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19-Caffè amaro

Elias

È chiaro come il cielo illuminato dal sole di maggio che io e Dafne siamo legati da un filo rosso. Uno di quelli invisibili che nessuno può vedere o toccare, ma c'è. S'intreccia nel tempo che scorre, tra gli ostacoli della vita. Gira intorno alle persone e ai luoghi.

Ne ho avuto l'ennesima conferma qualche giorno fa, durante una chiacchierata a pranzo con Hellin. Per la prima volta, si è aperta davvero con me, confessando i suoi peccati. Non nego di essere stato brusco nei suoi confronti e, solo in un secondo momento, ho cercato di capirla, di mettermi nei suoi panni.

Non ci riesco, fino in fondo, ma resta il fatto che è una sua decisione. Insindacabile. Come sempre. Non si mettono i bastoni fra le ruote a Hellin Western, mai.

Non posso parlarne con nessuno, tantomeno con Dafne e, fino a quando non sarò sicuro di riuscire a non premere il tasto sbagliato e azionare questa bomba a orologeria, ho un'unica opzione possibile: evitarla come la peste.

Ci sto provando, ma è così difficile!

Sono tornato a lavorare nel mio ufficio per tentare di mantenere una distanza di sicurezza tra me e lei. Evito di entrare anche al Mor. Quando mi trovo di passaggio, però, mi fermo a guardarla dai finestroni che affacciano sulla strada. L'altra sera è stato un caso che io fossi lì, come è stato un caso trovare Layla al bancone. Avevo visto che Dafne non c'era e ho pensato di fermarmi qualche minuto per mettere qualcosa sotto i denti e bere una birra. Layla era seduta, insieme alle amiche.

Ha iniziato a provocarmi, battendo su quella cazzo di promessa che le avevo fatto. Di solito, sono uno che mantiene la parola data, ma Dafne è tornata nella mia vita, nella mia testa e in ogni singolo maledetto istante che percorre le mie giornate. Quella cena, in cui tanto spera la ragazza, può andare a farsi fottere.

Quando l'ho vista entrare, fasciata nel vestito indaco, il mondo ha smesso di esistere. Layla continuava a parlarmi e a sfiorarmi con le dita, ma non sentivo niente. Ero concentrato a vedere la mano di Steve stringere quella di Dafne. Un gesto che mi avrebbe portato alla follia, se lui avesse continuato a guardarla in quel modo. I miei buoni propositi di astinenza da lei, sono andati a finire come la cena promessa, quando Steve l'ha afferrata da un braccio per fermarla, ma lo ha respinto.

L'ho seguita. Abbiamo parlato. La serata si è conclusa nel mio loft a dormire abbracciati, semplicemente. E mi è bastato.

Mi è bastato starle accanto tutta la notte e respirarne il profumo intriso nei capelli, sulla pelle, senza bisogno di altro. Solo di noi.

La mattina dopo, mi sono svegliato con la consapevolezza che non avrei potuto guardarla negli occhi e mentirle. Sono stato sincero. Le ho detto che mi allontanavo perché devo proteggere un segreto che potrebbe logorarmi, se continuassi a starle accanto.

Ho solo bisogno di tempo per metabolizzare. Un tempo piccolo, minuscolo, perché ogni minuto passato senza sapere che ci siamo l'uno per l'altra è qualcosa di sprecato che rende tutto insignificante.

La sua reazione non è stata delle migliori. Ha provato a lanciarmi un pancake in faccia. Mi ha mancato, ma è andata via infuriata.

Non la vedo da giorni e le continue chiamate che faccio a Hellin, per avere notizie dello scarabocchio, stanno diventando inquietanti, anche per me.

«Elias, tesoro, portami un Light Ice Coffe, se proprio vuoi vederla, invece di tenere costantemente il mio telefono occupato.» Risponde con fare scocciato all'ennesima telefonata.

«Pronto! Sto bene anche io. Grazie per l'interessamento, Hellin.» ribatto, portando la mano a stringermi i capelli.

«Mh... ho combinato un casino, vero?.»

