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35-Mamma!

Dafne

Il cuore non ascolta i desideri. Ci porta ad agognare e lottare contro i nostri stessi sentimenti, cadendo, spesso, in trappole immortali di inutili tentazioni.

Lui non ascolta.
Noi ascoltiamo lui.
Conserva gelosamente segreti inconfessabili, per mero egoismo, con futili scuse.
Stupido, stupido cuore.
Se solo riuscissi a non avere paura.

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«Non ci credo, Dafne. Non puoi essere così stupida!» Mia madre è sconvolta e non mi lascia finire il discorso. «Mi stai dicendo che il tizio che ho visto andare via con quel macchinone, era lo stesso ragazzo che ti ha lasciata nelle mani del tuo stupratore?» chiede, in preda a una crisi di nervi. «No, mia figlia non può essere così sprovveduta.» Prende un bicchiere dalla vetrina e il vino bianco dal frigo. Se lo versa, per poi berlo tutto d'un fiato. «Ora vienimi a dire che ne sei innamorata, sarebbe il colmo.» La sua è una provocazione che vuole assorbire i dettagli dei nostri sguardi. Cerco di mantenerne uno impassibile, ma incontra la sua risposta negli occhi sfuggenti della mia amica. «No», allunga quella negazione, prima di sedersi, come se le gambe avessero iniziato a cederle, «non può essere!» Porta la mano sulla fronte e scuote la testa.

L'aria diventa pesante. L'occhiata delusa di mia madre mi porta a credere di essere sbagliata.

Ma non lo sono. Sono solo una donna innamorata.

«Non ho mai smesso di amarlo, è diverso» ammetto, provocandole un sussulto. «Lasciami spiegare, mamma.» La supplico e, stranamente, mi fa cenno di continuare, mentre si versa un altro calice. «Siamo stati entrambi vittime della malattia mentale degli altri. Certo, sono stata io a subirne i danni peggiori, ma lui non ne sapeva niente.» Mi osserva, come se non credesse alle mie parole. «Ci hanno riempito di menzogne, capisci?»

Probabilmente, pensa che la mia follia abbia raggiunto un punto di non ritorno, perché è così che mi sento con il suo sguardo giudicante puntato addosso.

«E tu te la sei bevuta?» chiede, picchiettando le unghie sul vetro del bicchiere. «Sei così ingenua, bambina mia.»

«No, non lo sono.» Sbatto una mano sul tavolo, indispettita dal suo modo di porsi. «Mi sono ritrovata a sentire di nascosto una conversazione tra lui e quell'uomo di merda.» Spiego. «La sera in cui ho raccontato la mia versione a Elias, lui lo ha appostato sotto casa. Lo avevo seguito, non lo sapeva.» Le mie mani iniziano a tremare al ricordo di quella lite. «Non so neanche cose sarebbe successo, se non lo avessi fermato.»

«Se avessero inscenato tutto per farti credere quello che volevano? Ci hai pensato a questo, vero?» domanda riluttante.

«Hellin non lo avrebbe mai permesso. Conosce Elias, conosce tutto quello che ha passato in questi anni.» rispondo, per prendere le difese della sofferenza di quell'uomo.

«Hellin? Sarebbe quella per la quale lavori?» Alza un sopracciglio, confusa. «Cosa c'entra quella donna, ora?»

«Lei era la compagna della nonna di Elias. Lo ha cresciuto, in pratica.»

Cerco di farle capire il rapporto che siamo riuscite a costruire con Hellin. Lei è stata la mia datrice di lavoro, per poco tempo. Lo è ancora, sulla carta, ma è diventata parte integrante della mia famiglia e io della sua, senza che ce ne rendessimo conto.

C'è bisogno di alcol per tutte.

Prendo altri due bicchieri, li poggio sul tavolo e li riempio entrambi, per poi passarne uno a Lara.

«Quindi, siete tornati insieme?» Dalia, sembra sbeffeggiarmi da dietro il calice che sta roteando, mentre osserva il liquido seguirne il movimento. In risposta alla domanda, Lara si strozza con il suo. «Ho detto qualcosa di male?» chiede, allontanando il bicchiere dalla faccia.

«Pare abbia perso la testa per un'altra.» risponde, quella che dovrebbe essere un'amica, provocando un sorriso sardonico in mia madre. «Lui e tua figlia stavano insieme, poi, lei lo ha lasciato, ma nessuno ne conosce le motivazioni.» Mi guardano, entrambe, con aria di rimprovero. «Credimi, Dalia, perché non ci credevo neanche io, ma l'ho visto con i miei occhi. Lui l'amava, sul serio.» puntualizza. «Ora, non vuole più saperne nulla. Boh, non lo so, io non ci capisco più niente, te lo assicuro.» dice, picchiando l'aria con la mano.

