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22-È colpa mia!

Elias

Cosa cazzo sta combinando?

Seduto al tavolo, con una donna bellissima, non riesco a smettere di guardare quella scena che mi sta facendo ribollire il sangue e incendiando le sinapsi. Mi scoppia la testa. Gli applausi mi rimbombano nel cervello mentre distruggono quei pochi neuroni che mi sono rimasti. Fanno male. Prendono a coltellate ogni parte del mio corpo e non hanno intenzione di smettere. Vedo l'entusiasmo nei volti della gente, per un lieto fine da favola.

Non hanno idea quanto, quella stessa fiaba, possa essere una crudele verità per me.

Non mi frega un cazzo del loro finale, quel bacio mi sta soffocando.

Non dovevo lasciarmi trasportare da una gelosia immotivata.

Cosa siamo io e lei?

Niente di concreto. Intrappolati in un passato che ancora non riusciamo a comprendere a pieno.

Immaginavo che Steve l'avrebbe portata nel luogo del loro primo appuntamento. Ho avuto la brillante idea d'invitare Sally – la ninfomane, ormai completamente rifatta, del campo estivo, perché sono un grande stronzo, ma ce la stiamo giocando a dadi con Dafne. Mi sento intrappolato nel circolo vizioso di una mente vendicativa che mi si ritorce contro, sempre.

Che bravo coglione che sono.

La vedo andare in bagno, dovrei restare inchiodato alla sedia, fare finta di niente, ma l'istinto non mi fa ragionare.

Il cameriere versa due calici di vino rosso, ma io ho bisogno di disinfettare le ferite dall'interno. Non uso il bicchiere, ne tracanno il liquido corposo, direttamente, dalla bottiglia. Sally è distratta dalla figura elegante di Dafne che raggiunge, a passo svelto, la toilette.

«Quella ragazza... mi sembra di conoscerla» Si volta e io poggio il vino sul tavolo. «Stavi bevendo dalla bottiglia?» chiede.

Alzo e abbasso le spalle e faccio una smorfia di finto disinteresse.

«Mmh, può essere.» rispondo atono.

«Può essere che io conosca la ragazza o che tu stessi bevendo da lì?» domanda, mostrando il vetro scuro del vino.

«Entrambe le cose.» Resto sul vago.

Non nego, ma non ho neanche intenzione di confermare, almeno fino a quando questo maledetto vino non riuscirà a lavare via la sensazione di vuoto che mi porto dentro.

«Dove l'ho già vista?» Insiste.

«E io che ne so!» Mi innervosisco.

Sto cercando di non pensare, cazzo!

«Eppure...»

«Basta, Sally. Non ho idea di chi sia, okay? Magari è una qualunque che hai notato per strada o una tua vecchia conoscenza» Mi lascio sfuggire e mi ritraggo per un secondo. «Ma io non la conosco», dico, riprendendo la bottiglia fra le mani per fare un altro sorso. «Scusami, ma devo andare un attimo in bagno.» avviso, prima di alzarmi.

Sono stufo dei suoi bla, bla, bla  che non riescono a farmi distrarre. Non dovevo portarla qui, ma il mio spirito da giustiziere maledetto è stato più forte della ragione.

Continuo a ripetermi nella testa che non la sto seguendo per vedere se ha qualcosa da dirmi, che non è il mio corpo a comandarmi e a cercare di sperare che ci sia una spiegazione plausibile a quel bacio di merda.

In fondo al corridoio, tentenno. Mi giro per tornare indietro, ma Steve sta osservando ogni mia mossa, rimanendo seduto con i gomiti poggiati sul tavolo e i pugni alla bocca. Mordicchia le nocche con i denti mentre mi lancia sguardi del cazzo. Giro su me stesso e trattengo la voglia di spaccargli la faccia, per ora. Passo il corridoio che separa la cucina e i bagni dalla sala e, non appena volto l'angolo, la trovo lì, in piedi, con le braccia incrociate e la schiena appoggiata al muro.

«Sei contento ora?» domanda, quando mi vede arrivare.

Alzo gli occhi al cielo, fingendo che la sua presenza mi annoi. Continuo a camminare verso i servizi, ma rallento il passo.

«Sto parlando con te, Elias. Sei sordo o cosa?»

«Cosa...» Infilo le mani in tasca, dopo essermi fermato.

«Vuoi giocare a Ken e Barbie?» chiede, riferendosi a Sally. «Dove l'hai trovata quella?»

«Quella ha un nome!» puntualizzo.

«E credi che me ne importi qualcosa?» La sua domanda non ha bisogno di alcuna risposta.

