11- Degna compagna
Elias
Sono giorni che non riesco a non pensare alle parole di Dafne. Ho molti dubbi che mi frullano in testa. Avrei dovuto approfondire quella sera stessa ma, quando Steve è tornato, l'ha portata via, per calmarla e, da quel momento, non faccio altro che rimuginare.
Non so davvero cosa pensare.
Lei moriva d'amore... per me?
Allora perché mi hai tradito?
Perché le lacrime bagnano il tuo viso?
Potrei sciogliere tutti i nodi, chiedendo alla diretta interessata ma, da quella sera, l'unica frase uscita dalla sua bocca, durante le ore passate insieme a lavoro, è stata: "Io e te non abbiamo nulla da dirci!" E io sono un codardo.
Preferisco fare mille congetture piuttosto che affrontare la realtà.
È strano, ma risentire il suono della sua voce, il rimbombo della rabbia, mi porta a pensare che potrei odiare me stesso, se andassi a fondo e ascoltassi quello che Dafne nasconde dentro.
E se fossi andato a fermarli, quel maledetto giorno? Cosa sarebbe successo?
Oggi abbiamo lavorato senza sosta, non c'è stato neanche il tempo di scambiarci i nostri soliti sguardi assassini. È una gran professionista, un'artista di tutto rispetto.
Hellin è stata a Parigi negli ultimi due giorni. Mi ha chiesto di tenere sotto stretta osservazione la piccola messa in prova.
Vado verso il suo ufficio per elencarle ogni più piccolo dettaglio. Guardo l'ora, mancano quindici minuti alle diciotto e ho perso le tracce di Dafne da troppo tempo. Butto un'occhio in tutti gli uffici, fingo di volere un caffè, per controllare nella sala relax. Non ho idea di cosa mi succeda, ma qualcosa mi spinge a cercarla, senza rendermene conto.
Voglio entrare nella sua testa, capire cosa diavolo accade lì dentro, se sta provando la stessa confusione che provo io, perché sto bruciando, divorato dai dubbi. Vorrei conoscerla di nuovo, accarezzarla, sentirne l'odore a un centimetro dalla pelle.
Esco dalla sala relax e la vedo fuori dal bagno, forse. Credo sia una specie di miraggio, perché non penso di aver mai visto una donna più bella, in vita mia.
Ha sciolto i capelli, le cadono con morbide onde, da un lato, sul seno. Un vestito rosso la fascia in vita, si allunga fino a sotto il ginocchio, con uno spacco per nulla volgare. Sul davanti è casto, ma lascia le braccia scoperte e le spalle accarezzate da bretelle sottili. Da dietro, la schiena è nuda e io la vorrei sfiorare.
Solo quando mi disincanto, mi rendo conto che è probabile si sia preparata per un appuntamento. Stringo i pugni, nervoso, sento le dita tagliare la carne e il cuore uscirmi dal petto.
«Dove stai andando?» chiedo, cercando di mantenere la calma. «Non abbiamo finito di lavorare. Hai intenzione di lasciarmi qui a pettinare le bambole, mentre tu vai a divertirti?»
«Io ho finito, la mia presenza non è più indispensabile, oggi.» afferma, sbuffando, senza guardarmi.
«Non è mai stata indispensabile.» dico, a causa di un nodo che mi stringe lo stomaco. «Credevo fossi una persona dedita al lavoro.»
«È il mio primo giorno libero da mesi, Elias. Non ho più una vita sociale. Stasera la dedicherò a me stessa, se permetti.» Mi sposta con il braccio, mentre cerco di sbarrarle la strada.
«Uscendo con un altro?»
«Scusa? Un altro invece di chi? Di te?» mi schernisce. «Sei geloso del mio appuntamento galante?» rincara la dose, dandomi conferma di ciò che pensavo.
«Ti vedi con Steve, vero?» domando.
«Non stai negando, Elias.» Allarga un leggero sorriso di sfida, mentre si avvicina lenta. «Tu... sei geloso!»
«Se ti fa piacere pensarlo, fa' pure.»
