4-Niente farfalle
Dafne
«Pericolo scampato», dico non appena sento richiudere la porta.
Osservo Steve che non mi dà l'impressione di trovarsi ancora su questo pianeta.
Se non lo conoscessi, penserei che il bacio gli abbia aperto un varco spazio-temporale, mettendolo in connessione con la sua vita passata. Una vita dove era, follemente e inesorabilmente, innamorato di me. Non mi illudo più.
Scema sì, ma fino a un certo punto!
«Steve, stai bene?» Gli accarezzo il braccio per risvegliarlo dal trance. «Ste -»
Il nome rimane intrappolato in gola, avvinghiato alla sua lingua che si spinge ad accarezzare la mia. Questo bacio non lascia posto a sentimentalismi. Mi desidera, come io desidero lui.
Mi scaglia contro la parete ruvida del palazzo, in un impeto di passione e coraggio. Sembra essersi svegliato da un lungo letargo.
È un bacio istintivo e famelico che lascia i segni dei morsi. Preme l'erezione contro il mio bacino, accende ogni più piccolo desiderio lasciato nascosto per troppo tempo.
«Non hai idea di quanto avrei voluto farlo.» dice a un soffio dalle labbra che si stringono tra i denti, «ma continuavo a ripetermi che nessuno avrebbe dovuto toccarti, me compreso», ammette, mentre i corpi si scaldano, ancora. «Lo so che questo è un bacio casuale, ma non riesco a fermarmi.» continua ansimante. «Fermami tu, se non mi vuoi. Fermami ora, prima che perda il controllo.» Poggia delicato la fronte contro la mia.
La leggo la sua preghiera, attraverso gli occhi chiusi e il fiato corto.
Prendo il suo viso tra le mani, per riportare la concentrazione sul qui e ora.
«Fermati!» Sorrido, vedendo la sua delusione. «Siamo dietro i vicoli del Mor» indico ciò che ci sta intorno. «e noi non siamo due ragazzini che non sanno tenere a bada gli ormoni.» Mi osserva confuso. «Anche io immaginavo di farlo da un po'», ammetto.
Lo vedo quello sguardo d'intesa che si accende nella speranza di un sentimento ricambiato.
«Va' a casa, piccola. Appena stacco ti raggiungo, se non starai dormendo.»
Mi allontano in fretta, dopo avergli stampato un casto bacio sulle labbra.
Arrivo a casa dopo circa trenta minuti. Sono le tre del mattino passate. Non mi ero resa conto dell'ora. Ho trascorso il tempo del rientro a pensare e ripensare a quell'istante pieno di passione.
Qualcosa deve essere andato in pezzi, dentro di me.
Avrei dovuto essere pazza di gioia, sentire le farfalle nello stomaco, camminare a un metro da terra. Avrei dovuto sentire quella sensazione che ti porta a ballare per strada, anche se non lo fai per davvero. Invece, niente. Non sento niente. Mi sto sforzando, ma il cuore non trema.
Rientrata in casa trovo Lara in salotto, seduta sul divano, intenta a tradirmi, mentre ingurgita cheesecake.
«Da te non mi aspettavo un simile comportamento!» dico non appena richiudo la porta d'ingresso.
Le prende un colpo, non si era accorta della mia presenza. Lascia cadere la fetta di torta sul tappeto e mette su il broncio di una bambina di quattro anni.
«Ero sola e affranta.» Si giustifica. «Saresti dovuta tornare ore fa. Ho pensato avresti passato la notte fuori!» dice a sua discolpa, mentre tenta di pulire la chiazza lasciata dal caramello.
«Mia cara Lara, mettiamo le cose in chiaro.» Mi pronuncio, come fossi la signorina Rottermeier.
«Primo punto: se non mi vedi tornare, senza preavviso, hai l'obbligo di mettere la città a soqquadro per rintracciarmi o, quanto meno, telefonarmi per sapere se sto bene.» la canzono.
«Secondo punto: ti farai venire diabete e colesterolo, se continuerai a nutrirti di cheesecake come se non ci fosse un domani.» Dico a pugno fermo.
«Terzo punto: i miei occhi stasera sono stati violentati da un porno in Real time, senza paragoni.» La vedo sgranare gli occhi. «Quarto punto: io e Steve ci siamo baciati e, cosa più importante;
quinto punto: stai guardando Stranger things senza di me? Non ti vergogni neanche un po'?» Lo dico con aria disgustata per sottolineare meglio la domanda retorica. «Questo è alto tradimento! Sto decidendo di quale morte farti morire.»
