17-Cercando di trovare te
Elias
Mentre lei racconta la sua verità, io entro in una specie di mutismo selettivo.
Vorrei farle un milione di domande, ma le parole restano bloccate in gola, nel momento in cui mi rendo conto della cruda verità che, forse, ho iniziato a negare a me stesso per soffocarla nell'abisso dell'inconscio. Era solo una bambina e io non ho voluto guardare. Ho preferito voltarle le spalle per un orgoglio che di ferito non aveva niente, ma ha ucciso lei.
Tutto quello che esce dalle sue labbra morbide, arriva come macigni scaraventati nel petto. L'ho disintegrata e ho lasciato che pensasse che io fossi complice di quella notte che le ha tolto ogni speranza.
Non poteva fare altro che pensare che io l'avessi lasciata nelle mani di una belva, che l'avessi tradita, che fossi io il vero mostro. Lo sono stato.
Lo sono stato, nel momento in cui ho deciso di fare la vittima del cazzo, lasciandomi indietro tutto ciò che eravamo. Lasciando che mi piangessi addosso per un dolore che non immaginavo non fosse neanche il mio.
«Faccio schifo.» È il primo sussurro che esce fuori, incontrollato. «Sono rimasto lì a guardare mentre ti metteva le mani addosso, mentre ti stuprava.» Porto le dita a strapparmi i capelli. «Mi faccio schifo per averlo permesso.»
Non ci vedo più dalla rabbia. Tiro un pugno su un mobile in metallo, ne piego lo sportello, sfregiandomi le nocche. Sento il dolore, ma non può prendere il posto di ciò che mi sta distruggendo dentro
«E io mi sono lasciata manipolare.» dice, mentre si avvicina per stringere tra le mani i miei pugni sanguinanti. «Ho creduto fosse tuo amico, come lo hai creduto tu.» Continua, portandoli al petto. «Non è tutto, però.»
«Potrebbe esserci qualcosa di peggio?» La osservo abbassare lo sguardo e fissare il pavimento. «Certo che potrebbe,» Scuoto la testa e libero una mano per portarla a schiaffeggiarmi il volto, «che domanda stupida!»
«Dopo quella notte, Matt ha iniziato a perseguitarmi.» L'unica parte di cui ero stato già informato da Melissa. «In un momento di lucidità – o pura follia – mi confessò di aver messo una pasticca nel mio drink.» Continua. «Se per tutti questi anni ho odiato anche te è solo perché lui mi aveva fatto credere che, a dargli quella roba, fossi stato tu.»
Ed è proprio in questo istante che ho capito cosa prova una persona quando muore, mentre gli viene estirpato il cuore dal petto.
Perché io sono morto così, e ho sentito l'esatto frammento in cui è successo. Niente, intorno a me, ha un senso. È rimasto solo il vuoto. Sono io a esserlo. Solo uno spettro...
Disarmato, sotto ogni punto di vista, devo correre ai ripari prima di crollare.
«Ti prego, di' qualcosa, Elias.» Urla, mentre cerca di scuotermi per farmi riprendere dal mio stato di morte apparente. «Dimmi che davvero tu non c'entravi niente. Dimmi che la persona che amavo non ha nulla a che fare con questa merda. Ti prego, dimmelo!»
«Dafne, no, non c'entro niente con lui o con la droga,» rispondo, ma mi sento staccato dal mio stesso corpo. È come se cercassi di raggiungerlo e riuscissi ad andare solo indietro, mentre mi sforzo per camminare in avanti, «ma sono comunque colpevole.» Giro su me stesso per non incrociare più il suo sguardo. «Lo scorrere del tempo avrà anche reso la tua vita sopportabile, ma è evidente che la tua ferita sia ancora aperta. E, in quello squarcio, ci sono anche i miei coltelli.»
«Elias, ti prego...» supplica.
Spera che io la smetta di commiserarmi, ma sto di merda per tutto quello che avrei potuto evitare.
«Sarebbe più facile se tu continuassi a odiarmi come fino a qualche minuto fa.» Allo stesso modo in cui io sto odiando me stesso.
Avrei potuto evitare che lei si spezzasse e non l'ho fatto. Uno stupido scherzo del destino, vero, ma sono comunque colpevole.
Dafne è stata la vittima di un gioco a cui non ho preso parte, ma che ho deliberatamente mandato avanti, inconsapevole di ciò che stava accadendo.
