16. (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)
«Che cosa le prende? Tu sai il motivo di tutto questo? Parla».
Si rivolse al ragazzo dai capelli rossi, Lyam, che se ne rimaneva muto e imbambolato, gli occhi sgranati in direzione della compagna e del suo pianto scomposto.
Quello era un tipo di evenienza che non si era mai ritrovato a fronteggiare, nonostante anni di battaglie e comando. Avrebbe dovuto sospettare che una donna, posta in condizioni spossanti e faticose, si sarebbe sentita sopraffatta, ma non avrebbe mai associato una tale reazione a quella donna: era la stessa ragazza che aveva osservato fino a quel giorno bruciare d'ira e coraggio, insensibile a qualsiasi minaccia?
Prima si lanciava nelle braccia di Oisin, civettava per ottenere qualcosa, e ora si disperava senza ritegno? Si rifiutò di credere che fosse tutto un caso, che la deviazione che gli aveva richiesto fosse una questione di poco conto.
«Dunque? Non costringermi a prendere provvedimenti, non possiamo badare ai drammi di ogni singolo componente. C'è una guerra in corso, nel caso te lo fossi dimenticato».
Fawn non sembrava essere in grado di ragionare o rispondergli come si deve, ma Lyam sì: in fondo era a causa sua, dei suoi magheggi, di cui ancora non riusciva a ripescare le fila, se si trovavano in tale situazione. Era colpa della sua proposta ridicola se tutti loro si ritrovavano a spartire uno spazio delicato, in bilico tra l'incomunicabilità delle due specie.
Non poté trattenersi dal lanciare uno sguardo duro e intimidatorio nella sua direzione: lo aveva scelto lui, d'altronde. Per quanto si fosse sforzato di proteggerli, quel ragazzo aveva scelto di propria sponte di prestarsi al suo servizio, portandosi dietro anche lei. Non doveva avere alcuna remora nel trattarlo come si conveniva a un vero cavaliere, nonostante l'aria debole e infantile che emanava.
Con quelle parole, gli sembrò di aver provocato nel ragazzo una nota di paura. Sapeva di apparire severo, ma da tempo aveva conosciuto quell'unica modalità di esigere rispetto.
Lyam alzò gli occhi tremolanti e chiari verso di lui: «Il fatto è che non si tratta di un compagno qualunque. Molti Misteri sono scomparsi quel giorno, è vero, ma la persona di cui vogliamo onorare il ricordo, Dylam, è...» si interruppe. Riprese, dopo un attimo di incertezza, un po' turbato: «Lui era qualcosa di più, per la mia amica. Erano promessi sposi».
Nel dire ciò, inviò uno sguardo furtivo verso Fawn, ancora piangente e abbattuta. Lei alzò il capo verso l'amico e corrugò le sopracciglia: Lyam assunse l'aria di un animale impaurito.
Ha paura di lei, non voleva dirlo.
Non le lasciò il tempo di realizzare cosa il suo compagno avesse appena rivelato: il melodramma che si stava svolgendo dinanzi a lui era già sufficiente, non voleva altri guai. Né bizze o litigi.
«Va bene, faremo questa deviazione. Ora, ti prego... Smettila».
Nell'ingiungerle ciò abbassò la voce. Cercò di rendersi il più mansueto possibile nei confronti di quella creatura in lacrime. L'importante era permetterle di calmarsi. Per i dettagli di quell'ennesimo cambio di piano ci sarebbe stato tempo. Voleva solo che lei si placasse.
Sembrò funzionare: pian piano i singhiozzi diminuirono in frequenza. Il respiro della ragazza tornò regolare, ancora inframmezzato da qualche sparuto sobbalzo. Lei distese i muscoli del volto, mentre i suoi occhi si riappacificavano con l'ambiente e frenavano la cascata copiosa. La vide tirare su col naso e asciugarsi il viso, frettolosa, con la manica del mantello.
È una creatura tanto potente e temuta, eppure ha l'aspetto di una ragazzina fragile.
