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9-Scontri non richiesti

Dafne

Serata tranquilla al Mor, per fortuna. Impazzire per il servizio ai tavoli non avrebbe giovato alla mia ansia e a una imminente crisi di nervi. Elias è tornato e insiste nel rovinarmi l'esistenza.

Non posso lasciarmi atterrare dalla sua presenza alla casa di moda, non glielo posso permette. L'ascia di guerra che ho finto di seppellire la tengo nascosta dietro le spalle, in realtà, ma devo mantenere il controllo e uno spirito professionale, fino a quando non terminerà di perfezionare quel maledetto software, quantomeno. Fingerò indifferenza fino all'ultimo giorno, ma il senso di nausea che mi sale, quando ripenso a tutto, passa anche dal il sistema nervoso.

Ho lo stomaco in pezzi a causa della sua vicinanza. Non ho idea di come fare a rimanere nella stessa stanza, con lui, per troppo tempo. Il desiderio di strangolarlo, solo perché respira il mio stesso ossigeno, potrebbe farmi uscire fuori di testa.

L'ho sfidato, ieri. L'ho sfidato, senza alcun senso. Volevo farlo innervosire, senza pensare al fatto che sarei stata la prima a perdere la pazienza.

Le sue labbra, così vicine alle mie...

Non riuscivo a smettere di fissarle, di chiedermi se conservassero ancora il sapore di quella crostata.

Non ci posso credere.

Penso alla sua bocca e ai nostri baci, quelli di quando eravamo due adolescenti in piena crisi ormonale.

Ma cosa cazzo mi passa per la mente?

Ho il respiro corto e il cuore fa i capricci. Inizia a pompare, accelerando i battiti. Cerco di allungare i respiri, per tranquillizzarmi, ma non vuole cedere. È una musica stonata che rimbomba nel petto.

«Tutto bene, piccola?» Steve mi è accanto e non so neanche quando sia arrivato.

Lo guardo di sfuggita, mentre tengo la mano sul torace, per paura che il cuore possa rimbalzarmi fuori. Abbasso lo sguardo e, a stento, riesco a fargli capire che non sto bene per niente, ho bisogno di aria.

Mi trascina per scale su quel tetto che, per mesi, è stata la mia salvezza e ora potrebbe diventare una vera e propria dannazione.

Ma... non è così!

La notte è ancora bellissima da queste parti e io metto da parte l'uomo con cui l'ho condiviso, almeno per ora.

«Grazie, Steve.» Mi tranquillizzo nell'istante in cui metto piede sul terrazzo. «Grazie per accorgerti di me.» dico non appena torno a respirare.

«Dovere, piccola.» ridacchia orgoglioso. «D'altronde, sei una mia dipendente. Sei sotto la mia custodia quando sei nel mio locale.»

«Una dipendente? Lo fai solo per questo?» chiedo con malizia.

Si avvicina, rimane a un palmo di naso, occhi negli occhi, quella cicatrice che ha sulla guancia mi fa vere voglia di assaggiarla.

«Desidero di più da te.» Mi spiazza. «Voglio poterti portare fuori a cena, tenerti la mano, regalarti dei fiori, guardare un film sul divano, chiamarti ogni volta che ti penso e non ci sei.» continua, lasciandomi senza parole. «Voglio vederti ogni santissimo giorno, averti tra le mie lenzuola. Voglio capire se anche tu provi lo stesso o sto immaginando tutto nella mia testa.»

Attimi di silenzio rimbombano con così tanta potenza da sembrare assordanti.

Mi sorprende, richiudendo quella quiete tra le nostre labbra. La soffoca in un bacio che vuole prendersi tutto e non ha voglia di aspettare, di ascoltare le mille parole non dette.

«Sono stato abbastanza chiaro?» domanda, poggiando il suo bacino al mio, mentre m'incastra tra il muro e il suo corpo. «Lo senti quanto bisogno ho di averti o preferisci una spiegazione più approfondita?» Il suono della sua voce ha tutta l'aria della minaccia.

Parole simili mi sono state già dette in passato, ho già visto queste scene, ma al suo posto c'era Matt.

«Steve, ora mi stai spaventando. Spostati, ti prego!» Lo supplico e giro la testa per evitare che mi baci ancora.

«Non voglio farti del male, piccola Dafne», preme più forte il bacino contro di me. «Voglio solo che tu capisca quanto vorrei che tu fossi solo mia.» Afferma, prima di liberarmi. «Credimi, non era mia intenzione spaventarti, perdona il mio comportamento.» Si stringe le tempie, mentre prende coscienza del suo atteggiamento troppo irruento. «Ho sempre agito con ragazze a cui non ho mai dovuto chiedere. Non so come comportarmi con i sentimenti.» Ammette, dispiaciuto, avvicinandosi al cornicione.

Mi risistemo la divisa, guardo il cielo per ritrovare la stabilità che mi donano le stelle. Non mi hanno mai ascoltata, ma io non perdo la speranza che, un giorno, anche lontano, possano esaudire il mio più grande desiderio di serenità.

«Devi darmi tempo, Steve.» dico, senza spostarmi dal mio posto, «Mi piaci, ma le relazioni mi spaventano a morte. Devi avere pazienza, altrimenti non andremo da nessuna parte.»

«Vieni a cena con me, Dafne?» domanda, quasi in una supplica.

«Dovrei chiedere il venerdì libero al mio capo. Non so se riuscirà a darmelo perché, sai, Il venerdì è serata Karaoke al Mor» rispondo ironica.

«Potresti chiedere la tua giornata domani? Prometto che non ti farò fare tardi. Venerdì è troppo lontano», prega insofferente.

«Non ho appena detto di essere paziente?» domando, allargando le braccia.

«Hai ragione.» ammette. «Facciamo giovedì?» Forse non proprio ammettere, ma sono dettagli

«Provo a chiedere.»

Prendo il telefono e compongo il numero. Il cellulare di Steve squilla e gli rubo una risata.

«Scusa, è una rompi palle.» dice, prima portare il telefono all'orecchio. «Puoi prendere tutti i giorni che vuoi, piccola!»

«Fammi fare almeno la domanda.» dico divertita. «Buonasera, Steve, avrei bisogno di chiederti il giovedì libero, sarebbe possibile?»

«Dipende, Dafne, è per qualcosa di urgente?»

«Nah! Solo che il mio capo vorrebbe portarmi a cena e non posso deluderlo. Sai? Mi passa lo stipendio» Strizzo l'occhio, burlandomi di lui.

«Puoi prendere tutti i giorni che vuoi... stronza.»

Questa volta ci avviciniamo entrambi.

«Sei molto gentile. Ora devo chiudere per ringraziare il mio capo come si deve.» Restituisco il bacio di prima con una passione che lo travolge.

Lo sento mugolare nella mia bocca, prima di staccarsi e schiarirsi la gola, quasi imbarazzato.

«Devo tornare giù, Steve. Il mio capo potrebbe licenziarmi.»

«Io ti raggiungo non appena il mio amico, qua sotto, decide di collaborare.»

«Sei un cretino!» Lo derido, mentre apro la porta per tornare al mio lavoro.

Non appena rientro in sala, Lara mi raggiunge, come se stesse avendo uno dei miei attacchi.

«Hai appena visto un fantasma?. Si guarda intorno, mi prende dalle mani e mi allontana. Conoscendola, deve dirmi qualcosa che non mi piacerà.

«Dov'eri? Lascia stare, non importa. Ritornaci!»

«Lara ma che stai dicendo? Il locale è pieno. Non posso stare sul tetto tutta la notte.»

«Forse non ci siamo capite.» È impazzita non c'è altra spiegazione. «Melissa è qui... con Matt! Hanno appena parcheggiato.»

D'istinto, mi affaccio con lo sguardo all'entrata del Mor e la quiete che avevo appena raggiunto mi viene strappata via dalla carne.

«Troppo tardi, Lara, sono appena entrati e Matt mi ha vista.»

Tremo, sento le gambe molli, non vogliono collaborare. Dovrei andare, scappare il più lontano possibile, ma stanno ferme, piantonate sul pavimento.

Matt è in stato confusionale, si vede lontano un miglio. Mi osserva con quell'aria subdola che mi ha sempre disgustata. Si morde il labbro inferiore, mentre Melissa gli accarezza la spalla e sorride, dicendogli qualcosa nell'orecchio, come se stesse impartendo un ordine al suo cagnolino che d'indifeso non ha proprio niente.

Si fa spazio tra la gente con l'aria di uno che vuole riprendersi ciò che è suo, ma io non lo sono mai stata per davvero.

Steve rientra, per fortuna. Lo vede nell'istante in cui richiude la porta. Lo raggiunge e cerca in di mandarlo via, tirandolo dalla felpa grigia che indossa, ma Matt sembra essere interessato solo a una cosa.

Non posso più stare qui dentro...

«Lara, vado sul retro, assicurati che sia andato via, prima di venire a chiamarmi.»

«Tranquilla.»

Una volta fuori avrei l'istinto di accendermi una sigaretta, ma non ho l'accendino, non ho sigarette e, soprattutto, non ho mai fumato in vita mia. Essere così spaventata non è più da me. Non sono una ragazzina terrorizzata dall'orco cattivo. Non più.

Il tempo sembra essersi fermato, tra la paura e l'ansia che possa capire dove sono.

Non è stata una buona idea venire da sola qui dietro. Passeggio avanti e indietro, con lo stesso terrore che potrebbe avere una ragazzina accerchiata da lupi affamati.

Penso che sia meglio andare via, correre a perdifiato fino a quando le gambe avranno la forza di farlo, ma non mi è concesso.

Ci ho pensato troppo e, mentre vado via, il passaggio viene bloccato da una presenza ingombrante e spaventosa.

«Il tempo ti ha resa ancora più bella.» La sua voce mi fa salire il vomito. Mi si para davanti, divento pietra. «Non devi scappare da me. Non ce l'ho con te per esserti comportata da puttana infame.» Rabbrividisco. «Gli anni di terapia sono serviti a perdonarti e migliorarmi. Sono diventato l'uomo che volevi.»

Mi devo fare forza, non sono più una ragazzina spaventata, non posso lasciarmi ingoiare da una bestia affamata, senza reagire.

«Ti devi allontanare da me, Matt!» urlo, mentre cerco di crearmi uno spazio per andare via.

«Non preoccuparti per Melissa» Continua a bloccare l'uscita dal vicolo, mentre cerca di afferrarmi. «Nessuno ha il diritto di mettersi in mezzo al nostro amore.»

«Il nostro amore? Dopo tutti questi anni, dopo tutto quello che mi hai fatto passare, ancora credi in questa follia?»

«La sera che abbiamo fatto l'amore hai confessato di amarmi.»

Riesce a circondarmi la vita con un braccio e a strattonarmi a se. Mi tiene bloccata al suo bacino per farmi sentire l'erezione.

E io muoio dentro.

«Non ero in me, e tu lo sai!» grido, cerco di spingerlo, ma sono come una formica che cerca di spostare uno scoglio ancorato al terreno. «Lasciami, uomo di merda!»

«Non fare la ragazzina» Mi tappa la bocca, stringe sempre di più fino a quando non riesco a respirare. «In fondo, sai anche tu che mi vuoi, troia. Sei la mia troia! Voglio fare l'amore, Dafne. Il pensiero di farlo di nuovo mi tormenta da dodici anni.»

Annaspo, ma trovo il modo di mordergli la mano che mi soffoca, con tutta la forza che ho.

Mi spinge lontana da lui, mi scaraventa a terra e cado sui cocci di vetro di una bottiglia rotta, ferendomi al braccio.

«Sei solo una puttana, Dafne, mi hai sfregiato.»

Mostra la mano, con sopra il segno del mio morso. Il sangue che cola sull'asfalto mi dona un senso di nausea, misto a una piccola scintilla di orgoglio

«Peccato, Matt, non sono riuscita a staccartela.»

«Dovresti usare questa violenza mentre scopiamo, piccola Dafne.»

Si avvicina, lento, con quella stessa mano che ho tentato di strappare. La vedo a rallentatore, copre la luce del lampione che mi riflette sul volto. Chiudo gli occhi, spero che crolli, per miracolo.

Ma non arriva a sfiorarmi di nuovo.

Sento un tonfo, seguito dal rumore di un pugno e riapro un solo occhio, mentre mi stringo sul mio stesso corpo che trema.

«Non ti permettere a toccarla!» L'urlo di Elias mi rimbomba nelle orecchie.

Apro anche l'altro occhio, vedo l'uomo che amavo, sopra quella merda.

Sferra un altro pugno sul suo viso, ancora un altro e un altro ancora, provocando in Matt solo una risata sguaiata quanto dolorosa.

I ragazzi della cucina escono dal retro, attirati dal fracasso.

Sollevano Elias dal corpo di Matt. Lo allontanano, per l'ira che non riesce più a controllare. Lo tengono in quattro, mentre altri tre trascinano via l'escremento .

Non appena Matt sparisce della sua vista, lo vedo fare un grosso sospiro. Si sistema i capelli e si dà due colpi sul Jeans per togliere via la polvere.

«Cos'è successo qua dietro?» Steve esce dalla porta della cucina, urlando contro Elias.

«Quel porco aveva le sue luride mani addosso alla tua ragazza. Avresti dovuto essere tu qui a proteggerla!» Elias grida, ancora in preda alla rabbia.

«Chi?» chiede Steve, interdetto.

«Quella merda di Matt!»

L'uomo si accorge di me ancora sull'asfalto. Si avvicina, abbassandosi alla mia altezza, sfiora le ferite sul braccio con un dito.

«Dafne, sta dicendo la verità?»

Annuisco mentre una lacrima mi riga il viso.

Gli occhi dell'uomo s'iniettano di sangue. Sembra non controllarsi, non vedere più niente, come se gli fosse arrivato tutto al cervello.

«Devo trovarlo!» dice, alzandosi, mentre con una mano si sfrega la testa, nervoso.

«Cosa vuoi fare, Steve?» Elias lo blocca, cerca di calmare le acque. «Lo vedi che è spaventata?» chiede, mostrandomi. «Ne ha prese abbastanza. Sfoga la tua rabbia con altro. La mancanza di lucidità serve solo a spaventare Dafne ancora di più!»

Non sente ragioni, lo spinge via e lo vedo sparire a passo spedito dietro il muro di quel dannato vicolo.

Elias lo lascia andare, rassegnato e si avvicina a me per tenermi compagnia sull'asfalto. La sua vicinanza brucia più delle ferite sul braccio.

«Stai bene?» domanda in un sussurro.

Non osa sfiorarmi, non lo farebbe mai, sa benissimo come potrei reagire.

Solo che... qualcosa mi spinge ad affondare in un suo abbraccio a prendermi tutto ciò che avrei voluto da sempre. Ad accoccolarmi e sentirmi, ancora una volta, protetta. Come faceva quando guardavamo le stelle di notte, in riva al mare e io sentivo la brezza accarezzarmi la pelle, ma lui la copriva. Come quando eravamo ragazzini innamorati, con la sensazione che nessuno potesse mai distruggere quei momenti. Come quando vivevo d'illusioni...

«Sì, sto bene! Lasciami sola.» Rispondo in un misto di emozioni che rimangono bloccate in gola.

«Non posso, non riesco a lasciarti così.» risponde.

«Vattene, Elias!» urlo, perché la mia disperazione si sta trasformando in qualcosa che non riesco a contenere. «Bella scenetta del cazzo avete messo in piedi!»

«Dafne, stai delirando? Di cosa parli?» chiede, confuso.

«Cosa credi, ah? Credi che non sappia cos'hai fatto, Elias?» Non riesco più a controllare niente. Vomito le parole che avevo in gola da troppo tempo. «Sono stata solo un gioco per te, mentre io morivo d'amore.»

E lo sento, lo sento che sto morendo anche adesso, con lui di nuovo vicino.

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