«Elias, ti prego, guardami.»
Vorrei girarmi e perdermi nei suoi occhi, scoprire che non mi guardano più come ieri, fingere di esserci appena svegliati da un incubo, realizzare che la purezza di ciò che eravamo non è mai stata contaminata da sporcizia e perversione, ma non lo faccio, sarebbe ancora mentire a me stesso.
«Ora scusami, devo andare.» sussurro con la voce rotta
«Elias, aspetta, posso venire via con te?» chiede, sperando in una risposta che non arriva.
Esco dall'ufficio, senza aspettarla. Lo so benissimo che ha capito dove sto andando e cosa ho intenzione di fare. Nessuno può fermarmi... neanche lei.
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Guido, infuriato verso la mia meta. Mille scenari passano nella mente, insieme alla strada che vedo scorrere davanti agli occhi. Continuo a ripetermi che avrei dovuto capirlo. Dafne mi aveva sempre dimostrato un amore immenso, anche se era ancora, poco più di una bambina.
Parcheggio la macchina proprio sotto il portone e aspetto.
Aspetto che la rabbia mi uccida, prima che io possa uccidere lui.
Lo vedo rientrare in casa a passo lento. Ha una felpa grigia con il cappuccio che tiene alzato a coprire la sua faccia di merda.
Accendo gli abbaglianti dell'auto nella sua direzione, per farlo voltare. Si gira di scatto e, con una mano, copre gli occhi per il fastidio delle luci che ne illuminano la presenza. Per un attimo, spero gli si sia lesionata la retina, ma sarebbe improbabile. Scendo dalla macchina, senza chiudere lo sportello, corro incontro a quell'uomo che ci ha rovinato la vita e lo colpisco dritto sul naso.
Lo afferro dai lacci che pendono sul collo e stringo più forte che posso, passando i fili da dietro la nuca per portarli, di nuovo, in avanti, fino a sentire il suono dolce del soffocamento.
«Non credevo di essere così fortunato», dico sarcastico mentre il mio corpo prende fuoco. «Ti stavo cercando e ti ho trovato, ma che bella combinazione!» sputo a un centimetro dal viso, senza mollare la presa.
«Elias, i nostri incontri stanno diventando più frequenti delle mie scopate.» Tossisce, ma né il pugno, né il tentativo di strangolarlo lo scompongono più di tanto. «Non è che, in fondo, provi qualcosa per me?»
Gli sferro un altro cazzotto in faccia per poi stringere le sue orecchie in due pugni e abbassarlo fino a colpirmi il ginocchio.
Vedo colare il sangue sull'asfalto, ma non ne ho ancora abbastanza.
Barcolla e non perdo l'occasione di piantargli un calcio nello stomaco, che lo scaraventa sulla strada.
Prego che passi un camion proprio in questo momento, ma il mio desiderio non viene esaudito.
«Dimmi un po', Matt...» chiedo retorico, mentre accorcio, lento, la distanza che ora ci separa «... come ci si sente ad aver drogato e stuprato una bambina?» Non aspetto che lui risponda, lo sento tirare l'aria dai denti e prendo la rincorsa per picchiare ancora.
Voglio sentire le ossa di questa feccia, frantumarsi nelle mie mie mani. Voglio essere sicuro di mandarlo in ospedale. Voglio che la sua degenza non si limiti a un giorno soltanto, ma a un'eternità fatta di dolore.
Alza il viso sanguinante dal terreno, si pulisce la bocca con il dorso di una mano, con l'altra, cerca di non perdere l'equilibrio precario e la tiene salda sull'asfalto.
«Be', Elias,» Sorride dietro il viso tumefatto. «Stai dimenticando un piccolo particolare.» dice, prima di sputare un grumo di sangue. «Lei si è lasciata convincere, senza troppi sforzi.»
«Era una cazzo di bambina, Matt!» urlo, mentre mi avvicino, ancora una volta, per tiragli un altro calcio.
Uno di quelli che mi lasciando la speranza che gli si sia spezzato l'osso del collo, ma non è così, purtroppo.
«Elias, pensaci bene.» Si rialza a fatica e sbatte le mani sui pantaloni per togliere la polvere. Zoppica, sorridendo di sbieco. «Ha preferito credere a me. A me che la volevo, palesemente scopare, piuttosto che al grande amore della sua vita.» Gesticola, portando le mani al cielo.
