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46-Guardale, ogni tanto

Elias

Dentro ai tuoi occhi dispersi si nasconde un cielo limpido, ma io non so più volare, ora. Non so come fare, per ritrovarti, mi sono perso, davvero, questa volta.

Non l'ho visto il male, per colpa delle maschere che si è cucito addosso. Ha cambiato mille vestiti, ha mosso fili a suo piacimento, ma io ho creduto di averlo preso per il culo. Anche lui sa bene che, in fondo, sono meno di niente, se tu non mi sei accanto.

Conosco un posto bellissimo e vorrei che venissi con me. Lasciati trovare che ti ci porto, anche ora.

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È tutto sbagliato. Le luci dei lampioni che si riflettono nelle pozzanghere, l'asfalto ruvido della strada che sto percorrendo, la voce che continua a ripetermi che la troveremo, perfino il rumore della pioggia che batte sul terreno: tutto sbagliato. È probabile che sia la mia percezione di ogni singola cosa che mi circonda, ma niente è al proprio posto, compresa la testa.

Non dormo, non mangio e non vivo più. Mi sembra anche inutile continuare a respirare.

A cosa è servito il dolore della lontananza, mentre rideva alle nostre spalle?

Continuano a ripetermi che dovrei riposare, quantomeno, ma, appena provo a chiudere gli occhi, le immagini che mi costringono a rivivere sempre lo stesso incubo, non mi consentono di provarci di nuovo.

Ci sono cose che non mi tornano: è come se il male avesse un nome, ma non riuscissi a darglielo e ho la sensazione di avere tutto sotto gli occhi, ormai diventati ciechi.

Non ho intenzione di arrendermi. Credo di non essermi mai arreso con lei, in fondo.

Le immagini del suo viso passano come fotogrammi nella mia mente: la vedo felice con me, a ridere di cose senza alcun senso, per poi perdere la stretta della sua mano, nell'oscurità di posti sconosciuti.

"Puoi trovarmi tra le stelle".

Vengo assillato da immagini e parole che mi appaiono, talmente astratte da non averne il controllo nella mia stessa memoria. Sembra un costante déjà-vu, quello che ti fa credere di aver già visto la scena e sentito quelle parole, ma, più il tempo passa, più diventa martellante, invece di sparire.

Giro di notte per le strade di Manhattan, sotto lo scorrere incessante della pioggia. Il cielo pare volermi dire che piangerà lui, al posto mio. Io non ho tempo di farlo.

Cammino da ore, le sento addosso come fossero secoli. La strada è abitata solo dai gatti che cercano riparo da questo tempo di merda. Uno deve aver fatto cadere un cassonetto, dietro al vicolo, perché il rumore metallico di qualcosa che batte sull'asfalto mi riscuote dal mio stato di trance. La luce calda dei paraggi si riflette sulle vetrine di quello schifo di locale: il Mor.

Non so neanche come ci sono arrivato qui. È chiuso da quella notte, e di Steve non c'è traccia. Per quanto, tutti noi, sappiamo del suo coinvolgimento, non ci sono prove concrete per accusarlo di niente. Solo sospetti. Non ha lasciato tracce, il figlio di puttana.

Una foto ingiallita di secoli fa e un biglietto redatto a macchina, sono carta straccia. Ho fatto esaminare tutto, non c'è neanche un'impronta che possa portare a lui. La fioraia ha trovato il foglio nella posta, insieme a un bel mucchio di soldi e le istruzioni per la consegna.

"È arrivato il tuo momento. Questa serata ne sarà la prova... goditela"

Potrei mai togliermi dalla testa, queste parole assordanti?

Il senso di colpa mi sta divorando. Era tutto scritto in quelle cazzo di sillabe sulla carta, ripiegata nel mazzo di fiori della morte. Avrei dovuto assicurarmi che fosse tutto apposto, prima d'illudermi di averli fregati.

Abbiamo provato a nasconderlo, a raggirarli, senza pensare al fatto che, gente come loro, trova sempre il modo di rincarare la dose di veleno da iniettare. Un veleno che brucia, paralizza, dilania con un dolore fitto e costante.

Mentre guardo le vetrate di quel posto di merda, avvolto nell'oscurità, ho voglia di spaccare tutto, metterlo a fuoco, distruggerne ogni più piccola parte, fingendo che ci sia quell'uomo, nelle mie mani.

