30-Devi avere la febbre
Dafne
Parigi! Mi devi una sorpresa!
Continuo a fissare il display del telefono. Guardo e riguardo il messaggio di Elias, nella speranza di riuscire a rispondergli, ma è tutto inutile. Non ho la forza di affrontarlo.
Sono in bilico, su un filo invisibile. Non ne vedo né l'inizio, né la fine. Non posso raggiungere nessuna delle due estremità. Rimango appesa nel vuoto della sofferenza che è tornata a bussare alla mia porta. Io sono stanca, ma lei no. Lei si diverte a nutrirsi del dolore della gente, del mio male, quello che mi lascia illudere che sia tutto finito e, invece, vuole ancora spolparmi.
Come potrei anche solo guardarlo negli occhi e continuare a mentirgli, se non sono in grado di rispondere al telefono.
Non posso permettere che accada ancora una volta, che sia io a riempirlo di bugie.
Ho ascoltato le parole di Vanessa, assorbito il suo malessere. Ho provato anche a capirla, in verità, ma non è facile mettersi nei panni di una donna che conserva un tale macigno nel cuore. Mi rendo conto che non posso permettermi di giudicarla, io non ho idea di cosa abbia passato davvero. Se solo ci penso, tremo.
Vivere una vita nel terrore che possano portarti via tuo figlio, e non per un solo giorno, per mesi o anni. Strapparlo al mondo, mettere fine ai suoi respiri, spegnerne il battito, con la consapevolezza che tu esisti ancora, ma lui no.
Preferirei non vederlo mai più anche io, ma sapere che gli ho offerto la possibilità di essere felice.
Elias non lo è, però.
Lui è convinto che lei sia morta a causa sua.
Ho bisogno di prendere aria, restare sola, con me stessa e capire come comportarmi. Esco dall'appartamento, lasciando le due donne, sul divano, a fissarmi con aria preoccupata. Non prendo neanche il cappotto, ho solo voglia di scappare lontano, trovare un posto dove poter pensare, avvolta dalla luce delle stelle.
In questo momento, solo loro mi potrebbero aiutare.
Fuori dal portone, l'aria fresca della sera mi sorprende, lasciandomi un brivido sulla pelle, sotto la maglia sottile.
Non sapevo che Lucien fosse di turno stanotte. Appoggiato alla Urus, a braccia incrociate, sembra aspettarmi. Non appena mi vede, da lontano, apre lo sportello posteriore dell'auto. Vado verso di lui e lo saluto con un cenno della testa.
«Dove vuole che l'accompagni, Madame?» chiede in modo formale.
Lo guardo come se fosse capitato per caso, ma sono abbastanza sicura che sia stata Hellin a metterlo in guardia sulla mia uscita.
«Portami in un posto buio.»
Il ragazzo, inarca un sopracciglio, in un'espressione perplessa.
«Mi scusi, ma non capisco.»
«Voglio andare in un posto dove posso vedere bene il cielo.»
«Oh, allora la porterò nel mio posto preferito.» afferma entusiasta, mentre entro in macchina. «Permetta solo un secondo», dice, prima di chiudere la portiera, «devo fare una telefonata.»
«Basta che mi ci porti, fa' un po' quel che vuoi.» rispondo atona.
Si allontana dalla macchina e lo vedo parlare al telefono per qualche secondo. Quando ritorna, prende il posto alla guida, accende il motore e mi rassicura sulla mia meta.
«Aspettano noi, Madame.» Resto in silenzio, persa nei miei pensieri a osservare la città che corre veloce attraverso i vetri.
In lontananza, vedo le luci della tour Eiffel, illuminare i dintorni. Questo posto non è l'ideale per godere del cielo.
Quando ferma l'auto, apro lo sportello, senza aspettare. Mi guardo intorno e continuo a chiedermi che razza di idea abbia dei posti bui, questo ragazzo.
«Prego, Madame. Da questa parte!» Mi invita a seguirlo, mostrando un piccolo battello sulla senna.
Indico l'imbarcazione, come a chiedere conferma di aver capito bene, e lui annuisce.
«Dopo questo, puoi darmi del tu.» Sorrido, incamminandomi verso quella meraviglia. «Un calice di champagne e sarebbe perfetto.» dico ironica.
«Ho già avvisato il capitano di mettere una bottiglia al fresco, madame.»