«Senti, Dafne», la richiamo, prima di girarmi verso di lei e avvicinarmi, inchiodandola al muro, «quella con la lingua in bocca a un altro eri tu, non io.» soffio a un centimetro dal collo, in una smorfia di disgusto, senza guardarla negli occhi.

Perchè queste luride, meravigliose labbra, ne stavano accarezzando altre che non erano le mie.

Ingoia un groppo di saliva, lo vedo, osservando l'incavo e, in questo momento, capisco che non ho bisogno di quelle spiegazioni. Non le voglio.

Mi fanno schifo.
Mi fa schifo tutto.
Mi fa schifo lui.
Mi faccio schifo io, ma non lei.
Lei... mai più.

Ci stiamo frantumando a vicenda. Siamo cenere che vorrebbe risorgere, lottiamo per farlo, ma gli ostacoli sono vento che porta via la polvere.

Lascio la presa dalla parete e lei sembra sprofondare nel muro.

«Elias, non abbiamo finito.» Mi richiama, mentre le volto le spalle.

«Io ho finito, ti lascio alla tua cena romantica del cazzo.»

Mi avvio verso quella porta, non vedo l'ora di richiuderla alle spalle, per lasciarla fuori dalla mia vita.

«Dafne, sei Dafne, vero?» Mi blocco e vorrei sprofondare.

La voce di Sally rimbomba nello stretto corridoio che ci circonda.
Sgrano gli occhi e piroetto su me stesso con il cuore che sembra volermi esplodere dentro.

Vedo Dafne fare una smorfia confusa. Stringe gli occhi in due fessure per focalizzare la figura della bionda che ha davanti.

Sally non è più la ragazzina di una volta. Ha cambiato i connotati, completamente. Sembra appena uscita dalla Silicon Valley e non intendo l'area specializzata in tecnologie. La tinta biondo platino fa da cornice a un mare di plastica montato qua e là. Il seno alto e la vita sottile che scende su un culo perfetto, la dipingono come una bambola vera e propria.

«Dai, su, non siamo cambiate così tanto.» La donna gira su se stessa, lascia scivolare le mani sulle sue linee abbondanti, mostrandosi.

La sta prendendo per il culo, vero?

Dafne sospira, sembra non capire, ma viene colta da un'improvvisa illuminazione.

L'ha riconosciuta, cazzo!

Ecco come passare dalla ragione al torto marcio. Le basi: mai tentare di fare ingelosire qualcuno, utilizzando le vecchie conoscenze.

«No, non mi viene in mente niente, mi spiace» afferma, prima di uscire da questo corridoio che sembra volerci togliere il fiato.

Guardo Sally, alzo e abbasso le spalle. «Magari non era lei.»

«Mi stai prendendo per il culo?» domanda. «E anche lei sa benissimo chi sono.» Allunga il passo, battendo i tacchi che risuonano sul pavimento in marmo. «Vado al bagno, per davvero, io.»

Quando torno nella sala, di quei due rimane la scia che richiude la porta d'entrata.

Stanno andando via e Steve non ne sembra entusiasta. Lancia un ultimo sguardo all'interno, puntando il tavolo a me riservato. Avrei voluto essere lì, per ricambiare quell'occhiata con un bel dito medio da ficcarsi nel culo.

«Alla fine, non era una proposta.» Sally mi sorprende alle spalle, sussurrandomi nell'orecchio.

Tiro un sospiro di sollievo, lo sapevo, ma non ne avevo conferma.

Faccio finta di non capire o che non m'importi, non lo so neanche io cosa sto facendo.

Fingo, fingo, fingo. Fingo solo con me stesso di non provare quei sentimenti che mi stanno uccidendo e che non ho idea di come gestire.

Dopo cena, ci fermiamo nel parcheggio, all'esterno del locale, per fumare una sigaretta, poggiati alla macchina. I lampioni non permettono di guardare le stelle, anche se ci provo. Abbiamo bevuto una bottiglia di vino a testa e due bicchieri di rum, alla fine.

Neanche un litro di alcol è riuscito ad annegare questa serata di merda.

«Come lo fai a sapere?» Ha sciolto lingua e tensioni, però.

«Cosa?» domanda, porgendomi un sorriso subdolo.

«Che non era una proposta» sbuffo, perché lo so che vuole sentirselo dire.

Si concede un ultimo tiro alla sigaretta, prima di gettarla a terra e spegnerla sotto il tacco dodici. Si stringe nel cappotto scuro e mi guarda come se fossi un libro aperto con le pagine incollate.

«Sono andata da lui.»

«Perché?»

