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2-Una donna chiamata disastro

Dafne

Il cielo stasera richiama qualcosa che non voglio ricordare. Qui è così buio. Le luci di Manhattan non intaccano questo piccolo scorcio di paradiso. Ho conosciuto questo posto qualche settimana dopo il mio rientro.

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Stavo per staccare dal turno pomeridiano quando si palesò il mio solito attacco di panico del cazzo. Feci cadere giù una trentina di bicchieri.

Lara, la mia adorabile coinquilina/collega, si fece venire una piccola crisi di nervi.

Rincontrai questa vecchia conoscenza dopo anni, al mio ritorno in città. Avevo bisogno di una casa, di un lavoro e di una stabilità mentale. Passai, casualmente, dal Mor per una birra, la vidi fare su e giù per i tavoli, trafelata. Le chiesi se il titolare cercasse qualcuno per avere una mano in sala, ma la risposta fu negativa. Mi offrì un posto letto nel suo appartamento, però. Da quel momento, la nostra, divenne un'amicizia senza tempo. Dopo qualche giorno, convinse il capo ad assumermi. Alla fine, non risultò essere molto difficile.

Guardai i cocci di vetro sul pavimento, il cuore sembrò esplodermi nel petto, rimbombava così forte che lo sentii nelle orecchie.

«Oh Dio!» Lara uscì dalla sua crisi di nervi per entrare in modalità ansia. «Pulisco di nuovo, non c'è problema, ma ti prego respira.» supplicò, in pena.

Steve, il capo, uscì rapido dalla cucina, per assicurarsi che non fosse successo nulla di grave.

Ero accasciata a terra, le gambe mi facevano male, tremavo, come una foglia spazzata via dal vento gelido.

«Dafne, che succede? Respira, piccola» mi si avvicinò con fare protettivo. «Vieni con me. Ti porto su a prendere aria.»

Lui e tutti i colleghi del mio turno, erano all'oscuro dei miei attacchi di panico, ma alcuni di loro, furono, sin da subito, così comprensivi da essere diventati parte integrante della mia vita.

Steve aprì la porta che conduceva al terrazzo e, una volta salite le scale, restai a bocca aperta.

In questo posto la notte non è stata intaccata dalle luci dei lampioni e dai fari delle macchine. Qui il cielo sembra avvolgere tutto ciò che ha intorno, illuminato da una moltitudine di stelle che lo rischiarano quel tanto che basta da lasciarmi basita, ogni volta.

Rapita da quello spettacolo che si affacciava ai miei occhi, inspirai stupita, così forte che sembrò funzionare a calmarmi. Come se la mia pace interiore non mi avesse mai abbandonata.

«Steve, questo è un regalo straordinario.»

«Non è un regalo, Dafne. Ti ho solo portata su un tetto.»

«Lo reputo comunque un regalo stupendo. Anche se non ti sei reso conto, portandomi qui, mi hai donato un respiro.» ammisi teatrale, portando la mano al petto, mentre fingevo di essere una principessa disney.

«Se ti fa stare così bene, hai il permesso di salirci tutte le volte che vuoi», sussurrò in un largo sorriso.

Credo che i miei occhi in quel momento si siano illuminati come raramente accade. Saltai di gioia, colpendo Steve dritto in faccia, con la testa.

«Scusa, scusa, scusa». Il suo occhio si arrossò immediatamente. Ricordo che il giorno dopo aveva il segno della serata: un bel livido che perdurò a lungo.

«Dobbiamo metterci qualcosa sopra.» affermai, mortificata.

«Non preoccuparti, bestiolina», disse lui sorridendo. «Tu resta qui a goderti lo spettacolo. Io metterò un po' di ghiaccio e tornerò a lavorare.» abbassò il tono della voce. «Attenta al lupo cattivo, però.» disse serio. «Se dovessi sentire la porta aprirsi, va a nasconderti lì dietro» mi consigliò, indicando un punto dove intravidi un muretto alto. «Non appena è distratto, prendi la porta all'angolo. Ti porterà all'uscita sul retro.»

Da quella sera, quando stacco, corro al riparo nel mio posto sicuro per un paio di ore. Non ho mai dovuto usare le scale di emergenza.

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Questa notte, assorta nei miei pensieri, ammiro le stelle e non trovo la luna a illuminare il cielo e nascondere il loro bagliore. Mi perdo. Forse troppo.

Il rumore stridente della maniglia arrugginita che qualcuno abbassa dall'interno, mi risveglia dal mio stato di torpore. Il battito accelera, il cuore sale in gola, ma lo inghiotto di nuovo.

So già di chi si tratta. Il tipo a cui Steve ha lasciato libero accesso per la sveltina serale (ero troppo curiosa di sapere in quale ospite mi sarei imbattuta.)

Cliente fisso delle ventitré.

