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27. (𝕴𝖉𝖆𝖑𝖎𝖆)

C'era qualcosa di strano, nell'aria, e Idalia lo avvertì da subito, mentre sbucava nel grande spiazzo della corte centrale. Fino a quel momento lei e Myridia avevano passeggiato lungo il porticato che delimitava le due piccole corti interne, impensierite dal cielo nuvoloso sopra le loro teste e dalla possibilità che potesse piovere di lì a breve.

O meglio, era stata Emylia a preoccuparsi per una tale evenienza, più del normale. Idalia faticava a capire come sua sorella potesse sopportare una dama di compagnia tanto timorosa e invadente. Annoiata dal tragitto monotono, aveva preso Myridia per mano e l'aveva trascinata sul prato, dove la luce avrebbe potuto sovrastarle per intero, e non attraverso vetri o varchi che filtravano anche quell'unica nota di libertà.

«Ma che fai? Emy e la guardia sono rimasti indietro, stavano guardando altrove. Non ci hanno viste».

La voce di Myridia era appena velata di apprensione, ma si lasciò condurre attraverso un piccolo arco laterale. Quel guizzo di ribellione non poteva essere considerato un'avventura degna di nota e sua sorella lo sapeva. Gli stessi libri che leggeva glieli aveva prestati lei, d'altronde. Myridia non aveva la sua stessa insofferenza verso la vita che conducevano, e li aveva apprezzati senza trovarci niente più che una distrazione passeggera: lei gliene aveva portati altri ancora. Forse per obbligarla a sognare un minimo, o per avere l'impressione di essere meno sola nei desideri sconvenienti che sapeva di covare.

«E tu lasciali cercarci. Te la immagini, lei? Che diventa tutta rossa e inizia a strillare? Sono sicura che la sentirebbero dal ponte».

«Non statevene lì impalato, cielo! Le altezze sono sparite, vi sembra il caso di essere così tranquillo?» la voce acuta di Emy che si rivolgeva all'uomo della scorta arrivò alle loro orecchie, piena di affanno.

Myridia soffocò una risata nella manica dell'abito e sgattaiolò a nascondersi dietro una colonna di marmo, Idalia la seguì. Quel minuscolo gesto sovversivo la colse di sorpresa e le scaldò il cuore, ma durò poco: appena la propria dama girò l'angolo dell'apertura da cui erano scappate, Myridia si lanciò verso di lei con un piccolo balzo e la spaventò. Si prese la caterva di rimproveri preoccupati che Emy le inviò, prima di calmarla, prenderla per mano e dirigersi nell'erba.

Idalia se ne rimase dov'era, a guardare i lunghi capelli castani di sua sorella venire toccati dalla luce fredda dell'autunno. Quel giorno li aveva lasciati sciolti sulla schiena, probabilmente perché non aspettavano visite: di rado Myridia contravveniva alle regole del buon gusto, e in presenza di ospiti li avrebbe intrecciati in maniera irreprensibile. Quell'aria semplice, dentro al vestito color crema privo di ornamenti, la rendeva più graziosa del solito.

Sovrappensiero, notò con ritardo la testa di sua sorella che si girava e lei che si fermava, lanciandole uno sguardo calmo e pieno di dolcezza. Due occhi nocciola che la scrutavano e che non avevano mai perso la bellezza che le ricordava addosso dall'infanzia. Da quando era solo una bambina che lei avrebbe dovuto proteggere, in qualità di sorella maggiore, e che invece continuava a essere la più morigerata delle due.

La aspettava, l'aveva sempre fatto. La marachella era già finita e lei attendeva solo che tutti ritornassero alla propria posizione originaria, al proprio ruolo, in quella stasi che le dava tanto conforto.

Cercò di sorriderle di rimando, gettando in fondo l'amarezza che la pungolava. Le prese la mano libera e si unì a loro.