«Sì, esatto, Hellin, lo hai fatto.» replico infastidito. «Ho un casino dentro che neanche immagini e, ora, te ne assumi le responsabilità.» Mi rendo conto di non essere proprio amabile, nei suoi confronti e smorzo i toni, ironizzando. «Volevi ti chiamassi di più? Ti sto accontentando, vedi?» Mi sposto indietro con la sedia, tenendomi agganciato al bordo della mia scrivania. «Anzi, sai cosa ti dico? Hai ragione. Seguirò il tuo consiglio.» annuncio, prima di chiuderle il telefono in faccia.

Mi alzo dalla poltrona, prendo la giacca di pelle e la infilo. Avviso l'assistente di annullare gli appuntamenti della mattinata e corro a esaudire i desideri di Hellin.

🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑

In fila, da Starbucks, aspetto il mio turno, pregando di non fare più tardi della pausa caffè. La gente, in questo posto, arriva a flotte, come se vendessero acqua miracolosa a pochi spiccioli. Quasi cinque dollari per un caffè freddo? I miracoli esistono, eccome.

«È più di un mese che provo a rintracciarti.»

Sovrappensiero, non mi ero accorto della presenza di Melissa, al mio fianco.

«Cosa dici, scusa?» chiedo, fingendo di non averla sentita.

«Un mese, Elias.» Insiste. «È passato un mese, sei sparito.» Continua, e il tono della voce aumenta i decibel. «Non rispondi alle telefonate, non ti sei degnato di portarmi a casa tua e, ora, ne capisco i motivi.»

La gente in fila è interessata al piccolo teatrino che si para davanti i loro occhi. Per carità, lo sarei anche io, se vedessi una ragazza con i capelli biondo platino e un vestito rosso, inguinale, in tinta con il tacco dodici, alle dieci di mattina, sbraitare contro un estraneo.

«E quali sarebbero i motivi? Illuminami.» Incrocio le braccia al petto, mostrando un sorriso sarcastico.

«Tu non mi vuoi, non mi hai mai voluta.» dice, mentre punta il dito, con le unghie affilate, contro di me.

«Non rispondere a chiamate e messaggi ed evitare di farti sapere dove abito non è servito ad aprirti gli occhi?» domando, palesando il mio classico menefreghismo.

Vedo le persone stringersi intorno a noi, per non perdersi il meglio del dramma.

«Ho lasciato Matt, per te.» Puntualizza. «Per viverci senza paure.» dice con voce rotta, mentre porta una mano ad asciugare le lacrime che sforza di fare uscire.

«Ti ha lasciata lui, Barbie. Non dire cazzate.» La rimprovero con un sorriso beffardo.

Spero che la fila scorra. Questa conversazione mi sta annoiando a morte.

«Okay, mi ha lasciata lui, ma l'ho portato a farlo.» ammette.

Ed è proprio quella confessione, di cui già ero al corrente, che mi irrita a tal punto da farmi perdere il controllo.

«Come, Melissa?» chiedo in una domanda retorica. «Non ti sei fatta scrupolo di mandare quell'uomo di merda a riprendersi Dafne con la forza, di cosa vuoi parlare ancora?»

La banconista chiama il mio nome per avvisarmi che l'ordine è pronto. Volto le spalle alla biondina, perché io, non ho più nulla da dirle.

Non ho mai avuto niente da dirle. L'ho solo usata per uno scopo sbagliato. Credevo mi facesse sentire meglio, ma non vedevo che sprofondavo nell'abisso di una vendetta che non aveva senso di esistere.

La sento, tra il chiacchiericcio della gente, sospirare profondamente, come a prendere la rincorsa per dire qualcosa.

«Parliamo del fatto che sono incinta.» urla, in mezzo alla folla e io m'immobilizzo.

Il chiacchiericcio diventa frastuono. Rimbomba tra le mura di Starbucks e nelle mie orecchie. Vorrei alzare le mani e coprirle dal fischio che mi perfora i timpani. Passa qualche secondo, prima che possa realizzare che, il suo, è l'ultimo tentativo disperato di tenermi al guinzaglio.

