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26-Non è facile

Elias

Un mare in tempesta, fino alle prime luci dell'alba, ora la quiete a sfiorarci i capelli, come quel lieve soffio di vento che passa da una finestra aperta.

Dafne ancorata al mio corpo, sembra un piccolo koala stanco, con i capelli arruffati e il mascara sbavato. Il letto sgualcito, racconta ogni momento di questa notte ormai al termine. Vedo la luce del sole farsi strada tra i lampioni ancora accesi. Tengo il viso tra i capelli, ne respiro il profumo, come sempre. Non mi basta mai. Ho passato troppo tempo a volerlo sentire ancora e ora non voglio privarmene.

Sento di poterla toccare quasi con mano, quella felicità che ho sempre cercato, ma qualcosa m'impedisce di afferrarla per davvero. Cerco di prenderla, di non lasciarla sfuggire. Allungo le dita e lei si sposta ancora un po', mentre io mi sforzo di raggiungerla.

Ieri mi ha fatto credere di aver perso per sempre la speranza. Mi ha frantumato. Si possono trovare ancora i cocci sul marciapiede, appena fuori dal sushi bar. Tutto lasciava pensare che stesse credendo a lui, non potevo immaginare che avesse capito il suo gioco.

Non mi aveva ancora mostrato il lato cazzuto e non avevo mai avuto a che fare con una donna alla ricerca della verità.

Ho sbagliato a non fidarmi di lei e non metterla al corrente sulla gravidanza di Melissa. Ha ammesso di essersi incazzata sul serio, ma solo per il mio intento di nascondergliela, per questo non posso fare altro che raccontarle quello che è uscito fuori, durante la cena con Sally. Niente più omissioni, ho chiaro il concetto, forse.

«Buongiorno, uomo.» La voce risuona tra le mura della stanza, ma i suoi meravigliosi occhi smeraldo, rimangono chiusi sotto le palpebre e vorrei toccare le ciglia che le sfiorano lo zigomo.

«Buongiorno, scarabocchio.» rispondo, per poi sfiorare la guancia con un bacio.

Ieri sera, abbiamo passato il tempo a chiarire le cose e fare l'amore, per poi chiarle ancora e rifare l'amore. Melissa e Steve non hanno avuto modo di entrare nelle nostre vite, almeno per una notte.

Continuo a tenere la mano tra la chioma, cerco di trovare delle parole che non arrivano, ma che devo fare uscire per forza. È il momento, credo.

«Ti vedo pensieroso, Elias. Che ti prende?» Non avevo notato che i suoi occhi mi stavano scavando dentro.

«Devo dirti qualcosa, scarabocchio, ma non so da dove iniziare.» Provo ad essere sincero, magari mi darò la spinta giusta, o me la darà lei.

«Che mi ami lo so già.» Mette la mano sotto le lenzuola, arrivando ad afferrarmi il cazzo, da sopra i boxer. «Devi dirmi di alleviare le tue pene, ho indovinato?» Ho un sussulto, mentre lo stringe per accarezzarlo.

La mattina è già un tormento, ma avere lei vicina è devastante.

«Così non mi aiuti, Dafne.» Le tolgo la mano, anche se non vorrei.

Si attenziona, esce dalle coperte per mettersi seduta sopra le lenzuola e aspettare.

Aspettare che le dica qualcosa che potrebbe devastarla. Non è facile.

«Cosa c'è che non va?» domanda preoccupata.

«Hai intenzione di continuare a fingere che non stiamo insieme e a lavorare per quell'uomo?» Prendo tempo, per trovare il coraggio che mi manca.

«Più o meno è questo il piano.» conferma i miei timori. «Vuoi che Steve capisca che sospettiamo del suo coinvolgimento nella storia della gravidanza?» scuoto la testa, perché ha ragione, ma dentro ho un fuoco che vorrebbe divampare. «Ho mandato un messaggio a Steve, ieri sera. Mi sono presa del tempo. Riprenderò a lavorare il mese prossimo.»

«Che ti sei dovuta inventare per convincerlo?» chiedo restio, mentre stringo gli occhi in due fessure, con il gomito poggiato sul materasso e la mano sulla guancia.

«Gli ho detto che devo partire per lavoro, con Hellin.» Tiene le braccia tese tra le gambe, mordicchiando il labbro inferiore.

«Brava la mia bimba.» Mi alzo anche io da quel letto sfatto, la stringo e la spingo, catapultandola con la testa sul cuscino morbido. «Potremo passare molte ore a farci male, come vogliamo noi.» dico, mentre affondo con le labbra nelle sue.