Mi chiedo se sia normale, quello sguardo che si accende nelle mamme, quando si preparano a dire: io te l'avevo detto.

«Non ho bisogno di questo!» Lei capisce a cosa mi sto riferendo, sorride, si alza e mi raggiunge per riscaldarmi, attraverso uno di quegli abbracci che profumano di pulito.

Uno come quelli che pretendevo da bambina, a tutte le ore, anche mentre lavava i pavimenti e, il grembiule che indossava, per non sporcarsi, sapeva di detersivi misto a candeggina.

E pareva l'odore più buono del mondo...

«Ora calmati, bambina mia.» dice, portando un dito a raccogliere una lacrima che mi riga la guancia. L'afferra e lasciuga tra le dita, osservando i suoi stessi movimenti. «So io a chi farla versare, la prossima volta.» sussurra, con aria di minaccia.

«Che vorresti fare, Dalia?» Sento il tono preoccupato di Lara, mentre lo chiede e, un po', mi preoccupo anche io. «Dafne è più forte di quanto credi. L'ho vista raramente vacillare, per cose ben più gravi di questa, ma non l'ho mai vista cadere.» Continua a parlare, battendo l'unghia dell'indice sul tavolo. «Lei si basta, Dalia.» Prende le mie difese e il suo discorso mi avvolge, come in una calda coperta soffice. «Non interferire nella sua vita, non è una ragazzina.»

Mia madre rimane in silenzio e, per un'attimo, ho il terrore che le risponda a tono, atterrandomi, ma la sua espressione cambia di colpo.

«Hai ragione, Lara.» ammette, con aria malinconica e pentita. «Purtoppo, sono un tantino protettiva.» Avvicina il pollice e l'indice, portandoli a un centimetro dall'occhio. «Sai, quando perdi le persone che ami, senza alcun preavviso, tendi a non fidarti più della vita.» L'aria, ora, è diventata cupa. Pesa sulle spalle, come un macigno difficile da spostare.

Prende un grosso respiro, sembra voler scacciare i demoni del passato.

«Che hai mamma?» chiedo, in pensiero per lei.

«Niente.» risponde. «Mi stavo solo domandando quando mi farai conoscere la donna che ha, praticamente, adottato mia figlia, senza chiedermi il permesso.» Sento una punta d'invidia nel suo tono di voce e, devo ammettere, non mi dispiace, affatto.

«Non appena tornerà da Parigi, non preoccuparti. Domani Lara ti porterà a spendere un po' di soldi.» Per la sua felicità. La mia amica, adora mia madre e lo shopping, più o meno, allo stesso modo, in pratica. «Quanto resterai?» chiedo.

«Ancora non lo so. Sto pensando di trasferirmi.» Resto basita da questa notizia.

«Scusa, cosa? Come farai con il lavoro?»

«Mi sono licenziata.»

«E quando avevi intenzione di dirmelo?» Mi volto verso Lara, per cercare degli occhi che mi comprendano, ma, dalla sua espressione, credo sia in shock, quanto me.

Regge il calice tra le dita e osserva mia madre con le palpebre sgranate e la bocca semi aperta.

«Quando me lo avresti chiesto.» risponde ironica. «Non preoccupatevi, ragazze, non ho intenzione di occupare il vostro appartamento.» Ci tranquillizza. Non che mi dia fastidio la presenza di mia madre ventiquattro ore al giorno, ma...

Okay, no. Sono eccessive anche per me. Non esiste.

«Potrei chiedere a Hellin se ha qualche appartamento libero. Qui, a Manhattan, gli affitti sono esorbitanti, ma Hellin non avrebbe problemi a farmi un favore.»

«Non vorrei chiedere troppo.» Il modo in cui lo dice, nasconde una punta di sarcasmo che riesco a notare, però.

«Figurati, non sarà un problema, per lei. Sei la mia mammina preferita, vedrai che ti farà uno sconto.» La prendo in giro, per farla innervosire.

«Sono l'unica mamma che hai, sottolineamolo.» dice con tono serio.

«E facciamolo sapere anche a Hellin.» continua Lara, quando capisce la gelosia di mia madre.

«Come siete carine.» Stringe gli occhi in due fessure, arricciando il naso. «Smettetela, entrambe.» ordina perentoria, provocando una risata che rimbomba fra le pareti della cucina e i bicchieri di vino.

