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31-Lei mi ha lasciato

Elias

Aspetto!

Sono impaziente, come una donna che deve far pipì in una discoteca e, davanti a sé, ha una fila chilometrica ad attenderla, prima di arrivare alla porta del bagno.

Non menziono gli uomini, perché, noi, abbiamo il dono dell'ubiquità. Possiamo essere in più posti contemporaneamente e riuscire a pisciare in ognuno di essi. È un modo per marcare il territorio.

È strano però!

Sono partite stamattina verso le otto, il volo ha una durata di circa otto ore e trenta minuti, dovrebbero essere arrivate nel primo pomeriggio. Sono le venti e sto iniziando a preoccuparmi, seriamente. Lei, mi ha chiesto di temporeggiare nel mio appartamento; io, avrei voluto aspettarla in aeroporto. Ho preferito accontentarla.

La distanza che ha messo tra noi è andata oltre ai chilometri che ci hanno separati. Non oso infrangere quel muro invisibile che ha innalzato, ma vorrei disintegrarlo, prenderlo a pugni per farlo crollare, chiederle perché cazzo lo ha costruito e urlare, non per farmi ascoltare – le grida tappano le orecchie –, ma per liberarmi da questo senso di frustrazione che stringe nel petto.

Sento suonare il campanello, mi convinco che sia lei e mi precipito ad aprire. Dalla foga, urto, a piedi scalzi, all'angolo del mobile in salotto – spero che nessuno si sia fatto male, cadendo da lassù.

Non nego l'estrema delusione provata nell'aprire la porta e scoprire che il suo aspetto è decisamente diverso. La pelle, color del caramello, mette in risalto gli occhi scuri e taglienti. I riccioli, in testa, accarezzano la fronte spaziosa. Il sorriso, racchiuso nelle labbra carnose, non ha nulla di malizioso, rispetto a ciò che speravo di vedere e, cosa più importante di tutte: ha un pisello di troppo!

«Cosa ci fai qui, Jonathan?» chiedo, rassegnato dalla sua costante presenza, per poi voltargli le spalle e andare verso la cucina open space.

«Sono venuto a farmi i fatti tuoi, amico.» risponde, dallo stipite, prima di entrare, senza aspettare il permesso. «Com'è andata?» domanda, con la speranza di una risposta che possa colmare la sua indole da regina del gossip.

«Non è ancora arrivata.» Passo le mani sulle tempie, con le dita ne massaggio le sopracciglia. «Sparisci, prima che lei arrivi.»

«Ah!» Si limita a esternare.

«Ah, cosa?» Alzo lo sguardo, stringendo i pugni sul tavolo. «Cosa cazzo non mi stai dicendo, Jo?»

«Dovrai estorcermi le parole con la forza.» dice, raggiungendomi a braccia conserte con il suo solito fare da drag Queen pettegola.

«Okay, Jonathan, ciao! Sai dov'è la porta.» Conosco il mio amico, è un animale da gossip, lo fiuta a distanza e non vede l'ora di raccontarlo. Fingere di non essere interessati, lo porta a implodere. Sempre!

Tre.
Due.
Uno.

«Lara è appena uscita con Dafne a mangiare un boccone!» dice tutto d'un fiato. «Pensavo fosse passata da qua, prima. Quindi direi che, sì, è arrivata.»

Cazzo!

Il primo istinto sarebbe quello di ri-travestirci da Man in Black e andare a vedere cosa stia combinando. Questo, però, porterebbe Jonathan a essere fiero delle sue idee idiote e non voglio dargli soddisfazioni. Opto per la cosa più sensata da fare, almeno credo.

Prendo il cellulare, poggiato sul tavolino da tè, in salotto, e digito sulla tastiera varie ipotesi di messaggio che cancello, più volte.

Elias; ore 20:05: Dove sei? Io sto ancora aspettando la mia sorpresa...

Passa qualche minuto, e io non faccio altro che fissare il display per aspettare quella risposta che tarda ad arrivare, mentre Jonathan apre gli sportelli del mobile della cucina, per afferrare ogni cosa commestibile, al suo interno.

Dafne; ore 20:11: Arrivo tra un'ora.

