Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

18-Troppo ingenua

Dafne

Non so neanche da quanto tempo  continuiamo a baciarci.

Mi sorprendo a riscoprirmi donna, con l'istinto e la voglia di andare oltre quel bacio che potrebbe sembrare semplice, ma racchiude gli anni passati a detestarci, in silenzio. Sento il sapore delle ferite di cui non abbiamo mai parlato, quelle che ci hanno portato ad essere ciò che siamo oggi. Sento quel trasporto che ho sempre ricercato, quello delle mie amate farfalle nello stomaco.

Non dormivano, non erano morte di noia, neanche trucidate con una fionda. Lo stavano solo aspettando.

Ho mentito, spudoratamente, quando ha rigirato la mia domanda su eventuali partner sessuali. La verità è che, dopo aver passato anni di terrore a causa di tutto ciò che era successo, mi sono buttata a capofitto nello studio e nel lavoro, senza pensare a determinate esigenze.

Una volta raggiunti i miei scopi e lavorato sui miei traumi, ho iniziato a interessarmi di nuovo al sesso, ma con poco successo. Le occasioni non sono mancate, ma non riuscivo ad andare oltre un poco proficuo petting spinto. Gli impulsi si rianimavano e morivano sul nascere, come avessero un pensiero proprio e una meta comune. Erano rimasti aggrappati a un passato che volevo cancellare.

A parte una sola volta, con un tizio conosciuto in Libano, durante i miei studi universitari.

Non ricordo bene neanche il suo viso.

Volevo seppellire i miei traumi, sbloccarmi. Ero stufa di non essere in grado di avere una relazione stabile a causa del mio passato.

Una sera, dopo il tirocinio, decisi di mettermi in tiro e raggiungere i miei colleghi in un magnifico locale sulla spiaggia di Beirut. A pochi tavoli di distanza, c'era questo ragazzo che mi aveva puntata. Sarà stata l'atmosfera surreale dovuta ai caldi bagliori delle luci che si riflettevano sul mare, sarà stata la musica sensuale che risuonava, unendosi al rumore delle onde che s'infrangevano sul bagnasciuga, o i due litri di birra bevuti con avidità, a grandi sorsate ma, quella sera, raggiunsi il mio obbiettivo con lodevoli risultati. Fu l'unica volta.

Il resto è storia.

«Dafne...» Lui mi richiama e io resto impalata, cercando le sue labbra morbide, con gli occhi ancora chiusi. «È l'alba, non hai qualcosa da fare in ufficio?» Lo sento sorridere e accarezzarmi i capelli, come faceva da ragazzino.

Apro un occhio soltanto e a sorprendermi, questa volta, è la luce del sole che ha preso il posto di quella dei lampioni, rischiarando i dintorni.

«Oh mio Dio, Elias.» Mi scosto dalla staccionata, guardo l'ora. «Sono le sette passate.» dico agitata. «Devo cambiarmi, scappare in ufficio, farmi una doccia...»

«In quest'ordine?» domanda, inarcando un sopracciglio.

Penso a ciò che ho appena detto e sorrido.

«No, magari non in quest'ordine, idiota!» Poggio una mano sul suo petto per spostarlo.

Mi trattiene, al centro, con entrambe le mani poggiate sulla staccionata. Non vuole liberarmi e io non vorrei andarmene.

Starei tutto il giorno avvinghiata a lui, proprio come tanti anni fa. Due ragazzini che s'innamorano per la prima volta, ecco cosa sembriamo.

Strofina il naso sul mio, provocandomi un brivido dietro la schiena.

«Vieni a fare la doccia da me, scarabocchio.» sussurra nel mio orecchio.

«Non credo sia una buona idea.» Sento un calore invadermi in mezzo alle gambe e stringo il labbro inferiore tra i denti.

Non siamo cambiati affatto.

Lui non è cambiato, io non lo sono e non è cambiato neanche il tempo che scivola veloce, senza aspettarci e non si preoccupa di ferirci mentre scorre.

«Hai ragione!» afferma, spostandosi dal mio viso. «Dovremmo farla insieme, quella doccia.» Mi sfiora le gambe con un dito.

