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29-Sono un coglione!

Elias

Qualcosa nell'aria è cambiata e deve aver colpito Dafne in piena faccia.

Da un paio di giorni, la sento distante e non per una questione di mancanza di tempo. È diventata monosillabica, fredda, sbrigativa, durante le brevi telefonate e i messaggi elemosinati. Non credo sia infastidita per il mio essere poco perspicace, nell'interpretare gli indizi sul luogo in cui si trova. Sa bene che sono un uomo pragmatico.

Ha smesso anche di mandarli, non mi resta che concentrarmi su quelli che mi sono stati inviati nei giorni scorsi, mentre aspetto Jonathan in un lounge nel centro di Manhattan.

Il sabato, abbiamo un appuntamento fisso per il brunch. Stamattina mi ha chiamato per prepararmi a una sorpresa, almeno, così dice.

«Buongiorno, bell'uomo! Aspetta qualcuno?»

Una voce femminile e famigliare mi riscuote. Esito un attimo prima di alzare lo sguardo e incontrare quello di una persona che non mi aspettavo di vedere. La donna che ho di fronte ha cambiato aspetto: i capelli sono tornati del loro rosso naturale e le labbra hanno avuto il tempo di riprendere una forma sottile.

«Sally?» domando incredulo «Certo che sei tu, e sei uno splendore!» Mi alzo dalla sedia per salutarla, affascinato dalla trasformazione. «Cosa ci fai qui? Mi avevano detto che ti eri trasferita.» La squadro da capo a piedi, tenendole le mani, ancora interdetto.

«I piani erano questi, in effetti, ma ho deciso di non lasciare il lavoro a metà.» Si guarda intorno con un'espressione difficile da decifrare, quasi malinconica e lascia la presa dalle dita che la stringono. «Non posso permettere che se la sbrighino dei perfetti incompetenti.»

Sposta la sedia, accanto alla mia, per accomodarsi.

«Di cosa ti occupi di preciso?» chiedo, più per intavolare una conversazione che per curiosità.

«Rimozione spazzatura, al tuo servizio.» porta, rapida e rigida, la mano destra sull'arcata sopraccigliare.

«Cioè, raccogli immondizia?» domando perplesso.

«No, cos'hai capito?.» La prende sul ridere, dandomi una pacca sulla spalla. «Dirigo i lavori dalla scrivania, per lo più.»

Ora è tutto chiaro.

«Credevo fossi una donna che preferisce gli eventi mondani.»

L'avrei presa meno peggio, se mi avesse confessato di fare la prostituta.

«Ho anche il tempo per quelli.» Sottolinea. «Per l'appunto, volevo chiederti, se ti andasse di vederci, per un calice di vino, una di queste sere. Ho bisogno di parlarti.»

Fino a qualche mese fa, non mi sarei posto alcun problema.

Avrei accettato a occhi chiusi, l'avrei portata in uno di quei ristoranti di lusso che sembrano piacere molto, un po' a tutte. Avremmo bevuto del buon Chianti, affogato i cattivi pensieri con alcol e sesso, ma ora no.

Ora Dafne, riempie tutti i miei spazi vuoti, con la sua sola esistenza, non permette alla mente di vagare altrove. Non mi dà pace. Ha occupato testa e cuore, proprio come tanti anni fa, senza che io me ne rendessi conto, senza che mi accorgessi che mi ero fottuto il cervello, proprio come ora.

«Chi non muore si rivede.» La voce di Lara ci sorprende e non mi lascia il tempo di declinare l'invito.

«E tu? Cosa cazzo ci fai qui?» chiedo, ricordando la nostra ultima conversazione.

Sul volto di Lara si accende la stessa espressione di odio di qualche mese fa.

«No, tu che cazzo ci fai qui, con lei?» Punta il dito contro di noi, mostrando me, per poi passare a Sally, come se stessimo commettendo il più grave dei peccati.

«Mi spieghi che problemi hai?» La ragazza, ancora seduta, si rivolge a Lara, mantenendo un tatto che, l'altra, ha lasciato per strada. «Perchè non abbassi quel dito, prima di fare illazioni inutili?»

Non l'ascolta e punta l'unghia affilata a un centimetro dal volto della mia ospite.

«Perchè conosco le donne come te, Sally.» digrigna fra i denti. «So bene a che gioco stai giocando.»

