13. (𝕱𝖆𝖜𝖓)
«Milady, se l'avessi saputo prima avrei votato io stesso per portarvi con noi. Questo bagno è stato un vero miracolo, spero ci seguirete in ogni guerra».
Quell'uomo, un biondo ben piazzato e dal fare amichevole e un po' spaccone, era venuto da lei, seduta su una pietra nello spiazzo erboso. Aveva detto di chiamarsi Oisin, era il capo degli arcieri indicatole dal comandante qualche giorno prima. Era uno dei pochi ad aver risposto bene ai suoi tentativi, quando aveva cercato di scambiare due parole in più con qualcuno di loro. Non sapeva cosa lo spingesse ad esserle così aperto: aveva l'aria di uno che avrebbe affrontato qualsiasi cosa per dare un'immagine spavalda di sé. Forse voleva solo dimostrare di non essere intimorito dalla strega. Qualunque fosse il motivo che lo muoveva, lei aveva scelto di approfittarne.
«Non serve questo titolo, davvero. Non sono affatto abituata. Fawn e basta è più semplice».
«Come volete, Fawn. Passiamo alla confidenza direttamente, per me va benissimo». Le rivolse un sorriso sghembo e la osservò con un luccichio particolare negli occhi. Lei non aveva conosciuto molti corteggiatori, ma capì che nell'aria c'era qualcosa da poter usare a proprio vantaggio.
«Sono felice che vi sia stato di diletto, ve l'ho detto: è un incantesimo davvero semplice, ci vuole poco per rischiarare queste giornate tetre».
«Oh, la vostra presenza certamente le rischiara».
Non si era sentita abbastanza coraggiosa da dargli del tu da subito: nella palese preferenza che quell'uomo sembrava avere verso di lei, qualcosa la faceva rimanere in allerta. Ammaliare o sedurre non erano le attività che le riuscivano meglio. Sarebbe stata ben più felice di doversi scontrare a colpi di spada. Cercò di ricacciare indietro la sensazione sgradevole di insicurezza che quel comportamento le dava. Se c'era qualcuno in quella compagnia che avrebbe potuto aiutarla ad avere ciò che le serviva era di sicuro lui. Devon, il comandante, nonostante l'enorme fatica che aveva fatto per avvicinarsi a lui, non sembrava esserne stato scalfito e si era ostinato a rifiutare ogni aiuto, col suo sguardo indifferente e duro sempre puntato su di lei.
«Signore, anzi... Oisin, giusto? Se non è un problema vorrei parlarti in privato, più tardi. Ho una richiesta da fare, diciamo un favore da chiedere. Nulla di che! Ma sono certa che tu potresti aiutarmi».
Nel dirlo, provò con tutte le sue forze a ingentilire l'espressione che credeva di mostrargli. Si sentì ridicola, ma sembrò funzionare.
Lui rimase un attimo interdetto di fronte a quella vicinanza e cambio di tono, come incerto sul da farsi, poi un sorriso appena più largo lo illuminò: «Non c'è cavaliere che non possa rispondere alla richiesta di aiuto di una dama... Sono più che disposto ad ascoltarvi, dopo il gesto che avete fatto per noi stasera. Che hai fatto, Fawn». Sembrò tentennare all'idea di rivolgersi così brutalmente a una donna, poi decise di lasciar perdere e continuare quella strana e inaspettata conoscenza come lei desiderava: «Posso darti appuntamento all'apprestarsi della guardia notturna, di fronte alla mia tenda».
Lei gli sorrise e annuì con la testa. Lui se ne andò, diretto verso il cibo che gli altri cavalieri stavano spartendo, divertito.
Sperava in cuor suo che funzionasse. Non aveva il coraggio di rivolgersi al comandante in persona per chiedere quello che le serviva, e sapeva di non poter evitare che fosse lui a prendere la decisione finale. Ma poteva persuadere quel capo in seconda, così affabile, a parlare per lei, o a far credere a Devon che fosse un'idea maturata da lui. Non si era preparata un piano, non sapeva come giustificare tutto ciò di fronte a quell'uomo. Sarebbe davvero stato in grado di mentire per porgerle il suo aiuto? Una leggera ansia la prese e la fece tremare. Le bugie erano qualcosa che non solo aveva sempre detestato, ma che si ritrovava incapace di portare avanti.