Quanto cazzo sono rimasta in terrazzo?

Se lui è qui, sarà trascorso giusto il tempo della cena e della caccia. Deve essere almeno mezzanotte. Ma che diamine!

"Ventitré" apre la porta e io mi sono già catapultata nell'angolino della vergogna, prego che non mi abbia sentita e soprattutto, spero che la vittima di turno lo faccia distrarre, presto.

Nell'oscurità, riesco a vedere la sua sagoma.

Ha un fisico atletico e ben proporzionato. Un leggero soffio di vento mi fa scorgere ciocche di capelli mossi, né troppo corti né troppo lunghi. Nel momento in cui accende una sigaretta, la luce dell'accendino illumina, per un secondo, il suo viso. Non sembra male.

Il battito accellera, non riesco a frenarlo.

Che mi succede? Non può essere un principio di attacco di panico. Sono nel mio posto sicuro.

«Come vedi non ti ho fatto attendere molto.» Una voce femminile, molto familiare, mi distoglie dai pensieri.

Lui emette un risolino malizioso, ma non dice una sola parola.

La tipa non perde tempo. Si avvicina, fa scivolare la mano tra le gambe del suo uomo.

Quella del ragazzo si incastra nei capelli di lei, la spinge verso il basso, in preghiera. La preghiera di una suora che non perde tempo a sbottonare il pantalone, lo strappa, senza peccato.

È abbastanza distratto. Dovrei andarmene...

Non riesco a distinguere i volti, ma la dimensione di quell'affare che si ritrova in mezzo alle gambe si percepisce anche a distanza.

È abbastanza distratto. Dovrei andarmene...

Lei lo afferra con entrambe le mani, mentre lui lo spinge in bocca con movimenti sensuali ma, allo stesso tempo, violenti e meccanici.

«Hai con te un preservativo?» dice lei, scostandosi per un secondo da quella specie di mostro.

«No, tesoro. Non era in programma.» Falso, è il posto che usa per le sue sveltine serali. «Continua a succhiarlo.»

Lei lo avvolge di nuovo tra le labbra, obbedisce ai suoi ordini, come un cagnolino, con la stessa foga di Lara mentre ingurgita una fetta di cheesecake al caramello e noci di macadamia.

Credo gli stia prosciugando anche l'anima e io dovrei andarmene.

Dovrei, ma...

La volta di spalle, me la ritrovo, praticamente, di fronte.

Non possono vedermi, ma se mi muovessi, in questo momento, sarebbe deleterio.

Le mani dell'uomo scivolano tra i capelli della suora, li tira con forza, la sbatte con il viso su un tavolino, mentre le divarica le gambe, prima di infilarlo con violenza. La sua manovra, poco romantica, mette in evidenza la mancanza di un trasporto emotivo. Un atto di puro godimento fisico fatto di contorsioni, eccitazione, urla di piacere sempre più udibili che spezzano la solita quiete.

I loro movimenti, accellerati e stanchi, lasciano intuire l'esito finale.

Voto dieci per l'impegno!

Tra le mani di quell'uomo non deve essere affatto difficile raggiungere il paradiso. O, almeno, è quello che immagino osservandola.

«Ti prego, voglio sentire dolore!» Lo supplica, come fosse una speranza perduta.

Che gran figlia di una...

Ora capisco perché la voce mi suonava familiare. Ci ho messo un po' a riconoscerla, data l'assenza di luci e la situazione imbarazzante che mi ha portata a concentrarmi sull'atto e non sulle persone.

È quella stronza di Melissa.

La solleva dai fianchi, per sederla sul tavolino che ha appena conosciuto la sua faccia. Lo vedo sparire con la testa tra le gambe di lei.

È ora di andare, davvero questa volta. Credo siano entrambi abbastanza distratti.

Cerco di non far rumore, mi dirigo a passo leggero verso la porta, supplico di non essere scoperta. Sarebbe dannatamente imbarazzante. Non avrebbero dubbi sul fatto che fossi lì, a godermi lo spettacolo, fin dall'inizio. La cara e dolce Melissa potrebbe avere un attacco isterico fuori portata, alla mia vista.

Potrei minacciarla, ma non sono quel tipo di persona. Non distruggo la vita degli altri, come Matt ha fatto con me.

Non ho altro tempo da perdere. Ho guardato più che abbastanza.

Arrivata alla porta la apro, senza curarmi di non fare rumore. L'importante è non rendermi riconoscibile e, data la loro posizione, non avranno il tempo di seguirmi per capire chi sia l'intruso.

Scappo giù per le scale senza guardarmi indietro. Raggiungo l'uscita con pochi danni collaterali – ho pensato di arrivarci rotolando a un certo punto. Non appena apro l'uscio, sbatto contro qualcosa di duro, ma non abbastanza da essere un muro.

