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23-Farfalle, lucciole e lanterne

Dafne

Pensavo di coglierlo sul fatto, mettendo fine alla sua serata e alla mia idea malsana di avere una relazione stabile con lui.

Ho davanti agli occhi una persona inerme, completamente annientata, che riesce a stento a stare in piedi sulle sue gambe.

Non riesco a guardarlo mentre soffoca nel suo stesso dolore.

Non riesco a capire cosa possa essere successo, ma sento il bisogno di alleviare quel male che lo tormenta. Restargli accanto e stringerlo più forte che posso mi sembra l'unico atteggiamento sensato.

Ed è quello che faccio.

Lo stringo al mio petto senza dire una parola, ma i nostri silenzi fanno un rumore assordante. Vogliono gridare al mondo quanto siamo stupidi nel continuare a ferirci. Noi due, poveri imbecilli, non capiamo che abbiamo bisogno solo di questo per stare bene.

Noi due che non lasciamo che questi attimi rimangano così, come li stiamo vivendo, non siamo mai stati così vicini come ora.

Potevamo essere la cura, ma abbiamo deciso di essere la nostra stessa malattia.

Non voglio sapere cosa sia successo. Voglio che sia felice, che ritorni ad essere lo stronzo di sempre. Voglio che sappia che non deve cambiare e che potrà umiliarmi ogni volta che ne sentirà il bisogno. Ogni volta che si sentirà frustrato, arrabbiato, angosciato e crudele.

Sto delirando, ma lui deve essere felice, a qualunque costo.

Si è addormentato tra le mie braccia, come un bambino che aveva solo il bisogno di sentirsi protetto e a casa.

Dal finestrone della camera da letto, entra la luce di una luna che, stanotte, ha deciso di torturarmi. Illumina il suo splendido viso addormentato e io me ne innamoro, ancora una volta. Poggio la labbra per lasciare un delicato bacio sulla fronte e il suo profumo di muschio si mescola con l'odore dell'alcol.

Vedo una lacrima nascosta sotto le palpebre. Vorrebbe uscire e accarezzargli lo zigomo, ma resta incastrata tra le ciglia scure.

Qualsiasi cosa abbia fatto Sally, qualsiasi ferita abbia inflitto, la cureremo insieme.

«Ciao, scarabocchio» sussurra con la voce rauca dal sonno. Il mondo in cui mi ero rifugiata, mi ha distratta dai suoi occhi di ghiaccio. «Ti ho costretta a starmi accanto, questa notte. Mi spiace.» Si allarga in un sorriso che sa di di sogni rubati, in una notte d'estate.

«Dovere.» sussurro malinconica.

«Mi dispiace, davvero, per tutto, Dafne.» Mi sfiora la guancia e io lascio che l'accarezzi e che s'incastri nei capelli sciolti che scivolano sul viso.

È tutto così reale e, allo stesso tempo, sembra voler fuggire via, come l'ennesima notte che insegue lo scorrere del tempo.

«Cosa ti è successo?» L'anima smarrita, nasconde qualcosa di oscuro, lo leggo nei suoi occhi stanchi. «Elias, ti prego. Fidati di me. Puoi raccontarmi qualunque cosa. Questo lo sai, vero?»

«Non merito di averti così vicina.» Il suo tono severo mi provoca un brivido dietro la schiena, si annida sul collo e attraversa le braccia.

«Elias, ti prego.» supplico che si racconti, che possa aprirsi per farmi capire cosa lo sta uccidendo così.

«Ho paura di farti male, Dafne.» ammette.

«Sono forte, più di quanto credi.» dico, cercando di chiudere a pugno le mani tra le mie dita. «Penso di averlo dimostrato abbastanza.» Stringo il labbro inferiore tra i denti, aspettando una sua risposta.

«Ma non so se posso esserlo io.» Sgualcisce il lenzuolo, per voltarsi a guardare il soffitto.

«Elias, ascoltami.» Non so a cosa si stia riferendo di preciso, ma credo che riguardi quella notte. «La gente sceglie di fare del male. Non è colpa di una gonna troppo corta, di un vestito troppo stretto, di uno stivale troppo alto o di quella persona che non sapeva di poter fare qualcosa per evitarlo.» puntualizzo. Afferro il volto dal mento e lo costringo a girarsi per guardarmi negli occhi.
«La colpa rimane di chi le azioni le compie, da quello che non viene reputato sbagliato e, se una mente è deviata, facilmente si convince che atti come quelli capitati a me, o anche peggiori, non siano deplorevoli.»

