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25. (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)

C'era stato un tempo in cui le ferite avevano avuto il sapore dell'amore, ma era da tanto che il calore non veniva più a trovarlo.

Ogni nuova sofferenza o pena fisica che aveva subito, senza tregua, non l'avevano riportata indietro. Erano guarite tutte tra fitte e bruciori, sole o manipolate da mani sgraziate, dandogli la cieca consapevolezza che ciò che era andato perduto non sarebbe mai tornato.

Solo i sogni provavano a ricordarglielo, gli stessi da cui scappava di continuo. Si convinse che fosse solo un sogno, dunque, quando quel calore assopito da una vita intera tornò a fargli visita. Lo avvolse, dolce come la spira di attaccamento che ormai sembrava così lontana, rinchiusa nei gorghi oscuri della memoria in cui l'aveva sotterrata.

Non ebbe la forza di opporsi, e forse era troppo debole per riuscire a farlo, per dire al proprio corpo di alzarsi, svegliarsi e mettere fine a quell'illusione crudele. Rimase lì, crogiolandosi nella morbidezza di un tocco che non avrebbe pensato di sentire più.

Faceva male, ma era il male ricolmo d'affetto che credeva di aver perso per sempre. Il cuore fece un tuffo, perché la sua mente sapeva di non dover credere a nulla, e piangeva, piangeva senza che nessuno lo potesse sentire.

Si svegliò per un breve momento, quando qualcosa lo scosse piano, e il dolore diventò all'improvviso più forte, quasi insostenibile. Sopportò, perché lo sapeva e lo aveva imparato, per ogni ferita che riceveva qualcuno sarebbe arrivato a prendersi cura di lui. Doveva solo aspettare, perché le mani che avrebbe voluto rivedere più di ogni altra cosa al mondo tornassero a stringerlo, accudirlo e guarirlo.

Quando si riaddormentò loro arrivarono: dita sottili ed eleganti che lo accarezzarono, e capelli fini e neri che lo solleticarono, danzando sulla sua pelle. Il fruscio di una veste bianca, il tintinnio di ciondoli che pendevano nell'aria, sopra di lui, forse persino una voce vellutata e fioca che tremò nello spazio buio. Si perse dentro a quella fantasia per ore, senza più fuggire.

Riprese coscienza e la malinconia gli cadde addosso come un macigno. L'annebbiamento durò un lampo, troppo poco perché potesse conservare qualcosa di quel sogno e tenerlo stretto a sé, per qualche minuto in più di speranza. Sbatté le palpebre e riemerse, la fioca luce dell'alba che gli ricordava quanto fosse fredda la realtà in cui era destinato a vivere.

Si sentiva pesante e intontito e maledisse il fatto di aver dormito troppo. Normalmente non si concedeva tanta rilassatezza. Il tempo di fare mente locale e capì come dovesse essere colpa della ferita: la battaglia, il colpo di spada che lo aveva trafitto, il fatto che non fosse più riuscito a resistere e andare avanti. Aveva sottovalutato la pericolosità del taglio: di norma un colpo del genere si sarebbe rimarginato abbastanza da concedergli di ritardare il momento di metterci mano, ma qualcosa aveva impedito che succedesse.

Mosse le dita e la testa, allargò entrambe le mani e le poggiò sul giaciglio, facendo forza piano: la fitta accennata gli ricordò che l'arto di destra aveva un evidente problema. Quanto tempo ci avrebbe impiegato, a tornare funzionale? Troppo, non poteva permetterselo. Imprecò tra sé e sé.

Usò gli addominali e si tirò su con un gesto unico. Trasalì alla vista della figura femminile stesa sotto la finestra.

Sbiancò, ma durò poco: i rimasugli del suo sogno notturno non se n'erano ancora andati del tutto, ma la vista lo aiutò a distinguere la verità. Non c'era nessuna pelle bruna, il braccio che penzolava dalla panca era pallido, e i capelli appoggiati sul cuscino non erano né neri, né lucidi, né lisci. Semmai, un'aggrovigliata massa castana che conosceva bene.