«Non puoi farlo, non ci pensare neanche, Elias.» Avevo dimenticato della presenza, quasi costante, della persona al mio fianco.

«Cosa?» domando, con poco interesse.

«Sai bene di cosa sto parlando, non fare l'idiota. La troveremo, stai tranquillo.»

Oh, sì, so benissimo che si riferisce alla mia voglia di entrare lì dentro, per mettere a soqquadro tutto e provare a cercare qualcosa. Una qualunque cosa che possa farmi arrivare a un dunque, ma so molto bene che Steve non è stupido. Se vuole che la trovi, la troverò, anche se non sa che basta che lo voglia io.

«Non avremmo dovuto perderla!» Lo dico in un urlo che esce fuori, senza che me ne renda conto.

La frustrazione e la rabbia mi stanno offuscando.
Porto le mani a strapparmi i capelli, come a poter estirpare una soluzione che ho davanti agli occhi. So che c'è, ne sono più che sicuro, manca solo un piccolo tassello che mi sta facendo impazzire.

«Lo so, Elias. Mi dispiace.» dice, avvicinandosi, per portare la mano ad accarezzare la mia spalla.

Vorrebbe rassicurarmi con gentilezza e un tono calmo, ma di calma e sicurezza non è rimasto niente.

«Va' via, ora! Non voglio sentire altre cazzate. Mi fanno schifo le tue parole, mi fai schifo tu!»

Sputo veleno, per provare a toglierlo da dentro, prima che mi uccida.

«Elias, stai esagerando. Smettila! Torna in te, ti prego. Ho bisogno che tu ritrovi la tua lucidità.» Lo chiede in una supplica.

«Chi te lo dice che non sono lucido? Guardami» Mostro il mio corpo, per poi allargare le braccia, girando su me stesso, mentre le poche luci della città rischiarano la notte, per poi stendermi sull'asfalto ruvido e lasciare che io impazzisca, sotto lo scoscio della pioggia che batte in volto.

Sento un calcio leggero arrivarmi sul fianco, ma non mi smuovo. Tengo gli occhi chiusi e godo di questa piccola follia che ha preso possesso di mente e corpo.

«Alzati, Elias. Torna a casa e cerca di dormire. Togli i vestiti e asciugati, prima.» specifica.

Sa benissimo che non sarei in grado di fare le cose più ovvie.

E io so bene che sto trattando di merda una persona che cerca solo di aiutarci, dal primo momento.

«Hai rotto il cazzo, okay?» Sbarro gli occhi e mi rialzo di scatto.

Qualche goccia schizza sui suoi vestiti, ancora asciutti, sotto l'ombrello che tiene in mano.

«Facciamo così: quando tornerai a ragionare, fai un fischio.» dice, per poi voltarsi e mandarmi a quel paese, alzando il dito medio.

Ma vaffanculo tu, stronz-, tornatene nel tuo cazzo di buco.

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L'ascolto, però.

In fondo, ma molto in fondo, so che ha pienamente ragione.

Quando arrivo nell'androne del palazzo in cui vivo, noto la posta nella buca delle lettere. Apro lo sportellino e afferro le buste in automatico. Non m'importa di bollette e scartoffie varie, ora.

Lancio tutto sul tavolino, all'entrata del loft, prima di rendermi conto della presenza di quattro paia di occhi inquietanti che mi fissano preoccupati.

«Dove sei stato?» chiede Jonathan, mentre si avvicina, con aria di minaccia, puntando il suo dito affusolato, contro di me «Non rispondi al telefono. Sparisci nel cuore della notte, senza lasciare neanche un biglietto. Vuoi farci venire un infarto?» domanda retorico «No, chiedo, perché, se è così che vuoi che vada, vorrei essere avvisato, prima di restarci secco.»

Sento, ma non ascolto davvero. La sua voce mi trapassa i timpani, come un rumore assordante. Porto le mani a coprirli, per proteggerli dal dolore che mi sovrasta. Mi scoppia la testa, a causa di una stanchezza che non avevo mai conosciuto prima. Chiudo gli occhi, mentre sprofondo, ogni secondo di più.

«Elias?»

Le loro voci si sovrappongono. Lara, Hellin, Dalia e Jonathan sembrano parlare uno sopra l'altra, portandomi sull'orlo della pazzia.