Sale, lo infila sotto la gonna per accarezzare, delicato, la linea che s'infrange accanto alle parti intime. Sospiro. Vorrei che infrangesse anche me, che mi spogliasse, qui e ora. Vorrei rotolarmi in questo prato che ha tutta l'aria di volerci accogliere. Vorrei essere nuda e lasciarmi andare alla lussuria, quella vera, pura. Quella che mi è stata negata da sempre, ma... devo andare.

«Elias, Hellin mi aspetta fra meno di due ore. Mi farai fare tardi, lo so.» dico con un magone che mi stringe nel petto.

«Mh. Almeno, promettimi che verrai dopo la riunione.» soffia sul mio collo, lasciando piccoli baci delicati.

«Non posso farti questa promessa.» dico, stringendomi nelle spalle.

Toglie la mano da sotto il vestito e sento crollare il terreno sotto i piedi.

«Quale sarebbe il motivo?» chiede confuso, ma sembra conoscere già la risposta.

«Il Mor.» Sospira e gira su se stesso, voltandomi le spalle. «Elias, lavoro ancora lì, lo sai bene.»

«Che intenzioni hai con Steve?» domanda seccato, senza girarsi.

«Non lo so.» Ma cosa diavolo mi dice il cervello?

Non lo so?

Certo che lo so. Lo so benissimo. Io non voglio Steve, non l'ho mai voluto.

«Che cosa significa che non lo sai?» chiede, mentre cerca di mantenere la calma, prendendo a calci l'erba. «Hai intenzione di chiuderla? Di dirgli di me?»

«Di te? Cosa dovrei dirgli di te, c'è stato solo un bacio.» Mi pento, subito dopo averlo detto.

Infila le mani nelle tasche ed emette una risata sarcastica, prima di girarsi di nuovo.

«Mi stai dicendo che era un bacio come un altro, il nostro?» Fa una smorfia a dir poco schifata, incredula. «Come quelli che daresti a un qualsiasi Steve che passa nella tua vita?»

«Ti sto dicendo che non voglio affrettare le cose, Elias.» dico in un sussurro.

«Dodici anni senza di me non ti sono bastati?» La sua è una domanda retorica.

Dodici anni senza di lui sono stati infiniti, insopportabili. Credevo fosse un mostro e li ho passati a odiarlo, anche se, in fondo era ancorato in un posto che non riuscivo a vedere. Ero persa, lo ero insieme a lui e a tutto ciò che mi avevano fatto credere.

Dodici anni d'inferno, sì che mi sono bastati.

«E Melissa? Dove la metti Melissa?»

«Dafne, non me ne frega un cazzo di Melissa, non me n'è mai fregato un cazzo di nessuna!» sbraita, perdendo la pazienza. «Melissa è storia chiusa. E tu? Chiuderai con Steve?» Si ferma per aspettare una risposta che tarda ad arrivare. «Non è difficile. Sì o no?»

Prendo un grosso respiro. Non so bene cosa mi stia accadendo. Sono come bloccata tra i mille pensieri che mi passano per la testa. Lui non c'entra niente con quello che ho subito, ma lo sto scoprendo solo oggi. Non ho neanche avuto modo di metabolizzare il tutto.

«Non ora, non così, Elias.» sputo quella sensazione che mi logora. «Ho bisogno di capire.»

Irrigidisce le spalle. Ora è lui ad essere confuso. Inarca le sopracciglia, togliendo aria dal naso mentre scuote la testa.

A piccoli passi indietreggia, tentennando.

«Hai bisogno di capire cosa? Spiegami.» sorride beffardo.

«Di capire me. Di capirti, anche.»

«Sono un libro aperto, io.»

«Sì, e sai benissimo aprirti anche con le altre.» Non avrei dovuto, farlo, lo so, ma io non sono un'eccezione. Io sono la regola. «Cosa credi? Credi che non ho visto come ti guarda quella tizia, in ufficio?» domando retorica. «Credi che non sappia che ti sei portato a letto quelle due, la sera del nostro incontro? Quanto credi che sia idiota?»

«Oh, sì, è verissimo.» Conferma. «Mi sono scopato Layla, e le ho promesso di rifarlo, ma sta ancora aspettando. Mi sono sfogato su quelle due e su Melissa, quella sera, e non mi giustificherò per averlo fatto.» E tutto questo fa male, brucia come acido sulla pelle nuda, ma continua a farlo, continua a ferirmi. «Penso di essermi fatto ogni bella donna esistente a Manatthan e quindi? Qual è il tuo problema?»