«Okay, Lucien.» Mi volto per guardarlo negli occhi e fargli capire che, la mia, è proprio una minaccia. «Se mi chiami madame, ancora una volta, non risponderò più delle mie azioni.» Le sue attenzioni non rientrano nelle competenze lavorative, eppure, ha davvero pensato a tutto.
«Va bene, come vuoi, Dafne.» Ridacchia, alzando le mani, in segno di resa.
In prossimità della scaletta del battello, mi porge la mano, per aiutarmi a salire.
Qui su, l'aria è più fresca e, mi pento subito di non aver pensato di portare il cappotto, ma le attenzioni di Lucien, mi sorprendono, ancora una volta. All'estremità della barca, è stata preparata una comoda seduta con caldi plaid imbottiti e un paio di grandi cuscini a fare da schienale.
Mi accomodo, afferro la coperta e la porto fin sulla punta del naso. Lui mi segue, accoccolandosi sotto il tessuto, insieme a me, pur tenendo una distanza di sicurezza.
«Posso farti una domanda?» chiede, con gli occhi puntati verso il cielo.
Dalle casse del battello, sento uscire una musica dolce, mi culla come fosse una ninna nanna, suonata al chiarore delle stelle.
«Potrei mai dirti di no, dopo tutto questo?» domando, puntando il dito in alto, mentre lo ruoto in senso orario.
«Come mai, Miss Hellin ti ha presentata come la sua collaboratrice?» Lo vedo voltarsi verso di me e io continuo a non staccare gli occhi da quella magia che sto ammirando. «Non ha mai portato nessuno, di quelli che lavorano per lei, a Parigi.»
Il tempo torna indietro. La luce debole, così lontana, ma così vicina da tenere attaccati i ricordi, mi dà la sensazione che tutto possa cambiare. Le cose cambiano e le persone lo fanno insieme a loro. Un fatto non cambierà mai, però: il modo in cui guardo il cielo nelle notti stellate.
Pensando a lui...
«Non lo so.» rispondo incerta, mentre alzo e abbasso le spalle. «Credi nell'amore a prima vista?»
«Oh, certo che ci credo.» Lo sento sorridere.
«Ecco, tra me ed Hellin è stato amore a prima vista.» Poggio meglio la testa sul morbido cuscino, prendendo un grosso respiro.
«Ah.» Mi imita e torna a guardare in alto. «Chissà che mi credevo.» Sussurra, ma faccio finta di non averlo sentito.
Vedo passare una stella cadente, la vediamo insieme e urliamo, indicandola, eccitati.
«L'hai vista anche tu?» domando.
«Certo, era grande quanto la mia testa!» conferma, portando le mani sulle orecchie, senza toccarle.
«Che peccato.» Sbuffo, mentre riporto sul naso la coperta caduta sulla base in legno.
«Hai espresso un desiderio?» Si avvicina con le mani, sfiorando le mie.
«No, esprimilo tu.»
«Guarda che possiamo farlo entrambi.»
«Ho le mie convinzioni.»
Ora le stringe, le mani che prima stava solo sfiorando.
«Quali sarebbero, Dafne?» sussurra il mio nome, come se fosse qualcosa di prezioso.
«Vedi, Lucien, è probabile che quella stessa stella l'abbiano vista migliaia di persone.» Mi guarda con l'espressione confusa. «Se tutti esprimessero un desiderio, lei non potrebbe avverarli, quindi, preferisco che il mio desiderio lo prenda tu.»
Il suo volto cambia, leggo negli occhi la commozione per la stronzata che ho detto.
Da ragazzina lo pensavo sul serio, ma dopo anni passati a desiderare il mio lito fine, non ci credo più.
Ho perso ogni speranza di essere felice, non credo più a niente. Li ho sempre ceduti tutti i miei desideri, tanto non verranno esauditi.
O forse sì.
Ne vedo cadere un'altra, ma quel desiderio, questa volta, lo conservo, per sicurezza.
«Quand je lève les yeux vers vous, on dirait que le monde tremble.» Lucien lo dice di punto in bianco e mi costringe a voltarmi.
«Eh?» So bene cos'ha detto, ma fingo di non aver capito.
«È una frase di Artaud. Recita: quando ti guardo sembra che il mondo stia tremando. Ed è proprio così, Dafne. Dal primo momento in cui ti ho vista, ho sentito cedere la terra sotto i piedi. La tua bellezza è pari alle meravigliose opere d'arte che conserviamo. Queste stesse stelle provano imbarazzo al cospetto della tua luce.»