Così, secco e freddo, come lei in questi giorni.

Mi costringo a non agire da egoista e a non pensare che avrei dovuto essere la sua priorità, anche se lei lo sarebbe stata, per me. Prego che il suo distacco, sia stato solo per una questione di impegni, perché, tra: Scusami, sono stanca e Perdonami, ho un forte mal di testa, ho avuto l'impressione che volesse arrivare a una chiusura.

Probabilmente, sto andando oltre. Vedo il marcio in qualunque cosa, gesto o parola, ormai.

Passa più di un'ora, non è ancora arrivata. Jonathan ha preso la residenza sul mio divano. Sorseggia birra ghiacciata e si ingozza di cibo, non proprio salutare.

«Se-bri un co-ggode ibba-botato.» Farfuglia qualche strano rito, a bocca piena, non ne afferro neanche una parola.

«Non si parla a bocca piena, non te lo hanno insegnato?» chiedo, mentre ingoia il boccone, per rendersi comprensibile.

«Dicevo che sembri un coglione innamorato.» Sputa la sua sentenza. «Uno di quelli che ti divertivi tanto a prendere in giro, lasciando a loro i tuoi avanzi.» dice, prima di conficcarsi qualche altra schifezza in bocca.

«Tu, invece, sembri un coglione e basta» rispondo, pigro, per non dare troppa importanza alle sue parole.

«Cosa ti prende, Elias? Inizio a preoccuparmi.» Posa la ciotola, con le patatine, sul tavolino, per poi alzarsi dal divano e raggiungermi in cucina. «Dafne ti ama, Elias. Vedrai che sarà solo un po' scombussolata per il viaggio. Sei diventato un bravo cagnolino fedele.» Mi sbeffeggia, nel suo buffo modo di tirami su di morale, e sembra riuscirci, perchè sorrido, anche se tento di nasconderlo.

Si è fatto tardi.

Jonathan, troppo brillo per mettersi alla guida, stanco per chiamare un taxi, decide di restare nella camera degli ospiti, per la notte. Anche se Dafne dovesse arrivare, non sarei più nel mood di ricevere sorprese, di nessun genere.

Ormai, senza speranze, all'una passata, decido di infilarmi sotto le coperte, nella convinzione che, quella ragazza, non voglia proprio vedermi.

Guardo l'orologio, dopo un po' di tempo trascorso a fissare il soffitto, cullato dal bagliore della luna che oltrepassa i vetri delle finestre

Sento rumori provenire dall'ingresso. Mi alzo di scatto, credendo stiano entrando i ladri, sbatto le dita dei piedi, questa volta allo spigolo del letto. I Santi con me non hanno scampo. Li farò cadere tutti!

Arrivato in salone, zoppicante, mi rendo conto che i ladri non bussano. Capisco chi mi aspetta dall'altro lato della porta, e la apro. Lei è davanti a me, ma sembra alticcia, riesce a reggersi in piedi a stento.

«Cos'è successo, Dafne?» chiedo, preoccupato per lei.

«Abbiamo fatto la se-», sbiascica le parole completamente stordita dall'alcol, «se-serenata alcolica con Laura» continua a storpiare i termini.

«Forse, vuoi dire: abbiamo fatto una serata alcolica con Lara?» annuisce. «Come mai?» chiedo, divertito dalle sue condizioni.

«Sh!» sussurra, portando il pollice sul naso. «Non posso dirtelo, è un segreto, segretissimo!» Non riesco a non sorridere per questo suo modo buffo di reggere l'alcol. «Non ne ho pot-ttuto parlare, neanche con Laura! Però, in compenso, ho saputo che te la sei scopata t-tempo fa.»

Mi colpisce, come con una lama in pieno petto. Dovevo essere io a dirglielo. Avrei voluto farlo. Ho tentennato e lasciato che lo facesse qualcun altro, per paura che, quest'ennesima stronzata ci avrebbe spezzati. Quella della lontananza, era solo una scusa. La verità è che non avevo le palle di farlo sul serio, ma dovevo essere io, non lei, non Lara del cazzo.

«Non me lo ricordo neanche, giuro! Ero messo molto male, quella notte.» ammetto, cercando di giustificarmi.