«Che cosa stai dicendo? Riavvolgi il nastro e torna ai punti tre e quattro», supplica, facendo roteare le mani in senso antiorario. «Al tradimento prometto che ci penseremo domani.» incrocia le dita. «Preferirei qualcosa di indolore, per essere chiari.» Batte la mano sul divano per invogliarmi a sedere accanto a lei.
«Pensavo più alla crocifissione ma, dato l'amore che provo, penserò a qualcosa di meno doloroso.» Sorrido ironica, mentre mi accomodo.
Le racconto tutto, ogni minimo dettaglio. Lara ascolta incantata e incredula, senza proferire parola. Ogni tanto rimane interdetta, per lo shock. Mi lascia continuare, godo di un silenzio a cui non sono abituata con lei. Quando lo stupore si trasforma in scandalo, porta le mani alla bocca per tappare un sospiro.
«Dafne, sono sconvolta.» Non ha bisogno di dirlo, si vede. «Immaginavo che Melissa non fosse una tipa fedele ma, conoscendo Matt, sarei terrorizzata, al suo posto.» Non ha torto. «È probabile che avrei avuto paura anche del "pavone" di quel tizio ma, a quanto pare, lei non era affatto dispiaciuta.» Sorride sorniona, prima di emettere un grido acuto e fastidioso, riferendosi a Steve. «Finalmente! Ti sei decisa a baciarlo, salterei di gioia.»
«A parte il fatto che lo stai già facendo, Lara.» Placo il suo inutile entusiasmo. «Ti rendi conto dei mesi passati a immaginare questo momento nella mia testa?» chiedo, senza aspettare risposta. «Ero convinta di riuscire a provare qualcosa, ma l'unica a essersi risvegliata è lei.» ammetto, mentre indico le parti basse, mortificata. «Cosa dovrei fare ora?»
«Dafne, non devi chiederlo a me. Sei solo tu a decidere cos'è meglio per te.» Mi stringe le mani nell'intenzione di consolarmi. «Regalati del tempo per conoscerlo sotto altre vesti. Goditi il momento. E se le tue amate farfalle non arriveranno... Amen! Se ne dovrà fare una ragione.»
«L'ultima volta che qualcuno ha dovuto farsene una ragione, sono dovuta espatriare.»
Ho paura!
Paura di illudermi che per me non esista un'altra possibilità, paura di rivivere un incubo, paura di scoprire che non sono riuscita più ad amare, perché non mi è più concesso.
Mi rabbuio, mentre penso a tutto.
«Ora basta, Dafne» mi riscuote dai pensieri. «Avevi quattordici anni ed eri solo una ragazzina.»
«Ok, ero una ragazzina, innamorata, però.» dico convinta.
«La tua era più una cottarella estiva.» risponde, incrociando le braccia al petto.
«Non la definirei una cottarella.» Se ci penso brucia ancora. «Il mio cuore ha iniziato a battere con lui e non l'ha più fatto per nessuno.»
«In qualche modo ti è servito il cuore spezzato» dice, afferrandomi le mani per appoggiarle sul mio petto. «Tutto ciò che è successo nella tua vita ti ha resa la donna che sei.» È vero, non posso negarlo. «Non saprai mai quanto sei forte se non ti lasci andare. Pensaci per tutto il tempo di cui hai bisogno, ma non scappare di nuovo, ti prego.»
Ha ragione, ma si è fatto tardi e di Steve non c'è traccia. Prendo il telefono dalla borsa. Ci sono due chiamate perse e un messaggio:
Steve 03:15 "Ho provato a chiamarti per raggiungerti, ma sicuramente ti sarai addormentata... Ci vediamo domani. 😘"
Oramai starà dormendo, è inutile rispondere adesso.
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La sveglia suona alle otto e trenta. Tra un'ora e mezza ho un colloquio con la HW design, una casa di moda fondata da Hellin Wester, una donna mistica che, da oltre trent'anni, detta moda nel mondo.
Elie Saab è uno stilista incredibile, ma creare abiti da sposa era diventato un po' troppo per una come me che pensa al matrimonio come la prima causa di divorzio. Quando parlo di Steve, come mio futuro marito, faccio solo dell'ironia bonaria a me stessa.
Non credo nel matrimonio e non credo negli uomini. Credo in Steve, ma non sento le farfalle nello stomaco, quando mi sfiora i pensieri.
Le ho perse per strada e desidero ritrovarle.
Sempre che, qualcuno, non abbia giocato troppo con la fionda, trafiggendole una a una.
Finalmente, decido di scendere dal letto per prepararmi. Per fortuna, non ho bisogno di troppi ritocchi e in men che non si dica sono pronta. Quando arrivo al portone del HW ho uno strano brivido lungo la schiena. Spero che l'emozione non mi giochi brutti scherzi. Farò il colloquio con Hellin e la sua assistente Margot.