Scostò la coperta e spostò le gambe verso il bordo, deciso ad alzarsi. Sua madre lo avrebbe ricoperto di biasimo, nel vedere una scena del genere: una fanciulla stesa su una panca di legno troppo piccola per lei, mentre lui se ne dormiva beato nell'unico letto della stanza. La vergogna lasciò presto lo spazio al diniego. Era già la seconda volta in due giorni che il pensiero correva a lei, che accidenti gli stava succedendo? Spinse tutto via e si alzò in piedi con fin troppa fretta. Ignorò il giramento di testa.

E comunque, riflettendoci bene, lui aveva pagato per due stanze, ne era sicuro.

Nessuno le ha chiesto di starsene lì, è stupida?

Nel fare il giro intorno al letto, la sua attenzione fu catturata dal lato opposto della stanza rispetto a Fawn e al suo russare leggero. C'era un disordine incredibile, sembrava che la stessa borsa da viaggio che lei si era portata dietro fosse esplosa. Boccette ovunque, pezze sporche lasciate a pendere, un catino di acqua ormai gelida, sacchette di pelle sparse, polveri verdi e rosse a ricoprire il legno e le lenzuola. I riflessi lo aiutarono a evitare di pestare il pugnale lasciato a terra, mentre si avvicinava al mobile contro la parete. Afferrò con la mano sana quello che sembrava un libro aperto a metà e lo guardò, sfogliandone un paio di pagine: disegni vari e confusi che non avrebbe saputo interpretare. Tante foglie, tanti teschi, figure umane ricoperte da segni rossastri, qualche "no" e qualche "sì" tracciati in una calligrafia rozza e quasi incomprensibile.

Lo avvicinò al viso, per scrutarlo meglio. A ben vedere, le immagini ce l'avevano, un senso. Ogni figura aveva un contorno nero, non sempre ciò che era stato disegnato era stato colorato, solo ciò che serviva. Nel farlo, la mano dell'autore aveva posto un'attenzione infantile, ma maniacale. Poteva scorgere i segni di colore lasciati sul foglio a uno a uno, a riempire ogni figura senza sbordare. Tante frecce congiungevano le pitture, per cercare di dare un criterio definito e ordinato.

Era di Fawn...? Era un manuale di rimedi curativi, fatto da lei. Lei, da sola, aveva perso tempo a riempire ogni singola pagina...

Trasalì al suono di un tonfo secco, e si voltò verso la ragazza a cui aveva dato le spalle.

Un altro colpo. Fawn era agitata e prendeva a calci il bracciolo di legno della panca, come per liberarsi dalla morsa in cui si era costretta. Si avvicinò a lei, se non si fosse calmata sarebbe rotolata per terra, forse stava facendo un brutto sogno. Cercò di destarla muovendola con una mano, ma non funzionò. Provò ancora. Lei mugolò, socchiuse occhi e bocca, ma si voltò dall'altro lato senza dare segno di averlo riconosciuto e si riaccucciò per continuare a dormire.

Devon allungò le mani per prenderla in braccio: se non intendeva svegliarsi, l'avrebbe almeno posata sul letto, inutile infierire sul quel mobile troppo piccolo. L'aveva appena agguantata e alzata di peso, quando lei si divincolò con più foga. Nel cercare di reggerla, una fitta all'altezza della spalla gli ricordò della ferita fresca. In un attimo lei si svegliò di colpo, gli occhi sbarrati rivolti verso di lui, emise uno strillo e delle piccole fiamme baluginarono nell'aria. Il dolore al braccio e l'agitazione di lei iniziarono a fargli perdere la presa. Fawn diede un colpo più forte con i fianchi e le gambe, spaventata, e il suo corpo gli scivolò del tutto dalle mani: lei finì col sedere a terra e sbatté il braccio più esterno contro le gambe del mobile.

Gli gridò dietro, in mezzo a gemiti di dolore: «Ma sei scemo? Che cazzo stavi facendo?»

«Niente, volevo spostarti. Ti dimenavi, stavi per cadere da sola... Ho sbagliato, questo dannato braccio funziona meno di quanto dovrebbe».