Bleah!
Sfilo la mano dalla coperta per poggiarla sulla sua fronte. Il palmo e poi il dorso. Fingo di bruciarmi.
«Sì, Lucien, è arrivato il momento di tornare a casa.» Lo canzono. «Scotti, devi avere la febbre.»
Mi guarda stranito, prima di scoppiare in una risata che riecheggia sulla Senna.
Io ed Elias meritamo questa serenità.
💫💫💫💫💫💫💫💫💫💫💫
Appena metto piede in casa, rimango immobile, sulla porta, per osservere le due donne, mentre ingurgitano ogni sorta di schifezza, guardando Titanic.
«Vieni a sederti qua con noi, piccina.» Hellin mi fa cenno di accomodarmi sul divano per unirmi alla commovente visione.
«Grazie per l'invito, ma no, grazie. Passo.» rispondo disgustata.
«Sei arrabbiata con me, Dafne?» domanda con timore.
«Nah.» Sprofondo nel sofà, afferrando un pugno di palline di cioccolata ripiene al latte. «Sono arrabbiata con la vita, sa essere davvero bastarda, delle volte.»
Vanessa mi osserva con lo sguardo spento, ricco di quella malinconia mista a pena.
«Dafne, perdonami.» dice rammaricata. «Ti sto costringendo a mentire a Elias, dopo tutto quello che avete passato.» Porta le mani al petto, mentre stringe le dita sull'altra, in un pugno. «Io ho fatto tutto perché lui fosse felice e, ora, gli sto togliendo questa possibilità, me ne rendo conto.» Mi guarda dritta negli occhi, con aria seria. «Non sarà per molto, Dafne, me lo sento, ma devi farlo per proteggervi e, se non ti importa di te stessa, fallo per lui.» Nella sua voce sento la preghiera di una madre stanca che riesce comunque a lottare, per amore.
«Okay, non dirò niente, avete la mia parola.»
«Sarai in grado di mentire senza spezzarti?» No, questo non potrà mai accadere.
Mi spezzerò in mille pezzi e altri ancora e, se non dovesse bastare, in frammenti ancora più piccoli, fino a diventare più sottile della polvere, ma lui... lui conta di più della mia fuliggine.
«Sarà solo il tempo a dare questa risposta.» mento.
La situazione non sarà facile da gestire. Sua madre è viva e lui potrebbe togliersi il peso del senso di colpa, se solo sapesse. Sarebbe capace di mettere a soqquadro l'intero universo per trovare quel bastardo e riavere sua madre, però.
E io sarei un'egoista, se aprissi la bocca.
«Dai, piccina, danniamoci l'anima con questo capolavoro.» Supplica Hellin con un sorriso accomodante che vorrebbe fare dimenticare tutto, per il momento, almeno.
Per la prima volta, dopo tutti questi mesi, mi accorgo di quanto il suo sguardo riesca a farmi sentire a casa.
«Non mi sembra la serata adatta per iniziare a drogarsi.» affermo ironica.
«Stai prendendo in giro Leonardo?» chiede, mimando un colpo al cuore.
«No, lui mi piace. Ma Titanic, andiamo. Non sono mai riuscita a vederlo.»
«Troppo commovente e plebeo per i tuoi gusti raffinati?»
«Soporifero!» puntualizzo. «Mi addormento dopo i primi venti minuti e mi risveglio alla fine, se tutto va bene.»
«Dai, provaci ancora una volta» Stringe le labbra in un broncio. «Sono sicura che non ti addormentarai.»
«Ammiro la tua convinzione. Potrei crederci anche io» rispondo in segno di resa.
Rimane solo la luce del televisore a illuminare la stanza. Ogni tanto, mi volto a osservare le due donne che continuano a riempirsi la bocca di cioccolata. Sembra consolarle dal finale devastante di quel film. Sanno tutti come andrà e mi domando come facciano a guardarlo ugualmente.
Un finale già scritto che non può essere cambiato.
Un po' come il nostro.
Ma siamo noi i registi di questa pellicola e possiamo ancora gestirne le scene.
🚢🚢🚢🚢🚢🚢🚢🚢🚢🚢🚢
La storia si ripete.
Mi risveglio sul divano, alle prime luci dell'alba. Forse, questa volta, sono riuscita a guardare più di venti minuti, ma non potrei giurarlo.
