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27-Lazzaro

Dafne

È stato così difficile allontanarmi da lui.

Tutti gli anni passati a odiarlo sono serviti a rendermi una specie di koala attaccata al suo ramo, oggi che viviamo della speranza di essere felici. Non voglio perderlo. Tenerlo stretto, mi fa sentire al sicuro.

Come se, il mondo, lì fuori, non potesse toccarci, mentre siamo noi a farlo

Lasciarci andare è stato come avere la consapevolezza che fosse per sempre.

Ho la sensazione che annegheremo, di nuovo, in un mare di bugie. Non voglio mentirgli, non dovrei, ma questa è una cosa che devo fare senza di lui. L'ho promesso a Hellin, ma non ha voluto che affrontassi da sola questo viaggio.

Seduta sul morbido velluto nero che ricopre le poltrone dell'aereo privato della donna, osservo l'elegante bar che sembra attendermi per alleviare la mia strizza verso il volo e ordino un paio di cocktail – uno, per farmi tenere compagnia da Hellin e l'altro per non svenire. La postazione offre una sfilza di pulsanti creati per essere premuti o, almeno, è quello che mi suggerisce il cervello dopo un paio di quei drink.

Più volte ho chiesto a Hellin come conoscesse la donna che sto raggiungendo a Parigi, ma non offre più che una vaga risposta.

«Un segreto per un segreto.» Ripeto la stessa frase che, qualche settimana fa, lei disse a me. «Perchè non mi racconti mai niente della tua vita?»

«Quella non è la mia vita, piccina. Ci sono cose che non mi competono.» risponde, riferendosi alla ginecologa.

Capisco cosa intende. Non tocca a lei parlare di questa storia, altrimenti, non sarei volata in Francia per conoscerla.

«Allora, parlami di te.» suggerisco, cambiando discorso. «Posso farti una domanda indiscreta?» tentenno, perché è come se già sapessi che dovrò accontentarmi di una risposta approssimativa che riuscirà a confondermi ancora di più le idee.

«Credo di sapere già cosa vuoi sapere. Chiedi pure.» Il modo in cui mi sorride è così rassicurante che non provo neanche a prenderla alla larga.

«Perché nascondersi?» domando. «Fuori dal tuo ufficio ti mascheri sotto strati di stoffa, indossi occhiali enormi che coprono anche gli occhi.» Poggio la mano sulla sua e la stringo. «È una mossa pubblicitaria o stai occultando qualcosa?»

Lo sento il sospiro dietro a quel sorriso al contrario.

«Credi che io abbia bisogno di fare strategie?» Chiede in una domanda retorica. «Dafne, avanti, è abbastanza palese. Non voglio farmi riconoscere.»

E quel sorriso diventa un po' il mio.

Sento un peso nel cuore, quando ascolto le parole che fa uscire fuori, e il dubbio mi angoscia.

«Qualcuno ti minaccia?»

«Diciamo che, ora, è più una questione di abitudine. Non sono pronta a sconvolgere gli equilibri nella mia vita.»

«Non riesci a spiegarti meglio?» Vorrei che si aprisse, vorrei esserci per lei come lei ha fatto sempre con me.

«Mi vergogno di me stessa, Dafne!» La sua confessione ha la suono del disagio. «Non puoi fare nulla per aiutarmi.»

Pensare che una donna come Hellin possa provare imbarazzo per sé stessa ha dell'irreale. Lei, sempre tutta a un pezzo, affascinante dietro a quei drappi pregiati che trasudano ricchezza, ma che, in realtà, nascondono una prigione.

Una prigione in cui è rinchiusa la regina della moda. Potrebbe liberarsene lei stessa, ma tiene ben conservata la chiave della libertà, per sua scelta. Ha deciso di non dire a nessuno dove la nasconde, perché, aprendo quella cella, fatta di lustrini e menzogna, l'orco cattivo saprebbe dove si trova.

Forse, viaggio troppo con la fantasia oppure, l'alcol ha fatto l'effetto che desideravo.

Atterrati all'aeroporto di Parigi-Le Bourget, cerco il cellulare nella borsa e tolgo la modalità aereo per mandare un messaggio a Elias.

"Che il gioco abbia inizio!"

Stava aspettando con il cellulare in mano, perché risponde dopo pochi secondi

Elias: Non merito un piccolo indizio?

Oh, certo che lo meriti.
Digito sulla tastiera e sorrido. Sono sicura che non coglierà.

Dafne: Arriverà, mon cher, non preoccuparti!

Elias: Il mio letto sente la tua mancanza.

Dafne: Avevo ragione, mi vuoi solo per il sesso. Devi dire al tuo letto di non preoccuparsi, tornerò.

Elias: Solo tu, piccolo scarabocchio ❤️

Non gli ho mai chiesto per quale motivo mi abbia affibbiato questo nomignolo, ma mi ha sempre provocato un sussulto al cuore. Se non ci fossero ragioni, non mi importerebbe, resterebbe perfetto comunque.

«Dafne, ho fame, muoviti!» Mi ordina Hellin dal portellone di uscita. «Giocherai dopo alla fidanzatina innamorata.» Mi canzona. «Ora voglio portarti a mangiare nel mio ristorante preferito.»

«Non mi dire che mi costringerai a provare escargot o altre cose disgustose?»

«No, santo cielo.» risponde disgustata. «Ti farò provare una Quiche Lorraine da leccarsi i baffi.»

«Una Quic-che cosa?» domando, provocando in lei una risata autentica. «Cosa c'è da ridere?»

«Niente, piccina. Mi hai ricordato una persona» La noto, mentre si commuove per qualcosa che per me ha poco senso. «L'autista ci sta aspettando.» puntualizza, dopo aver asciugato una lacrima, di nascosto.

Mi sono ripromessa di non pormi troppe domande con lei e di non rivolgergliele, ma è così difficile. Non voglio costringerla ad aprirsi con me. Arriverà quel momento, arriverà da solo, senza nessuna forzatura.

Un tizio, stretto in un completo di ottima fattura, in tinta con la Urus grigia che ci attende, sorride a Hellin non appena la vede, venendole incontro.

«Bienvenue, madame. Puis-je prendre votre valise?» Nasconde le mani dietro la schiena, insieme al cappello da autista.

I capelli biondo cenere, gli sfiorano la fronte. Il viso, perfettamente rasato, incornicia un paio di occhi scuri che sorridono, prima ancora che siano le labbra a farlo.

«Oui, Lucien. Lei è Dafne, la mia collaboratrice. Puoi prendere anche la sua valigia, per favore?

«Oui, madame. Perdonne moi, non l'avevo vista.» risponde con gentilezza, per poi venire ad aiutarmi con il bagaglio.

In macchina, durante il viaggio, dallo specchietto retrovisore, noto lo sguardo del ragazzo seguire più volte la mia direzione. Hellin fa finta di nulla, ma credo che anche lei si sia accorta dello sguardo insistente. Pigia su uno di quei pulsanti che attirano la mia curiosità, alzando il vetro oscurante che ci divide dall'autista.

Quel gesto mi porta a soffocare una risata che nascondo, voltandomi verso la strada.

«Quando incontreremo la dottoressa Sullivan?» domando.

È la cosa che più mi interessa, in questo momento e ho fretta di sapere tutto.

«Stasera. Ceneremo insieme a lei.» risponde.

Perfetto.

«Perché tutto questo mistero, Hellin? Se sai già cosa mi deve dire, perché deve essere lei a parlarmi? Perché portarmi a Parigi?»

Posso capire, certo, ma fino a un certo punto.

«Vedi, Dafne», la sua voce si stringe in una melodia malinconica, «i sentimenti delle persone sono come dei cristalli; splendono e sono bellissimi. Alcuni, riflettendo la luce del sole, riescono a creare magie di colori variopinti. Ed è proprio così che funzionano le emozioni.
Riflettiamo la luce dei nostri sentimenti e, delle volte, proprio come fanno i cristalli, possono trasformarsi in polvere.» Quell'alone di tristezza che sento uscire, insieme alle sue parole, mi dà un senso di angoscia. «Non so cosa si senta di dirti Vanessa e non mi permetterei mai di parlare al posto suo.» Specifica. «Non spetta a noi rivelare i segreti di altri. Chi tiene un segreto per troppo tempo, deve essere pronto a svelarlo.»

«Sei saggia! Cosa ti ha resa così?»

La donna si poggia allo schienale, con aria sognante e, mentre emette un respiro che sembra voler lasciare andare via il dolore, dice, quasi rassegnata: «La vecchiaia.»

Ride, e io la seguo. Ridiamo di gusto, per una cazzata. Ridiamo come si dovrebbe ridere, almeno una volta al giorno. Perché, anche se si passano dei momenti catastrofici, ridere fa bene al cuore e trasforma una giornata di merda in un'altra degna di essere vissuta.

Arriviamo sotto l'appartamento di Hellin che si trova in un palazzo storico al centro della città. Lucien si affretta a prendere le nostre valigie per salirle al piano.

Pensavo fosse un semplice appartamento. Mi ritrovo all'interno di un attico immenso che prende l'intero piano del palazzo.

L'ingresso, affaccia su un ampio soggiorno, illuminato da un numero considerevole di piantane da terra, applique a muro e un lampadario elegante che scende verso un immenso Add look round, sul quale non vedo l'ora di spalmarmi.

«Spero possiate passare un meraviglioso soggiorno, signore. Resto a vostra disposizione per qualunque cosa desideriate» dice il ragazzo, prima di congedarsi.

Vado in quella che è stata riservata per essere la mia stanza, a disfare le valigie. Vorrei fare una doccia, ne sento proprio la necessità, ma nella toilette in camera ci sta solo la vasca e non ho tempo per un bagno. Hellin ha fame, io ho fame. Mi infilo ugualmente, senza riempirla, per fare una scomoda sciacquata veloce, prima di vestirmi e fiondarmi con Hellin nel suo amato ristorante.

Durante il pranzo mando un piccolo indizio a Elias. Voglio essere buona e farlo arrivare subito a una soluzione, senza farlo scervellare troppo. Invio una foto della deliziosa ratatouille che ho sotto gli occhi.

La sua risposta non mi lascia buone speranze.

Elias: Delle verdure dovrebbero essere un indizio?

Ma cosa vuole, la foto del Louvre?

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Subito dopo il pranzo non mancano passeggiate, gelato e risate immerse in litri di caffè. La giornata inizia a essere stancante.

«È quasi ora, Dafne, sei pronta?.» domanda Hellin, riferendosi alla donna che devo incontrare.

Ammetto a me stessa di avere un po' di timore, ma non riesco a dirlo ad alta voce, anche se mi si legge in faccia, ora che mi rifletto nella vetrina di Chanel.

«Sì, non sono mai stata più pronta di così.» Talmente pronta da aver lasciato il cuore in quel riflesso.

L'ignoto mi ha sempre fatto un po' di paura. Sembra voglia prenderti a pugni nello stomaco e ti fa arretrare nel dubbio di ciò che si trova in fondo. Delle volte, basta aprire la porta che lo rappresenta, per scoprire che non era niente.

E se fosse tutto?

Non appena arrivate nell'appartamento, la prima cosa che faccio è togliermi i vestiti da dosso e appropriarmi della doccia, con cromoterapia inclusa, che riserva il bagno patronale. Spero che l'acqua lavi via anche questo senso di oppressione che mi attanaglia. Cerco di stare il più possibile sotto quel getto potente che potrebbe portare via anche i pensieri, strofino braccia e gambe con la spugna, fino a irritare la pelle, ma tutto rimane lì, come fosse parte di me.

Quantomeno, mi sento pulita e profumata, però.

Cerco di tornare in camera, questa casa è un vero labirinto e io non ho un grande senso dell'orientamento. Non so dove sia Hellin, in questo momento, ma di una cosa sono sicura: io mi sono persa. Provo ad aprire porte a caso, prima o poi troverò quella giusta. Rimango impietrita, quando, aprendo l'ennesima, scorgo una specie di santuario dedicato a Elias; foto incorniciate e appese alle pareti, articoli di giornale che lo ritraggono nel suo ufficio e durante party con donne diverse, ma una foto in particolare attira la mia attenzione. Non ritrae lui. È l'immagine di una donna attraente di mezz'età. Mi colpisce il suo sguardo triste, racchiuso in un paio di occhi gelidi. Cerco di cambiarlo, passando il dito sulla carta traslucida, come se potessi farlo davvero. Credo sia Rose, ma non vedo altre foto che la ritraggono insieme a Hellin.

Sento il rumore della porta d'ingresso che si chiude.

Vorrei chiudere a chiave questa stanza e non affrontare le mie paure. Vorrei farmi piccola e uscire solo quando quella donna se ne sarà andata.

Ho sempre lottato per la verità, ma ho la sensazione che, questa, possa cambiare il corso degli eventi, in qualche modo.

Ecco perché ne sono terrorizzata.

Mi ripeto che potrebbe farlo in meglio, ma è solo un modo per farmi forza.

Non perdo altro tempo e, una volta trovata la camera, indosso una maglietta over size che Elias ha voluto portassi, nel caso in cui la sua assenza fosse stata troppo dolorosa. Lego i capelli, ancora bagnati, in uno chignon disordinato e chiudo le mie paure dietro la porta della stanza.

Non posso portarle con me, le lascio marcire lì dentro, insieme all'immagine di quella donna dagli occhi di ghiaccio.

Mi affaccio al salotto. Hellin, seduta sul divano, mostra un sorriso preoccupato, mentre fa cenno, alla figura di spalle che io mi trovo dietro di loro.

La donna si alza dal sofà e la vedo sbattere un paio di volte le mani sulla longuette nera.

Come a togliere via la polvere dell'agitazione che noto nelle dita che tremano.

Perdo un battito, ma faccio finta di nulla, quando, voltandosi, capisco che l'immagine della donna, lasciata dietro la porta di quella stanza, è più reale di quanto potessi immaginare ed è di fronte a me, in carne e ossa.

«Devi scusarmi» dico, tentando di non buttare giù il groppo che mi si è incastrato in gola. «Non ti ho sentita arrivare, ero sotto la doccia.» mento, mentre cerco di darmi del tempo per riprendere il controllo.

«Desideravo davvero conoscerti.» Mi sorprende con il suo sguardo che di gelido ha solo il colore. Due iridi ghiaccio mi si scagliano addosso, insieme a un abbraccio che mi lascia attonita. «Prima di rispondere a qualsiasi domanda, devi promettermi una cosa.» La sua è una richiesta che viene da un cuore sofferente, lo vedo da come mi guarda.

«Non uscirà niente da questa stanza, se è questo che ti preoccupa.»

«Lo spero, davvero, ma Hellin si fida di te e io mi fido di lei, quindi... chiedi pure.»

«Melissa Spencer è davvero incinta?» Arrivo subito al dunque, non credo ci sia bisogno di giochetti.

«No.» risponde secca. «Qualcuno ha minacciato di rivelare chi sono e dove mi trovo.»

«Chi ti ha minacciata?» domando.

«Non ne ho idea. Aveva uno di quegli affari che modificano la voce al telefono.» Si stringe nelle mani di Hellin e lei cerca di tranquillizzarla.

«Come la conosci Hellin?» Mentre lo chiedo, una morsa mi stringe lo stomaco.

È come se fossi già arrivata a capire che deve dirmi qualcosa che sta proteggendo da troppo tempo, ma che stia trovando quel coraggio che mancava anche a me nel conoscerla.

«Fu Rose a presentarci.» Lo sguardo di lei, scivola su quello di Hellin che la ricambia con un sorriso malinconico. «Diciamo che siamo due fuggitive e questo ha fatto crescere il nostro legame.»

«Da cosa fuggite?» Cerco di rimanere fuori da ogni tipo di smanceria.

Ho solo bisogno di capire davvero, di sapere che, io ed Elias, un giorno, non troppo lontano, smetteremo di vivere una vita fatta di menzogne.

«Da un passato doloroso.» risponde.

«Passerete la vita a nascondervi?» Continuo a porgere le mie domande in maniera fredda e distaccata, perché, la realtà è che sto crollando.

«Ora Hellin è libera. Ha solo bisogno di una spinta per capire che può essere accettata.»

«E tu?»

«Io? Bè, io non mi sono mai nascosta per salvare me stessa.»

Quegli occhi!

«Perché, allora?»

Era questa la domanda che volevo fare fin dall'inizio. Quella domanda che mi bloccava, che rimaneva dentro e si rifiutava di uscire, aggrappandosi con tutte le forze per non essere detta ad alta voce. In realtà, volevo urlarla e sparire dentro a quelle stesse grida che mi stanno lacerando anche ora, perché è proprio la risposta a quella cazzo di domanda la cosa che temo di più al mondo.

Perché ti nascondi?

«Per salvare mio figlio.» Lo dice tra le lacrime.

Le stesse che neanche io, né Hellin riusciamo a fermare.

Come potremmo?

«Chi era Rose?» domando tra i singhiozzi, mentre mi avvicino a lei per cercare di fermare le nostre dita tremanti.

La mia anima va in frantumi. I pezzi sono così piccoli che nessuno potrebbe mai raccoglierli per ricostruirla. Ho bisogno di sentire dalla sua voce la conferma che non serve a nulla.

L'ho riconosciuto nella foto quello sguardo. Lo potrei riconoscere anche tra cento anni, anche solo se si specchia in quello di un'altra persona, come ora. In quegli occhi che riflettono i suoi.

Solo che stavo mentendo a me stessa.

«Mia madre!»

Ho appena raggiunto l'inferno, quello vero e, con l'anima sparpagliata in salotto, non potrei mai puntare al paradiso. Pensavo di averla raggiunta, ma lo sentivo dentro che era tutta una menzogna. Anche la felicità mi ha raccontato una marea di bugie.

Elias ha vissuto la vita, pensando di essere un codardo, un mostro. Pensando di averla stretta tra le braccia, per l'ultima volta, in un'agonia fatta di sensi di colpa.

Ha visto il corpo dilaniato di una donna morente.

La stessa che ho davanti e mi guarda con gli stessi occhi di suo figlio.

La madre di Elias è viva e io... e io sono morta.

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