Lei si guardò attorno con una smorfia, massaggiandosi una natica e poggiandosi con una mano alla panchina. Tornò su di lui e si alzò in piedi: «Beh, molte grazie per il tentativo». Gli lanciò uno sguardo sotto la spalla destra, ma lo distolse subito: «Non so come tu sia abituato, ma le ferite vogliono tempo, per guarire come si deve, soprattutto se infettate dal veleno. E ti sarei grata se non mandassi a monte il lavoro che ho fatto».

Veleno, è per questo che non si è rimarginata per tempo?

Si rese conto solo a quel punto, facendo caso a lei che cercava di non guardarlo e spostava gli occhi altrove, di essere nudo per metà. Era una situazione imbarazzante, in effetti, ma perché non era andata a dormire di là? Forse la camera era inagibile.

Fece per spostarsi verso il letto e recuperare i vestiti, a disagio, ma lei lo bloccò afferrandolo per il polso. Si girò e perse qualche anno di vita nel notare che a quel gesto le guance le erano diventate scarlatte. Fawn aprì bocca solo dopo aver sbattuto parecchie volte le palpebre. Non riusciva a guardarlo in viso, teneva la testa verso di lui ma le pupille erano dirette verso un punto indefinito, al di là della sua persona: «Dovrei controllarla, per vedere se sta migliorando...»

«Non è necessario, sto meglio. Prepariamoci e andiamo via, ci penseranno le curatrici del gruppo».

A quelle parole lei riuscì a guardarlo sul serio, la voce sdegnata e il rossore un po' sbiadito: «Ho usato le ultime erbe da veleno che avevo, per te. Io ora controllo di non averle sprecate, se non ti dispiace».

Rimase zitto. In effetti, non l'aveva nemmeno ringraziata. Forse avrebbe dovuto farlo.

Optò per il silenzio e andò a sedersi sul bordo del letto, lei lo seguì. Si sedette a fianco, una gamba incrociata sul materasso e l'altra penzoloni, rivolta verso di lui. Gli prese la spalla con una mano, in maniera stranamente delicata, e avvicinò la faccia al petto per scrutare il taglio. La guardò dall'alto: teneva gli occhi fissi sulla ferita, la fronte corrugata come se si stesse sforzando.

Passarono diversi secondi così, interrotti solo da un forte sospiro di Fawn, che suonò rassegnato. Lei si allontanò con un'espressione corrucciata e sconfitta: «La ferita è a posto. Vado a sistemarmi e a lavarmi, di là. Se vuoi dico alla proprietaria di far arrivare un altro catino anche per te».

Le annuì e lei se ne andò, sparendo dietro la porta e lasciandolo solo.

L'immunità ai poteri di Fawn... preso dagli eventi e dall'attacco, aveva dimenticato quella questione. Lei non mentiva, ne aveva avuto la prova: il Mistero che avevano sconfitto la sera prima non era riuscito ad attaccarlo, né a fare ciò che aveva fatto con lei. Sedò il fiotto di rabbia che gli salì alla testa, mentre ripensava alla scena di Fawn incatenata a terra e inerme.

Rifletti.

Che avesse quella capacità da tutta la vita e non se ne fosse mai accorto era un pensiero assurdo. Forse gli era stata consegnata alla nascita, insieme alla guarigione rapida, alla resistenza fisica e a tutte quelle fesserie di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Ciò faceva di lui che cosa, in fin dei conti? Un subumano, una via di mezzo senza capo né coda. Poteva anche essere, ma di fatto sarebbe stato troppo strano. Non aveva mai avuto controllo su niente del genere, e nemmeno avvertito che una qualche energia venisse logorata nell'uso inconscio che avrebbe dovuto farne. Sapeva fin troppo bene come funzionavano i Misteri, pensare di essere uno di loro senza esserne mai stato consapevole era qualcosa che solo un dio crudele e beffardo avrebbe potuto tessere...

Si ridestò dalle riflessioni quando qualcuno bussò alla porta. Non ebbe il tempo di alzarsi e infilarsi qualcosa, la faccia rubiconda e matura della proprietaria fece capolino dallo spiraglio: «Vedo che ti sei ripreso, bello. Ti ho portato qualcosa per darti una ripulita».

