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32-Sentore di pesca

Dafne

Per poter ricominciare a vivere, bisogna imparare a lasciare andare. Così, mi è stato insegnato, a parole. In pratica, non ho la più pallida idea di come fare.

Non mi ero resa conto, fino a qualche tempo fa, che le mie ansie, le mie paure e tutto ciò che mi portava ad avere quei dannati attacchi di panico, avevano trovato la loro cura.

Era il mio Xanax. Una torcia nel buio che mostrava la strada verso la serenità. La potevo vedere dietro i nostri sorrisi e gli sguardi che riuscivano a non perdersi, anche senza incontrarsi. Ora, è rimasto solo il vuoto di un pozzo che sembra non avere fine.

Mi ritrovo, di nuovo, su quel tetto che, ancora una volta, tenta di placarli – la terza, da quando ho ripreso i turni al Mor –, con Steve.

Ho perso la lucidità in un attimo. È bastato che quell'uomo mi sfiorasse, pregandomi di ascoltarlo, per far ripartire quel maledetto meccanismo che affolla mente e cuore, mentre li fa cedere. È colpa sua. È colpa di Steve se mi ritrovo a sperare di tornare a respirare. Ha fatto di tutto per allontanarmi da Elias e dovrei complimentarmi per il magnifico lavoro.

Ci siamo cascati. Siamo caduti nella sua rete di bugie, le stesse che hanno azionato la voglia di distruggerle, ma che mi hanno portata a scoprire una verità che avrei preferito non conoscere.

Poggio le mani sul cornicione, le stringo sul granito, fino a sentire il dolore sotto le dita. Sento i suoi passi farsi sempre più vicini, troppo. Ogni volta che ne allunga uno, il respiro si accorcia.

«Devi starmi lontano!» Lascio uscire fuori il fiato che mi rimane, in un grido che tenta di soffocare quel malessere che mi sta torturando.

«Come vuoi, Dafne. Volevo solo rassicurarti.» dice in tono pacato. «Non molto tempo fa ci riuscivo. Pensavo-»

«Non credi sia tardi per pensare?» Blocco la stronzata che stava per dire, per poi voltarmi e guardarlo truce.

«Ehi!» Porta le mani avanti come a voler frenare quello sguardo di minaccia. «Non sono io il cattivo della storia, qui.»

«A me sembra che tu gli abbia dato una grosso aiuto, però.» rispondo, e lui porta una mano a stringersi i capelli.

Prova ad avvicinarsi. Lo fa, assicurandosi che io gli dia il permesso. Giro su me stessa, porto la testa all'indietro e chiudo gli occhi, mentre mi reggo dal cornicione per non perdere l'equilibrio. Riempio i polmoni di quell'aria che mi manca, mentre lui mi raggiunge.

Non dovrebbe importarmi delle motivazioni che lo hanno spinto a comportarsi come un calcolatore vigliacco, ma ho ancora troppi tasselli da incastrare.

«Ero accecato dalla gelosia, piccola.» ammette, stringendo i pugni sul granito fresco. «Stavo impazzendo nel rimare a guardare mentre ti perdevo. Lui ti stava portando via da me e io dovevo fare qualcosa.» Lo vedo picchiare la fronte contro le nocche. «Capisci, Dafne? Capisci cosa si prova a vedersi sfilare, da sotto il naso, qualcosa che stavi raggiungendo?» domanda, convinto di essere nella ragione.

Oh, sì che capisco. Ho ricevuto lo stesso trattamento. Stavo per raggiungerla quella felicità che mi avete strappato dalle dita che l'avevano appena sfiorata. Non si è allontanata, l'avete uccisa.

«Credi che prendere parte a quella sceneggiata, ti potesse aiutare ad avvicinarmi? Credi che riempirmi di bugie, ti avrebbe fatto passare come un eroe, ai miei occhi?» Sputo fuori tutto il sarcasmo che posso, in quelle domande che non pretendono risposta.

Ma lui le dà, comunque.

«No, aspetta.» Sorride, portando la mano a sfiorarmi una ciocca di capelli. Lo maledico con lo sguardo, e lui la ritrae. «Di quali bugie stai parlando?»

«Melissa non è incinta, Steve. Non mentire ancora.» Mi allontano di qualche passo, schifata dalla presenza di un uomo che non vuole ammettere i suoi sbagli.