«È quello che stai dimostrando.»
Mi punta il dito contro, arriccia il naso in un'espressione che cancella tutto il resto, solo per un attimo. Uno piccolissimo che mi dà un senso di pace inaspettata.
Soffoco una risata, la ingoio e rimango serio.
«Ti farebbe sentire importante sapere che ti penso ancora in quel senso?» domando, chiudendola all'angolo tra la scrivania e il muro.
Le soffio a un centimetro dalle labbra, la costringo a guardarmi negli occhi. Siamo così vicini che potrei anche prendermelo quel bacio che mi ossessiona da giorni, ma aspetto. Aspetto che sia lei a perdere il controllo, a pregarmi di affondare con la bocca nella sua. Basterebbe un cenno, una goccia di sudore sulla fronte, un groppo di saliva ingoiato, le guance che vanno a fuoco, ma niente, resta impassibile, non sembra neanche respirare.
E i minuti passano tra silenzi che non sono più assordanti, ma che vogliono dire, raccontare quello che siamo stati e che non saremo mai più, perché mi ha fatto troppo male, perché mi ha ucciso con un colpo secco, non mi ha dato il tempo di rispondere al fuoco, ma ora lo accendo io, per disintegrarla sotto le mie dita. Come ha fatto lei, sotto le mani di un altro, però.
«Elias, Hellin ti sta aspettando nel suo ufficio.» La voce di Margot risuona nella stanza, non mi giro per guardarla, ma annuisco, senza togliere gli occhi da Dafne.
Sento richiudere la porta a vetri, sorrido sornione e mi avvicino a lei di mezzo centimetro.
«Quanto ti piacerebbe?» domando con malizia.
«Preferirei farmi ibernare,» risponde, rimanendo incollata nel mio sguardo, «piuttosto che farmi toccare da te, Elias.»
Sposta il braccio che le fa da barriera nel passaggio ed esce dalla stanza dopo aver preso la giacca. Si volatilizza, come se stesse scappando da un mostro.
Il vero mostro è stata lei... lei, non io.
Raggiungo Hellin, mi aspetto una ramanzina degna di nota. L'ho fatta aspettare più di mezz'ora e lei odia l'attesa.
«Hellin, stavo finendo di-» Non termino di inventare la scusa del secolo che blocca le mie parole.
«Provarci con la nuova arrivata? Sì, ne sono stata informata.» Sorride dietro gli occhiali da lettura, con lo sguardo fisso al monitor del computer.
Hellin era la migliore amica di mia nonna. Sono cresciuto con due donne meravigliose.
Quando mia nonna si ammalò, lasciò a Hellin un elenco infinito di direttive per aiutarmi a trovare la giusta strada. Stilarono regole e consigli, bevendo tè in veranda. Sembravano delle streghe in combutta. Avevo vent'anni, più o meno. Le pregavo di non pensare alla mia vita, ma si divertivano a intrufolarsi. Avrei dovuto farle rinchiudere in un ospizio o in un ospedale psichiatrico, ma le sentivo ridere e il cuore mi si fermava. Non ho mai più visto Hellin ridere in quel modo.
«Non ci stavo provando.» Cerco di mantenere un'aria impassibile. «Qualunque cosa, la tua assistente, crede di aver visto, non accadrà mai più.»
«Per quale motivo?» chiede ironica. «L'amore non dovrebbe essere ostacolato da incomprensioni... passate.» Si volta verso di me e strizza l'occhio, con il riflesso dello schermo che batte sulle lenti.
Come ho fatto a non pensarci prima?
«Tu, malefica strega!» La canzono. «Tu l'hai presa in prova sapendo di chi si trattava?» domando retorico. «E io che credevo che la demenza senile avesse preso il sopravvento.»
Si alza dalla scrivania e mi rivolge tutta la sua attenzione.
«Quando ho letto il nome sul curriculum ho pensato a un caso di omonimia, Elias, ma nel momento in cui l'ho vista, be', non ho avuto più alcun dubbio.» Prende, dalla scrivania un foglio che la ritrae in un disegno che feci quando la conobbi. «È identica!» Scoppia in quella risata che desideravo risentire da troppo tempo. «Ora, parlami di lei, ti prego.»
«Non ho nulla da dire.» Faccio una smorfia in segno di diniego.
«È diventata molto bella.» ammetto.
Hellin si schiarisce la voce e quel suono mi riporta con i piedi per terra.
«Parlavo del suo lavoro», sorride in una presa in giro «Ho bisogno di quel resoconto completo, ricordi?»
Il resoconto, vero. Quanto sono idiota!
«È una stakanovista.» Non posso dire il contrario. «Solo che ora mi ha lasciato nei casini. Ha preferito uscire con quel coglione.» L'accuso, come fossi un bambino.
«Sento puzza di gelosia o sbaglio?»
«Sbagli!» dico con fermezza. «Non avevamo finito di lavorare.»
«Ma se hai consegnato il trial stamattina.»
«Devo dare gli ultimi ritocchi.»
«Non è vero. Hai superato ogni aspettativa.» incalza, per farmi ammettere qualcosa che conosce solo lei.
«Non ho dubbi, ma lo sappiamo solo io e te.» dico serio.
Nel suo sguardo si accende una scintilla che mi fa capire che, per lei, è una grande vittoria, questa minuscola ammissione dietro le mie parole.
«Visto che hai deciso di piantare le tende, continua a tenermi aggiornata sul suo lavoro. Ho bisogno di altre conferme.»
Ti darò tutte le conferme che desideri, Hellin, se questo servirà a capirmi, a comprendere quello che sento.
«Rimango, solo perché mi stai pregando di farlo.» Mi prendo gioco di lei, mentre mi rivolge un sorriso pieno di orgoglio.
«Ora vai, disgraziato, lasciami finire di controllare i bozzetti di oggi.»
«Ok, capo.» Porto, in maniera rapida e rigida, la mano alla tempia, in un saluto militare, prima di uscire dalla stanza.
Quando torno in ufficio a prendere la giacca, mi rendo conto che Dafne ha dimenticato la borsa. Sbircio dentro, non dovrei farlo, ma giustifico il mio gesto, pensando che potrebbe esserci qualcosa di fondamentale importanza.
Oltre ai documenti, al telefono e altre piccole sciocchezze, come un lucidalabbra, trovo una piccola boccetta del suo profumo. Non oso annusarlo, lo infilo in tasca, dopo essermi assicurato che non mi veda nessuno, come se fossi un ladro.
Controllo il cellulare per trovare informazioni sul suo appuntamento. Non ha password. Che ingenua!
L'ultimo messaggio risale a circa tre ore fa ed è di Steve.
Ho prenotato al Mocambo per le diciannove. Passo a prenderti da lavoro. Non vedo l'ora! Il primo di una lunga serie di appuntamenti... Almeno spero!
Tiro un sospiro di sollievo, quando capisco che parla di un primo appuntamento. Continuo a dirmi che non m'importa.
E allora, perché il peso sul petto sembra essere scomparso?
Inventerò una scusa con Melissa, per portarla a cena nello stesso posto e dare la borsa Dafne.
🌖🌖🌖🌖🌖🌖🌖🌖🌖🌖🌖
«Non mi dici niente, Elias? Ti piaccio?» Melissa entra in auto, portandosi dietro un entusiasmo immotivato.
La osservo, pensando che potrebbe anche essere vestita da Babbo Natale. Non ci avrei fatto caso, comunque.
«Che ti devo dire?»
Ignora la mia apatia, si riflette allo specchietto che teneva in borsa, mentre ripassa un rossetto rosso.
«Dobbiamo festeggiare!»
Cosa vuole festeggiare? L'ho solo invitata a cena.
Mi sbottona i pantaloni e io la fermo.
«Vuoi che perda il controllo dell'auto?»
«Accosta, Elias, ti prego.»
Non ho la minima intenzione di assecondare i suoi deliri, in questo momento.
«Il tavolo è prenotato per le diciannove e quindici, Melissa. Ci penseremo dopo al resto.»
Sbuffa, sbatte la schiena sul sedile e tiene le braccia incrociate, offesa, mentre guarda dritta, davanti a sé.
«Tu non mi vuoi, Elias.»
No, non ti voglio, sei una piacevole scopata, nulla di più. Volevo applicare la mia legge del taglione sul tuo ragazzo, ma non avevo calcolato che Dafne sarebbe tornata, per distrarmi.
Non glielo dico, mi limito a parcheggiare vicino al ristorante, voltarmi verso di lei, prenderla dalla nuca e affondare la mia bocca nella sua, solo per farla stare zitta.
Penso di prendere la borsa di Dafne dal cofano, ma non ho voglia di rispondere alle domande di Melissa.
Non appena entro, vado alla ricerca dei piccioncini. Li intercetto e noto che sono seduti accanto all'unico tavolo per due, ancora libero.
Come sono fortunato!
Lui le sta stringendo la mano, mentre lei sorride e il mio stomaco va in pezzi. Non appena ci vedono, Dafne abbassa lo sguardo.
Il Maître ci accompagna al tavolo e io mi fermo al loro, stringo la mano di Melissa in una morsa. La stessa che sento al petto.
«Hai dimenticato la borsa in ufficio.» Rivolgo la mia attenzione alla ragazza, senza salutare. «È nel bagagliaio della mia auto, non sapevo di trovarti qui.» Non arranco alcuna scusa, ma mento. «Più tardi andrò a prenderla.»
«Non preoccuparti. Goditi pure la tua cena. Non ho alcuna fretta.» risponde irritata.
Mi sposto dal loro tavolo, accomodandomi al mio, con la mia accompagnatrice che è stata offuscata dalla bellezza dell'altra donna.
«Non sei curioso di sapere cosa dobbiamo festeggiare?» Melissa cerca di attirare la mia attenzione, ormai andata a farsi fottere.
«Pensavo si trattasse di festeggiare l'invito a cena.» Rispondo atono.
«Io e Matt ci siamo lasciati.» Cazzo! «Mi ha confessato di essere innamorato di un'altra.»
Perfetto!
Ora mi ritrovo Melissa attaccata al culo, senza più alcuna motivazione.
La cena, da queste parti, prosegue tra chiacchiere e risate, le sue. Io sto solo pensando a come scrollarmela di dosso. Tra calici di champagne e meste insalatine del cazzo, Melissa non si accorge della mia totale assenza.
Non riesco più a sopportare.
La voce di questa ragazza, gli sguardi languidi che lui rivolge a Dafne, mentre le sfiora la pelle. Lei che non si ritrae.
Mi alzo dal tavolo, metto fine alla mia agonia, ho bisogno di una boccata d'aria, per riprendermi, ma non dico una parola, faccio cenno a Melissa di non azzardarsi a seguirmi.
Vado diretto alla mia macchina.
Tengo sempre qualche sigaretta di scorta, lì dentro.
Stasera il mio tormento ha più di un nome e io sento l'esigenza di avvelenarmi il sangue, con altro che non sia lei. La sua vicinanza, il fatto che sia con un uomo diverso da me, che io sia con una donna diversa da lei. Ero convinto di non provare più nulla, dopo dodici anni.
Non provo nulla, sono solo questioni irrisolte.
Devo andare a fondo alla questione o rischio di perdere la testa.
«Potrei riavere indietro la mia borsa?» La voce di Dafne mi sorprende da dietro le spalle.
L'occasione si palesa e io cerco di non mostrarle il mio disagio, mentre prendo l'oggetto dal cofano.
«Dipende!» rispondo con aria di sfida, quando mi giro per guardarla.
«Da cosa dovrebbe dipendere?» chiede indispettita, più che incuriosita.
«Dalla tua collaborazione.»
«Credo di essere stata più che collaborativa, in questi giorni.»
«Non parlo di lavoro, Dafne.» specifico, portando la mano alla testa.
«Non abbiamo altro di cui discutere, allora.»
La sua ostinazione è diventata insopportabile.
Mi avvicino a lei, desidero sfiorarla, come stava facendo quell'uomo seduto al tavolo, la guardo con aria di sufficenza, ma non la tocco.
«Prima o poi, dovrai arrenderti, Dafne, e parlare.»
«Parlare di cosa, Elias? Di quello che mi avete fatto? Non ti conviene.»
«Abbiamo fatto chi?» Mi agito, perché questa allusione non riesco a digerirla.
«Tu e Matt!»
Addirittura, paragonarmi a lui?
«Non so cosa ti abbia fatto lui.» dico ritraendomi, per la sua affermazione che brucia sulla pelle, come se fosse acido. «Non ho voluto sapere niente di voi, da allora. Mi facevate schifo, entrambi.»
«Con che coraggio dici che proprio io ti facevo schifo?» domanda disgustata, avvicinandosi con aria minacciosa. «Dovresti sputarti in faccia da solo.» Scuote la testa in un sorriso incredulo.
«Ti ho vista!» Mi osserva, come se stessi per dire un'eresia. «Mentre ti facevi scopare da Matt, io ti ho vista, non puoi negare.» aggiungo.
Le parole che avrei sempre voluto dirle, per farle sapere la verità, escono dopo un tempo tanto lungo da valere meno di niente.
«Tu eri lì?» chiede in una morsa di dolore. «Ero solo una bambina Elias! Tu eri lì e hai davvero visto tutto, Matt non stava mentendo.»
Posso toccare con mano la sua disperazione, ma non la capisco.
Non capisco più niente da quando è tornata. Sento che potrei odiarmi, se dessi conferma ai miei sospetti.
Non mi dà il tempo di ribattere, mi strappa la borsa dalle mani, senza riprendere ciò che è sempre stato suo.
Non so cosa immaginare. Nella mia testa girano troppi scenari che non hanno risposta.
Resto fuori, ancora un po', cerco di incastrare i pezzi rotti.
Al mio rientro in sala, non c'è traccia della coppia.
Melissa, intenta a farsi ammirare dal cameriere, arriccia i capelli con un dito, accorgergendosi tardi della mia presenza.
«Steve ti manda i suoi saluti.» dice, spiazzandomi. «Continueranno la loro serata, altrove.» ammicca. «Sempre che Matt non rovini i loro piani.» Sussurra, forse spera che io non la senta.
«Cosa cazzo c'entra Matt?»
Mi osserva con l'aria di quella che si è lasciata sfuggire qualcosa che non doveva.
«È tornato, Elias. Io te lo avevo detto che sarebbe impazzito, rivedendola.»
«Ti ha lasciata per lei?» chiedo incredulo. «È di lei che sarebbe innamorato?»
«L'ho spinto io a riprovarci, ma pensavo che la terapia fosse servita a migliorarlo.»
Sto uscendo fuori di testa, sto davvero perdendo il controllo. Ho solo voglia di scaraventare tutto dal tavolo, prenderla dai capelli e lanciarla contro un muro, ma tento di mantenere la calma.
Di sotterrare questo senso di nausea e cattiveria che vorrei fare uscire, ma devo capire di più. Respiro...
«Perchè lo hai fatto?» domando, senza comprendere la sua follia.
«Per essere liberi di vivere il nostro amore alla luce del sole.» Ma il delirio ha preso il sopravvento.
«Amore?» chiedo retorico. «Sei stata solo un paio di scopate, Melissa, di quale cazzo di amore stai parlando?» continuo, senza aspettare risposta. «Sei solo la degna compagna della merda.»
Spingo il tavolo verso di lei, non vorrei più controllare niente, ma il mio unico pensiero è quello di raggiungere Dafne.
L'unica cosa di cui m'importa è sapere che lei sta bene, assicurarmi che quell'uomo non la raggiunga, che non la sfiori, ancora una volta. Quella volta di troppo che potrebbe mandarmi in galera...
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