«Prego, prego».

Mollò la camicia e la lasciò sul letto. Tanto valeva lavarsi, ormai. Quella mattina tutti sembravano intenzionati a non lasciarlo rivestire.

La donna entrò del tutto reggendo un catino pieno d'acqua e glielo lasciò poco distante dall'ingresso, poi fece ancora avanti e indietro dal corridoio e sbucò con in mano due grandi saponi dal colore rosa e giallo canarino, oltre a due bocce di vetro.

«La tua amica, di là, si è tenuta almeno cinque saponi diversi e un balsamo al gelsomino per i capelli. Non so dove credevate di essere finiti, ma non ho tutta questa roba; quindi, ti ho portato quello che mi è rimasto. Ti basta?»

Ci impiegò un attimo a fare mente locale. Balsamo...?

«Non c'era bisogno di portarmi niente, un sapone qualunque è più che sufficiente».

«D'accordo, beh... vuoi che dia una lavata ai vestiti, nel frattempo?»

La proprietaria tese un braccio e prese con cautela la camicia poggiata lì vicino, su cui svettava la macchia larga e ormai annerita di sangue, che aveva preso il posto del tessuto biancastro consueto. Afferrò anche la tunica nera che si era tolto la sera prima e gettato a terra. Lanciò a quel punto un'occhiata a lui, squadrandolo dall'alto al basso e fermandosi sui pantaloni che teneva ancora indosso. Lasciò intendere che aspettava se li levasse. Rialzò lo sguardo verso il suo viso, con un sorrisetto fin troppo sospetto. Non era la prima volta che gli capitava, ma sedò il fastidio.

Avrebbe fatto volentieri a meno di quelle premure superflue, erano in ritardo, ma se Fawn si stava attardando e aveva già consegnato i propri vestiti, tanto valeva approfittarne. Aveva dei ricambi, da qualche parte nella bisaccia, potevano rimettersi in viaggio con gli abiti non ancora asciutti. Maledisse l'intera deviazione.

«Una rassettata veloce agli indumenti che avete preso sarà fin troppo. Non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo ripartire in fretta. Non state a farne un lavoro troppo accurato».

«D'accordo, mio caro. Se cambi idea, sai dove trovarmi».

Indugiò nella stanza, prima di capire che lui aspettava se ne andasse. Lo lasciò lì dentro dopo avergli gettato più di un'occhiata fin troppo esplicita.

Sospirò, appena rimasto da solo, e si spogliò del tutto. Le attenzioni da parte delle donne erano una questione che ancora non riusciva a spiegarsi, dopo tanti anni. Non gli erano del tutto indifferenti, non si considerava del tutto algido. Tempo prima aveva anche provato a giacere con qualcuna più insistente delle altre, o che non sembrava volere più di quello che avrebbe potuto concedere. Poi anche quell'attività lo aveva lasciato digiuno di sensazioni, mentre ogni volta si era ritrovato più solo e dilaniato della precedente. Aveva smesso, senza che nessuna fosse riuscita a vincere quella parete di freddezza che lo proteggeva dal resto del mondo. O meglio, che proteggeva loro.

Incredibile come un paio di muscoli di troppo potessero fare ogni volta un tale effetto, nonostante l'aria distaccata e scontrosa che sapeva perfettamente di avere.

Si infilò nel catino pieno di acqua tiepida, e non riuscì a frenare l'incedere dei pensieri che gli affollavano la testa, mentre prese uno dei due saponi e iniziò a strofinarsi le braccia. Il vero problema era un altro.

Il problema era che si stava distraendo. Lo distraeva il fatto di non sopportare che ci fosse qualcuno a cui iniziava a tenere più del dovuto. Lei lo aveva odiato e forse lo odiava ancora, ma aveva cominciato a parlargli, ad aprirsi e a comunicare con lui. Cosa ancora peggiore, lui se l'era cercata. Nonostante tutto l'autocontrollo che aveva cercato di darsi, non era riuscito a ignorare i suoi cambiamenti di umore, a farci caso e a voler intervenire. Si era lasciato convincere a fare cose stupide: aveva perso la concentrazione necessaria quando l'aveva vista intristirsi, e il pensiero che fosse in pericolo non gli aveva permesso di ragionare, durante lo scontro. Le aveva dato retta quando gli aveva intimato di fermarsi, finendo per essere colpito e mettendoli a rischio entrambi. Non solo: aveva permesso che quel gesto maledetto lo facesse lei, si era comportato da codardo e l'aveva lasciata compiere qualcosa che l'avrebbe inseguita per il resto dei suoi giorni.