Quel sorriso che stava mostrando, si piega all'ingiù, in un'espressione confusa.

«E tu che ne sai?» Mi guarda, aspettando una risposta che non ho intenzione di dargli. «Dafne, come fai a sapere che Melissa non è incinta? Rispondi.»

Trovo strano che non abbia alcun cedimento nel tono che mi rivolge. Il viso tradisce qualcosa che non riesco a cogliere, ma è anche possibile che io sia influenzata dagli eventi.

«Ho le mie fonti.» Mi limito a dire.

«Chi?»

«Che importanza ha?»

Si volta di spalle, lo vedo portare una mano a coprirsi il viso, per poi passare sulla nuca con la stessa intensità, mentre si scrocchia il collo.

«Bene.» sussurra, prima di girarsi, di nuovo. Non perdo il contatto con i suoi occhi oscuri, mentre si avvicina, ancora una volta ma, questa, resto ferma, impassibile. «Le tue fonti non mentono.»

«Almeno loro...» commento sarcastica.

Infila le mani nelle tasche ed emette una risata sardonica: «Neanche io. Non mi permetterei mai di farlo.»

E io aspetto. Aspetto che mi riempia, ancora una volta, di bugie. Aspetto che provi a manipolarmi, ma non glielo lascerò fare, perché non crederò a una sola parola di ciò che mi dirà.
Oppure sì?

«Parla!» ordino, quando vedo che ha difficoltà a farlo.

Ingoia un groppo di saliva, mentre io lascio che risalga l'acido dallo stomaco per vomitarglielo in faccia.

«Io non lo sapevo. Ho voluto crederle, senza prima assicurarmi che non stesse mentendo. Mi sono fidato di quel pezzo di carta e delle sue lacrime.» Si avvicina al cornicione per poggiare i gomiti sul ripiano. «Qualche giorno dopo, l'ho costretta a venire con me, da un altro ginecologo. Un amico fidato di mio padre. Solo in quel momento ho capito che ci aveva preso tutti per il culo.» Tira aria dal naso. «Era di questo che dovevo parlarti.»

«Mi stai dicendo che non eravate d'accordo?» chiedo, tra una risata stanca che nasconde dell'incredulità.

«Non sono un santo, Dafne. Ho sbagliato. Mi sono lasciato abbindolare di proposito.» ammette. «Ho visto, nella gravidanza di Melissa, un'opportunità per noi, per ricominciare, e l'ho colta, fottendomene del male che avrei potuto farti.» Alza lo sguardo che stava puntando la strada, in basso, e allunga una mano, nella speranza che la mia la sfiori. Non gli lascio altro che la resa di quel gesto. «Dafne, forse non lo hai ancora capito», fa una piccola pausa, avvicinandosi a un centimetro dal mio viso, «io mi sono innamorato come un ragazzino, e sto una merda al pensiero che tu possa odiarmi.»

Rimango immobile, bloccata tra una sorta di compassione che non ha senso di esistere.

«Steve, no, tu non mi ami.» Nego quell'evidenza che mi sta mostrando. «Quando ami, sul serio, vuoi solo la felicità dell'altra persona.»

«Lasciamela cogliere, allora. Quale sarebbe la tua felicità?» domanda, soffiando sulle mie labbra.

«Elias!» rispondo, fissando quegli occhi vuoti mentre si rabbuiano.

«Non mi sembra che la cosa sia reciproca. Ci sono io qua, con te. Lui dov'è?» Il tono denigratorio mi sfiora la pelle, insieme a quelle mani che non vorrei sentirmi addosso. «Sono stato egoista, Dafne, ma io ti amo sul serio; lui, è già tra le gambe di un'altra.» Sputa una sentenza che potrebbe essere anche reale.

«Tu stai delirando!.» Lo scandisco, in modo tale da sentire bene la mia stessa voce e crederci anche io.

Non credo più in niente. Vorrei  ancora farlo, ma la vita mi ha regalato solo emozioni illusorie, per poi strapparne l'ombra e portarla via, lasciando frammenti di un ricordo che non serve a colmare il vuoto che sento dentro.

«No, piccola.» Avvolge una ciocca dei miei capelli tra le dita e s'incanta a guardarla, prima di portarla dietro l'orecchio. «In fondo, lo sai anche tu, ma capisco che non sia facile ammetterlo, come, per me, non è facile accettare che lui occupi gran parte del tuo cuore.» dice, in un'espressione dispiaciuta. «Vorrei che ci fosse spazio anche per me, lì dentro.»

