempo di vederlo fargli un cenno e partire al galoppo, spedito. Lo seguì, senza fare domande.
🦌🤎⚔️🔥
Il capitolo 34 per me è stato un vero tormento!
Lungo all'inverosimile, devo ancora capire cosa e come tagliare per non renderlo un pippone assurdo, ma succedono davvero troppe cose :')
O forse sono io a non avere il dono della sintesi :p
Anche se alcuni punti ho dovuto "accorciarli" e velocizzarli, e un po' mi dispiace.
(Tradotto: la fine, ehm).
Voi fatemi sapere, non abbiate paura di dare consigli o opinioni. Sono ben accette e mi aiutano a capire cosa cambiare, soprattutto in capitoli del genere dove mi danno tantissimo 🖤🥲.
Vi anticipo già che interromperemo, per un solo capitolo, l'inseguimento pazzo di Devon e Lyam.
Il prossimo pov sarà una sorta di piccolo extra, dedicato a un personaggio che non ha ancora mai "parlato"(e che non avrà altri capitoli dedicati, in questa storia, è inevitabile). Una sorta di distacco dalla trama principale, ma con una piccola vicenda che a me spezza parecchio il cuore.
Qualcuno indovina di chi sto parlando?
A presto, cerbiattini! 🤎
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