«Lo rifarai.» dico di getto per rispondere alla sua domanda.

Sbuffa, non aggiunge un'altra sola parola. Mi volta le spalle per raggiungere la macchina a passo svelto, s'infila dentro, sbatte lo sportello e accende il motore. È fuori di sé, ma continua ad aspettare che io lo raggiunga. Preme un paio di volte sull'accelleratore, senza inserire la marcia. Prendo il telefono, chiamo il servizio taxi e faccio cenno a Elias di andare.

Lo vedo chiudere gli occhi e afferrare lo sterzo con forza, prima d'inserire la marcia e sfrecciare sulla strada che lo porta lontano da me. Di nuovo.

E io non ho idea neanche di dove mi trovi. In tutti i sensi.

«Mandi la posizione, non si preoccupi.» dice l'operatore al telefono, quando impreco disorientata.

✧⋄⋆⋅⋆⋄════ ⋆★⋆ ════⋄⋆⋅⋆⋄✧

Dopo una doccia rigenerante e quattro caffè, sono in ufficio nell'attesa di avere notizie sui bozzetti modificati nello stile Hellin Design.

Ho sempre amato i miei disegni, ma sentivo come se mancasse una parte di me per renderli davvero perfetti. Non so per quale motivo, ma ora, guardandoli nello stile di Hellin, li sento più miei di quanto non li abbia mai sentiti. Come se gli stessi abiti fossero nati per essere suoi. Come se avessi sempre voluto aggiungere il suo tocco, ma non mi fossi permessa di farlo per pura proprietà intellettuale.

Margot mi fa cenno, da fuori la porta, di raggiungere Hellin nella sala conferenze. Sulla soglia, vengo accolta da applausi scroscianti e dall'entusiasmo di Hellin. Mi guardo intorno, confusa.

«È lei il fiore all'occhiello di cui vi parlavo.» dice orgogliosa, rivolta alla commissione. «Prego, accomodati, Dafne.» Mostra la poltrona a me riservata e io l'ascolto.

Sprofondo su quella sedia, perché sento le gambe cedere.

Ho sempre immaginato Hellin stile Crudelia Demon a scuoiare piccoli cuccioli di dalmata. Invece, si è dimostrata una donna affabile, piena di aspettative che spero non vengano mai deluse.
Crede in me più di quanto abbia mai fatto mia madre.

Dalia - mia madre - è una donna iper protettiva. Non avrebbe mai voluto che realizzassi i miei desideri. È un'eterna pessimista, crede che i sogni siano solo mere illusioni destinate a spezzare le ali e farti schiantare al suolo.
Ha sempre voluto evitarmi il dolore della delusione.

Nonna Hadi, non arrivò mai alla sua prima, in teatro. Morì quella stessa notte, in un'incidente che la stroncò sul colpo. Mia madre maledì il suo sogno e tutti quelli esistenti sulla faccia della terra. Perse le speranze di essere felice in una sera che la spezzò per sempre.

Mi sento così piccola in questa stanza, aspettando di essere giudicata dai gran visir del sultano.

«Signorina May», un tizio si rivolge a me, mentre gratta la barba lunga e folta. Una barba che ricorda quella di babbo Natale. «Abbiamo preso in visione i suoi bozzetti e, devo dire che siamo esterrefatti!» ammette, rivolgendo lo sguardo sui fogli che stringe in mano. «Ha colto l'essenza di Hellin portandola a una vera svolta. Le vostre tecniche e le vostre idee sono legate da un'arte che combacia alla perfezione.» Volta lo sguardo, fissandomi con un largo sorriso che non riesce a nascondere dietro quel cespuglio. «Complimenti, signorina! Questa sarà la collezione migliore di sempre!»

Non riesco a esprimermi.
Non so davvero come ringraziare queste persone. Non so come ringraziare Hellin.

Mi alzo dalla poltrona e la raggiungo. La Stringo più forte che posso, lasciando che una lacrima mi righi il volto.

La stanza si svuota dalle persone, ma si riempie di quell'affetto che provo nei riguardi di questa donna e che lei sembra ricambiare.

Lo sento nel suo abbraccio, nei piccoli gesti e in tutte le attenzioni che mi rivolge.