«Oh, andiamo, Elias. Chi vuoi prendere in giro?» domanda, emettendo una risata sarcastica. «Non me, spero.»

«Non mi permetterei mai di farlo.» Alzo le mani in segno di resa, per scherzare un po' con lei.

«Sapevi che loro due erano qui, è chiaro.» Si avvicina e la luce del lampione riflette le iridi verdi che mi scrutano curiose. «C'è ancora qualcosa tra voi?»

La domanda mi suona strana. «Ancora? A cosa ti riferisci?» fingo, di nuovo.

«Elias, lo sapevano tutti in quel campus che voi due stavate insieme. Matt aveva sparso la voce.»

«Che figlio di puttana!» Volevo tenerlo dentro, ma non mi sono reso conto di averlo fatto uscire fuori.

«Già, un gran figlio di puttana.» La guardo, come se mi aspettassi qualcosa. Ricambia lo sguardo con aria desolata. «Mi spiace, davvero, volevo dirtelo, mi spiace da morire» sussurra, stringendo tra le dita il mio braccio incrociato nell'altro, in attesa di qualcosa che ha tutta l'aria di una confessione che non vorrebbe uscire.

Il cuore mi si stringe in una morsa e lo stomaco ribolle il vino che ho ingurgitato.

«Di cosa?» Non sono sicuro di volere una risposta a questa domanda, ma mi forzo di farla ugualmente.

«Di Dafne» dice con voce rotta. «Io non sapevo cosa stavano facendo.» Non capisco a cosa si stia riferendo, non voglio capire. «Ero solo una ragazzina, non volevo portarti via da lei, mi avevano mandata per distrarti, ma io non sapevo nulla.» Tiro via il braccio e mi allontano.

«Di cosa cazzo stai parlando, Sally?» Sgrana gli occhi e si ritrae. Si è resa conto di essersi lasciata sfuggire qualcosa di troppo. «Hai rotto il cazzo tutta la serata con le parole», volta le spalle e inizia a correre, ma inciampa su quei tacchi che fanno da trampoli, cadendo sui ciottoli che riempiono il parcheggio, «non è questo il momento di mordersi la lingua» Mi avvicino, mi abbasso e l'afferro per un braccio. «Ora parla!» ordino a un centimetro dalla sua faccia di plastica.

«Okay, va bene, ma devi promettermi che non mi metterai nei guai con quella gente.» La guardo truce. «Ti prego Elias, quelli non scherzano, mi uccideranno.»

«Quelli? Stai parlando di Matt e di chi, oltre lui?»

«Molti di quelli che frequentavano il campus.»

L'aiuto ad alzarsi e capisco che abbiamo bisogno di privacy. La gente passa di continuo per uscire con le macchine dal parcheggio.

Ci infiliamo in auto e accendo lo stereo. La radio suona Psycho Killer dei Talking Heads, e mi mette i brividi.

Qualcosa mi dice che sto per ascoltare qualcosa che non avrei mai voluto sentire.

🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀

Sally

Al campus, a quei tempi, comandava una setta. Erano un gruppo di ragazzi che si riunivano in serate clandestine a base di alcol, droghe e sesso. All'inizio, sembravano solo ragazzi che scommettevano fra amici, su chi sarebbero riusciti a portarsi a letto, ma non era così, lo scoprii più tardi.

Puntavano soldi che aumentavano o diminuivano in base alla lucidità della vittima e al numero dei partecipanti.

La vincita minima veniva riscossa, se la ragazza fosse stata lucida e consenziente.

Nel caso in cui fosse stata lucida, ma non avesse dato il suo consenso, la somma sarebbe triplicata.

Se fossero riusciti anche a drogarla, la somma vinta sarebbe stata quattro volte la giocata.

Infine, c'era il jackpot, ma non ho mai saputo in cosa consistesse.

Erano i ragazzi più grandi a decidere chi far partecipare. Al compimento dei sedici anni, facevano entrare nuove reclute, per addestrarle.

I più piccoli non potevano portarsi a letto nessuna, né tantomeno scommettere, ma solo osservare fino ai diciotto anni.
Due anni passati a diventare dei perfetti pervertiti. Due anni che passavano a osservare gli abusi che il guru metteva in atto.

Creavano delle specie di macchine da guerra senza scrupoli.

Per un po' sono stata la loro mascotte, inconsapevole. La loro sottomessa. Mi usavano, quando le loro scommesse non andavano a buon fine e loro dovevano tenere a bada i loro istinti. Venivo usata come vittima sacrificale o come distrazione per un'altra vittima.

È stato proprio mentre cercavo di distrarti che ho scoperto tutto questo.

Sono riuscita a uscire da quel gioco disgustoso, senza ripercussioni.

Avrebbero potuto farmi del male, ma non hanno voluto rischiare di perdere quello che avevano e di finire in galera, credo.

Mi hanno lasciata andare, facendomi promettere che non avrei mai parlato. Avevo paura, non lo avrei mai fatto.

Sono stata in silenzio, fino a ora, diciamo. Fino a quando non ho rivisto Dafne e tutto ha ricominciato a girare. I ricordi di quello schifo sono tornati e non sono più riuscita a tenere la bocca chiusa.

🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀

Elias

Mi sento come estirpato dal mio stesso corpo. Il vuoto che sentivo prima, ha lasciato posto al niente. Un formicolio sulla punta delle dita è l'unica cosa che riesco a percepire. Non posso inalare aria nei polmoni. Devo chiudere il mondo fuori, per riuscire a metabolizzare questa storia.

Menti perverse hanno giocato per anni in un posto che avrebbe dovuto essere un porto sicuro, per i tanti ragazzini che lo frequentavano, ogni maledetta estate. Quante creature innocenti saranno finite nelle mani sudice di quella gente?

Avrei potuto salvarne una...

🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀🫀

Ho lasciato quella donna sotto il suo appartamento. Non credo di essere ancora vivo.

Rientro nel mio loft e sono completamente distrutto. Mi arrovello il cervello, creo congetture su congetture, cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle.

Non so cosa stia cercando di capire di preciso, la realtà è una soltanto: Dafne è stata violentata da più di una persona.

Una setta alla ricerca di creature innocenti per divertirsi a discapito delle vite che continuavano a spezzare.

Cerco di ricordare i dettagli di quella notte e fa male da morire.

Brucia nel petto come acido muriatico sul viso.

Vorrei poterli eliminare così quei pensieri maledetti che mi hanno rovinato la vita, distruggendo la sua.

Ricordo solo la pioggia, nel gazebo una luce soffusa a illuminarli, forse delle torce o delle candele, ma non c'era nessun altro. Stavano aspettando che io andassi via per uscire allo scoperto.

Corro nel bagno a vomitare quel litro di alcol che mi sono scolato. Vorrei che anche il passato finisse nel cesso, per scaricarlo come faccio col vomito.

Sprofondo nel letto, ma il senso di nausea non vuole lasciarmi. 

Qualcuno suona il campanello e io non vorrei alzarmi per trascinarmi a stento alla porta, ma lo faccio.

«Sul serio, Elias? Sally?» Dafne la  spalanca, senza assicurarsi che io non sia ancora lì dietro. «Dove l'hai messa?» inizia a cercare nelle stanze e io la guardo e mi sento perso. Non la degno di alcuna risposta.

«Dov'è?» continua, ma finalmente si accorge di me.

Si sofferma a osservare lo spettro dell'uomo che ho lasciato fuori il ristorante.

«Elias? Cosa cazzo ti è successo?»

Non ho più la forza, neanche per respirare e mi lascio crollare a terra, completamente annientato.

Sono un contenitore vuoto che non ha lo spazio, né la voglia di fare qualcosa per essere riempito. Ho lasciato una bambina nelle mani di bastardi senza cuore. L'ho lasciata per un orgoglio ferito, che di ferito non aveva niente. L'ho lasciata perché credevo di essere stato tradito. Mi sono vittimizzato, per anni, pensando che lei non avesse mai creduto in noi, ma sono stato il primo a non farlo

Sono stato il primo a non credere. Sono stato il primo a tradirla. Sono stato il primo a chiudere gli occhi.

È stata tutta colpa mia! 

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Angolo dell'autrice

Altro capitolo difficilotto da scrivere. Quando ho iniziato questo racconto avevo la mia idea in testa, ma non era ben chiara. Man mano ho iniziato ad amare alcuni personaggi e odiarne profondamente altri. La loro mentalità perversa mi ha portata a pensare che spesso non c'è limite al peggio. Ed è proprio a questo punto che ho chiuso il cerchio.

Il voltastomaco che ho avuto io, mentre mi osservavo scrivere dall'esterno, è stato molto più forte di quello che potete pensare: "E allora perché lo hai scritto?" Vi potrete chiedere, o anche no.

Perché è stato un flusso di pensieri che non sono riuscita a fermare. Perché penso che valga la pena affrontare certe tematiche tanto realistiche quanto tabù e imbarazzanti.

Non lo sono. Sono abominevoli atti che andrebbero puniti in un modo soltanto che non specificherò. Lascerò a voi libero pensiero di sfogo.

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