Quest'ultima, per telefono, mi ha spiegato che Hellin vuole scegliere personalmente il suo staff perché si fida solamente del suo stesso giudizio. Deve essere una strega.
Come tutti gli stilisti affermati, la immagino con la puzza sotto il naso, mentre scruta il mondo dall'alto del suo piedistallo in Crêpe Satin e organza. Posso solo immaginarla perché, anche se il suo marchio è famoso in tutto il mondo, bisogna firmare un accordo di riservatezza solo per mettere piede nel suo stabile. Un marchio stra conosciuto, ma un viso che hanno visto pochi eletti. Presenzia alle sue sfilate in stile ballo in maschera, con pizzi e sete da dama ottocentesca. Mette piede in ufficio talmente coperta da sembrare una donna con forti credenze musulmane, anche se non lo è. Capisco la privacy, ma il suo modo di fare nasconde qualcosa.
Probabilmente, è una donna molto brutta, con qualche deformazione al viso, di cui si vergogna in modo particolare.
Arrivata alla reception, la ragazza mi fa accomodare.
«Gradisce un caffè, nell'attesa?» Mi sento come in una SPA.
«Sì, grazie, molto gentile.»
Con la mia tazza di caffè fumante in mano, dopo aver firmato le varie scartoffie per la privacy, sbircio negli uffici a vetri, seduta comoda al mio posto. Mentre sono tutti indaffarati, io m'immergo nei miei pensieri e viaggio con la fantasia. Mi vedo correre nei corridoi dello stabile, per consegnare un bozzetto all'ultimo secondo. Avrò un mio ufficio, un mio collega preferito, un cagnolino tutto pelo sotto la scrivania. Lo chiamerò Whisky, anzi, no, Rum.
Avrò...
«Signorina!» Mi riscuote la receptionist «Oh mio Dio, mi scusi. Non volevo farla spaventare, ma la stavo chiamando a ripetizione. La stanno aspettando.»
Che casino. Ho rovesciato il caffè sulla camicetta.
«Vada in bagno a pulirsi, penserò io ad avvisare del ritardo.»
«Dove si trova il bagno?» Mi indica l'angolo sulla sinistra del corridoio.
Non mi frega di lavare via la macchia, metterò il foulard salva vita che tengo sempre nella borsetta. Ma il caffè scottava. Ho bisogno di mettere dell'acqua per lenire il dolore della bruciatura.
Quando esco dal bagno con la mia meravigliosa macchia di caffè coperta, qualcuno attira la mia attenzione in una delle stanze a vetri. Un uomo dalla schiena imponente, fasciata in una camicia slim scura, lavora su due schermi nell'ufficio di fronte al bagno. Dagli schizzi che vedo non sembra affatto un professionista del settore.
«Qua prendono proprio tutti...» penso, senza rendermi conto di aver pronunciato quelle parole.
«In realtà, lui non è un designer. Sta perfezionando in loco un software di disegno all'avanguardia.» Una voce nuova mi sorprende alle spalle. «Sarà nostro ospite fino a quando Hellin non riscontrerà la perfezione che desidera. In questo particolare caso, preferisce lavorare a contatto con il cliente per capire meglio le necessità.» La donna, di qualche anno in più di me, mi richiama sull'attenti. «Piacere, Margot, e lei deve essere la signorina Dafne May.» Si presenta. «La stavamo aspettando. Abbiamo saputo dell'incidente ed ero venuta a controllare che fosse tutto a posto» dice, mentre con un sorriso stringe la mia mano.
«Oh, cazzo, Dafne, hai pensato ad alta voce. Quando la smetterai?»
dico tra me e me.
«Signorina May, a quanto pare lo ha appena rifatto», ride. «Mi segua, prego.»
Eseguo gli ordini a passo svelto, subito dopo aver lanciato un ultimo sguardo al tizio del software che, devo dire, ha decisamente un fondoschiena da paura. Prima di aprire la porta, la signorina Margot ha un attimo di perplessità. Mi ferma, dichiarando: «Giusto per la cronaca, prendiamo solo i migliori.»
Non apre solo una porta, ma i cancelli del paradiso. L'ufficio di Hellin è l'unico a non essere a vista, ma al suo interno ha un'enorme vetrata che affaccia su Central Park. Pareti verde menta con cornici nere ai lati della stanza e due enormi divani a forma di mezza luna posizionati sopra dei meravigliosi Silk Isfahan di un giallo intenso. Al centro, una scrivania moderna di un grigio antracite, impreziosita da alcuni intagli poco profondi che ricordano i mandala.