Sto ancora cercando di realizzare, non capisco se, questa follia, sta avvenendo sul serio o è frutto della mia fervida immaginazione.

«Oh, oh.» La donna si alza dal tavolo, raggiunge Lara, parandosi davanti a lei. «E, dimmi un po', come sarebbero le donne come me?» chiede, scuotendo la testa, come per raccogliere ogni parola che uscirà da quella bocca da serpe.

«Delle poco di buono, arriviste, psicopatiche.» risponde.

E io perdo il senno.

Mi alzo dalla sedia con poco garbo, scaraventandola sul marciapiede, mi avvicino, sposto Sally per prendere il suo posto di fronte alla strega.

«Hai rotto le palle con le tue opinioni del cazzo, Lara.» Sputo anche io quel veleno che tenevo conservato dalla sera al Mor. «Scendi dal tuo piedistallo fatto di merda e giudizi, prima che ti mandi a fanculo.»

Sento la mano di Sally tenermi dalla spalla, per frenarmi.

«Elias, non devi preoccuparti.» Mi rassicura. «Capisco benissimo che non tutti hanno la fortuna di crescere.» Rivolge uno sguardo che sembra volerla bacchettare. «Sono abituata a sentire puttanate sul mio conto e, ti do una notizia, cara Lara...» Si riavvicina a lei con aria minacciosa. «Non me ne frega un cazzo.» Si rilassa, aprendosi in un sorriso di derisione. «Ti lascio continuare a sbraitare contro Elias, io ne ho le ovaie piene.» Si volta, per andare via, senza preoccuparsi di dire un ultima cosa: «Aspetto una tua chiamata, bell'uomo. Spero che tu ti faccia sentire al più presto.» La vedo ammiccare verso l'altra ragazza, come a lanciarle l'ultima sfida.

Rimango impietrito, ma piacevolmente sorpreso dalla sua reazione di scherno. Una donna che si lascia scivolare addosso degli insulti così pesanti, non può che avere la mia totale ammirazione.

«Cosa diamine è successo qui?»  Jonathan fa la sua comparsa con ben mezz'ora di ritardo. Osserva la sedia ancora rivoltata sul marciapiede, per poi guardarci con aria confusa. «Non mi dite che mi sono perso il dramma? Cazzo, devo imparare ad essere puntuale.»

L'asfalto sembra rovente, lo sento attraverso le scarpe. Vorrei andarmene per non inveire contro quella ragazza, sputare tutto il rancore verso la sua lingua tagliente.

«Che cosa cazzo era quella?» E, invece, resto.

Resto, perché ha osato mettere in dubbio la mia buona fede.
Resto, perché ha dato per scontato che fossi con Sally per scoparmela.
Resto, perché mi sono rotto il cazzo di essere additato, da lei, come un mostro.
Resto, perché deve imparare a chiudere quella bocca che sa vomitare solo veleno, nei miei riguardi.

«Non lo so.» risponde lei, stringendosi nelle spalle, imbarazzata.

«Posso capire anche io?» chiede Jonathan, confuso.

«Non c'è niente da capire.» Lo ammonisce, per poi stringere il labbro inferiore tra i denti.

C'è tanto da capire, invece. Milioni di cose da spiegare per giustificare il rancore che mi porti. Vorrei trovare un senso a tutto questo astio, ma di sensato, qui, non vedo niente.

«Te lo dico io cos'ha combinato la tua amica.» L'intenzione è proprio quella di accusarla davanti a Jonathan, per lenire la mia frustrazione e fare in modo che diventi la sua, mentre annega nella vergogna. «Ha visto che ero seduto qui con Sally...»

«Quella tizia che ti sei scopato?» chiede lui.

Lara mi guarda con una luce negli occhi che grida: hai visto, avevo ragione!

«È stato quasi due anni fa.» Specifico, per spegnere la soddisfazione della ragazza. «Quindi? Mi vuoi rispondere, Lara? Cos'era quella follia?»

«La scenata di una stupida!» ammette, nascondendosi dentro le sue stesse spalle, per l'imbarazzo. «Ti ho visto con lei e non ho più ragionato. Sono un'idiota.»

«Stai parlando con il re degli idioti, miss!». Jonathan, nel il suo goffo tentativo di sdrammatizzare, mi indica, senza rendersi conto di quanto io sia incazzato, sul serio.

«Non riesci proprio a tenere la bocca chiusa, vero?» Me la prendo con lui che ha la capacità intuitiva di un Koala.