Superarono le siepi di contorno per addentrarsi nel giardino: la fontana al centro aveva perso brillantezza, molte delle zolle normalmente ricoperte di fiori erano spoglie, in attesa che gli addetti le sostituissero con piante adatte alla stagione. Il terreno sotto di loro era umido, ancora gonfio di pioggia notturna. Notò che sua sorella ed Emylia si mantenevano con attenzione sulle pietre del vialetto. Lei mise con decisione i piedi sull'erba, in un proposito stizzoso e irrazionale di infangarli.

«Non sapevo avessimo ospiti! Nostro padre non ci ha avvisate! Cosa succede?»

Al suono della voce allarmata di Myridia alzò la testa e seguì con gli occhi la direzione verso cui guardava: oltre l'enorme quadrato botanico, nascosta in parte dai torrioni delimitanti l'ingresso, sbucava la figura di una carrozza. La lucentezza delle finiture metalliche e i decori raffinati suggerivano l'appartenenza a un proprietario di spessore. Che il visitatore fosse atteso e loro non ne fossero state informate, nessuna delle due, era molto più che strano.

L'aria del mattino la solleticò con un refolo freddo. Non rispose.

«Di chiunque si tratti, non possiamo farci vedere in questo stato. Rientriamo, sono sicura che ci stanno cercando».

Voltò la testa verso Myridia, che covava agitazione dentro ai soliti modi impeccabili e pacati, e le fece un cenno. La seguì, mentre Emy concordava con la più piccola delle regnanti sull'idea di rincasare: «Sono certa che Sua Maestà verrà ad avvisarvi entro breve, Vostre Altezze. Andiamo, forza».

Gettò un'ultima occhiata al cielo: forse stava per piovere davvero, ma neanche quel giorno avrebbero goduto della gioia di potersi sporcare.

*

Arian Nazdovir di Mejadra, figlio minore del sovrintendente della fascia ovest di Dralynos, era a tutti gli effetti un ospite di una certa importanza.

Non troppa, la stessa accoglienza che il re gli aveva riservato lo lasciava trasparire. Sufficiente, però, ad averla costretta dentro a un bustino soffocante, impreziosito da linee di gemme tanto lunghe da renderle difficile ogni movimento, nel timore di farle staccare. La gonna era abbastanza ampia da darle fastidio e sentiva le tempie tese per via dei capelli tirati all'indietro con maestria sadica. La collana di smeraldi che le avevano messo al collo la appesantiva e le scarpe erano tremende.

L'intero apparato di idiozie dentro a cui l'avevano infilata le impediva di concentrarsi su altro, sulla lunga presentazione che suo padre aveva fatto di lord Arian e su qualsiasi risposta lui gli avesse dato. C'erano solo le bolle ai piedi, la fatica di starsene dritta e l'istinto di togliersi tutto e andare a sedersi.

Quando era diventata tanto insensibile ai modi di corte? Erano gli stessi di una vita, ma tali situazioni ufficiali non le incontrava da oltre un anno e tutta l'abitudine sembrava essere svanita.

L'alternarsi di voci maschili era troppo basso e cantilenante per tenere viva la sua attenzione, e quella finì per dissolversi del tutto. I suoi occhi smisero di guardare ciò che aveva davanti e nuove forme presero posto. Ripescò il passato, per l'ennesima volta da quando Lyam era partito e quella fantasia aveva ripreso consistenza. L'imponente salone d'ingresso di suo padre scomparve: fecero capolino una lunga serie di visi familiari e ormai perduti.

All'inizio, quando si era ritrovata tra loro, erano così tanti da averla frastornata. Risate, occhi brillanti di stupore, fatica e lacrime. Le camere condivise e la modestia di ciò che potevano spartire, il clangore delle armi con cui si preparavano, il brusio e il vociare squillante, presenti a ogni ora del giorno.