Chiacchieriamo fino alle due di notte. Le racconto ogni cosa. Cose che avevo dimenticato di menzionare, cose che non le avevo detto per non preoccuparla, tutto. Le racconto di Hellin e di come mi abbia assunta. Di Elias e di quello che ha scoperto riguardo la setta. Ha un crollo emotivo, quando lo faccio, ma non avrei potuto più nasconderlo, arrivati a questo punto.

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Questa mattina, appena metto piede in ufficio, un profumo dolce di pesche mi sorprende nella stanza. Sulla mia scrivania, è ritornata la magica crostata. Hellin deve essere rientrata da Parigi. Mi commuove sapere che il suo primo pensiero sia stato quello di portarmi la sua torta.

È passato qualche giorno dall'arrivo di mia madre. Abbiamo occupato, il tempo trascorso insieme, a raccontarci. Si è licenziata, perché si è innamorata del suo capo, ma lui è sposato e lei non aveva intenzione di dirglielo, neanche per sbaglio. Ha preferito lasciare tutto, scappare, per non pensarci più.

Rimango qualche ora, con la faccia fissa sui fogli, a disegnare. So benissimo come utilizzare il software che ha progettato Elias, ma non mi sogno di farlo. Non gli darò questa soddisfazione, anche se lui non lo saprà mai.

Lo squillo del telefono interno, mi distrae dal mio lavoro.

«Signorina May, ha una visita.» Mi informa Margot dall'altro capo.

«Di chi si tratta?»

«Dice di essere sua madre

«Ha già firmato l'accordo di Hellin?»

«Sta finendo di firmare l'ultimo foglio

«Va bene, falla accomodare.»

Dopo qualche minuto, Dalia apre la porta del mio ufficio, furiosa.

«Venti minuti! Venti sacrosanti minuti persi, a firmare dei fogli, per tenere il segreto, nel caso in cui dovessi vedere Hellin. Ma è mai possibile? Che tipo di problemi ha questa donna?» domada, per poi accomodarsi su uno dei divani ad angolo.

«Vuole proteggere la sua privacy.» Sorrido. So a che gioco sta giocando:

Vuole denigrarla, perché è fottutamente gelosa della sua bambina.

Vedere questo atteggiamento, da parte di una donna della sua età, da un lato, mi fa perdere le speranze di essere migliore di lei; dall'altro, sento una piccola punta di orgoglio che non vorrei provare.

«Tu l'hai mai vista?» chiede, accavallando la gamba, per poi sporgersi, poggiare un gomito sul ginocchio e il palmo sul mento. «È una donna inguardabile, di' la verità.»

La sua curiosità, viene interrotta dal suono del telefono dell'interno, e lei sbuffa, ma io devo rispondere.

«Dimmi, Margot.»

«È arrivata la signorina Lara. Le ho detto che eri già occupata, ma non ha voluto darmi ascolto

«Non ha importanza. Starà cercando mia madre.» rispondo, per tranquillizzarla.

Quando la mia amica entra nell'ufficio, ha tutta l'aria di una che ha appena corso una sfiancante staffetta.

«Ho voglia di strangolare tua madre.» Mi avvisa, prima di rivolgerle uno sguardo omicida. «Mi ha lasciata sola con un tizio che aveva tutta l'aria di non essere una brava persona.» L'accusa, mentre tenta di riprendere fiato.

«Sembravate una bella coppia.» La canzona Dalia, soffocando una risata.

«Gli mancava un dente e puzzava di alcool.» risponde l'altra, corrugando la fronte.

«Che sarà mai? Un buon dentista e una bella doccia risolverebbero il problema. Sei troppo diffidente. Era un bel ragazzo, in fondo.»

Lara si volta dalla mia parte, porta il dito vicino le tempie e inizia a ruotarlo, come se a mia madre mancasse qualche rotella.

Non posso darle torto.

È che Dalia non è stupida e ha capito che avrei voluto tenerla lontana da Hellin, per il timore che, a causa del suo temperamento, potesse farmi fare qualche figuraccia, ma è mia madre e, se vuoi bene a me, la mia famiglia è un pacchetto completo.

«Uh, Hellin è tornata?» chiede Lara, una volta avvistata la crostata «Posso prenderne un pezzo?»

«Quando mai mi hai chiesto il permesso?»

«Facevo finta davanti a tua madre. Volevo sembrare educata.» ammette, per poi avvicinarsi al vassoio e tagliare una fetta, grande quanto quella di un cocomero.

«Potresti tagliarne un pezzo anche a me? Muoio di fame.» Dalia poggia la mano in prossimità dello stomaco, per sottolineare il concetto. «Ha un aspetto davvero invitante. Con cosa è fatta?» chiede, afferrando la fetta che le porge la mia amica.

