51-Goccia di sole
Ehi, amore mio.
Sai, volevo dirti tante cose che ora sembrano niente, mentre prima rimanevano intrappolate in gola e, proprio adesso che vorrei urlarle, non riescono a uscire fuori, soffocate dalle lacrime.
Volevo che sapessi che ti amo a tal punto da non riuscire a spiegarlo. A tal punto da non essere in grado di farti capire quanto. Forse, fino all'eternità di quel tutto che ci hanno tolto. Forse, fino al momento in cui le nostre anime si sono incontrate e non ci hanno permesso di guardare altrove.
Volevo dirti che ho sempre sentito un vuoto in tua assenza. Uno di quelli che non puoi colmare, versando un calice di vino. Neanche mille, in realtà.
Volevo dirti che non sono io la persona che hai sempre cercato, probabilmente. Ma tu... tu sì che sei la mia. Sei quella che ho trovato e tenuto nel cuore, per un tempo che neanche io riesco a definire. È come se ci fossimo sempre stati e non potessimo vivere l'uno, senza l'altra. Almeno, per me è così. E lo so benissimo che non dovrebbe essere, ma non posso fare a meno di desiderare di stringerti ogni secondo, ogni dannatissimo attimo tra le mie braccia, senza lasciarti andare. Fino a quando non saremo stanchi, ma noi non lo saremo mai, vero?
Volevo dirti che sei il mio passato, il mio presente e non aspettavo altro che tu fossi anche il mio futuro.
Ehi, volevo dirtelo, ecco... ma non lo saprai mai, se non ti svegli.
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Il dolore di una perdita non è mai come ce lo aspettiamo. Sappiamo che sarà qualcosa di forte, ma non saremo mai preparati a quel momento, per davvero
Ti strappa via l'anima, come l'ombra per Peter Pan, e sai che anche una parte di te sta morendo, si spegne, insieme al battito del tuo pensiero felice.
Io sto morendo con lui.
Stringo tra le braccia il corpo ancora caldo, ma non oso guardare i suoi occhi di ghiaccio sgranati che fissano il vuoto. Poggio la mano sulle palpebre, per chiuderle e illudermi che stia solo dormendo.
Sta solo dormendo.
Sta solo dormendo.
Sta solo dormendo.
Lo continuo a pensare, perché, mi è stato insegnato che, se ripeti qualcosa, prima o poi diventa reale o, perlomeno, inizi a crederci anche tu.
Provo a guardarlo, ora che sta solo dormendo.
Voglio imprimere il ricordo di ogni linea del suo viso, insanguinato. Avrei voluto saperlo felice. Non desideravo altro. Sto cercando di pensare all'ultima volta che l'ho visto sorridere, mentre soffoco tra singhiozzi e lacrime, ma non riesco a farlo. Sta già succedendo. Sto perdendo quei momenti che avrei voluto conservare per sempre.
Gli tocco il viso, lo sporco con il suo stesso sangue.
Forse, è solo un incubo dal quale non riesco a svegliarmi.
Forse, è solo il nulla che si appropria del niente e vuole farmi tremare.
Forse, ho solo bisogno di guardare indietro e scacciare via le lacrime.
Rivedo ogni stella che abbiamo finto di contare, ogni desiderio sprecato, ogni abbraccio sincero, ogni maledetto ti amo non detto o non ascoltato.
Alzo la testa verso il tetto, sperando di vedere il cielo; desidero che il legno si sgretoli e venga giù, mentre si porta via il resto del niente che rimane in questa stanza.
Riabbasso lo sguardo su di lui, sull'amore della mia vita e una mia lacrima gli bagna le labbra. Per un attimo, per un solo inutile attimo, spero che quella goccia di sale si trasformi in una goccia di sole (*), ma è solo un'illusione.
«Ti scongiuro, Elias, svegliati.» Lo prego tra i singhiozzi, mentre lo cullo vicino al cuore.
Una preghiera sussurrata che mi toglie il respiro e mi ruba i battiti.
Le sue braccia cedono, si lasciano andare inermi, nella pozza scarlatta che bagna il pavimento.
«Oh, ma che bel quadretto.» La voce di Rufus diventa acido muriatico nelle orecchie. «Se ci penso, potremmo ancora optare per un finale Shakespeariano.» Le sue parole non nascondono il tono eccitato della vittoria. «Ho creato una tragedia degna di essere impressa su carta.» Lui è proprio di fronte a me. Agita la pistola in un delirio di onnipotenza. «Il finale potrebbe riservare altre sorprese, non credi? Dafne, mia cara Dafne, regalaci il colpo di scena finale. Oppure...» Si ferma, per poi avvicinarsi di qualche passo, fissandomi negli occhi. Vorrei cavargli i suoi, procurargli le peggiori sofferenze, mentre mi punta il ferro al petto, «chiedimelo, puttana ed esaudirò ogni tuo desiderio.»
Cosa desidero?
Quello che voglio è che Elias torni a respirare, ma se questo non dovesse accadere, non desidero altro che la fine dell'uomo che me lo ha portato via. O la sua... o la mia!
Dovrebbe finire crocifisso sul quel cazzo di altare, patire le pene dell'inferno. Non quello reale – sarebbe puro divertimento per un uomo del genere –, ma quello creato da lui stesso per noi.
«Uccidimi ora, prima che ti uccida io.» La mia è una supplica che vuole spegnere la sofferenza che non saprei come affrontare, altrimenti.
«Basta!» L'urlo di Steve rimbomba nella stanza, come un uragano che vorrebbe portare via tutto, ma non può lenire il dolore di un'anima strappata. È troppo tardi!
Elias è morto... e io sono morta con lui.
Steve raggiunge il padre, cerca di sfilargli la pistola fumante che stringe fra le dita. L'uomo si scansa e lo spinge via, per poi mirare nella mia direzione. Di nuovo, ancora una volta. Quella volta di troppo che mi fa pensare che sarebbe bello, se il colpo partisse dalla canna e riuscisse a frantumarmi. Non sentirei più niente.
Sarebbe bellissimo!
«Figliolo, stai impazzendo o cosa? La nostra Giulietta deve ricongiungersi con il suo Romeo.» Sputa quella sentenza sardonica che farebbe rabbrividire anche il diavolo in persona, ma non me.
Io non sento e non vedo più niente. Sono oscurata da un male che non posso e non voglio sopportare, ma...
Noto un impercettibile respiro, un fiato corto e lento che mi ridà speranza, insieme alla forza di lottare.
È ancora vivo... e io torno a esserlo con lui.
Lo guardo un'ultima volta e gli poggio un bacio sulla fronte, prima di posarlo, il più delicata possibile, sul legno macchiato di sangue.
Devo distrarli. Non posso permettere che si accorgano del suo flebile respiro, farebbero di tutto per spegnerlo per sempre. Gli devo una possibilità e la devo anche a me.
Ricordo di aver messo il coltello tascabile nel calzino. Infilo la mano dentro e lo afferro. Lo caccio e fuori e lascio che lo scatto risuoni nella sala che assiste, inerme, alla follia di quell'uomo. Alcuni sorridono, dietro la pazzia; altri rimangono impassibili. Non provo neanche a capire cosa passi dalla testa di questi malati. Non me ne importa niente. L'unica cosa che m'interessa è fare di tutto per donarci la vita che meritiamo di vivere. Riesco a distrarli. Gli sguardi sono puntati sul mio gesto delirante, per loro, ma non per me.
Rufus prova a schernirmi. Non vede coraggio nella mia azione, ma l'ultimo tentativo disperato di una donna che ha perso tutto.
«Cosa vorresti fare, inutile sgualdrina?» La sua risata cupa sovrasta i leggeri sghignazzi che provengono da sotto il cappuccio degli adepti. «Mi costringi a premere questo cazzo di grilletto, puttana!» digrigna tra i denti, per poi sputare un grumo di saliva sul pavimento.
«Mi costringi a premere questo cazzo di grilletto, stronzo» ripete una voce che viene fuori, da sotto la stoffa di uno di quegli uomini che ha al fianco. Tiene un'altra pistola in mano, la preme contro la tempia di Rufus. «Non vorrei rovinare i giochi, ma devo avvisarti, Profeta del cazzo...» Abbassa il cappuccio che nascondeva il volto di Marcus: la sentinella comprensiva. Spinge più forte l'arma e clicca sulla sicura, per toglierla, «La mia è l'unica che funziona sul serio.»
È vano il tentativo degli altri adepti di avvicinarsi a lui, per fare qualcosa. Il rumore delle porte che si aprono e degli agenti che gridano di abbassare le armi, mentre bloccano i primi sottoposti, diventa quella musica della quale non ti stanchi.
La povera Melissa rimane accasciata sul pavimento, esausta. Sembra non rendersi conto di ciò che le accade intorno.
«Non provate a scappare, l'edificio è circondato.» Una voce conosciuta si fa spazio tra la confusione. «Che resti tra di noi: non vi elencherò i vostri diritti. La spazzatura non credo ne abbia.» La sua figura è in penombra, a causa degli abbaglianti di un'auto della polizia che raggiunge l'entrata, sgommando sul terriccio. Si alza un polverone che offusca la vista, anche all'interno e le luci riflettono una grande ombra sul muro, che diventa sempre più piccola, man mano che la donna si avvicina.
«Sally? Sei solo una troia!» Steve sbraita, mentre due agenti lo bloccano da dietro le spalle.
«Non ti conviene peggiorare la tua situazione, amorino.» risponde lei, per poi sputargli in volto. «Non hai idea da quanto tempo avrei voluto farlo, merda.» Sally si pulisce la bocca, prima di voltarsi verso Rufus e rivolgergli un sorriso che ha tutta l'aria di schernire il marcio.
«Dafne, perdonami, io ti amo.» È l'ultima stronzata che sento uscire che dalle labbra di quell'uomo che vale meno di niente.
Non mi sforzo neanche di vomitare.
Ora il mio unico pensiero è quello di salvare Elias.
Supplico Sally di fare qualcosa, mentre raggiungo il corpo morente della persona che amo. Lo stringo tra le braccia e afferro quel desiderio che avevo conservato per sicurezza, a Parigi.
Quello mai espresso: lo voglio riservare a me stessa, al nostro amore, alla nostra felicità, alla me bambina che aveva avuto la forza di regalare l'ultima stella. E poi un'altra e un'altra ancora.
La ragazza, in piedi, accanto a Elias, si accovaccia e lo scuote con forza.
«Avanti, stronzo, stanno andando via. Puoi piantarla di fare il coglione.»
Non la capisco. Elias sta morendo. È morto, forse. Il suo sangue macchia il pavimento, le mie mani, le pareti. Mi guardo le dita, sperando che quell'orrore sia stato solo un'illusione, ma è ancora lì, incrostato anche nelle unghie.
Un braccio mi avvolge, e sento un calore partire da dentro, quando rivedo quegli occhi di ghiaccio guardarmi, come mai prima di ora.
«Anche io ti amavo, ti amo e ti amerò, oltre il mio ultimo respiro, scarabocchio.» La sua voce torna a farmi sorridere, prima che il bacio mi riempia di tutti quelli mancati.
Un bacio che riaccende un cuore spento. Lo stesso che non aveva intenzione di battere, se non per lui. Un bacio che torna a farmi respirare. Lo facciamo insieme, come abbiamo imparato a fare.
Il tempo passato distanti sembra non essere mai esistito, ora che la vita ci sta regalando l'ennesima possibilità. Rimane solo la speranza del lieto fine che abbiamo sempre meritato. E io sono incredula.
Non riesco a dire una sola parola, quando, ci allontaniamo, giusto il tempo di dare qualche risposta alle mille domande che mi frullano in testa.
«Era solo sciroppo di mais misto a colorante alimentare e cacao», spiega. Pare avermi letto nel pensiero, mentre mostra il petto con una mano e infila l'altra nei miei capelli. «Avevo il giubbotto antiproiettile, una sacca ricolma di questa roba e un microfono.» continua, mostrando l'arsenale. «Da fuori stavano registrando tutto ed erano pronti a entrare, non appena le cose si fossero complicate. Abbiamo rischiato grosso, siamo stati degli incoscienti, io e te. Sopratutto io. Mi sono lasciato prendere dalle emozioni e non ho seguito il piano alla lettera.» Porta entrambe le dita sul mio viso e lo stringe. «Marcus ha scambiato le pallottole vere con quelle a salve, non appena siamo arrivati.»
«Ti amo, Elias.» Lo fermo, perché era da troppo che volevo dirglielo.
«E io di più, scarabocchio.»
«Non può finire così. Non ci sarà un lieto fine per due stronzi come voi!» Ci voltiamo di scatto, per seguire il suono della voce di Rufus che pensavano ormai lontano.
Le sue mani stringono una pistola, la stessa che l'agente sta cercando nella fondina.
E io lo vedo. Lo vedo l'esatto momento in cui preme il grilletto e parte il colpo dalla canna. Quel colpo riservato alla nostra fine.
Chiudo gli occhi, pregando che prenda me e non Elias.
Ma quel proiettile non è mai arrivato.
Rufus è a terra, con tre agenti sulla sua schiena a bloccarlo, ma, con la faccia sul legno del pavimento, non c'è solo lui.
«Melissa!» urlo, quando vedo il suo vestito zuppo di sangue, e capisco.
Capisco cos'ha fatto. Capisco che ha usato le ultime forze per fare da scudo e salvarci.
«No, no, no, no.» La raggiungo, mentre portano via Rufus. «Guarda che hai fatto! Sei contento ora?» chiedo, in una domanda colma di rabbia e disgusto.
«Nah, puttana! Siete ancora vivi.» ammette, per poi ricevere un pugno nello stomaco dai tizi che lo trascinano fuori.
Mi abbasso, l'afferro per voltarla e stringerla tra le braccia. Sally si sposta, per allertare i soccorsi che non faranno mai in tempo ad arrivare in questo posto dimenticato da Dio. La sua è una ferita profonda sul fianco sinistro. Perde molto sangue, anche dalla bocca, mentre tossisce. Questo è sangue reale, non è una sacca d'intrugli per far credere che lo sia. Elias si abbassa, le sta vicino anche lui, il più possibile. Non ha avuto nessuno per salvarla dalla vita di merda che le hanno fatto passare. Ora ha noi, però, e non la lasceremo morire da sola.
«Melissa, perché?» Le chiedo tra le lacrime, mentre guardo le sue scenderle sul viso.
«Te l'ho detto, Dafne» risponde con un filo di voce. «Per me è troppo tardi. Non sarei stata mai felice, dopo tutto questo, ma voi... voi, ora, potete esserlo.»
L' ultimo respiro, prima di spegnersi. Wendy ha deciso di dare la sua vita per farci scappare dalle grinfie di Peter. Ha portato via con sé l'isola che non c'è, liberandosi dal dolore che nascondeva dentro.
Poteva dirlo, poteva farsi aiutare.
La immagino in un angolo della sua stanza a chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, per non ripercorrere le giornate passate in mano a quei mostri.
La paura di parlare, delle volte, porta a un finale peggiore della morte stessa. Melissa è stata annientata. È finita nel vortice di una sofferenza che non avrebbe mai potuto sanare, forse. Lei non ha creduto di poterlo fare. Non sapremo mai, se sarebbe stata abbastanza forte, perché ha rinunciato, prima di provarci e ha deciso, ancora, di chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, ma, questa volta, lo ha fatto per sempre, senza aspettare che le chiedessimo scusa.
Ehi, volevamo dirtelo, ecco...
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(*) Un giorno, una goccia di sole cadde sulla terra, dando vita a un fiore dorato capace di curare ogni male (tratto da Rapunzel)
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