Devo approfittarne: è l'unico che si sia dimostrato amichevole, non posso lasciarmelo scappare.
Lui e Yrim, a dire il vero, sono gli unici su cui posso contare.
Si era avvicinata parecchio a quel mago, negli ultimi giorni. Non gli aveva rivelato cosa avesse in mente, che intendeva recarsi nel villaggio di Kyma per puri scopi personali. Tuttavia era bastato dimostrarsi curiosa di apprendere perché lui le stesse dietro e le mostrasse, carta alla mano, l'esatta posizione di quella cittadina e che tipo di abitanti la popolassero. Probabilmente quell'uomo soffriva già abbastanza dall'essere circondato da guerrieri disinteressati ai libri o alle questioni mistiche: invece di guardarla con astio e livore, era uno dei pochi umani ad essere incuriosito e affascinato da lei. Quasi ossessionato, avrebbe detto Fawn, ancora inquietata al pensiero di come quel tizio fosse morbosamente interessato alla sua natura.
Gli aveva permesso di rivolgerle domande, pur di far sembrare quello scambio il più spontaneo possibile e non destare sospetti. Si era ritrovata a raccontare la sua intera vita, o quasi, a quello sconosciuto. Aveva cercato di sedare la stizza che provava per quell'intrusione continua, interdetta dal vederlo prendere appunti su di lei mentre la scrutava con occhi indagatori.
Gli aveva raccontato delle proprie origini, cercando di liquidarle in due parole, ma lui aveva insistito per saperne di più ed era finita a sbottonarsi più di quanto non desiderasse: gli aveva spiegato di avere un padre, nel proprio villaggio, e due fratelli maschi.
Umani?
Sì, certo, tutti umani...
*
«A voler essere precisi, non è il mio vero padre. Ma per me lo è sempre stato, non so se mi spiego. Fergus mi ha trovata, ma non ricordo nulla di quel giorno, né della mia vita prima di allora. Mi ha sempre raccontato di avermi vista una mattina vagare nella foresta alle porte di Moorbury: ero piccolissima, sporca e affamata. Mi ha preso con sé e da quel giorno sono cresciuta con lui. O meglio... Con lui, Cian e Fynn. Loro avevano già tre e cinque anni. Nessuna madre: sua moglie è morta dando alla luce Cian. Questo è quanto, non c'è molto altro da dire».
«Ma non ti sei fatta delle domande sulla tua reale provenienza?»
Lei si era contenuta dal rispondergli con sarcasmo o astio. In certi momenti, aveva l'impressione che quell'allampanato uomo di cultura venisse da un altro mondo, più che un altro regno. Sembrava cadere dalle nuvole, sempre così ingenuo e noncurante dei fatti della vita.
Certo che me le sono fatte, le domande, qualsiasi idiota lo capirebbe. Semplicemente non ho ricevuto risposta. Come ogni individuo di questa terra, a un certo punto ho smesso di farmele.
«Come ti ho detto, non ricordo niente. Solo vaghe memorie, immagini sfocate che ogni tanto mi hanno attraversata. Nulla di valido, comunque. Le ho praticamente dimenticate col tempo».
Era rimasta zitta un secondo, nella speranza che lui concludesse lì l'interrogatorio. I due grandi occhi di ghiaccio di quell'uomo pallido avevano continuato a scrutarla senza spostarsi di un millimetro. Aveva sospirato, rassegnata: «Ho solo delle teorie, al riguardo. Probabilmente vengo da Màvrita, come tanti di noi: è la città più grande che abbiamo ad Agonos. Forse l'unica degna di essere chiamata tale. Vedi, quando Fergus mi ha trovata avevo un lembo di stoffa rossa attaccato al polso. Ho scoperto solo anni dopo, conoscendo altri Misteri, che quello era un simbolo usato dalle spie, ai tempi della Purga, per far uscire i bambini dalla città e indirizzarli verso gli istituti di raccolta. Quelli che sono poi stati battezzati come orfanotrofi. Lyam viene da lì».
«E tu perché non ci sei andata?»