«Non importa, sc-opatore seriale.
Ti sei fa-tto tutta New York, avrei d-ovuto immaginare ti fo-ssi fatto anche la mia micia... amica, scusa» farfuglia, tra i singhiozzi dovuti alle sue condizioni.

Non sta dicendo una cazzata.

Non ho mai negato di essermi buttato, a capo fitto, tra le cosce di ogni bella donna passata tra le mie braccia fredde e calcolatrici. Non ho mai negato di essere un fottuto stronzo, ma non pensavo potesse fare così male sentire queste parole da lei.

Decido di trascinarla a letto, deve riposare per riprendersi da questa sbornia. Potremo parlare meglio domani mattina, questa sera sarebbe follia.

«No!» Trascina l'ultima lettera, come se le lenzuola fossero fuoco vivo, lamentandosi, da vera bambina capricciosa. «Non voglio dormire, voglio giocare un po' con te.» Piagnucola, mentre tenta di togliere via il vestito. La sorreggo, per non farla cadere e la stendo sul letto con estrema cautela. «Lo hai dato a tutte, perché a me no? Te lo sto chiedendo per favore, sono una persona gentile, io.» Punta l'indice in alto, ma tiene le palpebre chiuse, cullandosi con la sua stessa voce.

«Dormi, scarabocchio. Ne parliamo domani.» Sussurro, per poi lasciarle un bacio tra i capelli che profumano di casa... la mia casa.

🚪🚪🚪🚪🚪🚪🚪🚪🚪🚪🚪

Non chiudo occhio, fino alle prime luci dell'alba. Mi perdo nell'osservarla come fosse l'ultima volta.

Desidero imprimere ogni suo lineamento, anche quello più sottile, per il timore di poterlo dimenticare. Dafne è bellissima. Non come il giocattolo che desideravi da bambino, ma come quello che hai sempre avuto e portato con te, credendo che, senza di lui, non saresti mai stato, davvero a casa.

Dormo solo qualche ora. A risvegliarmi è il rumore della porta della camera che si richiude. Dalla stanza, sono sparite le sue cose, insieme a lei.
Mi alzo di scatto, per raggiungerla e fermare la sua voglia di scappare via da noi.

La blocco, proprio nell'attimo in cui afferra la maniglia dell'ingresso.

«Dove stai andando?» chiedo, con la speranza di una risposta che non sia quella che ho capito da un po'.

«Non posso più restare» dice, sistemando la borsetta sulla spalla.

«Tu non vai da nessuna parte, Dafne.» Mi avvicino, per afferrarla da un braccio e tentare di avere una spiegazione valida al suo comportamento indecifrabile.

Quel modo che i suoi occhi hanno di parlare, ora, mi feriscono.

«Mi devi lasciare stare!» Le lacrime che li bagnano, però, dicono il contrario, ma lo faccio.

Non costringo nessuno a restare nella mia vita, contro la sua volontà, neanche lei, neanche se mi sta uccidendo.

«Non sapevo di Lara, non lo ricordavo», Mi giustifico, anche se so che non ho bisogno di farlo, «ma non è questo, il tuo problema, vero?» Mi allontano di qualche passo, quando mi accorgo della sua espressione distrutta, forse, più della mia.

Siamo tra uno specchio rotto. Lei da un lato; io dall'altro. Allungo la mano per toccarla, per riportarla dall'altra parte di quel maledetto vetro, accanto a me, per non perderci di nuovo, ma l'unica cosa che rimane, sono resti in frantumi, fra le dita sporche di sangue, mentre si stringono in un pugno.

Lo scorrere dell'acqua della doccia, ci riscuote. Dafne, dà un'occhiata in direzione del bagno, lascia che le lacrime seguano il flusso di quel suono.

«È solo Jonathan.» specifico, anche se non dovrei.

«Non ce la faccio, lo vuoi capire?» Urla, come se la colpa fosse di una idea malsana che ha di me, ma io non le credo.

È solo una scusa.

La vedo sparire, dietro la porta che si richiude alle spalle.