«È vero, ma-» Lo blocco sul nascere.

Perchè quello che ha da dire non è la verità. Lui non ha colpe, io non colpe.

Avrebbe fatto di tutto per non farlo accadere, se solo avesse saputo, questo lo so.

«Ho perdonato me stessa per essermi fidata di una persona che non mi aveva mai dato modo di farlo.» ammetto, incrociando le gambe sul materasso. «Ora, voglio che tu ti scusi con te, perchè...» Mi fermo un'attimo per prendere un grosso respiro e assicurarmi che per lui sia chiaro quanto lo è per me, «sei un'idiota se credi di essere tu il mostro di questa storia.»

Sono le parole che non dice, mentre mi guarda, a spaventarmi.

«E se scoprissimo che c'è stato qualcosa di più perverso, dietro?» domanda come se sapesse una verità di cui io non sono a conoscenza, ma non voglio andare a fondo, questa notte, non ce n'è bisogno.

«È comunque successo, Elias.» È questa la realtà e non possiamo cambiarla. «Vuoi vivere la vita, continuando a pensare al passato? Che vita sarebbe?»

«Sei diventata saggia.» sorride e quelle dannate fossette appaiono, lasciando che il cuore perda un battito.

«Sei diventato scemo.»

E un po' mi imbarazzano. Vorrei lasciare indietro i brutti pensieri e affondare dentro quel sorriso che mi fa stare bene. Lo ha sempre fatto, ma lo avevo perso e, ora che è tornato, vorrei fermare il tempo in questo preciso istante, per non perderlo, di nuovo... e sorrido anche io.

«Fallo ancora, Dafne.»

«Cosa?»

«Sorridi ancora un po'. Dai un motivo alla luna di nascondersi per la vergogna, questa notte.» sussurra, mentre le mani affondano dietro la mia nuca e io nella sua bocca.

Lui ha il potere di distruggermi e rimettere insieme i pezzi, solo che non lo sa. Ci siamo spezzati, lo abbiamo fatto tante di quelle volte che non riesco a contarle. Continueremo a farlo, ma sarebbe bello riuscire a trovare il nostro posto, insieme, per restarci. All'infinito.

Si sposta dalle labbra, per iniziare a mordicchiarmi in una lenta agonia. Parte dalla spalla e scende fino al seno, segue la linea della bretellina del vestito, mentre l'abbassa. Stuzzica i capezzoli con la lingua e io chiudo gli occhi, beandomi della sensazione di smarrimento che mi devasta. Con le unghie premo sui suoi fianchi, suscitando in lui un verso gutturale.

Delle volte mi fa paura ciò che provo, perché è lo stesso sentimento che mi porta a sentirmi libera, ora che gli sono di nuovo accanto.

La sua mano mi accarezza tra le cosce, per poi salire sul vestito abbassato a metà busto e sfilarlo, insieme alle mutandine. Sollevo il bacino per aiutarlo e sento il tessuto scivolare sulle gambe. Con le dita percorre, delicato, le linee del mio corpo nudo, come se mi stesse contemplando per imprimerne il ricordo.

«Spogliati, Elias.» sussurro, avvicinandomi al suo orecchio.

E lui lo fa.

Scende dal letto, per eseguire i miei ordini. Quando sbottona la camicia, posso sentire il suo corpo, perfettamente scolpito, uccidere qualunque immagine avessi in mente, prima di ora. Le linee degli addominali s'induriscono, mentre toglie via anche i pantaloni.

E io m'incanto.

M'incanto, per la prima volta, a osservare qualcosa che non c'entra niente con i suoi occhi, ma non riesco a guardare altrove.

Il suo membro eretto e duro è dentro di me, prima ancora di toccarmi. È una sensazione strana che sento, non appena si avvicina per togliermi il respiro, ancora una volta, quando mi sfiora la schiena con dolcezza e io apro le cosce per farlo entrare e concedere a lui tutta me stessa.

Lui: il mio inferno e il mio paradiso, insieme.