«Pesche.» rispondo. «Ed è la migliore che abbia mai mangiato. Pensa che ho ideato il mio nuovo profumo concentrandomi su questa torta. Lo presenteremo subito dopo la sfilata.»

«Sono fiera di te.» risponde orgogliosa, prima di staccarne un morso.

La osservo assaporare quel dolce, con la speranza che le piaccia quanto piace a me. Lo so che non ha senso, ma è un po' come quando consigli un libro o una serie tv. Stai lì, ad aspettare notizie sul gradimento degli altri e, un po', ci rimani male nel momento in cui non va come speravi.

«Cosa c'è, mamma? Non ti piace?»

La vedo smarrirsi dietro a quel boccone, rimane di pietra, con lo sguardo perso nel vuoto dei suoi stessi pensieri. Lascia la presa, e la crostata scivola sul tappeto, a testa giù. «Mamma! Cosa succede?» Mi avvicino per assisterla, mentre Lara prende il telefono per allertare i soccorsi.

Continuo a chiamarla e passarle la mano davanti agli occhi, per riportarla tra di noi.

Sembra essere andata altrove, con la mente. Un posto che io non conosco ed è difficile da raggiungere. Una lacrima s'incastra tra le ciglia sottili, per poi scendere veloce a rincorrere i suoi demoni.

Passa qualche minuto, prima che riesca a riprendere una normale respirazione e spiegarsi.

«Ragazze, state tranquille.» Sorride, per calmare gli animi. «Ho solo avuto un attimo di smarrimento, succede.» No, succede che stavo per avere un infarto. «Avete detto che questa crostata l'ha fatta Hellin, vero?» chiede, spostando l'attenzione su altro.

Io e Lara ci fissiamo interdette, poi mi volto, per raccogliere quella lacrima che non può essere uscita fuori per un boccone di torta.

«Sì, mamma», mostro il dito inumidito dalla goccia di sale, «ma non tentare di prendermi in giro.»

«Pensi che mi darà la ricetta di questo dolce meraviglioso?» continua a cambiare discorso.

«Mamma!» La chiamo con tono di rimprovero. «Mi dici che succede?»

«Niente, Dafne.» dice divertita, come se non avesse appena avuto una specie di collasso mentale. «Voglio solo gli ingredienti di questa roba.» Indica la fetta sul tappeto.

«Okay, vado a chiamarla, ma dopo dovrai essere più specifica su quello a cui abbiamo appena assistito.» Annuisce e io non posso fare altro che esaudire i suoi desideri.

Apro la porta, per raggiungere Hellin nel suo ufficio, ma rimango imbalsamata sulla soglia, non appena vedo Elias andare nella sala relax, con la sua nuova ragazza. Mentre lui le stringe la mano, i miei battiti si fermano.

Non mi resta che chiudere gli occhi, per rimanere lontana dal cuore. Fingere di non aver visto niente, ma le immagini scorrono, sotto le palpebre, con la stessa forza di un treno che deraglia dai binari.

«Oh, cazzo!» La voce di Lara, dietro le mie spalle, mi fa capire che, anche lei, ha visto quella scena. «Ci eravamo sbagliate. Jonathan si era sbagliato. Quella non è una tizia qualunque.» Apro gli occhi e, loro sono ancora lì, parlano con Margot e sorridono. «Dafne, quella è Sally.» Scuoto la testa, pensando si stia sbagliando.

«Non può essere. L'ho vista un po' di mesi fa. Lei non è più come la ricordi.» Stringo gli occhi in due fessure, cerco di focalizzare meglio la figura e mi rendo conto che Lara non ha torto.

È proprio Sally ed è tornata nei suoi colori e nelle forme naturali. È lei, ed è bellissima.

«Ma che stronza. Io lo avevo detto che ci stava provando.» commenta, mentre stringe i pugni, così forte da farsi diventare bianche le nocche.

«Scusa, Lara, ci stava provando? Di cosa parli?» chiedo basita.

«Non te l'ho detto, perché me ne vergognavo, ma, quando tu eri a Parigi, li ho trovati seduti in un lounge e ho perso la testa.» La guardo confusa. «Le ho dato della sgualdrina, cose così, insomma.» minimizza un comportamento folle. «Quel bastardo ha avuto anche il coraggio di farmi la morale, ti rendi conto?»

Ora capisco tutto. Elias frequentava entrambe e, quando sono andata via, ha scelto di stare con lei. Gli ho solo agevolato le cose.