La osservò mentre riprendeva coscienza di loro, di dove si trovava e cosa fosse successo: scorse un leggero rossore farsi strada sulle sue guance, come mosso da un'improvvisa consapevolezza. Che fosse orgogliosa lo aveva già capito, quella dimostrazione di debolezza doveva pesarle parecchio. Scelse di non darle il tempo di rendersene davvero conto. Prima avrebbero messo da parte quella faccenda spinosa, prima lei si sarebbe decisa ad ambientarsi nel loro gruppo: ormai era andata così, ulteriori dissapori non sarebbero serviti a nulla.
«Domattina discuterò con tutta la compagnia del cambiamento che avete richiesto. Ora è tardi e all'alba si riparte. Non voglio più dovervi venire a cercare o essere svegliato dai vostri sotterfugi. La scelta di seguirci è stata vostra e, per quanto possa irritarvi, ci sono delle gerarchie da rispettare. È chiaro?»
Non riuscì a evitare di suonare duro, ancora una volta. Si rese conto di come il suo tono naturale fosse impossibile da domare. In fondo, meglio così: c'era davvero bisogno che quei due, una buona volta, prendessero la seria decisione di collaborare. Il ragazzo gli rispose con un debole «Sì, Signore, è chiaro». Forse ricordava il motivo per cui era lì e a chi aveva promesso di obbedire. Lei si limitò a fare un cenno di assenso col capo, lo sguardo puntato a terra, ancora vinta dall'imbarazzo.
Oisin era rimasto zitto, a osservare l'intera scena con un fare perplesso. Teneva una mano dietro alla testa, incapace di dire o fare qualcosa. Devon lo guardò senza celare una punta di rimprovero. Lui, di tutta risposta, con un'espressione innocente, esalò un breve: «Meno male che sei arrivato. C'è un motivo, in fondo, se sei il comandante».
Alzò gli occhi al cielo, infastidito ancora una volta, e lo lasciò lì a preoccuparsi della guardia. Si ripromise di affibbiargli almeno altri due turni consecutivi, durante le soste successive.
Stanco e stufo, si allontanò verso il proprio riparo. Era deciso a mettere tra lui e quelle questioni il silenzio e la calma del sonno, per quanto possibile.
*
Si preparò per l'incontro mattutino con i propri soldati con una certa agitazione nel cuore: la paura per la propria incolumità era qualcosa che Devon non conosceva più. Si trattava di un sentimento talmente lontano, nello spazio e nel tempo, da non ricordarne nemmeno gli effetti. Non aveva timore per sé, per la propria autorità o per la prospettiva di subire un ammutinamento: era preoccupato di rovinare l'esito della loro missione.
Conosceva i pensieri degli uomini che guidava: nonostante le premesse di combattere per il ripristino della pace, il giuramento che avevano fatto e la fedeltà verso il loro Re, non era uno sciocco né un ingenuo.
Si rendeva conto del fatto che dei propositi espressi ad alta voce non sempre coincidessero con reali intenzioni nel proprio intimo, e quanto i cavalieri di quell'ordine fossero impauriti e restii.
Il pensiero che l'arrivo di quei due Misteri avrebbe potuto davvero dissipare le ostilità o appianare le distanze, con la forza dell'abitudine e del loro conoscersi con reciprocità, era un'illusione che non l'aveva nemmeno attraversato. Si sforzava di capire le buone intenzioni del sovrano e dei suoi consiglieri, ma non riusciva a non pensare che fossero degli stolti, in fondo, troppo lontani dalla realtà che scorreva nella popolazione, nel loro sangue e nei loro ricordi. Aveva sperato che la convivenza sarebbe rimasta placida, senza mai superare la fragile linea di demarcazione che avrebbe potuto tramutare i suoi stessi cavalieri in Disertori.
La prospettiva di allungare il loro viaggio, per fare un favore a quella ragazza e al suo amico, sarebbe stato troppo, per loro?
Un minuscolo barlume di incertezza lo aveva attraversato, durante la notte, nei brevi momenti in cui il suo sonno era stato interrotto dall'ansia dell'imminente decisione. Si era detto di non potersi permettere un rischio del genere, il minacciare l'intera riuscita della spedizione per null'altro che un capriccio personale. Quella della ragazza era una motivazione profonda, certo, ma lei non si rendeva davvero conto: un'evenienza del genere avrebbe messo in pericolo sia lei che il suo amico, senza lasciare loro più alcuna via di fuga. Non sarebbe rimasto più nessuno, a combattere in nome di quella speranza.