Un brivido mi scuote, mentre infila la punta, con prudenza, dentro di me. Le sue mani mi stringono come se fossi appena resuscitata. Sollevo un ginocchio, aprendomi a lui. Stringo le lenzuola in un pugno, la schiena premuta contro il materasso. Il suo palmo fissato sul letto, accanto alla mia spalla. Poggia il petto contro il mio, lascia che la mano si sposti dalla stoffa per stringermi un seno. Chiudo gli occhi: adoro il tatto delle sue mani mentre mi incendia e l'odore di muschio e legno della sua pelle.

Sento l'erezione sprofondare nel mio corpo. Le dita artigliano la carne e mi mozza il fiato con un bacio, mentre mi afferra da entrambi i fianchi e spinge. Spinge sempre più forte fino a togliermi il respiro, fino a quando i nostri corpi non sono abbastanza sudati da liquefarsi. Mi afferra per la vita, morde una spalla e succhia un capezzolo. Mi fa male, ma non m'importa. È così difficile non gemere sotto le sue mani roventi. Ho l'impressione che voglia dirmi qualcosa, ma rimane in silenzio, affonda nei miei capelli e ne respira il profumo.

Sento tutto.

Sento che potrei morire qui e ora e sarebbe comunque perfetto. Sento i battiti accellerati dei nostri cuori che s'infrangono, mentre fanno l'amore insieme a noi. Sento i nostri respiri che vorrebbero legarsi in uno solo. Sento la pelle bruciare sopra le lenzuola e sotto il corpo dell'uomo che ho sempre voluto. Sento... che non potrei amare mai nessun altro.

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«Per quanto continuerai ad annusarmi come un cane da tartufo?» Al mattino mi risveglio con Elias ancora tra i miei capelli.

Si scosta per un attimo, osservandomi con aria severa.

«Ho cercato il tuo odore per anni, Dafne. Ora che l'ho ritrovato, gradirei non essere disturbato.» mi rimprovera.

Mi avvinghio a lui, stanca, ma con la voglia di fare l'amore, ancora e ancora una volta, fino a quando non saremo stufi l'uno dell'altra, ma con la consapevolezza che, questo, non potrà mai accadere.

«Senti, Elias...»

Veniamo interrotti dalla suoneria di un cellulare che squilla.

Il mio.

Che palle!

«Non rispondere, Dafne. Restiamo ancora un po' così, ti prego» supplica, tenendomi stretta al petto, come a non voler lasciarsi sfuggire questo momento che sa di perfezione.

Rispondere era l'ultimo dei miei pensieri ma, dopo qualche minuto, arriva un messaggio.

«Okay, abbiamo capito che la pace è finita.» sbuffa.

Afferro il telefono dal comodino e scorro i vari messaggi e le chiamate ricevute

«Chi è?» domanda.

«Steve» rispondo. «Dovevamo pranzare insieme ed è quasi mezzogiorno. Sta venendo a prendermi sotto casa.»

«Mandagli un messaggio per dirgli che hai già un altro impegno, con me» dice perentorio.

«Non posso farlo, Elias, capiscimi. Solo ieri sera eravamo a un tavolo del Mocambo a organizzare il nostro matrimonio» ironizzo, tentando di farlo sorridere. Non funziona.
«Non posso uscirmene la mattina dopo con: "ah no, mi dispiace, ma sono a letto con un altro, ora. Non disturbarmi!"» Gesticolo, mettendomi seduta sul materasso.

«Non sei a letto con un altro qualunque. Sei a letto con me!» Puntualizza. «L'unica persona che hai amato, che ami e che amerai mai nella tua vita.» Le guance mi vanno a fuoco e il cuore aumenta i battiti.

Non pensavo fosse così palese.

«Dovrei avere la delicatezza di dirglielo in faccia, non credi?» domando, più per cercare di uscire da questa situazione imbarazzante.

«Ah ah, Dafne...» Si mette seduto anche lui, puntandomi il dito in faccia «non stai negando.»

«Devo andare, Elias, farmi una doccia, cambiarmi, puzzo e puzzi anche tu.» Cambio discorso, prendendolo in giro.

«Il mio sudore sa di Chanel.» mi canzona, alzandosi dal letto.

Ancora nudo, sì dirige verso la cabina armadio chiusa da vetri fumè. La apre e il mio sguardo va in direzione degli abiti da donna che conserva in quel posto.

Saranno i vestiti dimenticati dalle ragazze che sono passate da qui.