Mi volto per raggiungerla, con aria di minaccia. Mi avvicino per non regalare ancora altro spettacolo. Arrivo a un centimetro della sua faccia da mignotta e spingo con la fronte alla sua, tirando aria tra i denti.

«Se fosse vero – e non lo è – mi prenderei cura del bambino, ma di te non me ne fregherebbe, comunque, un cazzo.» L'afferro dalle guance e stringo, per far credere alla gente che ci guarda che, quest'incubo, possa avere un lieto fine.

Le schiocco un bacio, prima di voltarmi di nuovo, prendere il mio ordine e lasciarla logorare sola, come merita di stare.

Esco dal quel posto dove non vorrei rimettere più piede e lei mi raggiunge fuori. Dalla soglia della porta, mi richiama.

«È per lei, vero?» domanda, reggendosi all'anta, mentre aspetta una risposta che non arriva. «L'ho vista come la guardi, sai? Ho visto come t'illumini solo a sentire il suono del suo nome.»

Mi fermo, lascio che la sensazione dei bicchieri caldi che stringo tra le mani, arrivi a riscaldarmi anche dentro, mentre chiudo gli occhi e sospiro.

«E come la guarderei?» domando, senza voltarmi.

«Come spero di essere guardata io, un giorno.»

Sorrido, e un po' mi dispiace per lei. In fondo, ma molto in fondo, penso che non sia tanto male come vuole lasciar credere.

🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑

Raggiungo l'ufficio di Hellin, con il suo Ice, il mio espresso e una piccola crostata di pesche, appena sfornata dalla Bakery all'angolo.

Non è buona come la sua, ma è una di quelle che merita un assaggio.

«Oh, ma che sorpresa, Elias, non me l'aspettavo questa tua visita improvvisa.» Ironizza, la donna, non appena metto piede nella stanza.

«Dov'è lei?» chiedo.

Ho sbirciato in tutti gli uffici, volevo lasciare la crostata sulla sua scrivania, ma non l'ho vista e non volevo la trovasse qualcun altro.

«Anche io sono felice di vederti, mio caro.» Strizza i suoi occhi grandi dietro agli enormi occhiali, prima di alzarsi dalla poltrona per venire a mettere apposto il colletto della camicia, sotto il giubbino. «Fino a dieci minuti fa era qui.» dice, alzando le spalle. «Margot l'ha avvisata dell'arrivo di un'amica.»

«Lara?»

Chi perderebbe il suo tempo a firmare le decine di scartoffie per la privacy di Hellin?

«No, non credo.» Si volta verso il vassoio contenente la crostata. Lo apre. «E questa cos'è.» Mi osserva truce.

«Lo vedi tu stessa.» rispondo.

«La faccio ogni lunedì, Lara viene di proposito per mangiarne una fetta. Oggi non è lunedì, e questa...» Si ferma per sollevare la torta dal tavolo e avvicinarsi al cestino della spazzatura, «non è la mia.» chiude, lasciandola cadere sul fondo del contenitore, come se, il mio, fosse stato un affronto.

Lo era, ma non lo ammetterò mai.

Sbuffo, prima di rendermi conto che potrebbe esserci Melissa con Dafne. Vado in panico.

Allarmato, a grandi falcate, raggiungo la scrivania, prendo il telefono di servizio e compongo il numero dell'interno di Margot.

«Sì, Hellin?» risponde dalla sua postazione.

«Con chi è Dafne?» Mi affretto a chiedere, senza utilizzare convenevoli.

«Ah, Elias, sei tu?» Si ferma per pensare. «Credo sia con il tizio che le manda continuamente regali.» Mi si sgretola lo stomaco non appena sento quelle parole colpirmi dritte nel petto.

«Non era un'amica?» domando, rivolgendomi alla donna al mio fianco. «Hellin, non era un'amica?» La richiamo.

«Margot ha detto che aveva visite. Avrò dato per scontato fosse un'amica» dice, mentre alza e abbassa le spalle.

Si diverte proprio a torturarmi.

«Margot, descrivimelo!» Le ordino in modo del tutto sgarbato.