Il senso di colpa, però, schiacciante e grave, aveva poi messo a tacere il suo desiderio di certezze. Ricordava bene lo spettacolo desolante che avevano trovato un anno prima, inseguendo Proteo: l'immagine della rocca distrutta e dei corpi trucidati, dolorosa e vivida come poche altre a cui aveva assistito durante i suoi ventisei anni, era ancora impressa nella sua mente. Erano arrivati tardi: se quel ragazzo, quel Dylam, insieme a decine e decine di altri Misteri, avevano incontrato quella fine spietata, la responsabilità era sua. Delle lacrime di Fawn non riusciva a non sentirsi un artefice silenzioso.
Con la consapevolezza di dover trovare il modo di adempiere a quella richiesta, si decise infine a portare avanti la questione coi propri uomini, puntando sulla sua capacità di rabbonirli e sul loro senso del dovere.
Scelse di fidarsi di loro.
*
«Domani valicheremo il confine con la regione di Thalassan: ci tengo ad avvisarvi di un piccolo cambiamento nei piani. Ci fermeremo per qualche notte, arrivati a Limanville. Avrete il tempo di rifocillarvi e rimpinguare le nostre scorte sotto la sorveglianza di Talom e Oisin, a cui mi aspetto che obbediate e rispondiate con rispetto: li considero miei diretti sostituti e vostri comandanti per questa breve sosta. Io vi raggiungerò entro quattro giorni al massimo e da lì ripartiremo».
Li aveva riuniti tutti attorno a sé, all'alba, nel grande spiazzo alle porte della foresta di Craincarden, ultimo punto di attraversamento prima di lasciarsi alle spalle la mite regione reale. L'aria era brillante, cristallina e umida, animata da freddi spilli, presagio della stagione alle porte.
Attorniato dal suo gruppo di soldati, aveva scavato a fondo nella propria capacità di rendersi autorevole. Tentennò appena, un'incertezza lieve che sperò non venisse notata da nessuno: «Io e la ragazza, il Mistero che ci accompagna, faremo una deviazione verso il villaggio di Kyma. C'è una questione che la nostra alleata ha portato all'attenzione, chiedendomi di esaudire un suo desiderio».
«Che tipo di desiderio?» si levò alta la voce di Nyall dalla fila di arcieri.
Fu Oisin a rispondere per lui: spiegò loro la situazione. Un brusio indistinto si accompagnò a quella delucidazione, parole e reazioni stupite serpeggiarono nella calca. Devon vide parecchi di quei volti aggrottarsi, altri diventare interdetti, pochi annuire con decisione alla proposta.
Passarono parecchi secondi prima che una frase, quella che aveva pregato di non udire, rimbombasse tra loro: «Perché dovremmo fare una cosa del genere, perdere il nostro tempo e la guida del nostro comandante per una questione personale?»
«Non è una questione solo personale, Cormak. Quel manipolo di giovani ha perso la vita mentre combatteva per la stessa causa che ci muove, la stessa per cui il nostro Re ci manda di nuovo in guerra. È nostro compito assicurare che questo sodalizio ponga delle basi forti».
Il vociare, seppur basso e incerto, non accennò a diminuire. Devon poteva vedere, in mezzo alle teste, i volti di Lyam e Fawn quasi scomparire, impauriti, nel prendere coscienza che quel tumulto di opinioni e schieramenti, quella spaccatura imminente, era una loro colpa.
Oh, non vi darete per vinti adesso, non dopo avermi fatto esporre per voi.
«Andrò io solo, proprio per evitare di porvi di fronte a un ulteriore rischio. Voi avrete il tempo di riposare e rimettervi in sesto». Usando il tono più deciso e inflessibile che riuscì a trovare, sperò di mettere la parola fine ai dubbi. Non bastò.
«Portare la pace è una cosa, aiutare spudoratamente due potenziali assassini che ci hanno già aggredito è un'altra. Mi sembra che il nostro comandante, ormai, tenga più a questa insulsa strega che a noi.»