«Tu mi vuoi confondere dentro ai tuoi deliri.» dico incredulo davanti alle sue parole.
«Lei voleva me, Elias, e si è lasciata abbindolare di proposito. Il resto... sono solo puttanate.»
Sto per distruggerlo, voglio solo disintegrarlo con le mie stesse mani e portalo a soffocare, lentamente, tra le dita.
Ma la sua voce mi blocca.
«Io non ti ho mai voluto, Matt!» Lo strillo di Dafne rimbomba tra i palazzi bui dei dintorni. «Sei solo una carogna putrefatta.»
Lancio un'occhiataccia a quell'essere immondo. Non deve azzardarsi a sfiorarla neanche con il pensiero.
Lui si volta per cercarla, ma resta immobile.
«No, sono la persona di cui neghi di essere innamorata. Ne ho tutte le prove.» Nella mia testa sono pronto a ucciderlo, se muove un passo. Ne basterebbe uno soltanto. «Hai preferito credere a una carogna come me, senza neanche domandarti se stessi mentendo. Perché avresti dovuto, se non per amore!» risponde gonfio di orgoglio.
Rimane in silenzio, spogliata da ogni difesa. La vedo, nella penombra, inarcare un sopracciglio.
«Tu. Sei. Da. Manicomio.» Scandisce le parole.
«Dici così, perché non vuoi ammetterlo.»
Sgrano gli occhi per le follie che sto sentendo da quest'uomo.
«Ascoltami bene, Matt.» dice, una volta per tutte. «Mi fai così schifo che non mi sforzo neanche di vomitare, sarebbe tempo sprecato.» Potrebbe farlo fuori solo con lo sguardo che gli sta rivolgendo ora.
«Adesso fai la puritana del cazzo, ma tempo fa, il cazzo, me lo hai succhiato, troia.» Sussurra viscido, mentre si avvicina a lei.
Ha ancora quel sorriso di merda stampato sulle labbra. Sa benissimo cosa sta facendo e quello che provoca mentre lo fa.
È tutto così surreale.
Una parte di me vorrebbe prendere il masso che vedo in fondo alla strada e spaccargli il cranio. L'altra, fa quello che deve fare.
Mi avvicino e gli stringo una spalla, così forte da farlo piegare. Gli sollevo la testa per fare in modo che mi guardi negli occhi e capisca bene quello che gli sto per dire.
«Prova ad avvicinarti di nuovo a lei e, ti assicuro che, quando finirai sotto terra, non saprai neanche più il motivo!» Premo più forte, facendo pressione su un punto specifico.
Tiro via la mano e inizio a tirare calci nel suo stomaco ripiegato
Non voglio smettere, voglio farlo fino a quanto non mi assicurerò che abbia esalato l'ultimo respiro.
«Basta, Elias! Così lo ammazzi!» Dafne urla terrorizzata, afferrandomi da un braccio.
Mi fermo, la sua stretta mi fa tornare lucido, in parte.
Io non sono un assassino.
Peccato!
La sento stringermi in un abbraccio ed è come se tornassi a respirare dopo tanto tempo.
Le schiocco un bacio tra i capelli che profumano di buono, di lei.
«Andiamo via di qui, scarabocchio, ti prego»
Avvinghio le dita tra le sue, per portarla lontana da lui, come avrei dovuto fare tanto tempo fa.
Le apro lo sportello, prima di raggiungere il mio, infilarmi in macchina e costringermi, con tutte le forze, a non passare sul corpo steso a terra di quell'uomo.
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«Elias?» Dafne mi riscuote, strattonandomi il braccio.
«Dov'eri?» chiede preoccupata.
Non so neanche dove siamo, né da quanto tempo stia guidando.
«Non capiresti» rispondo con un filo di voce.
«Perdonami, davvero.»
«Per cosa?»
«Per non essere venuta da te e aver creduto alle sue parole.»
La guardo incredulo. Non può davvero pensare una cosa del genere.
Io dovrei perdonare lei?
«Matt ci ha manovrati, come burattini nelle sue mani. Abbiamo entrambi la colpa di averglielo lasciato fare, ma sono io a doverti chiedere scusa, non tu.»
Prendo un grosso respiro e fermo l'auto appena scorgo un parco isolato. Ho bisogno di una dose di veleno. Scendo dalla macchina, dopo aver preso dal cruscotto la mia sigaretta, clicco sull'accendino, avvicinandolo al viso. Sento il calore della fiamma pizzicarmi le sopracciglia mentre aspiro una boccata a pieni polmoni di questa merda.
«Come facevi a sapere dove stavo andando?» chiedo alla ragazza, quando mi accorgo della sua presenza alle mie spalle.
«Non mi stavi ascoltando.» risponde. «Mentre raccontavo hai smesso di farlo e sapevo bene che in testa avevi solo il pensiero di sfogarti.»
«Sarei potuto andare a cercare un altro tipo sfogo.» Specifico. «È mia abitudine e credo tu lo sappia.» affermo sarcastico, mentre spengo la sigaretta.
«Mh, non ci saresti riuscito in quelle condizioni.»
Si avvicina e poggia il culo sulla staccionata che divide la strada da un prato.
«E chi lo dice? Non mi conosci poi così bene, a quanto pare.» Mi avvicino anche io e la blocco tra me e quel pezzo di legno.
«Non mi conosci così bene neanche tu, direi.»
Un soffio di vento porta i suoi capelli a coprirle il volto e io li sposto con le dita. Voglio guardarla in faccia per capire cosa cazzo mi spinge a desiderare di baciarla. Sono incantato dalle sue labbra, lei lo nota e stringe tra i denti la parte inferiore. Rimaniamo in silenzio, incastrati nei nostri sguardi che ora si cercano di nuovo. Forse, non avevano smesso davvero di farlo. Erano solo troppo lontani da confondersi con gli altri.
«Ho fame.» sussurra.
«Vuoi che ti porti a prendere da mangiare?» Guardo l'orologio che segna oltre le cinque della mattina. «Non credo troveremo roba commestibile, ma c'è pur sempre il mc Donald's.»
Mi volto, lasciandola impalata ad aspettare qualcosa che non arriva. Io lo so. L'ho capito a cosa si riferiva, perché anche io ho fame della stessa cosa.
Mi afferra da un braccio e mi strattona verso di lei, ridendo. È una di quelle risate che partono spondanee per chiudersi con qualcosa dal sapore dolce e aspro della pesca.
L'afferro dalle guance per sfiorarle le labbra con le mie. Sì, non hanno perso il sapore di quella crostata. È solo un'illusione, forse, ma questa stessa illusione ci porta a spezzare le catene che ci eravamo imposti. Affondo nella sua bocca. Ci nutriamo di tutti i desideri repressi, nascosti da tempo. Le lingue s'intrecciano e iniziano a fare l'amore senza aspettarci. È la lotta di un'attesa seppellita. Quella che aspettava di lasciare, al suo posto, solo un vago ricordo. Invece, è rimasto sempre lì, a cercare di farsi spazio in futili scopate.
La sua mano, invade prepotente la mia nuca, mi afferra dai capelli, come se avesse timore di lasciarmi andare. Ho tutta l'intenzione restare e non solo per stanotte, ma lei questo non lo sa.
La bacio, respirandone quell'odore che ho desiderato incontrare in ogni donna che ho portato a letto e che non ho mai più ritrovato. Sento i morsi famelici invadermi dentro e appagarmi, riempirmi, fare spazio a qualcosa che non provavo da troppo tempo.
Vorrei andare oltre ma, sarò scemo, questo bacio mi basta. Mi basta tutto di lei, anche solo la sua presenza accanto a me.
Mi allontano dal viso, per poterla guardare, assicurarmi che sia tutto vero, ma continuo tenere poggiata la fronte alla sua per non allontanarmi troppo da quel profumo così caldo da farmi perdere la testa, ancora.
«Sei andata a letto con molti uomini?» Mi rendo conto di aver fatto una domanda scema solo dopo averla ascoltata.
«Vuoi davvero saperlo?» chiede confusa e io annuisco. «Né troppi, né pochi. E tu?»
«Neanche uno.» La sbeffeggio, provocando una risata sonora.
«Vuoi davvero saperlo?» domando, ma la stringo per non lasciarla andare. «Tante, forse troppe» sussurro colpevole.
Nel tentativo di trovare un po' di te in ognuna di loro, proprio come un vero coglione.
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