Il mutismo che l'aveva contraddistinta da tutti gli altri, almeno per il primo periodo. Gli altri ribelli non erano mai riusciti ad accettarla a pieno, era vero, ma ci si era avvicinata. Non era uguale a loro, ma aveva finto bene, e quella recita le mancava più di ogni altra cosa. Le mancava quasi quanto le mancava lui.

Chissà dov'è, cosa sta facendo, se sta bene. Mi penserà? Non dovrebbe pensarmi, in effetti, non avrebbe dovuto nemmeno lanciarsi in un'impresa del genere per me. Chissà se lei lo sta aiutando, se tutto questo avrà mai un senso.

«Mia figlia sarà lieta di unirsi a voi per una passeggiata nel giardino coperto, i meleti sono in ottimo stato in questo periodo. Sono sicuro che avrete modo di conoscervi. Myridia, vieni: noi possiamo ritirarci. Lord Nazdovir, ci rivedremo per il pranzo: sarò lieto di avervi con me, potremo discutere meglio i dettagli dell'accordo».

Accordo.

Passeggiata. Devo fare una passeggiata...

Ritornò alla realtà con un battito di ciglia. Inghiottì la saliva che le era rimasta in gola. Si era persa qualche dettaglio importante, di certo. Riprese familiarità con l'ambiente e notò ciò che le si parava davanti: l'ospite guardava solo e soltanto lei.

La casacca dorata, il mantello bordato di pelo, i capelli color miele pettinati con cura, il viso giovane e rilassato e un luccichio impertinente negli occhi castani. L'incarnato ricalcava il pallore a cui era avvezza, ma i tratti spigolosi e il taglio felino dello sguardo suggerivano la sua provenienza estera: Arian era bello, forse. Probabilmente le avrebbe potuto suscitare qualche moto interno, nei tempi in cui non conosceva nulla del mondo e perdeva le giornate su romanzi d'amore.

Non le interessava davvero, il punto era un altro: lui si era avvicinato di due passi e attendeva che lei scendesse i gradini rivestiti di velluto, gli stessi che separavano lo spazio di suo padre dal resto del mondo. Separavano lui da lei, e il re voleva che li attraversasse.

Era tutto sospetto e sbagliato, rivestito da educazione e da quell'inchino perfetto che lui le rivolse. Si accorse di avere la bocca un poco aperta, mentre una delle sue dame personali varcò la soglia laterale del salone. Seppe di dover muovere le gambe, mentre sia quella che una delle guardie le si avvicinarono: era tutto pronto, qualcosa di indefinito era stato deciso in un momento ignoto e avrebbe proprio dovuto passeggiare con quel tale.

Si era persa qualcosa, decisamente, ed era importante.

Scese i maledetti scalini, accennò un abbassamento del capo in direzione di Arian e lo superò quando lui alzò la mano, per invitarla ad andare. Lui la seguì, distanziato di mezzo passo, abbastanza da essere cortese e troppo poco per non avere la certezza di poterle dare confidenza. Si incamminarono tutti e quattro.

Arian parlò solo quando il rumore dei loro tacchi cadenzati sul marmo era arrivato al punto di farle quasi scoppiare la fronte, e loro erano arrivati alla soglia del frutteto coperto. Non importava quanto lei cercasse di cambiare il ritmo, lui era formidabile nel seguirla, imitarla e non perderla di vista.

«Vostra Altezza, permettetemi: so che siete una grande lettrice».

No, lui la certezza di poterle dare confidenza la aveva, non c'erano dubbi. Non avrebbe mai avuto l'ardire di rivolgerle la parola per primo, se qualcuno non gli avesse già conferito quel permesso. Strinse i piccoli pugni e nel riaprirli si rese conto di avere le mani sudate. Le portò davanti e le poggiò sul tessuto della gonna, mentre superavano l'arco di apertura.

Idalia avrebbe dovuto rispondergli, prima che il tutto si tramutasse in un incidente diplomatico di non poco conto.