Guardò a terra per un solo momento. Inspirò quanta più aria possibile, nella manciata di secondi che riuscì a concedersi. Era quello che avrebbe voluto evitare a tutti i costi: non gli importava nulla dello scontro diretto ed eventuale, neppure con uno di loro. Ma era stato Seamus a parlare, e la cosa non poté non stupirlo e preoccuparlo: non ricordava di aver riscontrato in lui, in passato, particolare astio verso i Misteri. Meno che in altri uomini, da cui si sarebbe aspettato con più facilità una contestazione. Quel malcontento crescente era più pericoloso e subdolo di quanto temesse. Rialzò gli occhi e li puntò verso di lui, rassegnato alla crudeltà che aveva sperato di non dover mettere in atto.
«Hai fatto un giuramento di fronte a Sua Maestà, Seamus. Se vuoi contraddire le scelte del tuo comandante, posto in capo da Sua Altezza in persona, sai come fare».
Dietro al suo gelido sguardo, si palesò a tutti l'imminente conseguenza che voleva sottintendere: se qualcuno voleva ribellarsi e spodestarlo non aveva che da affrontarlo. Nell'osservarlo di rimando Seamus fu preso da un'improvvisa codardia, celata bene dai suoi modi imponenti, ma non abbastanza da passare inosservata. Titubò, forse all'idea di dover davvero incrociare la spada con Devon.
«Mio signore, vi chiedo perdono. Devo stare al mio posto». Lo sussurrò, provando a mettere a tacere i dubbi e il sospetto che ancora, con tutta probabilità, provava.
«Se siamo costretti a portare i nostri onori e a commemorare la perdita di un giovane è anche per nostra responsabilità. Non dimenticatevi perché siamo qui, chi serviamo e a cosa dobbiamo rispondere. Se qualcuno ha delle rimostranze a tal proposito è invitato a esporle subito. Non sono disposto ad accettare traditori tra le mie fila».
Saettò con lo sguardo su tutti loro, senza più tentare in alcun modo di rendersi mite. Colse una nuvola di timore e soggezione nell'atteggiamento del gruppo. Rimasero tutti in silenzio e nessuno alzò più la voce per parlare, messi di fronte all'evidenza: lui aveva preso una decisione e loro avrebbero dovuto rispettarla, non c'era lo spiraglio per una scelta diversa. Constatò che non ci sarebbero state altre proteste e chiuse lì la questione.
«Partiamo, la strada è ancora lunga».
Si voltò e si diresse verso il suo Tory, il cavallo dal manto scuro e lucente che lo accompagnava da tempo: in certe occasioni si ritrovava a riflettere su come fosse l'unico vero alleato nelle lunghe spedizioni.
Aveva sedato i dissapori per quel giorno, ma non gli animi ombrosi ed esitanti dei suoi sottoposti, in balia di un risentimento che conosceva fin troppo bene: una lugubre e spessa tela nera, forgiata nell'ignoranza e nel terrore, capace di avvolgere il cuore come un intonaco indelebile. Combatteva da tutta la vita contro di essa. Più aveva tentato di squarciarla a colpi di spada, più lei aveva fatto presa, fino a vincere anche gli istinti dello spirito più puro.
Salì in sella a Tory. In groppa al proprio destriero, Oisin gli si avvicinò e gli parlò a bassa voce:
«Sei certo di voler lasciare la compagnia? Posso andare io con lei. Non la temo, posso toglierti questo peso e farmi perdonare».
Nel rispondergli non si risparmiò un'occhiata severa e carica di biasimo:
«Sono più che sicuro che non ne hai paura, Oisin, ma mi preoccupa la tua incapacità di rimanere lucido intorno alla nostra ospite. Per inciso: ti aspettano altre due notti di guardia, vedi di non stancarti troppo».
🦌🤎⚔️🔥
Ribolle un certo malcontento, tra le fila del mio amato Devon :')
Qualcuno si immagina perché lui covi questo senso di colpa, nei confronti di Fawn e degli altri Misteri?
Ebbene, loro due avranno sicuramente modo di conoscersi, finalmente. Sperando che lei non cerchi di farlo fuori. Curiosi?:)
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