E non riusciva a scollarsi di dosso la cosa, a non preoccuparsene.

Non sapeva nemmeno che colpa avrebbe potuto darsi. Aveva cercato di liberarsi di loro, ma non ci era riuscito. Chiederle di tornarsene a Vasileya era fuori discussione, ormai. Si ripeté che il sovrano non glielo avrebbe mai lasciato fare, definiti quei piani, ma la realtà era un'altra e lo pungolava da dentro, insistente: sarebbe mai riuscito a ignorare il suo destino e lasciarla partire da sola, dove non avrebbe più avuto modo di controllare se stesse bene?

Stizzito, tirò un colpo di gomito contro la parete del catino.

I Misteri. I ribelli... Quel ragazzo lei lo conosceva. Era uno dei suoi vecchi compagni. Era chiaro che qualcuno si stesse servendo di loro, in una maniera ancora più deleteria rispetto al Re. No, non poteva lasciarla da sola. E neanche continuare a farsi distrarre ogni giorno.

Si passò sulla faccia entrambe le mani, tirandole fuori dall'acqua e sfregandosele addosso. Le lasciò lì, ad aumentare il buio dei propri occhi chiusi, nella speranza che l'impossibilità di capire il da farsi potesse svanire e lasciarlo solo. Prese dei profondi respiri, poi rigettò le mani in basso e appoggiò la nuca contro il bordo di legno di quella vasca minuscola, nel tentativo vano di rilassarsi e dimenticare tutto.

Non c'era altro modo, e lei avrebbe finito per odiarlo ancora di più, lo sapeva. Gli avrebbe concesso di tenerla più al sicuro, almeno un minimo, senza lasciarla in balia di sé stessa.

Qualcosa cigolò e lui si voltò verso l'ingresso. La porta venne socchiusa appena, quel che bastò per far comparire delle piccole dita pallide e due grandi occhi marroni, che si ritrassero subito.

Incredibile, non riesce nemmeno a pensare di poter bussare.

La voce squillante di Fawn lasciò intendere che fosse agitata e imbarazzata, persino mentre il legno della porta la attutiva: «Scusa! Pensavo avessi finito! Quando ci sei, io sono pronta, possiamo andarcene. Ah, ho usato il tuo denaro per pagare la proprietaria, ecco, volevo dirtelo».

Annusò l'aria. Quell'incursione fugace aveva lasciato entrare una folata di profumo: fiori. Troppi fiori. Ci aveva fatto il bagno, dentro a quel balsamo?

Gli aveva rubato il denaro per pagarsi una tale sciocchezza. Meravigliato e confuso, non riuscì a evitare di sorridere, prima che quel gesto innocente gli provocasse una fitta lancinante al petto.

Qualsiasi cosa stesse accadendo era una vera tragedia, e lui doveva trovare una soluzione al più presto.


🦌🤎⚔️🔥

Cerbiattini miei, finalmente qualcosa si smuove.

Nei miei propositi iniziali avrei voluto aspettare di più, ma mi son detta che ero la prima a volere fortemente che almeno uno dei nostri due testoni si decidesse a capire qualcosa. Il fatto é che lui é totalmente disperato, all'idea.

Ma lasciamo da parte, per un attimo, la questione sentimentale, su cui avremo modo di struggerci per altri ventordici capitoli, e passiamo ad altri tipi di misteri (o Misteri).

Qualcuno ha delle teorie sul mio comandante adorato, a questo punto?

Dai, che qualche indizio l'ho lasciato :)

Bacini <3

Ah, ps: per la gioia di tutte le ladies in ascolto, questo capitolo era molto lungo e quindi... sì, avremo un secondo pov di Devon.

Arriva u.u

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