«Non c'è mai stato spazio per nessun altro.»

Vedo il momento esatto in cui il suo sguardo si chiude. Lo nasconde in un sorriso che non ha nulla a che vedere con la comprensione. Riesco a leggere una punta di realizzazione, in quella smorfia che non ha intenzione di spegnersi.

«Capisco.» dice, grattandosi sul mento. «Cercherò di dimenticarti, se è questo che vuoi. Posso tornare ad essere la spalla su cui piangere, ma non evitarmi, ti prego.» Si stringe nelle spalle, infilando le mani nelle tasche. «Ti chiedo scusa, sul serio, per aver creduto a Melissa, senza prima assicurarmi quale fossero le sue reali intenzioni. Andrò a scusarmi anche con Elias, per dimostrarti che sono sincero.»

Dovrei farlo anche io. Vorrei scusarmi con lui, chiedergli perdono, per aver distrutto quello che stavamo ricostruendo, pezzo per pezzo. Per aver lasciato la sua mano, proprio, quando ne aveva più bisogno, anche se non lo sapeva. Per aver deciso da sola, senza lottare, arrendendomi a un fato che non ci vuole insieme.

Avrei dovuto prenderlo a calci nel culo, quel destino e, invece, sono scappata, come la più stronza delle codarde.

Cosa diavolo mi è venuto in mente?

🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑

I giorni trascorrono lenti tra il lavoro, telefonate mancate e crostate di pesche confortanti. Hellin si preoccupa di farmene trovare una, sulla mia scrivania, ogni mattina. La cosa che trovo strana è che ne mancano sempre un paio di fette. 

Oggi ho trovato un bigliettino, sotto la cloche in vetro. Non posso non sorridere, quando ne scopro il contenuto:

Piccina, ti assicuro che, alla fine, andrà tutto come deve andare. Ogni pezzo mancante, tornerà al suo posto.

Il mio, è un sorriso che trasuda pentimento. Mi mordo il labbro inferiore, per sentire un dolore diverso da quello che mi sta facendo impazzire dentro, ma non basta a lenirlo.

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Sono settimane che non vedo e non sento Elias. Lara dice che è in via di ripresa, e questo mi dà sollievo, in parte. Voglio che lui sia felice, anche a discapito della mia serenità. Le parole di Steve, ancora mi rimbombano in testa, con un ritmo costante. Per Elias è sempre stato facile andare alla ricerca del suo sfogo personale, tra le gambe di una donna qualunque. Avrà messo da parte i sentimenti, o peggio, li avrà cancellati, per poter andare avanti con la sua vita e cestinarmi nel primo cassonetto dell'immondizia.

La sensazione di vuoto che sento nel petto, non accenna a diminuire.

Mi ritrovo in una voragine in espansione, porta via con sé ogni lacrima che tento di nascondere dietro a falsi sorrisi. Non mi resta che lasciarmi precipitare e seguire la scia di quel buio che, prima o poi, incontrerà uno spiraglio di luce.

Non so neanche come si fa a sperare ancora.

La mia adorabile coinquilina fa di tutto per ricordarmi la cazzata che ho fatto. Non di proposito, però. Ha trovato la sua metà in Jonathan. Vivono una specie di storia che esclude sesso e romanticismo, per ovvi motivi, ma lo fanno in simbiosi. Sarebbero la coppia perfetta, quelle delle favole, se non li accomunasse il loro gusto, discutibile, sugli uomini. Fanno la spola tra il nostro appartamento e il loft di Elias. Credono di essere d'aiuto alla causa.

Illusi!

«Buonasera, piccola primula di Kathmandu.» Jonathan mi accoglie, in casa mia e di Lara, con un sorriso.

«Come sarebbe questa primula?» domando, fingendo interesse.

«E io che ne so, l'ho detto a caso.»

Riesce a farmi sorridere, per davvero, questa volta, e mi rendo conto che serve, distrarmi con qualche stronzata.

I due, sono seduti al tavolo, in cucina, bevono dei piccoli shot, creando congetture sulla storia del campus.

«È sabato sera, ragazzi. Non avete altro da fare?» chiedo esausta.