«Elias, che ti devo dire? Non ci ho fatto caso più di tanto.» Queste due vogliono farmi impazzire. «Ha i capelli scuri e occhi tanto neri. Non si vede neanche la pupilla. Affascinante oltre che bello da morire.» Continua a sbeffeggiarmi. «Per non parlare del fisico. Insomma, nulla di che.»

La descrizione mi lascia pensare che non può essere che Steve. Inizio a credere che arriverà alla meta, conquistandola per sfinimento.

«E se ci avessi fatto caso?» chiedo sarcastico, mentre tolgo aria dal naso

«Saprei esattamente di quanti nei è provvisto!» risponde, fingendosi offesa.

«Dove sono?»

«In sala relax.» Le chiudo il telefono in faccia per dirigermi, a passo spedito in quella dannata stanza a prendere il quarto caffè della mattinata.

Prima di raggiungerli, sento il cuore esplodermi nel petto. Sono spaventato dai mille scenari che mi passano per la testa. Non ce n'è neanche uno che possa tranquillizzarmi. Quell'uomo ha rotto le palle, sul serio. L'ho notato che sta facendo in modo che io stia lontano da Dafne. Da quando l'ho incontrata, Steve ha cambiato atteggiamento nei miei confronti. Di punto in bianco. Capisco che la voglia anche lui, ma dietro a quello sguardo che mi riserva, ogni volta che mi vede, io leggo una vera e propria minaccia.

Mi fermo, appena prima di entrare, dietro la grande colonna che ci separa. Sarà anche una grossa cazzata, ma devo ascoltare cosa si stanno dicendo, senza farmi vedere. Mi sporgo con l'orecchio per sentire meglio.

Steve: Ho prenotato al ristorante qui sotto per pranzo. Quanto dura la pausa?

Dafne: Stacco alle dodici e trenta e riattacco alle quattordici. Dovremmo farcela. Male che vada saremo a due passi. Tardi non posso fare.

Steve: Be', avrei in mente un paio di ragioni che potrebbero farti tardare, ma che non credo vorresti conoscere.

Non ho ragioni di essere geloso, io e Dafne non siamo niente, eppure...

Ti prego, non rispondere, non provocarlo. Non provocarmi.

«Cosa stai facendo qui, Elias?» La voce di Layla mi sorprende alle spalle.

Prendo un grosso respiro e sbuffo. Dal riflesso di una vetrina, vedo la schiena di Dafne irrigidirsi.

«Elencamele, Steve.» dice, consapevole della mia presenza.

Ma cosa vuoi sapere? Cosa, Dafne? Se vuoi ti elenco io la lista della spesa, i santi in paradiso o la rubrica telefonica.

Prendo la palla al balzo e mi rivolgo alla ragazza al mio fianco, ancora in attesa di una risposta.

«Niente, Layla, sono venuto a farmi un caffè.» dico, mettendo le mani in tasca.

«Ti va se lo prendiamo insieme?» chiede timida, aspettandosi un ulteriore scusa per mollarla e andare via.

Le faccio cenno di entrare, portando le mani in avanti in segno d'invito. «Prego, prima le signore.» La canzono, in modo che Dafne possa sentirmi.

Vado verso la macchinetta per preparare due caffè e lascio che Layla prenda posto a un tavolino poco distante da quei due.

Sotto lo sguardo vigile del demonio e la sua accompagnatrice, verso lo zucchero nella mia tazza e ne lecco la bacchetta dopo averlo girato, ricambiando lo sguardo disgustato dell'uomo.

«Tu come lo vuoi?» chiedo a Layla.

«Senza zucchero, grazie.» risponde.

Giro su me stesso, verso la macchinetta che sta erogando l'altra bevanda. Mi sento il fiato di Steve puntato sul collo, mentre Dafne non smette di fissare la ragazza. Li guardo dal riflesso della vetrinetta dove vengono conservare le cialde.

Sembra quasi un campo di battaglia prima del colpo iniziale e, ammetto, un po' mi diverte.

Porto i bicchieri al posto, ne porgo uno alla ragazza.