Quando restiamo sole, continuo a dire sempre la stessa cosa. Ripeto quel grazie come se fosse l'unica parola che conosco. Non ne riesco a trovare altre.

«Dafne, davvero, ora basta.» Mi ferma. «Non sei tu che devi ringraziare me. Sono io a doverlo fare con te.» dice, afferrandomi una ciocca di capelli. «Hai portato una ventata di freschezza e devo ringraziare, anche, i miei santi in paradiso per aver visto il tuo nome in mezzo alla pila di curriculum.» Si lascia sfuggire, prima di sgranare gli occhi per essersi resa conto di ciò che ha appena detto.

«Conoscevi il mio nome?» Colgo subito la sua strana reazione.

Hellin si sposta, si avvicina a una di quelle poltrone girevoli e inizia a ruotarla, mostrando del nervosismo.

«Il tuo nome...» La sua voce è rotta per una sorta di commozione che non comprendo. «Il tuo nome, per un periodo, è stato una specie di incubo per me e la mia compagna.» risponde con aria malinconica.

«Addirittura un incubo?» chiedo preoccupata.

Il suo telefono squilla e, con un cenno della mano, si scusa, prima di rispondere.

«Ciao, tesoro! Non mi aspettavo la tua chiamata a quest'ora?» Credo sia la sua compagna. «Sì, è andato tutto bene.» Mi rivolge un sorriso soddisfatto.

Il suo interlocutore continua a parlare.

«No, caro, non ho impegni per pranzo.» 

Caro? Non è la sua compagna.

«Perfetto! Anche io ho qualcosa da dirti. Ci vediamo dopo.» Sono le ultime parole, prima che chiuda la telefonata.

Il dubbio mi assale e non riesco a stare zitta.

«Era Elias, vero?» domando. «Tu eri un'amica di sua nonna?» Riesco a collegare quel pezzo di puzzle che mancava. «Come ho fatto a non pensarci prima?» Sorrido, guardo il soffitto e immagino di risentire quel profumo che non sento da troppo tempo. «Era tua quella magnifica crostata di pesche?» Annuisce, alzando gli occhi al cielo, colpevole. «Mi hai scelta perché hai riconosciuto il mio nome e mi hai collegata a Elias, perché? Sapevi un lato della storia che non conoscevo neanche io. Perché mi hai voluta?»

«Istinto, cara.» risponde. «Elias raccontava sempre di quella ragazzina dalle ginocchia sbucciate che aveva guarito il suo cuore malato.» Stringe le mani al petto. «Abbiamo sempre pensato che qualcosa non quadrava in ciò che raccontava, riguardo a quella notte.»

«Abbiamo?» domando confusa.

«Io e Rose - la nonna di Elias -, la mia compagna.» dice come se la cosa dovesse essere ovvia anche per me.

«Ma Elias mi ha parlato di un'amicizia. Lo avete tenuto nascosto?»

«Non a lui!» Mette le mani avanti. «Al resto del mondo, forse, ma non a lui. Elias lo ha solo tenuto segreto per noi.» Si avvicina, di nuovo, posiziona una mano sulla mia spalla. «È un bravo ragazzo, Dafne, ha solo perso l'amore della sua vita e ha chiuso il cuore al resto del mondo»

Un amore che ha chiuso il suo cuore. Una donna che lo ha trasformato in quello che è oggi.

In tutti questi anni passati, lui ha cercato di riprendere in mano la sua vita, ma io non sono riuscita mai a fare altrettanto con la mia.

Hellin nota il mio senso di smarrimento, mi accarezza una guancia per raccogliere una lacrima.

«Cos'hai, bambina?» chiede con dolcezza, ma non riesco a emettere fiato, a respirare. «Andiamo, Dafne, ti ho raccontato della mia compagna. Un segreto per un segreto.» Alzo gli occhi e le sorrido, ma scuoto la testa e stringo il labbro fra i denti. «Ti farò la crostata di pesche» dice ironica, e io rido per il suo modo di risollevarmi, quasi come se parlasse con una bambina.

«Non hai alternative, Hellin.»

Mi stringe le mani, portandole a riscaldarle tra le sue. Ne bacia le nocche che che si chiudono in un pugno.