Deve essere veramente di coccio, quest'uomo. Che cosa, nel concetto di "non ricordo niente", non gli è chiaro?
«A sentire lui e gli altri ribelli, erano carovane improvvisate nella notte, guidate da uomini pagati da qualche signore di Màvrita che tentava di salvarci. Lyam mi ha detto di aver visto alcuni bambini venir fatti scendere durante il viaggio ed essere abbandonati al loro destino. Immagino che con me sia successa una cosa simile».
«Perché avrebbero dovuto fare una cosa del genere?»
Fawn non riuscì a trattenersi dal scoccargli una piccola freccia di odio con gli occhi.
«Ma tu hai mai conosciuto uno di noi, da bambino? Non è semplice controllarsi, lasciare che l'energia non fluisca all'esterno, trattenerla dentro. Soprattutto quando sei triste, o arrabbiato... o felice. Poi si impara, certo. Da adulti è tutto più semplice».
«Certo, questo l'ho captato».
«Beh, è ovvio, no? Non abbiamo tutti la stessa inclinazione: alcuni danno più problemi di altri».
Aveva spostato lo sguardo verso terra, nell'istinto di rifuggire un'emozione spiacevole che si faceva strada a quelle parole: non le piaceva sentirsi esposta, mostrare platealmente la propria vulnerabilità o le proprie debolezze. Aveva ormai costruito un guscio solido intorno a sé, forgiato nella paura che sapeva di incutere dal suo primo giorno di vita, a proteggerla da qualsiasi attacco.
Non aveva bisogno di ricordarlo: qualche scintilla che le era sfuggita e un uomo rozzo e arrabbiato che, dandole del mostro, l'aveva tirata giù da quel carro della salvezza, forse troppo impaurito o codardo per farla fuori del tutto. Quella fantasia aveva preso talmente piede da essere diventata certezza, e spesso dimenticava di averla costruita da sé: era solo un anticipo di tutto quello che avrebbe conosciuto da lì e per i successivi quindici anni.
Rialzando gli occhi aveva notato che Yrim, non soddisfatto, si apprestava a ribattere qualcos'altro: «E come mai te ne sei anda..»
Decisa a troncare il tutto, si era alzata asserendo di andare a dormire, dopo averlo ringraziato della compagnia. Sperava di non dover tornare su quelle questioni in futuro. Avrebbe trovato altri argomenti con cui distrarlo.
*
Ogni luce di quella giornata si spense e persino la luna scomparve alla vista, interrotta nel suo risplendere da qualche nuvola crudele. Fawn si apprestò, con una piccola fiammella che teneva sul palmo di una mano, a farsi strada al di fuori della sua tenda. Aveva sistemato il proprio giaciglio ma, invece di rimanervi dentro e lasciarsi scivolare nel sonno, si diresse verso la zona in cui dormivano i cavalieri, decisa a trovare Oisin. Mentre si incamminava nel prato, chiusa nel suo mantello calato sul volto, una figura familiare le sbucò davanti, uscendo dalle tenebre.
Lyam si piazzò dinanzi a lei e la costrinse a fermarsi per affrontarlo. Sul suo volto, un misto di durezza e tormento: forse era arrabbiato, ma lo conosceva bene. Anche se tentava di mostrarsi minaccioso non sarebbe mai riuscito a porre su di sé un aspetto che incutesse timore.
«Che cosa vuoi?» gli sussurrò appena.
Lui si guardò un paio di volte attorno, prima di parlarle. Decise sul momento che erano liberi da sguardi o orecchie indiscreti. Non c'era bisogno di usare i pensieri.
«Mi devi dire cosa ti sei messa in testa».
«Prego? Non so di cosa tu stia parlando».
Aggiunse: «Il ruolo di eroe cavalleresco ti si addice poco, stai iniziando a sognare complotti».
«Non prendermi per sciocco, Fawn. Potrai anche essere infuriata con me o decidere di non rivolgermi mai più la parola, senza nemmeno farti delle domande sul mio operato. Non mi interessa...». Spostò lo sguardo altrove per un istante, un lampo di tristezza sembrava averlo attraversato. Lo scostò da sé, prima di tornare a posarlo su di lei: «... ma non me la dai a bere. E, per quanto tu non voglia crederci, di te mi importa. Quindi, falla finita e dimmi cosa stai combinando».