Layla avrà, più o meno, trent'anni, un fisico sopra la media, ben allenato. Il seno sporge fuori la scollatura abbondante e i capelli rosso fuoco scendono ad accarezzarle il petto prosperoso. Non nego di aver dato più di una sbirciata che non mi ha permesso di notare il colore degli occhi.

Quando afferra la tazza rovente, fa in modo che le sue dita accarezzino le mie. Do un'occhiata a Dafne di traverso, incrocia le braccia e arriccia quelle labbra che staccherei a morsi.

«Quindi? Per quella cena?» Insiste, la donna seduta al mio fianco, con questo appuntamento del cazzo che io non voglio proporle.

«Be', sono molto occupato in questo periodo,» Vedo Dafne fare una smorfia compiaciuta, «ma vedrò di liberarmi.» continuo.

Voglio provocarle una qualunque reazione, come lei l'ha provocata in me con quella risposta stupida e senza senso che ha dato a quel coglione.

«Che dici, piccola? Andiamo via?» chiede Steve, con aria scocciata.

Piccola? Non lo sopporto, quando la chiama così.

«Certo.» risponde, lasciando che la confusione mi attorcigli le budella. «Andiamo, ti accompagno all'uscita» dice con gentilezza.

Si alzano entrambi e io non capisco.

Non capisco come possa ancora dargli retta. Non capisco perché ritrae la mano ogni volta che lui gliela porge, come in questo momento. Non capisco perchè, anche se lo fa, non si lascia andare a nessuna emozione che possa farmi capire che, anche lei, sta provando quello che provo io.

«Quindi? Quando potrai liberarti per me?» chiede Layla, appoggiando la tazza sul tavolino per concedermi una carezza sul braccio, dopo che i due sono usciti dalla stanza.

«Mai!» rispondo perentorio.

Sbatto la ceramica sul tavolo, faccio schizzare qualche goccia di caffè bollente che arriva proprio vicino al punto che lei sta ancora accarezzando. Ritraggo la mano, tirando aria dai i denti, a causa della scottatura.

Sento che brucia da morire anche dentro al petto.

«Ma hai appena detto che...»

«Ho detto una cazzata, okay?» dico, guardandola negli occhi. «Non voglio uscire un'altra volta con te. Abbiamo scopato, è stato carino, ma adesso basta.»

So benissimo di essere stato un completo stronzo e di averla fatta rimanere male. Lo leggo nei suoi occhi da pulcino spaventato, mentre mi alzo per andare via.

«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» Le sue parole mi bloccano sul posto.

No, tu non hai fatto niente, sono io quello sbagliato. Sbagliato per te, per lei, sbagliato per chiunque incontri sulla mia strada.

La stessa strada che ora Dafne sta bloccando, impalata sulla soglia a braccia incrociate.

«Sì, Layla.» risponde lei al mio posto. «Hai sbagliato a chiedere di uscire a un uomo impegnato.»

La ragazza si volta, guarda Dafne inebetita, si alza dal tavolo e si avvicina a lei.

«Scusami, io non lo sapevo.» Rivolge uno sguardo anche a me, ingoiando un groppo di saliva.

«Bene, ora lo sai!» Le fa cenno con la testa di uscire dalla stanza.

Ci lascia soli, senza voltarsi indietro e una leggera punta di orgoglio mi sorprende.

Non amo le scenate di gelosia, ma avevo bisogno di sentire quelle parole uscire dalla sua bocca.

«E quindi,» Mi sposto verso di lei per bloccarla al muro e non allontanarla dal mio sguardo, «da quando sarei un uomo impegnato?» La stuzzico a un centimetro dalle labbra.

«Da quando sono tornata a riprenderti.» risponde, prima di colmare la distanza con un bacio dal sapore di caffè amaro, come il veleno che sento salire quando mi ricordo del suo appuntamento.

La bocca morbida non mi aiuta a scostarmi, ma lo faccio ugualmente.

«Andrai con Steve?» chiedo, poggiando la fronte alla sua.

«È un appuntamento di lavoro, Elias, niente di più.»

Per puro caso, prenoterò nello stesso ristorante, per andare a pranzo con Hellin.

Non mi fido di quell'uomo, non mi fido di come la guarda. Non mi piace come mi guarda.

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