«Fatemi vedere questo essere orrendo.» Dalia si fa spazio per sbirciare e la vedo fare una smorfia disgustata, per poi rimanere a bocca aperta, non appena lo vede. «Ritiro quello che ho detto. Qualcuno ha decisamente esagerato con quest'uomo.» dice, in un'espressione che continua a parlare al posto suo.

«Dalia, un po' di contegno. Dobbiamo dire che è brutto.» La rimprovera Lara, mentre li vedo entrare nella sala relax.

«Io non dico bugie. Sarà anche splendido, ma rimane un grande stronzo.» Si sporge in avanti, si apre la strada, allargando le braccia per spostarci.

Capiamo che le sue intenzioni sono quelle di raggiungerli. Proviamo a tirarla dalle maniche, per fermarla, ma i tentativi sono inutili. Riesce a sganciarsi la giacca e a liberarsene. Procede a passo spedito, con l'aria di una che non ha buone intenzioni. Avevo il timore che mi facesse fare una brutta figura con Hellin, non avevo messo in conto la possibilità di un incontro con l'uomo che sta facendo soffrire la sua bambina.

Con Lara, tentenniamo un secondo di troppo, prima di seguirla.

«Ehi, tu, idiota.» La sentiamo alzare il tono della voce, non appena svolta l'angolo. «Come ti permetti a farti vedere qui, con lei?»

«Mi scusi, signora. Si presenti quantomeno, prima di offendere.» Le risponde sarcastico.

«Non hai più il diritto di fare la mia conoscenza.»

«Allora eviti di insultarmi, la prego.»

Resto ferma appena dietro la colonna, imbarazzata come una ladra che sta per essere scoperta.

«Sono la madre di Dafne.» rivela, quasi con orgoglio, mentre io mi chiudo nelle spalle, sperando di sparire nel nulla. «E tu sei uno stronzo!»

«Signora, si calmi.»

«Hai lasciato la mia bambina per una che non ne vale un quarto, ma non ti vergogni, almeno un po' a presentarti qui?»

È davvero troppo. Non riesco neanche a fermarla, bloccata dall'imbarazzo e dalla tensione di vedere ancora stringere quella mano che, ora, vorrei piegare.

«A parte il fatto che mi ha lasciato sua figlia, signora.» risponde.

E io mi faccio forza, per uscire dal mio angolo di vergogna e dolore e mettere fine a un teatrino che non doveva portare in scena.

«Mamma, basta!» La supplico, nella speranza che non faccia più danni. «Non ha senso ciò che stai facendo.» Le spiego. «Nessuno può comandare i propri sentimenti. Se si potesse, pensi che sarei innamorata di un uomo che non mi ricambia.» Mi avvicino, per afferrarla dalle braccia, sorridere e fingere che vada tutto bene.

Vedo Elias agitarsi. Guarda l'entrata della sala, sgrana gli occhi e sospira, prima di andare incontro al rumore dei tacchi che viene da fuori. Ma si blocca, non appena incontra la figura di Hellin, coperta in volto con un foulard indossato di fretta.

«Cosa sta succedendo qui?» La donna lo domanda con tono austero. «Ero in video conferenza, ho dovuto scusarmi, per venire a strigliarvi.» Elias continua a guardarla, cerca di farle capire qualcosa, scuotendo la testa, come se lei non dovesse essere lì. «Cosa c'è, caro? Sei sconvolto, che diamine hai fatto?» chiede, avvicinandosi a lui. «Mi stai facendo spaventare, Elias.»

Margot irrompe nella stanza. Si scusa con Hellin per essere andata in bagno e non aver contenuto quel caos.

Mia madre resta immobile, fissa un punto vuoto, si estranea da tutto ciò che le accade intorno. Proprio come poco fa, i suoi occhi si riempiono di lacrime. Inizia a tremare, come se il gelo avesse invaso la stanza, impadronendosi del suo corpo.

Elias abbassa la testa, arreso, mentre Hellin incrocia lo sguardo perso della donna che si trova dietro le sue spalle.

«Dalia?» sussurra, prima di abbassare le braccia lungo i fianchi, come se le forze l'avessero abbandonata.

Mia madre fa un passo verso la donna fasciata dalla stoffa che lascia intravedere solo gli occhi. Alza una mano, come a volerla afferrare da lontano, ma la ritrae incerta, prima di riprendere a respirare.

Forse, era meglio prima, quando potevamo ancora chiudere gli occhi e fingere che fosse tutto vero, nella speranza che il destino avesse scelto per noi, piuttosto che scoprire di aver vissuto in un'altra menzogna.

«Mamma?»

Stupido, stupido cuore.
Se solo non avessi avuto paura. (Hellin)

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