20-Potrei anche commuovermi
Steve
Non sono stupido!
Tra quei due c'è qualcosa. Lei, dice di non provare sentimenti per me, ma quell'uomo le offusca il cervello, è questa la verità.
Elias ha rotto il cazzo da tempo immemore, ormai, e io mi sforzo di sopportare la sua presenza costante, perché mi serve.
Mi serve che lui paghi quel cazzo di affitto. Mi serve quel dannato trasferimento mensile.
Porca puttana!
Sono un fascio di nervi, non riesco più a gestirmi. È un mese che quella merda la pedina e io me lo ritrovo sempre in mezzo al cazzo. Stava andando tutto così bene, fino al loro incontro. Ho sbagliato. Non dovevo permettere a Dafne di passare del tempo su quel terrazzo.
Elias e io siamo più simili di quanto si possa pensare, purtroppo.
Io conservo un basso profilo, al contrario suo. Lui non si fa problemi a farsi vedere con una donna diversa ogni santissima sera. Io, mantengo la bella facciata dell'uomo incorruttibile, dietro il bancone. Le luci si spengono a fine serata, però.
Loro due si cercano e, questa storia, deve finire.
L'ho notato come Dafne guardava la ragazza al tavolo con Elias e ho visto il fuoco nei suoi occhi, quando le dita di quella donna hanno iniziato a cercare un contatto, mentre gli accarezzava il braccio. Bruciava dietro a quelle fiamme di rabbia e gelosia. Sono rimasto, in silenzio, a osservare tutta la scena.
Quando mi ha liquidato, sembrava avesse fretta di farlo. Ho atteso dietro l'angolo, mentre tornava spedita verso la sala relax, con l'aria di una che avrebbe potuto disintegrare con le sue stesse mani, chiunque fosse lì dentro.
L'ho chiamata all'ultimo secondo, per informarla di aver cambiato idea sul ristorante per il pranzo.
Motivazione ufficiosa?
Avevo dimenticato di aver trovato un posto nelle vicinanze che fa un filetto alla Wellington, che è un qualcosa di paradisiaco.
Motivazione ufficiale?
Elias ha sicuramente sentito che avremmo pranzato nel locale appena sotto l'ufficio e io ho fame, non ho voglia di mangiarmi il fegato, però.
Questo piccolo particolare ho dimenticato di menzionarlo a Dafne.
Che disdetta!
Lei è mia, deve essere mia ed Elias è un ostacolo per tutto ciò che mi sono prefissato.
Non ho più la completa attenzione della ragazza, forse non l'ho mai avuta, ma c'è stato un periodo in cui sembrava che mi volesse. È stato breve, ma molto intenso e io non posso lasciare che quel momento diventi solo un vago ricordo nella sua vita. Non posso lasciare che quel l'idiota me la porti via, senza provare a fare qualcosa.
Lei è qui e, quando varca la soglia del ristorante, il resto del mondo diventa niente. Questa ragazza è una dea, consapevole di esserlo ma, allo stesso tempo, non fa caso agli sguardi che le che la seguono a ogni passo e non fa nulla per alimentarli. Io mi trovo in bilico tra il voler spaccare la faccia a tutti quei viscidi che la guardano e l'essere orgoglioso che questa donna stia venendo a sedersi al mio tavolo, proprio accanto a me.
«Sei splendida, Dafne.» le dico, non appena mi raggiunge. «Lo saresti anche con una busta della spazzatura addosso, non posso negarlo.»
Giro intorno al tavolo per impugnare la sua sedia e spostarla, invitandola ad accomodarsi.
«Grazie, Steve, sei gentile.» Le guance si colorano di rosso, quel tanto che basta per farmi capire che l'ho messa in imbarazzo.
Molto bene.
Non appena si siede, afferra il tovagliolo bordeaux dal tavolo, per stringerlo tra le dita in modo nervoso.
«Tutto bene?» domando, mentre torno a sedere al mio posto.
Vorrei prendere la mano occupata a torturare quel pezzo di stoffa e legarla fra le mie dita, per farla smettere.
«Sì, è tutto a posto.» risponde.
Ma è così distante che non riesco a raggiungerla in quei pensieri di cui desidero far parte.
«Cosa ti ha fatto quel povero tovagliolo, allora?» sorrido, mentre mostro la mano agitata che non ha intenzione di afferrare la mia.
«Niente.» ricambia il sorriso e poggia il pezzo di stoffa sul tavolo. «È solo che non capisco perché mi hai portata in questo posto così, ehm, elegante.» continua. «Eravamo rimasti che saremmo andati al bistrot sotto il mio ufficio, e invece...»
Si guarda intorno, osserva le tende vaporose in velluto chiaro e gli enormi lampadari in cristallo scendere dal soffitto in marmo. Stringe il labbro tra i denti quando nota i dettagli in oro intagliati sul passamano delle scale che portano alle sale v.i.p, al piano superiore.
«Te l'ho detto, Dafne. Il filetto che fanno qui è davvero eccezionale. Dovresti provarlo.» dico, mentre alzo il braccio per schioccare le dita e chiamare il cameriere.
«Sì, ma rimane il fatto che ancora non mi hai detto il motivo di quest'invito.»
«Voglio solo parlare di lavoro, non ti agitare.» Abbasso il braccio per poggiarlo sul tavolo. «Credo stia diventando difficile per te, venire al Mor dopo una giornata passata alla casa di moda, o mi sbaglio?»
Si rilassa, poggia le spalle allo schienale della sedia, prima di emettere un grosso sospiro.
«Un po'.»
«Un po', piccola? Vorrei ricordarti che non hai più una vita sociale.» Non sto avendo neanche più il modo di rimanere da solo con lei, per una cena. «Non voglio rinunciare a te.» Mi guarda confusa. «Lavorativamente parlando, intendo, ma è giusto che tu abbia una vita al di fuori.»
«Mi stai licenziando?» chiede con un'espressione comprensiva.
«Non esiste.» rispondo. «Vorrei venissi a lavorare nel fine settimana, quando non potrei fare a meno di un paio di mani in più.» Non potrei fare a meno di te, in realtà. «Te le pagherei come giornate extra e, in pratica, avresti, più o meno, lo stesso stipendio di ora.»
Aspetto una risposta alla mia proposta, ma veniamo interrotti dal cameriere arrivato a prendere le nostre ordinazioni.
«Quindi?» dico, non appena ci lascia di nuovo soli.
«Steve, dai. Ammetto che l'idea è allettante, ma sarebbe un furto.» dice con un sorriso imbarazzato. «Vorresti pagarmi tre giorni lavorativi come fosse l'intera settimana, sarebbe ingiusto anche nei confronti degli altri.»
«Non devi mettere i manifesti né tenermi i conti in tasca.» Il suo altruismo potrebbe anche commuovermi, se solo fossi una persona sensibile. «È una mia decisione, Dafne. Ci ho pensato bene.»
«Lo direi a Lara» ammette seria.
«Non avrebbe problemi.»
«Vorrei pensarci.» Cosa c'è da pensare? «Capiscimi, è una proposta difficile da rifiutare, ma mi sentirei in debito nei tuoi confronti.»
Il tormento di una coscienza sporca è un argomento sopravvalutato. Io con la mia ho un conto in sospeso. Ha provato più volte a ripulirsi, ma l'ho sempre bloccata.
«Ancora non lo hai capito?» domando retorico. «Sei tu che faresti un favore a me, non il contrario.» Riesco a prenderle le mani per stringerle tra le mie. «Non voglio perderti, ma se proprio dovessi sentirti costretta a risarcirmi, be', avrei un'idea che potrebbe farti sentire meno in colpa.» Le dico, liberandola dalla stretta.
«Che idea?» chiede, portando le mani sotto il tavolo, come a nasconderle.
«Domani sera, a cena, io e te.»
«Ancora, Steve? Ti ho detto-»
«Non m'importa cos'hai detto.» Fermo la sua frase che per me non avrebbe alcun senso. «Una cena non ti costa niente, dai. Domani è il mio giorno libero e vorrei passarlo con una persona con cui ne valga la pena.»
Questa è la prova del nove. Se non dovesse accettare, vorrà dire che sta insieme a quello stronzo.
Sono stato sempre un perfetto gentiluomo... quasi sempre. Ho avuto qualche piccolo scivolone non degno di nota, ma non mi sembra di aver fatto chissà quali errori. Come cazzo potrebbe preferire quel coglione a me?
«Va bene, Steve, e cena sia.» Si stringe nelle spalle e sorride.
Un sorriso che accende in me la speranza di poter ritornare in carreggiata.
«Perfetto!» rispondo, mostrando un entusiasmo che, di solito, non mi appartiene.
Sono di nuovo in gara e, questa volta, starò ben attento a mandare Elias fuori strada, per sempre.
O... finché morte non ci separi.
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