«No, Elias.» Mi scansa. «Ho davvero degli impegni con Hellin.» Alzo un po' il busto, inarco un sopracciglio, invitandola a spiegare.
«Dobbiamo testare alcune nuove sete da laboratorio.» Specifica.

«Quanto starai via?» Sento già la mancanza, e questo non va affatto bene.

«Non staremo via molto. Dovremmo tornare domenica.
Lunedì al massimo.»

«Dove andrete?»

Sorride, mi spinge e mi porta a stendermi supino, sale sopra il bacino, stringendo le gambe per bloccarmi.

Lei non lo sa che potrei anche morire tra le sue cosce, ma non mi sposterei comunque.

«Facciamo un gioco.» sussurra sensuale, prima di accarezzarmi tra i pettorali scoperti. «Non ti dirò dove andremo ma, durante il viaggio, ti invierò piccoli indizi.» Accende la mia curiosità. «Se indovinerai dove mi trovo, tornerò con una sorpresa.»

«La sorpresa saresti tu con niente addosso, dentro il mio letto?» La stuzzico.

«È una valida alternativa.» ammicca, scende con le dita, di nuovo, sul mio uccello che non ha smesso di pulsare, da quando sono sveglio.

«Dafne...», stringo il labbro fra i denti, tirando aria, «togli quella mano, non abbiamo finito.»

Sbuffa, ma mi ascolta e si allontana dal mio corpo, tornando a sedersi sul materasso. Inizia a osservarmi, la sua espressione confusa mi mette un po' di tensione.

Vorrei che continuasse a rimanere all'oscuro di tutto, tenere nascosto quel racconto in qualche angolo buio della memoria. Lì, dove non potrei vederlo neanche io, dimenticarlo, fino a quando non passerà il dolore che mi opprime da dentro.

«Con chi sei andato a letto?»

«Pensi davvero che potrei farti una cosa del genere?» domando infastidito. «Andiamo, Dafne, non abbiamo parlato per qualche ora, non sono così stronzo. Lascerei passare qualche giorno, una settimana, al massimo.» La prendo in giro, per non ammettere la realtà.

Lei è tutto ciò che desidero. Con lei ho imparato che il sesso senza amore è solo un inutile piacere personale che non vorrei mai più rincorrere. Fare l'amore con il mio scarabocchio ha tutto un altro sapore. Uno di quelli che non puoi dimenticare, che a un primo assaggio ti sembra strano, sconosciuto, ma sai già che non potresti più farne a meno. È l'emozione racchiusa in due anime che si uniscono, per stare bene, insieme, l'una tra le braccia dell'altra. Due destini che si sfiorano, stretti in un istante che non potrai mai lasciare andare.

«Per me non sarebbe così semplice.» dice, abbassando lo sguardo.

La raggiungo, mi siedo nel letto nella sua stessa posizione a gambe incrociate. Le alzo il mento, perché voglio che mi guardi negli occhi.

«Cosa credi, scarabocchio, che per me lo sarebbe?»

«Lo hai appena detto tu.» Mi rimprovera.

Sorrido ironico e stringo il mento tra le mie dita, prima di avvicinarmi e sfiorarle le labbra.

«Lo farei solo per punirmi.» sussurro. «Non ho nessuna intenzione di perderti di nuovo.»

Non mi prendo nessun bacio. Respiro e mi forzo a trovare quel cazzo di coraggio che non è arrivato da solo.

«Senti, Dafne...» dico, rivolgendo lo sguardo altrove. «Ho scoperto una cosa che non sarà facile da digerire.» Porto la mano a massaggiare le tempie, mentre il sole si sta prendendo tutto lo spazio nella stanza. «È probabile che tu non sia stata l'unica vittima di quell'abuso.» confesso.

«Cosa intendi dire, Elias?»

«Intendo dire che in quel campus esisteva una setta.» Le mani di Dafne si stringono sulle labbra, tappandone e il respiro. «Loro, ecco, loro facevano delle scommesse per portarsi a letto le ragazzine come te.» Sgrana gli occhi, la sento sospirare. «Giocavano a chi la faceva più sporca. Più schifosi erano, più guadagnavano. Non guardavano in faccia niente e nessuno e Matt era uno di loro.»

Vedo le lacrime scendere dai suoi occhi e rigarle la guancia. Vorrebbe parlare, ma capisco sia difficile mettere insieme le parole, in questo momento.

«C'è altro?» Si forza a domandarmi, mentre si tiene lo stomaco.

Sì, c'è altro, e farà male.

«Non erano mai soli quando mettevano in atto la scommessa.» Piega la testa di lato, con l'aria confusa. «Vedi, scarabocchio, portavano la setta a prendere parte agli abusi. Non so fino a che punto, ma tu e Matt, non eravate soli, quella notte o, almeno, è probabile che non lo foste.»

Preme sullo stomaco, un urlo incontrollato esce fuori, insieme alle lacrime che non può fermare. Si alza dal letto e corre in bagno. Resto un attimo impietrito, pensando di aver fatto una cazzata a raccontarle questa storia.

La sento, mentre svuota il dolore insieme al vomito e la raggiungo per tenerle la testa. La trovo distesa sul pavimento, con le gambe di lato e lo sguardo assente. Mi siedo al suo fianco e vorrei chiederle scusa per essere stato la causa del male che sente ora.

«Com'è possibile che nessuno si sia mai accorto di tutto quello schifo?» chiede con la voce rotta, mentre guarda dritto davanti a sé. «La gente si fidava a lasciare i propri figli. Il giorno era un sogno e la notte poteva trasformarsi in un incubo, ti rendi conto?» La domanda non ha bisogno di alcuna risposta, non mi resta altro che ascoltarla. «Mia mamma mi raccontava sempre di quanto mia nonna amasse quei luoghi. Li descriveva come il suo fiore all'occhiello. Un fiore che hanno deturpato.» Nasconde la faccia tra le mani. «Come può essere successo?»

Il suo viso si sposta per agganciare il mio sguardo e, nel suo, leggo la pretesa di una risposta.

Non sono io a dovermi fare forza, ma lei e. Nascondere i dettagli non servirebbe a farle meno male.

«Restava tutto nell'anonimato, Dafne.» dico, spostando la testa sul braccio che poggia sul ginocchio arcuato. «Nessuna vittima conosceva la verità. C'erano ragazzine consenzienti, altre ubriache o drogate che non avrebbero potuto ricordare niente, il giorno dopo. Sapevano assicurarsene bene.» E un po', da vomitare, viene anche a me. «Dafne, io non lo so perché, ma solo tu ti sei risvegliata accanto al tuo stupratore. È come se volessero fartelo sapere, non credo sia stato un caso.»

Ingoia un groppo di saliva e asciuga le lacrime dentro un pezzo di carta igenica, lo sfilo dalle mani per buttarlo nel cesso, e vorrei infilarci anche questa storia, prima di tirare lo sciacquone.

«Lo credo anche io, Elias», ammette, tirando su con il naso, mentre mi porge la mano per aiutarla ad alzarsi, «ma c'è poco da fare su quello che è il passato.» Indurisce i tratti del volto, mostrando una rabbia che parte da dentro. «Possiamo fare qualcosa per il presente e farli marcire in galera, quelle merde.»

E io mi perdo in quegli occhi incazzati che hanno ritrovato la vita e si nutrono della sete di giustizia.

«Come fai a essere così?» domando incantato.

«Così come?»

«Così, come sei.» dico, senza rendermene conto. «Sei un uragano, Dafne. Non ti lasci abbattere da tutto quello che è successo, dovrei prendere esempio da te.» Ammetto. «Qual è il tuo segreto, confessa.» Le tocco i capelli, sposto una ciocca che le sfiora una guancia e sorrido.

«Non è stato facile.» Poggia il viso sulla mia mano. «Preferisco non darla vinta a chi mi vuole affossare.»

«Come?»

«Mi attacco, con tutta la forza che ho, alle cose belle, agli attimi che valgono la pena di essere vissuti, tipo ora.» Le labbra sfiorano la mia pelle con un bacio accennato. «Tu ci sei, e sei il momento più bello che esista.»

«Io non ho fatto niente, Dafne.» Perdo il il fiato, la lucidità e un paio di battiti, per quelle parole che si annidano al petto.

«I tuoi occhi, Elias.» sussurra, accarezzandomi vicino alla palpebra. «Quando mi guardano, come stanno facendo, fanno diventare tutto migliore.»

Vorrei fermare l'istante allo stesso modo in cui il cuore decide di precederlo, perdendo i battiti rimasti.

«Vieni, scarabocchio. Facciamo una doccia, insieme. Prometto che ti riprenderai presto.»

Sperando che l'acqua lavi via anche il dolore.

🖤🖤🖤🖤🖤🖤🖤🖤🖤🖤

Uscita dalla doccia, avvolta dal mio asciugamano preferito, ha uno sguardo che potrei amare da qui all'eternità, se solo mi fosse concesso.

La osservo mentre fruga nella sua borsa alla ricerca di qualcosa, si ferma, con sospetto, mentre si gratta il mento.

«Ah, giusto. Potresti averne tu!» afferma.

Mi lascia perplesso, non capisco a cosa si stia riferendo.

«Cosa ti serve?»

Gira intorno al letto, si avvicina al comodino che sta dalla mia parte e ne apre il cassetto. Sì volta, quando sembra aver trovato ciò che stava cercando.

«Eccolo qua, ladro!» Mostra la boccetta di profumo che tenevo conservata in quel mobile.

Quella stessa che le avevo rubato qualche mese fa, quando aveva dimenticato la borsa in ufficio.

«Come sapevi che te l'avevo presa io?»

«Dai su, ma quanto credi che sia scema?» domanda retorica. «Erano giorni che mi stavi attaccato per annusarmi. Ti avevo promesso che te ne avrei regalata una, ricordi?» Annuisco. «Volevo farti impazzire, lo ammetto. Il pensiero di non lasciare la tua mente mentre scopavi con le altre, mi dava una certa soddisfazione, scusa.» Mi canzona, mentre alza e abbassa le spalle

«Hai lasciato la borsetta di proposito?»

«E anche il cellulare senza password. Ero curiosa di vedere fino a che punto ti saresti spinto.
Di certo non immaginavo che ti saresti presentato nel locale con Melissa.»

«Sei un fottuto genio!» Sbatto entrambe le mani sul viso, incredulo. «Cos'hai pensato quando mi hai visto lì con quella?» Non posso credere che abbia previsto ogni mia mossa.

«Stavo impazzendo.» dice, affondando le unghie nelle mie spalle. «Non avrei mai immaginato potessi farmi ancora quell'effetto.»

«A chi lo dici!»

Prendo il cellulare, per mettere una canzone che conservo da sempre. Una colonna sonora che per me non è mai cambiata.

The reason, rimbomba nelle casse collegate al bluetooth, le porgo la mano.

«Ti va di ballare?»

Me l'afferra, e tutto si trasforma, in quel ballo che ci vede vicini per la prima volta. Vedo i colori in un mondo che è stato quasi sempre in bianco e nero. Nero, perlopiù. Continuiamo a ballare, anche quando la musica è finita e noi seguiamo solo il ritmo dei nostri cuori. Ci respiriamo, come se fossimo ossigeno, come se non potessimo farne a meno.

Partiremo per il campus, non appena le due donne rientreranno dal loro viaggio. Lo faremo per cercare di capire se, in quei luoghi, possiamo ancora trovare qualcosa che riconduca alla setta. Dafne non vuole far sapere niente a Hellin, per ora, ma io concordo con lei, per ovvi motivi che vorrei tanto rivelarle.

Non tradirò la donna che mi è stata accanto per tutti questi anni. Hellin mi ha rivelato un suo segreto e io lo custodirò fino a quando lei lo vorrà.

Ha chiamato in giornata, per confermare l'orario di domani.

«Non partire.» La stringo in vita, appoggiandola alla parete, per farle sentire quanto la desidero.

«Mi vuoi solo per il sesso...» dice in un sorriso.

«Anche...» sussurro nel suo orecchio. «Ti voglio per tutto il tempo perso a odiarci, perché tutti gli istanti spesi senza di te sono stati una tortura di cui non mi rendevo neanche conto.» ammetto, sfiorandole la punta del naso. «Mi sento così ridicolo.» Ho cercato di lenire il dolore, scopando con donne di poco conto, mentre cercavo lei in ognuna di loro. «Non sono mai riuscito a togliermi, da questa cazzo di testa, l'immagine della ragazzina con le ginocchia sbucciate.»

«Non mi è successo nulla di diverso.» Riconosce. «Ci siamo odiati, è vero, ma non siamo mai riusciti a dimenticarci, in ogni caso.»

Non lo sapevo, fino a questo momento, ma era tutto ciò che avrei voluto capire, ogni secondo passato a detestarla. L'odio è quel sentimento che arriva nel momento in cui non puoi amare.

E io non potevo farlo, perché credevo che lei mi avesse distrutto il cuore, riducendolo in pezzi che non avrei mai più ritrovato. Avrei voluto sapere che io conservavo i suoi, mentre lei teneva al sicuro i miei.

Mi sarebbe bastato.

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