E se anche fosse? Nessuno ha chiesto il mio permesso per questa visita.

Si ridestò prima di indulgere in riflessioni fin troppo piccate e vendicative: «Direi di sì, mi diletto nella lettura di tanto in tanto».

Nessuna domanda di rimando, che parlasse da solo, che la trovasse scortese o poco interessante. Ma sarebbe bastato? Chi voleva prendere in giro. Una fitta le prese la pancia, ma dissimulò.

Guardò verso l'alto, cercando di respirare e trovare rifugio in una vista che conosceva bene: i pochi raggi di luce invadevano l'enorme spazio con i loro riflessi grigi, penetrando dalle aperture ovali inclinate che attorniavano la volta centrale. Era un'enorme copertura in legno e pietra di tufo, la più leggera che gli architetti reali avessero trovato, in grado di chiudere lo spazio dalle intemperie ma lasciar entrare il sole. La pioggia accedeva di sbieco, riversandosi leggera su un perimetro circolare definito e lasciando che il resto della stanza non ne venisse toccata. Dentro e attorno, viali ristretti alternati ad alberi ancora giovani, bassi, dalle piccole foglie cariche di colore e innumerevoli frutti rossi pendenti.

Quella meraviglia l'aveva voluta sua madre, quando ancora abitava a palazzo con loro e aveva assunto il progettista migliore del regno. Suo padre l'aveva accontentata, forse perché all'epoca credeva ancora che realizzare ogni suo desiderio sarebbe bastato a tenerla vicina.

«Questo luogo è splendido, devo riconoscerlo».

Una voce cortese e calda, fastidiosa come poche, interruppe anche quell'attimo di pace. Si voltò e fu costretta a emettere di nuovo un suono compiuto: «Lo è. La regina, mia madre, lo ha fatto costruire quando ero ancora in fasce».

«Vostra madre deve avere un occhio dedito alla bellezza».

«È così».

Un attimo di silenzio, prima che lui formulasse qualcosa per portare avanti quella dannata conversazione. Era una messinscena. Qualsiasi cosa suo padre gli avesse promesso, e sapeva con troppa precisione di cosa potesse trattarsi, era già certa. Non aveva bisogno di quei tentativi di conquistarla.

«Non mi tratterrò molto in città, ma vorrei chiedervi la gioia di mostrarmi gli altri ambienti del palazzo. Domani, magari. Vasileya è incantevole, per quel poco che ho potuto scorgerne».

No, non ci sarà nessuna visita. Cercò altro a cui appigliarsi, qualsiasi cosa.

«Casa vostra non vi incanta?»

Non seppe perché le uscì di bocca una simile frase, ma era tardi. Si girò verso di lui, spaventata. Con sua enorme sorpresa, Arian non sembrava offeso, al contrario: proruppe in una risata candida e spontanea.

«Mejadra ha una grazia tutta sua, ma lo confesso: da quando vi ho vista, c'è qualcosa che mi incanta più dei paesaggi. Tanto basta per vincere la nostalgia della mia terra».

Il cuore fece un tonfo sordo dentro al petto. Qualsiasi dubbio che poteva ancora covare era svanito: lui era lì per uno scopo preciso, di comune accordo con chi l'aveva spedita a tenergli compagnia.

Ignorò il sorriso gentile e gli occhi ammiccanti, colorati da uno scintillio che lasciava ben poco spazio a interpretazioni alternative.

«Vi prego di scusarmi, sono molto stanca. Sono sicura che avrete modo di rivedere questo luogo e bearvene con maggiore attenzione».

Fece dietrofront senza neanche curarsi di risultare sempre più sgarbata. Lasciò il grande spazio del frutteto senza più degnarlo di uno sguardo, dietro di lei la stessa voce calma che non smetteva di risponderle:

«Ma certo, Vostra Altezza: ci sarà tempo per ogni cosa».

Lui non si scompose, la seguì ancora una volta. Idalia cercò di tenere ferme le mani, intrecciate tra loro, ma era impossibile: tremavano, e non per il tempo malevolo o i rivoli di vento entrati dalle aperture del castello.

Quasi corse nel tentativo vano di seminarlo, finché all'incrocio con l'ingresso lui non la salutò, per dirigersi agli alloggi che gli erano stati riservati. Idalia si lanciò dentro al salone principale e acciuffò il valletto di suo padre, che la scrutò con gli occhi sgranati: «Voglio un colloquio privato con il re, e subito. Non mi interessa cosa ha da fare, andate e ditegli che esigo parlare con lui».

*

«Idalia, è inutile che provi a discuterne. La decisione è presa: sposerai lord Arian».

«Io non lo conosco nemmeno, lord Arian».

«L'ho fatto venire fin qui in visita appositamente perché tu potessi trascorrere del tempo in sua compagnia e risolvere questo particolare. Il quale, ti ricordo, non ti è dovuto».

Suo padre era lo stesso uomo di sempre, seduto dietro allo scrittoio del suo studio personale. Qualche dettaglio iniziava ad allontanarlo dal genitore delle sue memorie di bambina, e le era già capitato di fermarsi a notarli: la pelle si raggrinziva lievemente, i capelli castani erano sempre più radi e attraversati da fili biancastri, la corta barba chiara era meno fitta e omogenea di un tempo. Solo gli occhi celesti rimanevano uguali, colorati di quel brillio che aveva visto tante volte passare dalla dolcezza all'ira senza dare preavviso.

Era calmo, però, e il tono di voce ancora non lasciava trapelare che fosse sul punto di innervosirsi troppo.

Osò insistere: «Padre, io non posso legarmi a una persona con tanta leggerezza. Sono ben consapevole del mio ruolo e di ciò che vi turba, e vi giuro che non ho intenzione di venire meno ai miei doveri, solo... perché questa fretta? Perché proprio lui?»

Il re sospirò appena, alzò le sopracciglia folte e si portò una mano alla fronte, come per appoggiarvisi.

«Idalia, mi dispiace... non posso più essere indulgente, con te. Devi fare come ti viene chiesto, tesoro mio. È giunto il momento. Lord Arian è un ragazzo giovane e di bell'aspetto, dai modi gentili. Ti ha forse dato un'impressione differente? Che cosa dovrei trovarti, di meglio?»

«Di giovani è pieno il mondo, perché non posso avere almeno la facoltà di scegliere chi preferisco?»

«Perché non c'è più tempo e non posso mandarti in sposa a chiunque, figlia, l'alleanza con lui ci serve. Ti avevo proposto sir Carraig, ma è lontano, non sappiamo se tornerà vivo. E a ben vedere quell'uomo è cocciuto, non so se avrebbe accettato di lavorare per darci il supporto degli Erythiani. Dralynos ci garantirà l'appoggio di cui abbiamo bisogno».

Erythimos? Il continente a sud... è questo che gli dà quell'aria esotica. Sir Devon ha discendenze di questo tipo?

«Non capisco, i quattro continenti sono da sempre neutrali. Progettate davvero di rompere il trattato e consegnare alla patria un re di parte? Loro insorgeranno, lor—»

«Queste non sono questioni di tua competenza, stanne fuori. L'unico re attuale, tuo padre, siede ancora su questo trono. Lord Arian ha solo il compito di continuare la stirpe e darci un erede il prima possibile. Si dà il caso che questo sia anche il tuo lavoro e il tuo destino, lo hai dimenticato?».

No, non lo aveva dimenticato. Quel concetto e quel ruolo le erano chiari da fin troppo tempo, da quando era ancora una ragazzina e suo padre aveva iniziato a instillarglielo. Di continuo, come una nenia interminabile e costante. Ancora non si spiegava il perché: certo, qualsiasi sovrano avrebbe voluto garantirsi una dinastia, ma lui rasentava l'ossessione.