«Tesoro mio, hai bisogno di una doccia e di una bella dormita.» Non so chi di loro lo dice. Mi sembra di essere uscito fuori di testa. «Vedrai che al tuo risveglio starai meglio.» Credo sia di Hellin, questa voce rassicurante.

Riapro le palpebre, li guardo confuso e afferro il bicchiere che Dalia mi sta porgendo. Acqua, è solo dell'acqua.

Lara si avvicina, mi afferra la spalla bagnata e mi osserva, con aria di compassione. Mi verrebbe di mandarla a cagare, come mi viene di farlo con la vita, ma prendo un grosso respiro e mi mordo la lingua, mentre inghiotto il liquido.

«Abbiamo versato del sonnifero. Hai bisogno di riprendere le forze.»

Annuisco, senza battere ciglio, rassegnato al fatto che hanno tutti ragione, meno che io. Vorrei solo essere lucido e vedere l'ovvio. Sento, perfino, cedere le gambe, mentre mi dirigo in bagno. Mi fermo allo stipite della porta, poggiando la mano per reggermi.

«Restate qui, vi prego.» dico, prima di entrare per farmi una doccia.

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Sprofondo sulle lenzuola, prima che il sonnifero faccia il suo effetto.

Che profumo hanno? Non lo so, è strano. Sento l'odore del mare, quello notturno che sa di salsedine e umidità. Le tocco; hanno una consistenza sabbiosa. Sì, sabbia che mi entra in bocca. Mi soffoca. La sputo. Provo ad alzare la testa, a fatica. Intorno a me è troppo buio, non riesco a capire. Cosa succede? Sono incastrato e ho la sensazione che vogliano inghiottirmi nell'oscurità, fasciandomi le caviglie in una morsa che non aspetta altro di portarmi via con sé.

"Dove sei?"
"Dove sei?"
"Dove sei?"

È una voce, quella che sento? Una voce che proviene da tutto e da niente.

"Non provare neanche ad arrenderti! Sai? Potresti guardare il cielo, una volta tanto."

Che cazzo significa?

La luna! Ecco, quello spiraglio di luce che mi serviva. Era, davvero l'odore del mare, quello che sentivo. Lo stesso mare dal quale si affaccia, mostrandomi un'ombra tra acqua e cielo. Libero le caviglie, uso tutta la forza che mi rimane. Voglio raggiungerla. Voglio raggiungere quella figura oscura. Corro, inciampo, mi rialzo. A ogni passo che faccio, lei si allontana, allo stesso modo. Un altro passo, un altro ancora e poi altri dieci, venti, ma non c'è distanza che possa essere colmata, ora. Crollo, un'ultima volta e guardo ancora verso quella sagoma che viene inghiottita dalle tenebre.

Mi sveglio di soprassalto. Era un sogno. Solo un cazzo di sogno. O forse no!

Ho una sola consapevolezza: mi sono rotto le palle. È arrivato il momento di prendere a calci questo destino che ci ha sempre presi per il culo.

Vado in cucina, per mangiare qualcosa. Ora capisco cosa volevano dirmi, tutti quanti. La stanchezza mi ha portato a perdermi, sentirmi inutile e piangermi addosso. Apro il frigo e afferro una mela verde. L'addento e mi pare di non aver mai mangiato niente di più buono, mentre ne assaporo il succo aspro.

«Santo cielo, Elias» L'urlo di Hellin mi spaventa. «Chiudi quell'accappatoio.» Mi sono addormentato senza vestirmi.

Perfetto!

Ascolto la sua richiesta e allaccio il telo di spugna, prima di raggiungerla in salotto.

«Cosa ci fate qua?» Mi meraviglio, quando vedo che non è sola.

«Ci hai chiesto tu di restare, ricordi?» risponde Jonathan, mostrando un sorriso di comprensione.

Mi siedo sul divano, tra Dalia e Lara e porto le mani ad accarezzarmi i capelli.

«È vero, vi chiedo scusa» rialzo la testa, poggio i gomiti sulle ginocchia ripiegate, mentre le gambe iniziano a muoversi da sole, come se non avessero tempo di stare ferme. «Ho creduto d'impazzire» ammetto, portando la testa all'indietro. «Ero così stanco e incazzato che non mi sono reso conto del danno che potevo creare.»

«Sappiamo bene cosa stavi cercando di fare. Non ti sei dato pace. Non ce la diamo neanche noi, ma non possiamo permetterci di perdere il senno, se vogliamo arrivare a un dunque.» Dalia mi accarezza le mani, mentre mi spiega le cose con una calma che non ho idea di come faccia ad avere. «Senti, Elias, ascoltami bene: la troveremo, dovessimo mettere a soqquadro l'intero universo.»

«Sì, ora lo so anche io.» rispondo, con la consapevolezza che senza speranza non ci sarà mai un lieto fine.

«Ho visto il mostro sbagliato, Elias» ammette Lara e sento, nella sua voce, il tono del senso di colpa. «Ero convinta che Steve fosse il Principe Azzurro che Dafne meritava. Bella amica del cazzo che sono. Lei me lo diceva che aveva brutte sensazioni, quando la toccava, ma io ero convinta che fosse solo a causa tua e del tuo bel faccino.» spiega, mentre Jonathan le passa un bicchiere di whisky. «Lho spinta verso quell'uomo più e più volte. Che schifo!» Stringe il vetro tra le dita, come se volesse frantumarlo, prima di bere il liquido scuro all'interno.

«Non è colpa tua, Lara» Lo dico, perché lo penso sul serio. «Sei sua amica e io sono sempre stato dipinto come una merda. Cosa ne potevi sapere?» chiedo in una domanda che non vuole risposte.

«Cazzo, Elias, Steve me lo aveva anche detto.» Mi ritraggo, confuso e la invito a continuare, per capirci qualcosa. «Mi ha detto che non avrebbe smesso di pensarla, nel suo giorno. Che non avrebbe smesso d'immaginare il gran finale che l'aspettava. Un bel finale da vomito, infatti.» Scuote la testa, per poi poggiare il bicchiere sul tavolino in legno. «Capisci? Io e Jonathan ci siamo anche guardati, in quel momento. Abbiamo pensato a quanto fosse cogliona Dafne a preferirti a quello stronzo.»

«L'avrei pensato anche io. Aveva senso, no? Ho fatto di tutto per respingerla.»

Stringo gli occhi in due fessure, non appena vedo la posta sul tavolo all'entrata. Mi alzo, per andare a controllare di cosa si tratti. Scarto le bollette e gli annunci pubblicitari e rimango impietrito quando resto con tre buste, senza mittente, in mano.

«E queste?» chiedo più a me stesso che agli altri.

«Le hai portate tu, ieri sera.» risponde Jonathan dalla poltrona.

«Ieri sera? Per quanto ho dormito?» domando stranito.

«Circa sedici ore. Abbiamo anche pensato che il sonnifero ti avesse ucciso.» continua, per poi alzarsi e raggiungermi.

Mi concedo del tempo per osservare le buste che stringo fra le dita. Non c'è neanche il destinatario.

Sprofondo, quando la paura inizia a farsi reale. Vorrei aprirle, ma, se lo facessi, scoprirei che, quel minuscolo pezzo di puzzle, non era poi così piccolo.

Continuo a ripetere, come in un loop infinito, quelle stesse frasi ascoltate nei miei sogni.

Non mi rendo conto dello scorrere dei minuti, mentre sono impalato a osservare della semplice carta bianca che potrebbe oscurarmi il cuore.

"Potresti guardare il cielo, una volta tanto." Sembra la risposta alle mie domande.

"Puoi trovarmi tra le stelle." Mi ritorna un mente un vecchio sogno. Quello in cui avevo visto il suo rapimento.

Cazzo, io l'ho davvero sognato.

Mi faccio coraggio e apro quelle lettere che sembrano tremare nelle mie mani. Non mi sorprendo, quando ne leggo il contenuto. Il Profeta...

Lui vuole che io la trovi, lo ha sempre voluto.

Prendo il telefono e compongo il numero dell'unica persona che può davvero aiutarmi.

Spero solo non mi sbatta il telefono in faccia.

Squilla...

«Pronto?» La voce, impastata dal sonno, non aiuta la mia speranza di non essere mandato a quel paese.

«Aspetta» Fischio nel microfono del cellulare, proprio come mi ha chiesto. «Il male ha finalmente un nome... e io so dove trovarlo!»

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