«Ti dico un segreto, piccina.» Mi rincuora con la voce gentile. «Il dolore non va soffocato, qualsiasi esso sia. Tenerlo dentro lo farà crescere. Il dolore va urlato e scacciato via, perché tu sei più forte e non puoi avere paura di una ferita, anche se profonda.»

È tutto vero, lei ha ragione. Io non posso avere paura di affrontare, di parlare.

«Hai detto che Elias è così per l'amore che ha perso.» Annuisce. «Chi è lei?» domando di getto.

Hellin mi punta il dito contro, muovendolo a scatti. Su e giù, proprio davanti la faccia.

«Tu...» continua. «Tu ne sei innamorata, ancora.»

«No, ti sbagli!» rispondo perentoria.

«Allora perché piangi, se non provi nulla per lui.»

Non ho risposte, non posso darle a lei prima di darle a me stessa.

Mi consola in un caldo abbraccio e sento di essere a casa immersa in quell'atto di affetto. È la cosa più naturale del mondo volerci bene come stiamo facendo e, il pensiero che vada a pranzo con Elias, mi far venir voglia di infilarmi nella sua Birkin fumé, ma mi darò un contegno e aspetterò che venga lui a pregare di perdonarlo per il suo comportamento infantile.

🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑🌑

Aspettative completamente deluse.

Sono settimane che di lui non c'è traccia. Sto lavorando ogni sera al Mor, solo per poterlo vedere.
Neanche Jonathan ha messo più piede, dopo l'ultima volta.

Hellin ha il divieto di passare il numero di Elias a chiunque lo chieda. Nel mio caso, la diverte molto.

Chiederlo a Steve mi sembra poco corretto, anche perché non ho ancora chiarito nulla con lui. Mi sono limitata a ignorarlo, dopo il terribile appuntamento di quella sera, ma lui sembra determinato a riconquistarmi.

Manda fiori in ufficio, inviti a cene romantiche portati da piccioni viaggiatori - soggetti alquanto discutibili che chiedono perdono al suo posto. Oggi mi ha fatto recapitare un bracciale con uno charms rotondo, dove si legge inciso: "Non credi di avermi fatto soffrire abbastanza?" accompagnato da un biglietto.

Stasera non presentarti al Mor, se non come mia ospite. Non accetto rifiuti, questa volta!

È arrivato il momento di mettere in chiaro le cose.
Cerco Hellin per chiederle il favore di darmi in prestito un capo prova. Non si limita a darmene uno a caso, ma si preoccupa dell'armocromia, della lunghezza e di scomodare hair stylist e make-up artist, per non farmi uscire con un solo capello fuori posto.

«Hellin, non è un appuntamento vero e proprio, lo sai?» chiedo perplessa.

«Sì, ma deve schiattare!» risponde, decisa a farmi sembrare la versione più orientale di Gigi Hadid.

Non mi hanno stravolta. Sono solo più ordinata. I capelli, legati in una coda, perfettamente stirata e tirata a metà nuca, mi donano una certa eleganza. Il trucco è semplice e luminoso. Sugli occhi, un mascara che accentua ancora di più le mie ciglia folte e lunghe. Un vestito di morbida seta indaco, risalta il colore ambrato della mia pelle. La schiena è scoperta, impreziosita da sottili catene che s'incrociano dietro, mentre sul davanti, la stoffa scende morbida sul seno.

Raggiungo il Mor, dopo quest'opera di divinazione, e trovo Steve ad aspettarmi al tavolo.

«La tua bellezza è sprecata per questo posto.» dice l'uomo, inebetito nel guardarmi, non appena mi accomodo.

«Steve, ti prego. Hellin si è solo divertita un po'»

Mi osserva con una punta di delusione, mentre mi stringe le mani appoggiate sul tavolo.

«Ho sbagliato, Dafne.» ricambio uno sguardo che non credo mi piaccia più di tanto.

Non mi piace sentire le sue mani sulle mie. Mi provoca una strana sensazione di repulsione, ma resto ferma, impietrita dalla figura del ragazzo al bancone.

Lo sguardo di Elias mi attraversa la schiena con un brivido che non riesco a controllare. È seduto su uno sgabello di quelli alti, mentre sorseggia una birra. La mano di quella Lilla/Layla - come cazzo si chiama lei -, gli accarezza un braccio, salendo fino alla spalla, per poi sfiorargli la barba incolta. Restiamo qualche secondo a fissarci.