«Dafne?» È Steve, per fortuna. «Che cosa ci fai ancora qui? Ero convinto fossi andata via da almeno tre ore.»

«Steve, non indovinerai mai cosa è successo. O forse sì. Cavolo! Il cielo era così spettacolare stasera che non mi sono resa conto dell'ora.» blatero agitata.

«Oh piccola, non mi dire che ti hanno vista?» dice, quasi sbuffando, come un bambino di due anni.

«No, ma non posso assicurarti che scappando io sia stata proprio silenziosa.»

«L'importante è che non abbiano visto la tua faccia. Lavori per me. Potrebbero pensare che mandi qualche spia per controllare l'operato» dice con tono rassicurante e spiritoso.

«Il problema è che io ho visto loro» sussurro, come se non mi dovesse sentire nessuno.

«Oh, bestiolina. Li conoscevi?» Ne è turbato.

«Chissenefrega dell'oca dalla vagina dorata e di sperminetor» sorrido imbarazzata. «Ho visto tutto» sussurro.

Si porta la mano sul viso.

«Povera piccola. Deve essere stato uno shock.»

«Credo di poter rimanere traumatizzata a vita, ma vorrei evitare di parlarne oltre.»

Se solo sapesse cosa mi ha turbata, ne andrebbe della sua virilità.

Steve è un uomo di qualche anno in più di me, che ha puntato tutto sul Mor quando era poco più di un ragazzo. Ora di anni ne ha trenta. Trent'anni di muscoli e fascino. Ha capelli e occhi neri come la pece. Uno sguardo profondo e delle labbra da staccare a morsi. Una piccolissima cicatrice sulla guancia gli dona un'aria di mistero. Ogni tanto penso che potrei innamorarmi perdutamente di quest'uomo, se non fosse che le farfalle nel mio stomaco, credo siano morte di noia, aspettando che provassi di nuovo qualcosa per qualcuno. Non aiuta neanche il fatto che Steve mi tratti come la sua sorella minore, imbranata e senza speranze.

Mi toccherà fare pace con i miei neuroni.

Devo costringere il cervello a non pensarlo in mutande, mentre mi prepara la colazione, ballando a ritmo di "the time of my life" dopo aver fatto l'amore fino alle quattro del mattino.

Ok, basta Dafne. Riprenditi. Lui è il tuo capo. Che capo! È una specie di fratellone. Un fratellone sodo con dei capelli perfetti da sistemare sotto le dita.

Oh, cazzo! Di nuovo. Potrebbe trattarsi di incesto. È parte della tua famiglia.

Ma sarebbe parte della mia famiglia anche se fosse sotto le mie coperte come futuro marito.

Continuo a litigare con la mia testa, senza rendermi conto che sono lì, imbambolata, davanti all'uomo che accompagna la mia mente nelle notti solitarie. Se solo provassi altro, oltre questa attrazione controllata fuori ma ingestibile dentro. Se solo sapesse quanto sono idiota.

Mi sposta una ciocca di capelli, mentre si avvicina lento, vis-à-vis.

Sta per baciarmi? Ho di nuovo le allucinazioni? Si accosta sempre di più. Cazzo, non è un sogno. Perché vedo tutto a rallentatore? Chiudo gli occhi, aspettando il bacio tentatore.

«Va a casa, piccola», mi sussurra all'orecchio.

Mi riscuoto. Mi faccio prendere dai miei film mentali del cavolo. Ma lui mi piace. In modo controllato, ma mi piace.

Sono anni che esco, forzandomi, con tipi interessanti come un brufolo sul sedere. Una cena e stop. La noia prende il sopravvento. Una volta sola nella vita ho provato quel sentimento così potente da far vibrare anche l'anima. Ma quell'amore ha distrutto me e la poca fiducia che avevo negli uomini.

Ora, dopo tanti anni, incontro questa meraviglia che non solo protegge me, ma tutti quelli che incrocia sulla sua strada. Ho di nuovo fiducia nel genere maschile, anche se credo sia solo un'eccezione che conferma la regola.

La porta del retro si apre e mi scaravento sulle labbra di Steve.

Ops!

Il cuore mi sale in gola. Non per il bacio rubato, ma per il terrore che possa essere il portatore del membro mostro.

Per non incrociare il suo sguardo a quelle labbra mi ci attacco con tutta la forza che ho. Invece di respingermi e prendermi in giro come pensavo, Steve poggia la mano sulla mia nuca e mi tiene stretta a lui. La sua lingua cerca la mia e io mi lascio andare, dimenticando, per un attimo, il motivo che mi ha portata a nascondermi in modo così impacciato.

«Oh, scusa Steve. Stavo cercando qualcuno. Perdona il disturbo. Vi lascio continuare.» dice, completamente a disagio, dottor Sperminetor.

Che imbarazzo!

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