Lo ha fatto. Lei mi ha lasciato. Ho pensato di essermi sbagliato, solo per un attimo. Ci ho creduto, ancora una volta, e so bene che lo rifarei, altre mille volte ancora, fino a quando non crollerò, stanco, senza più nessuna forza a tenermi in piedi. Proprio come ora.

Le braccia umide di Jonathan, infilate in un morbido accappatoio, mi avvolgono da dietro e io mi aggrappo a quella sensazione di calore, nel gelo che, lei, ha lasciato nella stanza.

«Non preoccuparti, amico mio. Andrà tutto bene, te lo prometto» sussurra, per cercare di consolarmi.

Ma non serve a niente...

🌑🌒🌓🌔🌕🌖🌗🌘🌑

I giorni passano e sembra quasi di essere in una specie di altrove che mi ricorda, ogni singolo minuto, che lei mi ha scaricato e io devo lasciarla andare, rimanendo incastrato in un letto vuoto. Non avevo mai notato quanto fosse grande.

Lavoro, come un automa, da casa. Non ho voglia di vedere nessuno, anche se sono costretto a sopportare Jonathan.

Ha deciso, senza il mio consenso, di trasferirsi da me, giusto per il tempo di ripresa, dice. Preferirei restare solo, ma non credo mi voglia ascoltare.

Hellin, passa tutte le sere. Mi porta una fetta della sua crostata di pesche. Non riesco a mangiare nulla, ma la sua torta la infilo in bocca in modo avido, la gusto, come fosse la cosa più buona del mondo. È la mia ancora.

Mi riporta indietro nel tempo, avvolgendomi, come una coperta che profuma di ricordi.

Anche Lara mi ha fatto visita. Neanche fossi un malato terminale. Ha costretto Jonathan a portarla con sé, per potersi scusare e giustificarsi. Era alticcia e se lo è lasciato scappare, perché aveva paura di perderla, dal momento che ormai, il discorso, era uscito fuori.

Non me ne frega un cazzo!

Ho bisogno solo di una cosa, in questo momento, e nessuno di loro può darmela.

🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑

È sabato sera e il mio pensiero va a Dafne, come sempre. Sarà al Mor, per il suo turno del week end. Avrebbe dovuto iniziare la settimana scorsa.

Mi preparo, dopo aver fatto una doccia rigenerante e spruzzato mezza boccetta del mio profumo. Prendo il suo, dal cassetto del comodino, ne apro il tappo per sentirne l'odore e immaginarla, ancora, accanto a me. Mi ha tenuto compagnia, nelle ultime settimane.

«Stai andando a prostituirti?» Jonathan urla dal salotto. Probabilmente, sono stato eccessivo con la mia boccetta.

Lo raggiungo, portandomi dietro uno spirito diverso, da quello che ho mantenuto in questi giorni.

«Sto andando a riprendermela.» Alzo la cerniera della giacca di pelle, per poi portare le mani a stringere il colletto.

«Vengo con te!» risponde entusiasta. «Andiamo a riprendercela.»

Andiamo?

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Arriviamo al Mor, ma di lei non sembra esserci traccia. Perlustro ogni centimetro di questo cazzo di pub, ma niente. Lei non è qui.

«Scusa, Dafne non è di turno stasera?» Fermo il primo cameriere che mi passa davanti e chiedo a lui.

«Sì, si è spostata un attimo. Il boss le doveva parlare» risponde infastidito. «Sono usciti da lì» Mostra la porta che conduce al terrazzo. «Noi qua sgobbiamo e loro pensano a fare i piccioncini. Mah!» Si lamenta, mentre va via, credendo di non essere sentito.

Io lo sapevo che Lara era solo una scusa. I suoi occhi parlano prima di lei. Non ha avuto il coraggio di ammettere che ha perso la testa per quell'idiota del cazzo.

E io, ora, non posso fare altro che ripagarla con la stessa moneta. Quella che mi è stata offerta qualche settimana fa e che non ho colto per stupidi sentimentalismi.

Ah, l'amore, che cosa stupida. Ho provato a farlo rientrare nella mia vita, ma pare proprio che lui voglia restare fuori da quella porta di merda. Bene, la chiuderò a chiave, a doppia mandata.

Non lo farò con una qualunque, no. Qualcuna mi sta aspettando da un po'.

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