Eccola, Hellin. Sembra una dea, in tinta con l'ambiente. In realtà, è una donna bellissima. Ha i capelli di un colore sfumato tra il bianco e l'argento, legati in un elegante chignon. Pelle dorata e iridi azzurro intenso che riflettono la sua stessa luce, quasi. Non è scalfita dal tempo o rovinata in volto come pensavo. Conserva una bellezza matura e raffinata. Pagherei per invecchiare così.
Altro che brutta e deforme.
«Cara», mi sorride non appena si accorge della mia presenza, per poi tornare a rovistare sui fogli che stringe in mani leggermente tremanti. «Vedo che hai lavorato per Elie Saab per circa cinque anni, dapprima come apprendista e, terminati gli studi, sei stata assunta come designer, diventandone la punta.» Non perde tempo in chiacchiere convenzionali. «Sì, so che quest'ultima parte non è presente sul curriculum, ma Margot ha preso tutti i dati del caso.» Tiene a chiarire. «Non assumo nessuno senza aver avuto prima le informazioni che mi servono. Solo che non capisco...» dice, sollevando un dubbio. «Perché hai lasciato il mondo delle favole per tornare a New York a fare la cameriera? Non riesco proprio a spiegarmelo.»
È un pugno nello stomaco. Ha preso davvero tutte le informazioni che le servivano.
Il vero problema è che a me non serviva ricordare.
«Sarò sincera. Fare la cameriera è un lavoro momentaneo.» ammetto. «Devo pagare un affitto in attesa di riprendere a fare ciò che amo. Ho lasciato la casa di moda a fine contratto perché, quando mi è stato confermato che il rinnovo sarebbe stato quello definitivo, non ho potuto accettare.» Cerco di essere più chiara possibile. «Disegnare è la mia più grande passione, ma ero lì a realizzare abiti da sposa e, il matrimonio, non è altrettanto "passionevole", ecco.» continuo, stringendomi nelle spalle. «Dovevo tornare a New York, sono scappata da qui per non affrontare i miei mostri. E ora, è arrivato il momento di riprendere in mano la mia vita.»
Dopo attimi di estenuante silenzio alza, per un breve momento, il suo sguardo verso il mio, dicendo:
«Lunedì cominci con tre mesi di prova.» Ho un sussulto, rimango perplessa e basita. «Mi riserverò il diritto di prolungarli fino a sei, se dovessi avere dei dubbi nei tuoi riguardi! Puoi andare» dice, mostrando l'uscita, prima di riportare lo sguardo fisso su quei dannati fogli.
Sono stranita. Non ho mai avuto a che fare con persone così sbrigative. Un colloquio lampo, neanche il tempo di quel caffè che ho versato sulla camicetta nuova.
Saluto con cortese attenzione e mi dirigo verso la porta, rivolgo un largo sorriso a Margot che ricambia con un cenno di assenso.
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Uscita dall'edificio, scappo al MOR per mangiare un boccone al volo prima del turno. Dovrò dire a Steve che, da questo lunedì, avrò bisogno di spostare gli orari oppure mi toccherà lasciare il lavoro.
Appena varca la soglia, nel pomeriggio, lo placco.
«Dobbiamo parlare. Ora!» Dico intimandolo a seguirmi sul retro.
«Cosa mi devi dire?» Chiede, prima ancora di seguirmi. «Che tra noi non può funzionare? Che siamo troppo amici? Puttanate, Dafne. Solo puttanate.» Ha un atteggiamento infastidito che mi porta a stampargli un goffo bacio sulle labbra, per calmarlo.
«Veramente, avevo bisogno di iniziare a lavorare durante il serale.» affermo, mentre con una mano gli sfioro il viso. «Se non fosse possibile dovrei lasciare tutto, senza il dovuto preavviso. Di questo mi dispiace, ma -» Non faccio in tempo a finire di giustificarmi.
«Certo che puoi iniziare con il turno serale. Ho bisogno di gente in gamba come te con quel caos.» Mi rassicura, tirando un sospiro di sollievo. «Inoltre, potremmo vederci di più e staccare insieme.»
«Basta che mi lasci salire sul tetto.»
«Se mi prometti che andrai via di lì non più tardi delle ventidue, per non rischiare di condividerlo.» Ironizza. «Non credo tu abbia trovato lo "spettacolo" di tuo gradimento.»
Non riesco ad accettare che quel tizio utilizzi il terrazzo per gonfiare il suo enorme ego.
Il mio posto sicuro dovrebbe essere solo mio.
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