Lei con le mani su di lui.

Steve con le mani su di me.

Niente è al proprio posto, niente.

«Mi dispiace, Steve, non mi è piaciuto il tuo comportamento, affatto.» ammetto, ritirando la mano. «Ma non è per questo che voglio chiuderla qua.» confesso. «Io non provo niente per te.» Non sono mai riuscita a lasciarmi andare e solo ora ne capisco il motivo.

Ora che Elias stringe la mano di una donna che non sono io e lo fa, senza staccare gli occhi da me.

Mi alzo dal tavolo, diretta all'uscita. Vorrei gridare, aprirmi il petto e strapparmi il cuore, riducendolo in mille pezzi. Devo scappare da questo posto, da lui, prima di farmi ancora più male.

«Aspetta, Dafne.» Steve mi raggiunge e mi afferra dal braccio per fermarmi.

Devo andarmene, non posso più sopportare.

Non m'importa niente di ciò che crede Steve, io devo pensare a me stessa e ai miei sentimenti che ora stanno ribollendo dentro e rischiano di scoppiare.

«Lasciami.» Lo strattono, prima di aprire la porta e richiuderla alle spalle.

Mi stringo nel cappotto, l'aria è ancora fresca in questa notte di primavera. Un soffio di vento mi scompiglia i capelli, mentre allungo il passo per andare il più lontano possibile da quel posto.

Raggiungo un parco nelle vicinanze e, nella mente, ripeto le parole di Hellin.

Il dolore va urlato...

«Sei stata tu ad allontanarlo, stupida!»

E lo faccio, lo urlo quel dolore che mi sta tagliando il respiro.

«Hai finito di parlare con la tua amica immaginaria?» La voce di Elias mi sorprende alle spalle. «Presentamela! Quantomeno discutiamo insieme.» Lo sento sorridere, anche se non oso voltarmi.

Mi chiudo nelle spalle, come a volermi nascondere.

«Da quanto sei qui?» chiedo, sicura che mi abbia sentita.

Credo lo abbiano fatto a chilometri.

«Abbastanza da capire che hai bisogno di parlare, con me.» risponde.

«Di parlare, Elias?» Ho bisogno di tirargli un pugno nei denti per rovinare quella faccia di cazzo che si ritrova. «Non ho nulla da dirti!» ribatto, puntando i piedi, come una piccola Dafne dispettosa.

«Bene, allora qui non ho altro da fare! Torno di là, mi aspettano.»

«Non ti azzardare, sai?» Mi volto di scatto per rendermi conto che la sua era solo una provocazione.

Tiro un sospiro di sollievo quando lo vedo seduto su di una panchina, con i gomiti poggiati alle cosce e un sorriso sornione.

«Sono qui, come vedi, anche se continui a mandarmi via.» Puntualizza. «Deciditi, però, mi stanco presto dei giochini infantili.»

«Perché resti, allora?» chiedo, cercando di nascondere il nervosismo, insieme alle mani, dietro la schiena.

Si alza dalla panchina, mi raggiunge, bloccandomi tra lui e uno scivolo del parco.

«Perché è te che voglio.» risponde, provocandomi un'ondata di sfarfallii che mi fanno tremare le gambe.

«No, tu non mi vuoi.» Lo provoco, incastrando i miei occhi nei suoi. «Tu sei rimasto inceppato nei ricordi di un amore che hai perso.»

«È vero, dici bene.» conferma le mie parole. «Sono a pezzi e non c'è altra donna che possa rimetterli insieme.»

«Allora trovala, che aspetti?» chiedo con un magone in gola che non vuole lasciarmi.

«Non capisco se lo fai apposta o sei davvero così ingenua, come allora.»

Forse è vero, sono ingenua, o forse nego di proposito per paura di ciò che sto provando, in questo momento. Di ciò che provo ogni volta che sono con lui e del vuoto che lascia sempre, quando ci allontaniamo.

Ho amato e odiato quest'uomo, con tutta me stessa e, mentre l'odio che provavo sembra non essere mai esistito, mi rendo conto che quell'amore non l'ho mai lasciato andare.

«Io ti ho già ritrovata, Dafne, e non ho intenzione perderti, di nuovo

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro