15-Cocci di vetro
Elias
Se fossi rimasto un altro solo secondo non avrei avuto la forza di andarmene, è questa la verità.
Le guardavo muovere le labbra e il mio unico pensiero era quello di affondare le mie nelle sue. Fingere che tra noi non fosse mai accaduto niente. Riempire il vuoto che sento dentro con il suo corpo caldo su di me. Non era il momento, non era il luogo, ma io non riuscivo a pensare ad altro.
L'esigenza di sentirci pelle contro pelle e avere la sensazione che possa essere per sempre, anche solo per un minuto.
Sfreccio per le vie di Manhattan, con la mia moto, senza accertarmi di rispettare il limite di velocità. Sono passato da casa per parcheggiare l'auto e sfogarmi con l'aria che passa attraverso la visiera aperta del casco. Non ha ancora smesso di piovere, ma io voglio confondere le lacrime per mia madre, con l'acqua che viene giù dal cielo offuscato.
Il mio unico pensiero è riuscire a trovare una redenzione a questo tormento. È tardi, ma fermo la moto e chiamo Jonathan. Ho bisogno di parlare con un amico.
Lo raggiungo al Mor e lo trovo seduto a bere una birra in compagnia di Lara. L'ho conosciuta al campo tanti anni fa. Forse prima di Dafne. Erano amiche, a quanto ricordo. Presumo lo siano più di prima, visto che lavorano insieme.
«Buonasera, che bella sorpresa. Non pensavo vi conosceste.» dico stupito, mentre mi accomodo al loro tavolo.
«Ciao, Elias.» Lara sembra quasi scocciata dalla mia presenza. «Io invece non sapevo avresti raggiunto Jonathan, altrimenti, col cazzo che sarei rimasta seduta qui.»
Mi correggo. È decisamente scocciata.
«Oh, ma che cara.» rispondo sarcastico, avvicinandomi a lei con aria di sfida. «A cosa devo questa magica accoglienza?» La canzono.
«Non sopporto la tua vista, semplice.» Alza e abbassa le spalle, lascia che la schiena scivoli sulla sedia, mentre incrocia le braccia con aria nervosa.
«Addirittura.» Piego la testa di lato, rivolgendole una smorfia che vuole complimentarsi con i suoi modi. «E, principessa, vuoi spiegarmi cosa ti avrei fatto per meritare questo astio?» continuo a sbeffeggiarla, picchiettando le dita sul tavolo.
«Non meriti niente.» risponde.
«Esatto, neanche questa cattiveria gratuita.» ribatto.
Sto perdendo la pazienza. Non ci vediamo da anni, se non all'interno del locale. L'ultima volta, abbiamo trascorso un capodanno insieme ad amici comuni, ma eravamo talmente sbronzi che non potrei mai ricordare eventuali danni a cose o persone.
«Ragazzi, dovete stare calmi. Non mi sembra il caso di alzare la voce.» Jonathan cerca di spegnere i toni, guardandosi intorno. «Lara, ascolta. Elias è un ragazzo a posto.» Prende le mie difese. «Se hai un problema con lui, avresti un problema anche con me.» Si sporge in avanti per farsi sentire meglio tra il vociare degli altri tavoli. «Mi piaci, Lara, molto e, a meno che non ci innamoriamo dello stesso ragazzo e tu non voglia condividerlo, non creare altri ostacoli alla nostra nuova sorellanza.» Specifica. «Parla, amica mia, rendici partecipi dei tuoi drammi.»
«Non sono io ad avere la memoria di un criceto qui.» risponde infastidita, strisciando la sedia all'indietro.
«Di cosa stai parlando?» Mi scompongo, cerco il modo di capire a cosa si stia riferendo.
Lara mi osserva con l'aria di una che mi staccherebbe la testa a morsi. E io non capisco, non capisco più un cazzo e mi sto rompendo le palle di questa sceneggiata senza alcun senso. Mi alzo, sbattendo i pugni sul tavolo. Il dolore alle nocche mi serve a lenire quello che sento nel petto, ma non lo porta via.
«Complimenti per la scenetta, Elias.» Mi sta accusando di qualcosa, ma si rifiuta di farmi capire. Vuole portarmi al limite. «Cosa credi?» Si alza anche lei, mi punta il dito contro la faccia. «Credi di fregarmi con l'aria dell'angioletto in pena? Sei solo un fottuto diavolo.»
«Hai rotto, Lara.» Cerco di mantenere i toni bassi, ma vorrei sbraitare. «Decidi. O parli o la finiamo qui e te ne vai a fanculo.»
«Non lo dico mai, ma ha ragione Elias.» S'intromette Jonathan, guardando Lara arreso.
«Lo difendi perché, sono sicura, non conosci tutta la storia, J.»
«Fammi capire, principessa...» dico, mentre infilo le mani tra i capelli per riappropriarmi di una pazienza che non sto riuscendo a mantenere. «... stai parlando di Dafne?» chiedo esausto, prima di sedermi di nuovo.
«Sì, Elias, di cosa diavolo pensavi che stessi parlando?» domanda retorica. «Tu e quell'altro essere di merda dovreste marcire in galera e, invece, siete ancora in giro a fare chissà che cosa ad altre povere anime indifese.»
Mi estraneo dal mio stesso corpo. Sento le voci lontane, mentre il mondo mi cade addosso.
Non voglio capire, non voglio ammettere a me stesso che ho sempre rifiutato una realtà che mi avrebbe ucciso. Non ho voluto vedere. Ho chiuso gli occhi, come le persone affacciate dai balconi, questa sera.
«Ora basta!» Jonathan si rende conto del mio stato d'animo assente. «Stiamo parlando di una storia completamente diversa. Dafne ha tradito Elias con Matt. Tu stai insinuando altro.» Poggia la mano sulla mia spalla per consolarmi.
«Basta lo dico io, è inutile parlare con voi.» dice, prima di voltarsi per andare via.
La blocco, afferrandola da un polso. Non le permetto di andarsene senza ulteriori spiegazioni.
«Okay, Lara. Ti prego, calmiamoci.» Mi riapproprio di me e della ragione che stavo mandando a puttane. «Ho anche io qualcosa da raccontare.» Le faccio cenno di riaccomodarsi.
«Non ho la minima intenzione di ascoltare le tue cazzate, Elias.» Alza il tono della voce.
«Lara, lasciami dare la mia versione. Forse non mi crederai, ma ascoltami.» Mi abbasso quasi a supplicarla, anche se non credo di riuscire a ricavarne qualcosa.
«Ti conviene parlarne con chi gli frega di ascoltare le tue stronzate.»
Ecco, appunto.
Steve nota da lontano l'accesa discussione e si avvicina al tavolo per assicurarsi che sia tutto apposto. Non ha l'aria tranquilla. Mi guarda come se stesse per scoppiare e volesse buttarmi fuori a calci, ma si trattiene e io lo vedo.
«Ragazzi, qualche problema?» È lui ad avere un problema con me, si vede da come mi rivolge uno sguardo omicida.
«No, Steve, siamo in paradiso, non vedi?» ribatto, mentre mostro il drink del mio amico, alzandolo.
«Si è fatto tardi, io devo andare.» Lara prende la palla al balzo per non essere trattenuta ancora una volta.
Va via, senza salutare e Steve la segue, come un cagnolino con il padrone. Si fermano appena subito dopo l'uscita del locale, sul marciapiede. Steve è rivolto di spalle, ma deve averle chiesto qualcosa.
«Cazzo! Non riesco a leggere il labiale.» ammetto infastidito.
«Io sì, invece». Jonathan sorride con una punta di orgoglio. «Dafne è molto arrabbiata.» Lo guardo di sbieco. «Lo ha detto Lara, non io.» Puntualizza. «Dovrebbe s-p-a-r-i-r-e dalla fase della terra.» Strizza gli occhi in due fessure. «Penso abbia detto faccia, non fase e credo si stia riferendo a te.» Il suo volto cambia espressione, diventa cupo. «Oh, Elias, ha appena detto che le viene da vomitare quando ti vede.»
Lara è in lacrime, lì fuori, e io dovrei raggiungerla, perché vengo accusato di qualcosa che non riesco proprio a capire, ma resto immobile. Mi sento intrappolato in catene che non posso spezzare.
O forse sì...
«Jonathan, sai cosa ti dico?»
«Ho bisogno di scopare?»
«Vaffanculo!» Mi conosce troppo bene questo stronzo.
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Trascorrono i giorni e io non ho ancora avuto il coraggio di fare quello che devo, quello che sento.
In ufficio, Dafne mi rivolge la parola a stento. Credevo, dopo quella sera, che le cose tra noi sarebbero state meno fredde. Invece, regna il ghiaccio quando siamo nella stessa stanza. Un gelo che entra fin nelle ossa, provoca brividi che le torturano.
È tardi, stiamo per andare via e non ho ancora trovato il coraggio di pretendere la sua verità. Mi spaventa, ma devo fare qualcosa. Non posso più vivere nel limbo, preferisco andare all'inferno, almeno mi sarò tolto il dubbio.
Esco da quella porta a vetri e la richiudo, mi separo, ancora una volta dalla sensazione d'impotenza che ho nei confronti di questa ragazza. Di spalle tengo la maniglia tra le dita, con le mani portate dietro la schiena. Prendo un grosso respiro, prima di andare da Hellin e chiederle un enorme favore.
Mi dirigo verso il suo ufficio a passo svelto. Dalla sala relax, sento una voce che mi chiama.
«Elias, sto aspettando che tu mantenga la promessa.»
Continuo per la mia strada, senza degnare Layla di uno sguardo.
Sono settimane che mi pressa per un invito a cena ma, da quando ho rivisto Dafne, da quando ho questo tarlo in testa, la voglia di serate da niente sembra essere andata a farsi fottere.
Fuori dall'ufficio di Hellin sento un vociare da dietro la porta. Poco mi frega dei suoi impegni, in questo momento. Non busso, apro.
Era solo al telefono, ma la mia faccia dev'essere peggiore di quanto penso, perché saluta il suo interlocutore e riattacca, offrendomi tutta la sua attenzione.
Incrocia le mani sulla scrivania e aspetta che qualcosa esca fuori dalla mia bocca.
«Ho bisogno di una scusa per restare in ufficio da solo con Dafne.» dico d'un fiato.
«Che scusa dovrei inventare? Elias, non sei un bambino. Invitala a cena, se proprio ci tieni.» Poggia la mano sul mento e sorride, sbattendo le ciglia folte.
«Non accetterebbe.» rispondo, mentre mi siedo sulla poltrona e porto le mani a stringere i capelli. «Devi costringerla.» Alzo la testa per guardarla e imprimerle l'urgenza che mi attanaglia
«Capisco che tu mi veda come una donna influente,» dice, con una punta di orgoglio, «ma non posso costringere una ragazza a stare con te. Non ho questo potere.»
«Non voglio che stia con me, Hellin.» ribatto, alzandomi. «C'è qualcosa che non torna.» Cammino nervoso, da un lato all'altro della scrivania. «Riguarda la notte del tradimento.» Confesso.
Hellin mi osserva con aria materna, si alza dalla poltrona per raggiungermi e portare una mano ad accarezzare le mie spalle rigide.
«Elias, tu l'hai vista mentre ti tradiva.» sussurra con tenerezza. «Puoi decidere se perdonarla o meno, ma sono passati così tanti anni e le persone possono cambiare.»
«Hellin, non è neanche per questo.» Mi agito, non riesco a farmi capire. «Vengo accusato di qualcosa che non riesco proprio a comprendere.» dico, lasciandomi cullare dall'abbraccio che mi sta donando. «Credo proprio di aver sbagliato tutto.» Sospiro, poggiato sulla sua spalla forte.
Una spalla che ha retto ogni sfogo, ogni debolezza, ogni capriccio del ragazzino testardo che ero diventato.
«Okay, ho la scusa perfetta.
Torna in ufficio. Lascio passare qualche minuto e ti raggiungo.» afferma, spostandosi in fretta alla scrivania per rovistare nei fogli.
«Grazie, Hellin. Ti voglio più bene di ieri.» Le strizzo l'occhio, prima di lasciare la stanza.
«E io meno di domani.» La sento sussurrare, mentre richiudo la porta.
Torno in ufficio e continuo a far finta di lavorare alla chiusura del progetto. In realtà, sto sviluppando un software per una casa discografica, uno per uno studio legale e uno di architettura all'avanguardia. Lei ha la testa puntata sul computer, la vedo spegnere il sistema operativo.
«Buonasera, Dafne.» Hellin entra nella stanza con un mazzo di disegni in mano. «Perdonami se ti disturbo.» Si scusa, mostrando la carta. «I bozzetti che mi hai mandato poco fa hanno bisogno di alcune modifiche.» Lascia che Dafne si avvicini per controllare. «Ti ho inviato un elenco, sulla mail, con le correzioni da apportare. Mi servirebbero domani mattina.» Dafne la guarda confusa. «Riusciresti a farmeli avere?»
«Domani mattina? Dovrei stare qui tutta la notte?» Non sembra refrattaria alla notizia.
«Purtroppo, sì! Non te lo chiederei se non fosse importante.» Spiega. «Domani, alle dieci, sarà presente la commissione. Vorrei proporglieli.» Vedo Dafne sgranare gli occhi, incredula. «Ovvio che la decisione finale spetti a me, ma visto che si tratta di una collezione che esula dal mio stile, devo chiedere il loro parere.» Anche io rimango interdetto. «Con le correzioni che ti ho richiesto dovrebbe uscirne un lavoro eccezionale.»
«Hellin, non dovevi darmi tutte queste spiegazioni.» risponde entusiasta. «Sarei rimasta comunque.»
«Sei una ragazza meravigliosa.»
«Quindi, il mio periodo di prova è già finito?» chiede curiosa.
«È finito il primo giorno, Dafne! Aspettavamo solo la scadenza della prova trimestrale.» Toglie da sotto il mazzo il nuovo contratto. «È già pronto quello definitivo. Manca la tua firma.»
«Ma i tre mesi non sono scaduti.» afferma, come se non riuscisse a credere alle sue orecchie.
«Lo so, ma non voglio rischiare di perderti.» Hellin le rivolge uno sguardo pieno di cose non dette.
La vedo che quella frase è incompiuta e mi domando quale sia il motivo.
Infila le mani tra i capelli di Dafne in una carezza dolce, sentita, reale. Lascia la stanza, rivolgendomi un sorriso malinconico e, dopo aver osservato, in silenzio, tutta la scena, vorrei solo capire cosa passa nella testa di quella donna che ha appena richiuso la porta dietro le sue spalle.
«Oh mio Dio!». Dafne serra entrambe le mani sulle labbra.
Non si rende conto di ciò che sta facendo. Mi stringe in un abbraccio che vuole far sentire la felicità di questo momento e io lo raccolgo. Mi perdo, dentro al profumo dei suoi capelli e della pelle di seta. Ne respiro l'essenza stessa, quella che ho sempre ricercato come fosse linfa vitale, quella che mi è mancata quando neanche lo sapevo.
«Cosa stai facendo?» Si stacca, guardando le sue mani, spaventata. «No, io cosa sto facendo?» Si allontana e la situazione imbarazza anche me.
«Capisco perfettamente. Anche io mi salterei addosso, continuamente.» Ironizzo, per smorzare la tensione.
«Sei un po' troppo pieno di te.» Tengo il gioco che si sta creando, avvicinandomi alle sue labbra che accarezzo con un dito.
È un gesto istintivo.
«Sono un uomo affascinante.» dico, soffiando vicino alla bocca.
«Bene, Elias. Affascinami, allora.
Cosa aspetti?» Sussurra sensuale.
Mi sposto, per non affondare. Per non pretendere quel bacio che reclamo da giorni.
«Non ho bisogno di affascinarti.» Infilo una mano in tasca e l'altra tra i capelli. «Sei già ammaliata da me.» dico sicuro.
Non risponde, ma i suoi occhi parlano. I suoi occhi hanno sempre parlato e raccontato tutto, nonostante i silenzi. Sono capaci di farmi perdere un battito ogni volta che incrociano i miei. Mi spaventano perché sanno leggermi dentro come io riesco a fare con lei. Mi uccidono a ogni sguardo perché, a un certo punto, hanno smesso di cercarsi.
Passiamo circa quattro ore a non rivolgerci la parola, presi da una sorta di mutismo selettivo, dovuto all'imbarazzo.
«Sono quasi le dieci.» È lei a rompere il silenzio che mi sta devastando. «Non hai qualche appuntamento, o che ne so, qualche sveltina da fare al volo per lasciarmi da sola, senza opprimermi con tua costante presenza?»
«Dafne, ho del lavoro da finire anche io.» rispondo.
«Non hai un altro posto dove andare? Un ufficio tuo? Uno studio?»
«Certo che ce l'ho!»
«E allora, perché sei ancora qua a fare finta di lavorare a un software che hai concluso da settimane? »
Beccato!
«Non negherò e non inventerò scuse infantili alle quali non crederei neanche io.» È inutile mentire. «Ho chiesto a Hellin di farmi rimanere perché non riesco a stare lontano da te.» Allungo un passo verso di lei. «Non mi fraintendere, ma ora più che mai sono sicuro che solo parlandone possiamo capire quale sia la verità sul nostro passato.» Ne faccio un altro, cauto. «Tu pensi di non dovermi delle spiegazioni e, credimi, dopo quello che è successo dodici anni fa ero convinto di non volerne neanche io.» Ancora uno. «Da quando sei tornata ho capito che avrei dovuto chiederle subito, perché qualcosa non torna e lo sto scoprendo solamente ora.»
«Le spiegazioni dovresti darle tu a me.» afferma risoluta.
«Dafne, te lo ripeto. Io non ho fatto niente. Sei stata l'amore della mia vita, la mia salvezza. Perché mi sarei dovuto sabotare da solo?»
«Non ne ho idea.» risponde, mentre incrocia le braccia al petto, seduta sulla poltrona.
Sposto la mia sedia, la porto a due passi dalla sua. Poggio i gomiti sulle ginocchia. «Lo vedi che abbiamo bisogno di verità che ancora non conosciamo?» Aggancio la sua seduta e la tiro verso di me. «Io devo sapere la tua, ma tu devi ascoltare la mia.» dico, stufo di tutti i giri di parole che ci sono stati fino a oggi. «Spesso si dice "se tieni a una persona, lasciala andare", ma, col cazzo che ti lascio andare, Dafne. Ho bisogno di risposte, e anche tu.»
Si lascia convincere. Annuisce e fa cenno di continuare.
Non perdo tempo e inizio a raccontare.
Le racconto tutto.
Di come speravo che, quella, potesse essere la notte in cui avrebbe confessato di amarmi. Della corsa sotto la pioggia e delle speranze infrante. Del sorriso di Matt quando mi vide. Di quello che mi disse una volta rientrato in camera. Le racconto del mio cuore in pezzi e di ciò che ho fatto, negli anni, per cercare di rimettere insieme i cocci. Del vuoto che mi ha lasciato e della mia ricaduta nel pozzo di quella maledetta depressione che pareva non avere un fondo.
Lei rimane impassibile, mentre continuo a parlare. Non ho idea di cosa pensi. Potrebbe alzarsi e andare via, ma non lo fa. Resta ad ascoltarmi fino all'ultima lacrima che nascondo dentro.
Mi blocco, non ho più parole che possano convincerla a fidarsi. Mi osserva, come se non riuscisse a credere a ciò che le ho appena raccontato. Aspetto, ma non emette un solo fiato che possa farmi comprendere.
Rassegnato, mi alzo dalla sedia. Ho perso ogni speranza. Ogni fibra del mio corpo desidera ascoltare quella versione mai raccontata di cui non me n'era importato niente, fino a ora. Ora che la vorrei. È troppo tardi per me, per noi.
Mi afferra da un polso, per non lasciarmi andare via.
Con quel filo di voce che risuona nella stanza e sembra voler rompere i vetri e i frammenti del mio cuore di nuovo in pezzi, sussurra:
«Non avevi detto che volevi ascoltare la mia?»
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