Mentre sistemo le ultime cose in valigia, mi rendo conto che mancano un paio di orecchini. Non sono di valore, ma mi piacciono molto. Rovisto in ogni angolo della stanza. Guardo sui comodini, dentro l'armadio, sul pavimento, sotto il letto. Niente. Esco in corridoio. Li avrò tolti ieri sera, e poggiati su uno dei mobiletti all'entrata. Ne apro i cassetti, pensando che qualcuno che si occupa delle pulizie li abbia infilati lì dentro. Infatti, avevo ragione. Sono sopra una cornice che contiene una foto che ritrae Hellin al campus. Mi domando perché quest'immagine fosse nascosta in quei cassetti.
Stringo quel pezzo di mettallo tra le mani, cercando di imprimerne i dettagli.
Elias era veramente piccolo. Tiene la mano di quella che immagino sia sua nonna Rose. Mi soffermo a osservare ogni tratto del volto di quel bambino che non conoscevo ancora. Era bellissimo, con la lo sguardo perso nel vuoto, ma bellissimo. All'ultima fila, dal lato opposto, un ragazzino che avrà avuto l'età di Matt, ha lo sguardo rivolto nella sua direzione. Ha un viso familiare, ma non riesco a ricordare dove io possa averlo visto. I capelli scuri, coprono la fronte ed è impossibile vedere il colore degli occhi. Qualche chiletto in più, mette in risalto un volto paffuto dal quale spunta un grosso neo, sulla guancia sinistra.
Quell'occhiata che rivolge proprio su Elias, mi provoca un brivido dietro la schiena. Sfilo la carta traslucida dal vetro che la protegge, e la infilo nella borsa. In realtà, non ho idea dei motivi di questo gesto, ma lo faccio comunque. Forse, è stata la sensazione di malessere che mi ha provocato o, forse, voglio tenere con me un pezzo della vita di Elias, di prima che riempisse la mia.
«Sei pronta ad andare?» La voce di Vanessa mi sorprende alle spalle, provocandomi un sussulto.
«Sì, devo solo infilare questi in valigia.» Mostro gli orecchini, prima di chiudere la cerniera della borsa, per nascondere la mia refurtiva.
«Ehi, Dafne», sussurra, avvicinandosi per offrirmi un po' di calore, «andrà tutto come deve andare, me lo sento.» Tenta di consolarmi, ma io non so se crederci ancora.
«Dai, andiamo.» Hellin sbuca nel corridoio con una valigia più grande di quella dell'andata.
«Che ci hai messo lì dentro.» chiedo perplessa.
«Il cadavere di Lucien.» risponde. «Credi che non abbia notato come ti guardava quando siamo arrivate?»
So bene che mi sta prendendo in giro e mi fa sorridere questo suo modo di fare.
Sento bussare alla porta e mi avvicino per aprirla, pensando ancora al morto nei bagagli. Il mio sorriso si spegne, quando vedo che, al di là dell'anta, non c'è il solito autista, ma un tipetto tarchiato e calvo che dovrebbe avere, più o meno, l'età di Hellin.
Le rivolgo uno sguardo di sbieco, prima di guardare la valigia e ingoiare il groppo che tengo in gola.
«Non l'ho fatto davvero, Dafne, stavo solo scherzando.» Puntualizza, notando il mio sguardo.
Dopo aver preso le mie cose in camera, le porgo all'autista che mi rivolge un piccolo sorriso, prima di scendere le cose in auto.
Gli abbracci, per salutare Vanessa, non si sprecano. Crede che ci rivedremo molto presto, ma io non sono della sua stessa convinzione.
Rimango con un magone nello stomaco, quando la macchina si allontana e, voltando l'angolo, lei sparisce, insieme a quello sguardo che mi ha scaldato il cuore, in questi giorni. Lo stesso di suo figlio.
«A cosa stai pensando?» chiedo a Hellin, dopo svariati minuti di silenzio, chiusa nella sua aria rassegnata.
«A Vanessa!» risponde. «Ogni volta che vado via da qui, lascio un altro piccolo pezzo di me a lei.» Si volta per guardarmi, stringendosi nelle spalle. «Amo Elias, come fosse un nipote e Vanessa una figlia. Doveva essere tutto diverso. Dovevano essere insieme, quei due.»
Già, ma la vita è una gran stronza, il più delle volte.
Vengo distratta dal suono del cellulare che si trova nella mia borsa. Lo prendo, per vedere il messaggio che mi è appena arrivato.
Elias: Non ho idea del perché abbia accettato il tuo mutismo. Mi manchi da morire, scarabocchio.