«Non ho fatto un bel niente, mi spieghi cosa dovrei dirti?»
«Oh, andiamo, sei seria? Non sono cieco. Vorresti farmi pensare che un bel giorno ti sei svegliata ottimista? Gentile con questo gruppo di umani? Devi smetterla di crederti sola, di voler fare tutto a modo tuo. A me puoi dirlo, io non sono un tuo nemico!»
Si interruppe, visibilmente turbato e afflitto. Lei lo guardò interdetta, mentre uno spillo iniziava a pungolarla da dentro. Lui mi manca. Quel gigante granitico, fatto di orgoglio e delusione, che la portava sulle sue spalle da tutta la vita, le impedì di lasciarsi andare.
«Lasciami passare, ho una faccenda da sbrigare. Non sono tenuta a rivelarti nulla, Lyam... Non mi sembra tu l'abbia fatto con me».
«No». Imperterrito, non solo non si scostò dal passaggio ma la seguì e la braccò con le braccia aperte, a impedirle di oltrepassarlo.
«La vuoi finire, una buona volta?» esclamò lei, esasperata.
«No. Se vuoi che ti lasci in pace, colpiscimi».
Lei lo guardò meglio, gli occhi spalancati, infuriata. Stava dicendo sul serio? In balia del proprio turbamento, non riuscì a impedire che un calore improvviso le infiammasse le membra, facendosi strada per uscire. Il pensiero che la stesse costringendo a esplodere o a fargli del male la mandò su tutte le furie. Cercò di ricacciare tutto all'indietro, di seppellirlo dentro di sé, mentre le sembrava che il suo corpo la stesse implorando di lasciar andare quelle fiamme dirompenti. Non poté trattenersi dall'alzare la voce: «Tu ti stai prendendo gioco di me. Chi diavolo sei diventato? Vattene!»
A quelle parole, lui abbassò piano le braccia e continuò a guardarla. Sospirò: «Fawn, ti prego... Entrambi abbiamo pensato alla stessa cosa, quando ha nominato Thalassan...».
Lei non rispose, abbassò la testa di scatto.
«Io non lo so, come aiutarti. Non l'ho mai saputo, ma non credo sia normale. Non ne parli mai, non lo nomini mai. Non hai mai pianto. È passato un anno...»
Capì dove voleva andare a parare: si agitò e fece per andarsene da lì. Non servì a niente. Lyam continuò a inseguirla, bloccandola con le mani, rispingendola all'indietro, impedendole di liberarsi dalla sua insistenza.
«Ti prego, Fawn... » la implorava, con quella voce pietosa, che prima aveva tentato di camuffare per fingersi risoluto.
A un certo punto lei si fermò, esausta nello spirito. Lo esalò in un'unica frase: «Voglio trovare la sua famiglia, va bene?». Nel non vederlo reagire continuò, la voce poco più che un sussurro: «Voglio raccontare loro tutto quanto. Questa storia deve trovare un punto di fine. Contento, ora?»
Lyam non disse niente. I suoi occhi si fecero più scuri, le sopracciglia si alzarono: le sembrò che capisse, anche senza dire nulla. Lui stava accogliendo il suo tentativo maldestro; quel proposito che, nella sua maniera confusa e disordinata di stare al mondo, le suggeriva di mettere una pietra sopra a qualcosa che non aveva ancora accettato.
Si chinò per abbracciarla e le impedì, ancora una volta, di sottrarsi alla presa.
Lui era magro, in fondo avrebbe potuto divincolarsi e spingerlo via con facilità. Non lo fece, non ci provò abbastanza, solo il poco che bastava a soddisfare il suo gigante di granito.
Poi lasciò perdere. Si lasciò andare all'affetto che credeva ancora di non meritare.
🦌🤎⚔️🔥
A modo loro, sembrano aver fatto pace.
Pensate che Fawn riuscirà a fare la richiesta che deve? Come reagiranno gli altri soldati?
Vorreste avere scene più cospicue del suo passato, della sua infanzia? ;)
Baci cerbiattosi ✨
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro