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49-Verità (Prima Parte)

Il Profeta

Abbiamo rischiato di perderla e mandare tutto a puttane. Quel patetico coglione, degenerato non ha idea di come fare la sentinella. Ha lasciato il posto di guardia, per andare a prendere un caffè, insieme a quegli altri due imbecilli del cazzo.

Servitori del nulla!

Quell'ameba me la pagherà cara ma, ora, non ho né il tempo né la voglia di pensare a lui e alla scusa che ha arrancato per giustificare la mancanza. I miei pensieri vanno altrove.

L'ho visto!

Ho visto quella lurida feccia che stavo aspettando da così tanto tempo. Pensavano stessi dormendo. Il sonno è un concetto sopravvalutato, quando l'attesa per il raggiungimento dei tuoi obbiettivi diventa misera distanza.

Ero affacciato, in quel momento. Qualcosa, dentro di me, mi diceva che sarebbe arrivato questa notte.

Quella puttana di basso bordo è riuscita a infilarsi nella piccola fessura della finestra del bagno, per scappare, mentre lui la seguiva cauto. Si guardava intorno, assicurandosi che non li vedesse nessuno. La scena esilarante e patetica di un povero stupido e della sua troietta del cazzo. Sono così vicino a farlo crollare. Riesco a vedere la luce, in fondo al tunnel oscuro. Sto per afferrarlo e farlo diventare polvere, fra le mie dita.

«Padre, li hanno presi» Steven mi disincanta dal mio viaggio mentale. «Avevano visto bene, quegli idioti.»

Gli volto le spalle, per prepararmi. Raso dal viso la barba incolta, per togliere via la sensazione di degrado che mi ha portato a questo punto. Erano anni che la spuntavo, senza toglierla del tutto. Mi lasciavo invecchiare dal tempo e dal desiderio di vendetta che mi stava logorando.

Sorrido, e il riflesso allo specchio mi ricambia, mentre penso che il mio istinto non ha mai fallito. Non avevo alcun dubbio!
I miei sottoposti saranno anche degli imbecilli, ma hanno la vista di un falco. È bastato poco per far cadere la maschera di Elias. Fingeva di essere innamorato di quella Sally, apparsa dal nulla. Non aveva messo in conto che, i miei uomini, spiavano ogni più piccola mossa.

«Il ragazzo ha sempre peccato di becero sentimentalismo.» rispondo atono.

Prevedo ogni mossa, per essere sempre un passo avanti. Ho come la sensazione di aspettare questo istante, da secoli infiniti, come la mia pazienza.

«Stanno rientrando, padre. Come dobbiamo accogliergli?» domanda, in attesa del mio ordine.

«La stanza è pronta?»

«Stanno finendo di sistemarla.» La voce di mio figlio è musica per le mie orecchie. «Cosa dobbiamo fare con Melissa? Ha difficoltà a stare in piedi, vorrebbe riposare, dice.»

Quella puttana bionda crede che le spetti il diritto al sonno?

«È più stupida di quanto pensassi, se crede che me ne importi qualcosa» dico, per poi forzare una risata sardonica. «Prendila dai capelli e trascinala di forza, se è necessario.»

«Non mi sarei aspettato una risposta diversa.»

E lo vedo! Lo vedo, dal riflesso del vetro, allargarsi in un sorriso simile al mio.
Il mio orgoglio più grande. È così fiero di somigliarmi che quasi potrei provare dell'affetto sincero.

Lui è sempre stato al mio fianco. Si è lasciato plasmare a mia immagine, senza mai battere ciglia. Ho potuto imprimere il mio animo perverso nel suo, quasi come a fonderci insieme. Un perfetto gentiluomo, agli occhi degli altri; uno splendido esemplare di depravazione, dietro quattro mura. La mia soddisfazione più grande.

Sento bussare all'anta della porta già aperta, tampono il viso con l'asciugamani, prima di voltarmi.

«Cosa vuoi?» chiedo nervoso.

I miei sottoposti mi snervano. Non mi sono circondato da persone, ma da emeriti imbecilli.

«Sono arrivati, Signore!» Si affanna ad avvisare, il ragazzo alla soglia.

«Bene, puoi tornare di là» dico, per poi rivolgermi a Steven, non appena l'altro lascia la stanza. «È arrivato il nostro momento, figliuolo» Sfrego le mani tra loro, prima di avvicinarmi a lui e poggiarne una sulla sua spalla possente. «Sei pronto?» domando, senza preoccuparmi di contenere l'entusiasmo.

«Pronto?» Butta aria dal naso, per soffocare una risata. «Sono pronto dalla mia vita precedente, padre!» risponde.

«Allora, va' a controllare che sia tutto in ordine. Prima, però, prendi la sgualdrina dalla sua camera.»

Ho bisogno che tutto sia perfetto e non mi fido di nessuno di quei dementi. Solo di Steven. La presenza di Melissa deve essere da monito a Elias e la sua puttana. Lui non ha mai capito contro chi si è messo, ma conservo ottime speranze che possa comprenderlo prima di subito.

Anche Steven, da bravo cagnolino adorante, esegue ogni mio ordine. Come sempre. Mi lascia solo e rimango, per qualche minuto ancora, davanti lo specchio, con la compagnia che ho sempre prediletto: la mia. Sorrido della piccola vittoria, mentre mi sistemo i capelli, passando una mano nella chioma brizzolata. Resterei a fissarmi per giorni. Oggi, l'uomo che vedo, attraverso quel vetro, mi piace più di ieri. Sono fiero di me e, questo, si riflette anche nei miei occhi.

Gongolo nelle vesti eleganti e scure, mentre stringo il colletto della camicia nera che ho indossato. Prendo fiato. Sembra mancarmi, un po'. Ammetto che l'emozione inizia a giocarmi brutti scherzi. Sento l'adrenalina scorrere nelle vene, insieme al sangue. Scuoto il corpo, per riprendermi dal brivido che serpeggia lungo la schiena e pare funzioni a farlo sparire.

Mi osservo un'ultima volta, prima di dirigermi verso la stanza adibita alle torture. Un passo e poi un altro, e un altro ancora, uno dietro l'altro. Dovrei camminare a testa alta, ma mi sento affascinato dalla mia andatura altera. Alzo lo sguardo, quando la luce soffusa delle candele illumina il corridoio, donando all'atmosfera una certa classe. Sono un uomo di buongusto, anche.

«Avete visto, miei gentili ospiti?» Entro dalla porta, come se fossi il regista di uno spettacolo che ha appena avuto il suo lieto fine. Gli spettatori, a questo punto, dovrebbero applaudire. Mi accontenterò della magnificenza delle loro espressioni disgustate e confuse, perché di battimani, credo, non ne riceverò. «Perché dovete guardarmi così? Vi ho riservato una stanza a dir poco splendida.» Li sbeffeggio, mentre allargo le braccia, mostrando ai due ospiti la bellezza di quel posto riservato a loro.

È quasi romantico, oserei dire. Magari non riescono a vederlo, a causa del piccolo santuario rivestito con una stoffa color del sangue, dove vi sono posizionate armi e oggetti sadomaso di ogni tipo, ma sono proprio i piccoli dettagli a rendere magica questa squallida camera.
Le catene che scendono giù dalle travi del tetto offrono una sensazione di pace. La stessa che avrebbe Elias, se iniziassimo a giocare all'impiccato.

Alcuni sottoposti, nascosti dietro il cappuccio in tinta con l'altare, rimangono impassibili, come perfetti soldati del re. Altri, tengono i due ospiti con le braccia bloccate dietro la schiena, in angoli opposti della sala.

«Frena l'entusiasmo, mio caro» Canzono il topo di fogna con gli occhi di ghiaccio, che sembra colto da mutismo selettivo. «Cosa c'è, Elias? Sei stufo di ascoltare la tua stessa voce?» Mi avvicino, incastro il mio sguardo nel suo, intimandolo a far uscire fuori il fiato.

Mi fa piacere avergli tolto le parole di bocca, ma sarebbe meglio che mostrasse qualche emozione. Immaginavo molti scenari, non questo in cui il silenzio sarebbe riuscito ad assordarmi.

Prostrati ai miei piedi, inutile scempio! Inginocchiati. Pregami di risparmiarti la vita, di risparmiarla alla tua stupida puttana! Piangi, supplicami, lecca il pavimento sul quale ho appena camminato... fa' qualcosa, cazzo!

Faccio cenno ai ragazzi di liberarlo dalla morsa che lo tiene immobile e loro eseguono il comando.

«Sei diventato davvero un bel ragazzo, lo ammetto.» continuo con il mio soliloquio, mentre allungo una mano per sfiorargli la guancia. Forzo un sorriso che vuole schernirlo. «Peccato! Avresti potuto avere il mondo ai tuoi piedi. Saresti stato un ottimo giocatore, ma ti sei accontentato delle briciole.» Questo ragazzo attira l'altro sesso, come formiche sui canditi. Non ha idea di come sfruttare il suo potere, però. «Ho visto come hai agito su quella sgualdrinella.» Mostro la porta alle sue spalle, mentre Steven spinge dentro Melissa, trascinandola con una presa ferrea, dai capelli. Sembra una cucciola indifesa trovata sul ciglio della strada, dopo essere stata bastonata.

Elias si volta e fa un passo verso la ragazza, ma viene bloccato da una schiera di uomini che fanno da scudo, tra lui e il suo obbiettivo.

«Non così in fretta, feccia» dico, per poi dare un ulteriore ordine silente, muovendo solo un dito.

Matt abbassa il cappuccio e si avvicina alla tavola imbandita di cianfrusaglie metalliche. Afferra uno dei coltelli sopra riposti, per puntarlo alla gola di Dafne. La vedo inghiottire la saliva, terrorizzata dal gesto della persona che ha avuto parecchi crolli emotivi, a causa del desiderio di possederla.

Povero ragazzo, che pena!

Ero distratto dall'aura magnetica del topo di fogna e avevo fatto poco caso a quella donna, impietrita davanti alla scena più divertente di sempre.

«Lasciale stare!» La sua voce supplicante è musica soave, per le mie orecchie che non vedevano l'ora di ascoltarla. «È me che che vuoi, no? È me che hai sempre voluto. Ora sono qui, prendimi!» Mantiene una calma che mi manda fuori di testa.

Devi crollare, non lo hai ancora capito? Altrimenti che gusto c'è?

«Nah!» dico, per poi schioccare la lingua al palato. «Concedimi di essere felice nel vederti supplicare.» Scateno l'ilarità dei sottoposti, ma li freno con un solo sguardo di diniego.

Steven tiene, ancora, la mano salda nei capelli della bionda. Ogni tanto la strattona e la sua vocina stridula, colma di dolore, arriva come una ventata di freschezza nel mio animo pesante.

Matt, invece, gioca, premendo la punta del coltello sulla gola di Dafne, ma lei non si scompone. Resta immobile, anche se la sua espressione terrorizzata, tradisce la voglia di non mostrare emozioni.

«Va bene! Cosa vuoi che faccia?» chiede arreso. «Vuoi che ti supplichi? Vuoi vedermi inginocchiato o che strisci ai tuoi piedi? Farò tutto quello che vuoi, basta che le lasci andare.»

Finalmente hai capito chi comanda, lurida feccia!

«Voglio fare una scommessa!» ammetto, con una punta di malizia. «Scommettiamo che, se giochiamo insieme, con la tua stupida puttana, diventerà il giorno più bello della tua vita!» Gli offro la possibilità di redimersi, anche se so già che è una scommessa persa in partenza.

«Di che cosa cazzo stai parlando?» domanda sconvolto e confuso, nello stesso momento.

«Io e te, a sfondarla, mentre gli altri ci guardano.»

«Padre!» La voce di Steve che mi rimprovera, mi distrae. Mi voltò verso di lui e lo trovo con gli occhi sgranati e uno sguardo che non riesco a comprendere.

È vero! Neanche lui sapeva di questa versione del piano. L'avevo tenuta ben nascosta, ma è un desiderio che mi è sempre frullato in testa.

«Puoi partecipare anche tu, se vuoi.» Non avevo pensato a inserirlo nell'equazione.

Delle mani mi afferrano da dietro e un colpo secco mi arriva al centro della schiena. Un dolore lancinante mi pervade e crollo sul pavimento.

Alzo lo sguardo ed Elias mi sputa in faccia, mentre alcuni dei sottoposti lo allontanano da me.

«Sapevo che non avresti accettato, demente» dico, scuotendo la testa, mentre il mio sorriso si allarga minaccioso. A fatica, mi alzo da terra, sbatto le mani sulle mie vesti per togliere la polvere, fingendo di non provare dolore nel punto in cui mi ha colpito, quando, in realtà mi ha spezzato il fiato, ma non le vertebre.

«Tu. Sei. Un emerito. Figlio. Di puttana.» Scandisce le parole, per rendere più chiaro il concetto.

«Beh, sono cresciuto nelle case chiuse, insieme a mia madre. Direi che non ti sbagli.» ironizzo.

«Perché colpire Dafne, se è me che vuoi?» domanda, mentre cerca di liberarsi dalla presa dei sottoposti.

«È il tuo punto debole, Elias. La morte sarebbe solo una liberazione per te, ma la sofferenza di quella ragazza, una vera e propria punizione.»

Una di quelle torture che ti fanno sperare di morire, per non guardare ancora lo spettacolo di sofferenza che hai causato.

«Il mio punto debole non è lei.» afferma, convinto di prendermi in giro.

«È chi dovrebbe essere? Quella Sally che hai raccattato dalla stessa spazzatura che raccoglie?» Una risata di gusto parte spontanea. Il suo esilarante tentativo di distogliere l'attenzione  dall'amore della sua vita, mi ha colpito in pieno. «Ho occhi da tutte le parti, povero ingenuo.» confesso, dopo essermi calmato. «L'ho capito, sai? Ho capito che sapevi sarebbe arrivato questo giorno. Devo ancora scoprire come hai fatto ad arrivarci, ma ora siamo qui, ed è questo che m'importa sul serio.»

«Perché sei così ossessionato da me?» chiede, arreso alla mia superiorità.

«Hai il coraggio di domandarlo, davvero? Oh, povera, putrida feccia. Non ci vuole molto a comprenderlo. Pura e semplice vendetta, facile!»

«Ero solo un cazzo di bambino, Rufus!» urla il mio nome come se volesse assassinarmi con le parole, ed è una sensazione, a dir poco, stupenda.

Mi avvicino, di nuovo, cercando di non zoppicare, lo sfioro in volto, mentre faccio cenno ai ragazzi di mollare la presa.

«Oh, piccolo figlio ingrato. Puoi tranquillamente chiamarmi papà, proprio come fa Steven.» lanciò una delle tante bombe a mia disposizione.

«Steven?» Si ritrae confuso. «Steve è tuo figlio? Lui sarebbe mio fratello?» Lo sto facendo impazzire, ci sto riuscendo sul serio.

«Fratellastro, prego.» risponde l'altro, con tono disgustato, tirando, ancora di più, i capelli della bionda, sotto le sue dita.

Che bello! Quanti giocattolini nelle mie mani...

«Cosa diamine ti ho fatto?» urla l'ameba, in preda a una disperazione che mi soddisfa.

La posso toccare con mano. L'afferro e la porto dalle parti del mio cuore ristretto che, solo ora, sembra essere tornato a battere.

«Mi hai tolto tutto.» rispondo, fissandolo in quegli occhi di ghiaccio che vorrei estirpare dalle cavità e friggerli per colazione.

«Te lo sei tolto da solo, io non ho mosso un dito.»

Ed è qui che ti sbagli, perché la tua presenza ha reso tua madre una poco di buono ingrata. Pensava solo a te e al tuo benessere. Ho cercato di sfilarti dalle sue dita gentili, ma il tuo animo da sfigato voleva prendersi tutto di lei. E lo ha fatto, portandosi via anche la sua vita.

«Oh, sei nato e questo mi basta, lurida feccia.»

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Spazio autrice

Il capitolo è risultato essere un po' lunghetto. Quindi, per la felicità dei lettori "pigroni", l'ho diviso in due parti, ma vi lascio come bonus l'immagine del giorno:

Rufus

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