Tentennò. Quel vestito scomodo pareva soffocarla sempre di più, ormai sapeva di essere così accaldata da aver bisogno di un bagno una volta uscita da lì. Aveva un'unica carta da poter giocare. Abbassò lo sguardo, la voce le si fece piccola.

«Padre, io non posso fare un passo del genere. Ve lo giuro sulla mia vita: se voi mi costringerete, io impazzirò. Me lo sento nel cuore».

Trasalì al forte suono che spezzò la loro conversazione. Suo padre aveva calato una mano sul tavolo con aggressività, come era solito fare in tutti i suoi ricordi, quando le cose non prendevano la piega che desiderava. Una paura antica e irrazionale le prese il corpo e la portò a indietreggiare, il tono del re che si alzava e si incupiva: «Ora basta! Basta, sono tutti capricci e ne ho abbastanza. Non osare tirare fuori tua madre in un momento del genere, lei non è qui a salvare te o il tuo regno dalla rovina. Tu farai come ti viene detto, sono stato chiaro?»

Qualcosa le pungeva la gola, gli occhi erano lucidi, guardò verso l'alto per impedire alle lacrime di scendere. Non doveva essere così debole o farsi vedere sull'orlo di spezzarsi. Una terribile vergogna la avvolse: aveva vent'anni e ancora non riusciva ad affrontarlo. La stessa mano che l'aveva cresciuta, mentre sua madre era dimentica di lei e del suo ruolo, riusciva a essere sia una carezza che uno schiaffo. Tutto dipendeva sempre da lei, da come si comportava e dalle colpe di cui sceglieva di macchiarsi.

«Sì, padre. Avete ragione. Col vostro permesso».

Abbozzò un inchino veloce, non aspettò che lui le facesse cenno di potersene andare. Indietreggiò fino a superare la porta dello studio e solo una volta fuori dal suo raggio visivo si voltò di scatto. Camminò con affanno, tentando di rimanere calma. Quando credette che non avrebbe più udito i suoi passi, li affrettò.

Non si preoccupò dei fermagli che le volarono via dalla testa, mentre iniziava a correre per le scale. Si fermò solo per riprendere fiato e calciare via le tremende calzature che le impedivano di muoversi. Che la vedessero tutti, guardie, dame, non le importava.

Arrivò nella propria stanza e vi si lanciò dentro, chiudendosi le ante di legno massiccio alle spalle, noncurante dello sguardo preoccupato della guardia posizionata alla sua porta. Prese un grosso respiro solo una volta rimasta da sola.

Aveva bisogno di un piano, e alla svelta. Aveva giurato di non fuggire mai più, ma ogni proposito andò in fumo in quel preciso istante: l'impotenza a cui era piegata da tutta la vita fece vibrare il suo cuore come non era mai accaduto.

Un vento gelido calato dal nord la spazzò via, cantando nell'aria insieme alle voci di tutti i suoi compagni lontani. Ridevano insieme a lei.








🦌🤎⚔️🔥

Cerbiattini, la principessa della storia mancava su questi schermi da un po' di tempo :)

La prima grande cosa che mi preme sapere è se almeno un briciolo del passato di Idalia, e delle ombre che anche lei cova, vi sia arrivato. La sua vita non è perfetta come può sembrare, ma ha un carattere che lascia trasparire molto poco.

Dall'altro lato, qualche accenno a una situazione politica un pelo sospetta. Vero, quale re non vorrebbe veder sfornare dei marmocchi che ereditino il trono? Ma lui potrebbe avere qualche motivo in più per essere tanto fissato.

Due presenze femminili sono state appena accennate: Idalia ha una madre e una sorella, che potremmo veder ricomparire 🤎

Il suo pov non è finito: temo, alle solite, che avrà bisogno di una parte 2 :)

Vi aspetto🔥.

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