«Abbiamo in programma di metterti a nanna, prima di uscire.» Lara risponde, incrociando le braccia, come se fosse una bimba offesa. «Pensavamo di farti un po' di compagnia, visto che non hai nulla da fare» dice, sbattendo sul tavolo una bottiglia di vodka liscia.

Ho dovuto chiedere a Steve, un periodo di pausa dal lavoro. Devo concentrarmi solo sulla sfilata. Tra poco più di un mese, Hellin presenterà i nostri abiti e le ho promesso che, quella stessa sera, riusciremo ad avere i tester del nuovo profumo e le modelle dovranno indossarlo, prima di uscire sulla passerella.

Mi avvicino alla vetrinetta e prendo uno di quei bicchieri da rum, più capiente, rispetto a quelli per dei miseri shottini. Poggio il vetro alla leva del frigo che eroga ghiaccio, e ne faccio scendere un paio di cubetti.

«Ti vedo pensierosa, Dafne.» Il tono preoccupato di Jonathan mi turba.

Non voglio che pensi che il mio stato d'animo sia dovuto al suo amico.

«Già! Ho creato un nuovo profumo, ma non mi soddisfa. Manca qualcosa.» dico, mentre verso il liquido alcolico.

«Ne hai portato un campione?» chiede curioso.

«Dovrei averne una provetta.» Cerco nella borsa che ho poggiato sulla sedia e, non appena la trovo, la porgo ai due ragazzi.

Jonathan solleva il tappo e avvicina il contenitore al naso. La sua espressione confusa, mi fa credere di essere lontana dalla perfezione.

«Cosa c'è che non va in questa meraviglia? Tu non stai bene, è delizioso.»

Il complimento è uno di quelli sinceri, ma io pretendo sempre il massimo da me stessa e da ciò che creo.

«Delizioso non è abbastanza, deve essere speciale.»

«Lo è, Dafne.» Lara concorda con il suo amico, prende qualche goccia del profumo e lo passa dietro le orecchie, sul collo.

No, non è perfetto. Sembra quasi che abbia risentito del mio periodo di merda.

«Come mai siete qua e non a tenere compagnia all'altro?» Rivolgo la domanda a Jonathan, senza capire come diavolo mi sia uscita fuori.

Lui mi osserva interdetto, per poi rivolgere uno sguardo complice, ma timoroso a Lara.

«Vedi, Dafne, Jonathan non sa come dirtelo, ma io sì.» So già che quello che sta per saltare fuori non mi piacerà, affatto. «Elias non è quasi mai a casa.» dice d'un fiato. «Sta frequentando una donna fissa. Non abbiamo ancora capito di chi si tratti, la tiene lontana.» Resto pietrificata per qualche istante.

Steve non mentiva dietro ai suoi deliri, lui deve averlo visto.

Sono appena entrata nel mio incubo personale. Quello che mi porta nelle fiamme dell'inferno che ho appiccato io stessa. Quello che mi vedrà bruciare a fuoco lento e soffocare gli urli di dolore nascosti da falsi sorrisi, per far credere che vada tutto bene. E, invece, non va bene niente.

«Dafne, devo dirti che è stato male sul serio per la vostra rottura. Non mangiava, non beveva. Sì era chiuso in casa, in completa clausura.» dice il ragazzo, per giustificarlo. «Non ce la faceva più. Siamo venuti a riprenderti, una sera, al Mor. Un cameriere ci ha detto che eri con Steve, su quel terrazzo.» Verso la vodka nel bicchiere, ho bisogno di sentire l'alcol incendiarmi la gola e dimenticare, ogni parola, per questa sera. «Vi ha definiti piccioncini.» Lo bevo di colpo, ne verso un altro. «Elias non ci ha visto più, ha chiamato qualcuno, mi ha accompagnato a casa, prima di sparire. Pensavo ricominciasse con la sua solita vita, invece, tutto mi lascia pensare che sia sempre la stessa donna.»

«Come lo sai?» chiedo nell'illusione che si sta sbagliando.

«Me ne avrebbe parlato. Questa la tiene ben nascosta.» Si alza dalla sedia, mi raggiunge, versa un altro bicchiere, come a disinfettare la ferita che sta per infliggermi. «Deve essere importante, Dafne, non ci sono altre spiegazioni, mi spiace.»

E io lo bevo, lo faccio senza respirare per qualche secondo, in modo da opprimermi dentro a quella bolla di alcol e pentimento che mi sta per scoppiare in testa.

Lara mi toglie il bicchiere dalle mani. Non mi piace lo sguardo che mi rivolge, perché ha il colore del rimprovero e, ora, non ho bisogno di questo.

«Dafne, che ti prende? Hai rotto le palle anni, per il tuo amore perduto.», afferma, come se stesse perdendo la pazienza. «Non riuscivi a capire perché le tue dannate farfalle non sfarfallassero per altri piselli. Ti sei chiusa a riccio nei confronti dell'amore, dando la colpa a un tradimento che, ora, sai bene che non è mai avvenuto.» Si sporge in avanti, stringe gli occhi in due fessure, per poi bere l'ultima goccia dal mio bicchiere. «Ora stai trattenendo un urlo, fingendo che la novità su Elias non ti abbia sfiorata più di tanto.» Sì, è vero, ci sto provando con tutte le forze. «Quindi, adesso, rispondi alla mia domanda. Perché cazzo lo hai lasciato?»

«Dovevo farlo» Mi limito a dire.

«Eh, no. Non mi accontento di questa risposta.»

«Vero, non ci accontentiamo.» Jonathan si accoda alla voglia di conoscenza di Lara. «Stiamo aspettando, Dafne!» Incrociano, entrambi, le braccia al petto, in attesa di una risposta che non posso dargli.

«Dovrei omettere delle cose, come sto facendo con voi. Non riesco a mentirgli.» Offro loro una spiegazione che dovranno farsi bastare.

«Be', è un po' ipocrita come discorso, non trovi?» chiede Lara, con tono accusatorio. «Se non ricordo male lo hai riempito di bugie, lasciandogli credere che lo stavi lasciando a causa mia.»

«Spoiler: non ci ha mai creduto.» Jonathan s'insinua nel discorso, per poi tapparsi la bocca.

Lara sorride. È come se, ogni cosa che esce dalle labbra di quest'uomo, le regali un momento migliore del precedente.

«Pensi che la vostra storia non mi abbia toccata?»

«No, affatto.» sentenzia lei. «Non sapevo ancora nulla di voi due, all'epoca. Per non parlare di Elias che non ti vedeva da millenni.» Con la mano mi intima di parlare, per poi alzarsi e prendere un'altra bottiglia di vodka. «Lo hai tradito? A Parigi, intendo.» Versa l'alcol nel bicchiere e me lo passa, lasciando che scivoli sul tavolo in legno.

«Da una parte, sarebbe stato meglio.» Lo afferro e ne tracanno il contenuto, per poi rendermi conto che non è la stessa vodka di prima. «Pesca!» realizzo, cambiando discorso.

«Sì, l'altra era finita, quindi?»

«Devo aggiungere una nota di crostata alla pesca, al mio profumo. Ecco cosa mancava!» Mi alzo di scatto, afferro Lara dalle guance per schioccarle un bacio sulla fronte. 

Prendo il telefono e scorro sulla rubrica, fino a trovare il numero di Lucien. Lo chiamo per assicurarmi che possa venire a prendermi e portarmi in laboratorio.

È probabile che Lara e Jonathan si stiano confondendo con i miei deliri, ma poco importa. Credo di aver risolto uno dei miei problemi.

Passo al successivo...

«Chi è questo Lucien?» chiedono in coro, mentre mi osservano smarriti.

«Vi spiegherò tutto domani.»
rispondo.

Infilo la giacca e prendo la borsa. Non voglio spegnere l'entusiasmo che sento ora.

«A proposito di domani!» Jonathan mi blocca, poco prima di uscire dall'appartamento. Mi volto e prego che la sensazione che mi ha procurato quel tono, non si trasformi in qualcosa di reale. «Non fare tardi. In mattinata abbiamo deciso che andremo a fare un giretto dalle parti del campus, con Elias.»

Il mio inferno si trasforma in un limbo, dove vago, senza meta, ma sono più vicina al paradiso di quanto mi aspettassi. Il pensiero di rivederlo è po' come un'iniezione di morfina: può lenire il dolore, ma non è una soluzione. Rischia di bloccarti il respiro, ma non t'importa niente, perché, quel benessere momentaneo è lo spiraglio di luce che stavi cercando, da troppo tempo. Preferisci illuderti di stare bene, anche solo per un secondo, e poi un altro ancora, fino a quando il cuore non si spegne, per sempre.

Non lo sapevo, ma lo stavo aspettando, il momento della verità.

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