«Okay, forse è meglio che sto zitto.» dice, per poi portare la mano vicino alla bocca è mimare la chiusura di una cerniera.

Rimaniamo in silenzio, per un po'.

Vado verso il tavolino e rialzo la sedia da terra. Nel trambusto, non mi ero accorto degli sguardi curiosi puntati sulla nostra sceneggiata. Respiro, per riprendere concentrazione e calma, mentre do un'occhiata  intorno, fino a quando, quegli stessi sguardi, diventano invisibili.

«Possiamo avere una conversazione normale, per una volta?» Chiedo, rivolto a Lara, mostrando la sedia che ho appena rimesso in piedi, per invitarla ad accomodarsi.

E lei lo fa e, per un miracolo divino, riesce a stare zitta, solo per un attimo, ma quel poco basta per calmare gli animi.

«Ti chiedo scusa, per tutto, Elias.» Ho come la sensazione che si stia forzando per fare uscire quelle parole, ma me le faccio bastare, e anche quelle dopo. «Ho sbagliato a non lasciarti parlare, quella sera, ho sbagliato a chiudere gli occhi e non ascoltare.» Tiene la testa bassa, come se, sotto il tavolino, ci fosse una giustificazione sensata. «È che mi sono lasciata influenzare da quel modo che hai di usare le donne.»

Non le ho mai usate, no. Sono sempre stato onesto con loro, tranne una sola volta. Con Melissa. Nascondevo la mia rabbia dietro una vendetta assurda che non mi permetto più di legittimare, anche se prima lo facevo.

«E chi ti dice che loro non usassero me?» domando retorico. «Anche voi sapete interpretare la dannata stronza. Io non mi sono mai nascosto. Mi considero più un benefattore.» Ci scherzo su, per far capire che non mi sento offeso dal suo pensiero.

«Proponiti per la beatificazione.» S'intromette il mio amico, mentre tenta di spegnere una risata.

«Esatto, dovrebbero farmi Santo.» Mi fingo serio.

Noto che Lara è nervosa. Vorrebbe dire qualcosa, ma la soffoca tra i denti che stanno torturando il labbro.

Provo ad avvicinarmi, tentenno nel stringerle la mano, per rassicurarla. Non la ritrae la tiene ferma lì, nella mia, mentre mi guarda con il timore di fare uscire le parole.

«Dai, Lara, ormai siamo qui, è il momento delle confessioni. Dimmi quello che mi devi dire e facciamola finita.» Le sorrido, per farle capire che non sono infastidito dal suo atteggiamento.

Vorrei solo chiarire tutto e non sentirmi più additato da una persona tanto vicina alla mia ragazza.

La mia ragazza! Non mi ero mai reso conto di quanto, questo, mi facesse sentire vivo.

«Pensavo di essere speciale, Elias e, invece, sono stata solo una scopata.» Riesce a tirare fuori quello che stava tenendo dentro.

Per un po', rimango interdetto, cerco di capire a cosa si stia riferendo. Tiro via le mani che la stavano ancora stringendo, e le porto nel taschino della giacca per sfilare una sigaretta dal pacchetto.

La infilo tra le labbra, ma la tengo spenta. Ne aspiro solo il sapore pieno e corposo del tabacco, per poi piegarla tra le dita.

«Ma di che cazzo stai parlando?» stringo ancora più forte, fino a spezzarla e sentire la paglia toccarmi la pelle.

«Di noi.»

Sgrano gli occhi. La ragazza deve essersi calata qualche acido, non c'è altra spiegazione.

«No, vabbè, devo disdire l'abbonamento Netflix.» Jonathan, nel suo essere completamente imbecille, rimane interdetto quanto me. «Devo prendere i pop corn?»

Disorientato, cerco, nel cassetto della memoria, un qualsiasi dettaglio che possa aiutarmi a ricordare se ho davvero fatto la cazzata.

«Sul serio, Elias?» domanda mortificata. «Sono stata insignificante fino a questo punto?»

«Senti, Lara, sarò anche stronzo, ma ricordo ogni singola donna che mi sono portato a letto, credo.» specifico. «Quando avremmo fatto questa stronzata, illuminami.» Mi distendo sulla sedia, allungando le gambe, sicuro che la mia memoria non possa tradirmi.

«Capodanno di tre anni fa.» Mi rimetto composto, poggio il gomito sul tavolino e porto la mano a stringere il mento, strizzando gli occhi, mi forzo di non scoppiare a riderle in faccia. «Stavamo festeggiando nell'appartamento del mio vicino di casa, Jake. L'avvocato, te lo ricordi?» Faccio un cenno di assenso, ma resto zitto. «Abbiamo bevuto, molto. Talmente tanto, da non seguire gli altri in discoteca. Ci siamo spostati nel mio appartamento e, sì, è stato proprio lì che lo abbiamo fatto.»

Ero così ubriaco quella notte, che potrebbe anche essere vero. Mi volto verso Jonathan, per cercare comprensione nei suoi occhi. Niente pop corn, ma sgranocchia patatine, come se fosse, sul serio, al cinema.

Entrambi lo stiamo fissando e, solo quando si rende conto, alza la mano per attirare l'attenzione della ragazza al servizio tavoli

«Qua ci vuole qualcosa di forte, altro che pop corn.»

Ho davvero fatto una cosa del genere?

Ricordo di essermi trovato, una sola volta, in un appartamento a me estraneo, ma potrebbe anche essere stato il risveglio di un giorno qualunque. Le immagini che mi passano per la testa, colgono un dettaglio di quella mattina. Potrei fingere di non avere altro di cui discutere, potrei fingere che lei si stia sbagliando, potrei... ma non posso farlo.

«Cheesecake.» dico. «Sul comodino, c'erano i resti di una cheesecake. È l'unica cosa che ricordo della mattina dopo.» continuo, presumendo che sia proprio il giorno di cui parla lei.

«Caramello e noci di macadamia.» risponde, senza che io abbia fatto la domanda.

«Cazzo!» sbatto la mano sul tavolino in metallo che produce lo stesso rumore che ha appena fatto il mio cuore. «Scusa.» Le dico, sinceramente, mortificato.

«È tutto apposto, almeno, ora so che non stavi fingendo.»

Avevo lavato via quella notte, come la doccia aveva fatto con i resti della torta, sul mio cazzo.

Non possiamo nascondere a Dafne questo particolare. Tra noi ci sono state e ci sono ancora troppe bugie. Non voglio chiudere a chiave anche questa storia.

Mi perdo nei pensieri. Infilo la mano nella tasca della giacca, per prendere il cellulare e mandarle un messaggio. Dentro di me, spero che sia stata lei la prima a scrivermi. Niente. Rimango imbambolato davanti a questa merda di display, mentre scorro gli ultimi indizi che mi ha inviato.

Pigio sulla tastiera, ma non invio quel testo che potrebbe essere la mia rovina, ora che è già distante, ora che siamo lontani.

Jonathan si rende conto che qualcosa non va e si avvicina, per dare una sbirciata allo schermo. Lo ritraggo.

Dovrebbe imparare a farsi i fatti suoi.

«Dai, Elias, sei strano, dimmi che hai.»

Mi arrendo subito, sarebbe stupido negarlo e non chiedere l'aiuto del pubblico.

«Devo indovinare il luogo in cui si trova Dafne.» spiego, scaricando la frustrazione sul telefono che stringo come se lo volessi rendere polvere. «Non ci arrivo, non mi sembrano neanche degli indizi, questi.»

«Fa vedere!» Lara mi porge la mano. Vuole che le ceda il telefono e non posso fare altro che accontentarla. 

«Vedi? Cosa dovrei capire da un profumo, delle verdure, un topo, un body e dei piccioni?» domando, mostrando le foto, mentre le scorre. «Spiegamelo tu, perché io non lo capisco.» dico rassegnato, per poi portare le mani a coprire il volto.

«Vedi, Elias, il problema di voi uomini è che peccate di superficialità.» Mostra, con le unghie le immagini, una per una. «Questo, non è un profumo qualsiasi; è uno Chanel. Questa, una Ratatouille. Una guêpière e poi, infine, i topi sulla Senna e i piccioni che invadono la città.

Sono un coglione.

Lara ha ragione. Mi sono lasciato fregare da immagini che credevo fossero, quasi, una presa in giro ma, dovevo capirlo dal primo messaggio. I dettagli, devo imparare a soffermarmi sui dannatissimi dettagli, quelli che stanno nelle piccole cose.

Lei è a Parigi. La mia ragazza è a Parigi!

Sono. Davvero. Un. Coglione.

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