«Non indosserò nulla di ciò che hai lì dentro» dico offesa, incrociando le braccia al petto.

«Vieni, scarabocchio, senza fare la bimba permalosa.» Lo vedo, mentre fa cenno di seguirlo.

Potrei sempre rimettere il vestito di ieri sera per tornare a casa e indossarne uno pulito dei miei, non vedo quale sia il problema.
Io quei cosi, non li metto.

La curiosità, però, è sempre stata una brutta bestia, per quanto mi riguarda. Scendo dal letto per seguirlo dentro quella specie di atelier di lusso che nasconde i piccoli segreti lasciati dalle sue puttanelle.

«Puoi indossare le mutande, per favore?» dico stizzita, per il semplice motivo che, vederlo nudo, mi ferma il cuore.

«Cosa c'è? Non ti piace quel che vedi?» ride, per poi rigirarsi dall'altra parte. «Sono i tuoi vestiti, Dafne. Nessuna ha mai messo piede qui dentro, oltre te.»

«Quelli non sono miei.» rispondo, mostrando l'armadio che non mi appartiene.

«Non a quanto dice Hellin.»

«Cosa c'entra Hellin?» chiedo, confusa.

«Li ha fatti recapitare qualche giorno fa.» dice, mentre torna verso il letto e apre il cassetto del comodino. «Mi ha detto di darti questo e ha pregato me di non leggerlo.»

Afferro il bigliettino che stringe tra le mani, con una sola consapevolezza: «Lo hai letto, vero?»

«Perchè, hai qualche dubbio?»

«Mh, direi di no.»

Apro il foglio di carta e sorrido, leggendo ciò che ha scritto.

Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo. Nel dubbio, del prima e del poi, io mi sono portata avanti. Ero indecisa sulla scelta e ho optato per tutto.

Hellin.

Ma come fa, questa donna, a essere così? È sempre presente nei suoi mille impegni, anche quando non c'è. Riesce a sorprendendermi, tutte le volte. Non ho fatto nulla per meritare una persona così bella nella mia vita, eppure, forse, la felicità che sto sentendo ora, me la sono guadagnata, in qualche modo.

Prendo il telefono e mando un messaggio a Steve, prima di entrare in bagno per fare una doccia:

Ci vediamo direttamente dal ristorante. Sarò un po' in ritardo. Calcola una mezz'oretta. A dopo!

Dopo essermi lavata e asciugata i capelli, esco dal bagno con il corpo fasciato in un asciugamano azzurro.

Non diciamo una sola parola, mentre scelgo i vestiti da mettere, ma sento il suo sguardo percorrere la schiena.

Lo sento sempre, lo sento dappertutto e mi provoca brividi che non posso spiegare, ma che danno un senso a quello che provo.

Opto per un vestito aderente, nero, semplicissimo, con maniche a tre quarti e scollo a barca. Un paio di anfibi dello stesso colore e un velo di mascara a completare il tutto.

«È perfino inutile chiederti di uscire con un cargo e una felpa. Saresti comunque bellissima.»

«Non posso contraddirti.» rispondo.

Mi avvicino, a lui, gli arrivo sotto il mento, lo afferro dalle guance per imprimere, sulle labbra morbide, le mie, in un un bacio che ci fonde, insieme.

Scioglie la mente, i corpi e il cuore, in un incastro perfetto che non chiede niente, se non si restare per sempre.

Lo lascio andare, anche se non vorrei, ma sono in netto ritardo e mi avvio alla porta per uscire, dopo aver indossato la giacca.

«Dimenticavo, Dafne.» Mi richiama, mentre sono sull'uscio.

Con la mano spinge per richiuderla.
Mi poggia allo stipite ricambia quel bacio, che gli ho appena lasciato, e infila una mano tra i miei capelli.

«Tu appartieni al mio cuore, tutti devono saperlo» dice serio, provocandomi un sussulto. «Steve non mi piace, sta tramando qualcosa per tenerci lontani. Sta' attenta, per favore.» Si sposta e allunga il braccio per riaprire l'anta.

«Ah, un'ultima cosa.» Mi spinge oltre l'uscio, con delicatezza e incastra il suo sguardo nel mio. «Anche io ti amo, scarabocchio.» Richiude la porta, mollandomi fuori, per lasciare che farfalle, lucciole e lanterne divorino il mio stomaco.

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