«Scarabocchio!» ripeto in un sussurro, per poi poggiare la testa sul sedile.
«Cosa?» Hellin mi guarda interdetta.
«Niente, pensavo ad alta voce.»
«A cosa pensavi?»
«Sono anni che Elias mi chiama scarabocchio, non mi sono mai chiesta il motivo. Non so neanche se voglio conoscerlo, in realtà, magari è solo una stronzata. Mi piace molto, però.»
«Io lo so perché ti chiama così.» dice, accendendo la mia curiosità. «Era per i suoi disegni. Io e Rose volevamo venire a conoscerti, ma i miei impegni lavorativi, mi permettevano di passare da quel campus solo la mattina presto. Molto presto.» sottolinea. «Un giorno, decisamente arrabbiato, ci mostrò uno di quei disegni terribili, che avrebbero dovuto ritrarti, ma, quello che vedevamo, io e Rose, era solo uno scarabocchio.» continuo ad ascoltare questa storia come se fosse la mia. E lo è, in parte. «Lo deridemmo, Rose lo fece. Era così carino, e quei fogli così orribili. È un mago con il computer, ma con la matita è una vera schiappa. "Sarà anche uno scarabocchio, ma è il mio scarabocchio preferito." Lo ricordo come se fosse ieri, quel suo tono canzonatorio.» Il sorriso si rabbuia e lo nasconde dietro al cappello che indossa.
«È meraviglioso.» dico con aria sognante, immaginando la scena di un bambino che sapeva già cosa voleva, anche quando ancora non sapeva di volerlo.
«Sì, è molto dolce, non credevo ti chiamasse così.» Si avvicina, sporgendo la testa, verso di me. «Parlava anche del tuo splendido profumo. Ammetto che aveva ragione. È uno di quelli di nicchia?» domanda, portando l'aria dalla sua parte, con la mano.
«Più che di nicchia parlerei di esclusivo.» ammetto orgogliosa di me. «Mi divertivo a fare miscugli strani da bambina. Mia madre mi procurava le essenze migliori. Quando è venuto fuori questo, non l'ho più abbandonato.» dico entusiasta. «Ho sempre amato il mondo dei profumi e, con il tempo, ho frequentato corsi da famosi nasi profumieri, per farne più di hobby.»
«Mi stai dicendo che tu sai fare anche i profumi? Perché non me lo hai mai detto?» La sua eccitazione, agita anche me. «Sono stufa di queste produzioni commerciali. Ho bisogno di cose del genere per il nos-» Si blocca, sgranando gli occhi per il piccolo errore. «Il mio marchio.»
Lascio correre, ma l'imbarazzo che si sente nell'aria si potrebbe tagliare con un coltello.
«Se vuoi posso lavorare a qualche nuova fragranza.»
«Voglio la formula di questo. La pagherò quanto vale.»
«No, Hellin!» rispondo perentoria. «Potrei farti mille altri profumi, ma questo è solo mio.» E di Elias.
Non sarà mai sulla pelle di altre donne. Ha toccato solo la mia, sfiorato i desideri di Elias nel ricordo di me, di noi insieme, anche quando eravamo lontani. Lo ha cercato, e ha potuto trovarlo solo quando ci siamo riincontrati. Non lascerò che mi confonda con l'odore di un'altra.
«Affare fatto!» Mi porge la mano per stringere la mia, in segno di accordo.
Entrambe entusiaste del nuovo progetto, arriviamo all'aeroporto, senza renderci conto del tempo trascorso. Una volta dentro l'aereo, Hellin ha un piccolo sussulto.
«Avevo completamente dimenticato di dirti del cadavere.» dice, per poi portare la mano a picchiare la fronte, mentre fissa i posti in fondo al corridoio.
Quando mi affaccio, la sua presenza mi sorprende. Il sorriso disegnato in volto, la luce negli occhi scuri e la mano nei capelli biondo cenere, mi provocano un senso di confusione che non riesco a spiegare.
«Cosa ci fai tu qui, Lucien?» domando attonita.
«Non so cosa mi sia preso, Dafne.» Si alza dalla poltrona, per poi avvicinarsi e tentare di afferrare le mie mani. Le ritraggo. «Sento di dover andare dove vai tu.» continua, anche se lo vedo che rimane male per il mio gesto. «Sarò il nuovo autista di Hellin a New York.»
È serio?
Oh, cazzo!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro