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1-Del doman non v'è certezza!

Elias

Non c'è traccia del momento in cui per la prima volta i miei occhi incontrarono i suoi!

Come solito fare, pianifico la mia vita, divorando uno degli hamburger più paradisiaci della terra, mentre Jonathan – il mio migliore amico – mi deride per i gusti raffinati che ho sulle donne, quelli che mi contraddistinguono: basta che respirino, o quasi.

«Sei ridicolo, Elias! Parli del futuro come fosse una certezza.» Mi insulta, mentre punto la bionda al bancone del bar. «Non andrai a letto con Melissa Spencer.» Continua nel suo viaggio verso la derisione, prima di tornare serio. «A meno che tu non voglia ritrovarti con qualche osso spezzato dal suo uomo

Melissa non incontra proprio i miei gusti. Per carità, bella è bella.

Ha un culo che parla, anzi canta "the Power of love" in tutte le lingue del mondo (sarebbe più corretto dire: potere del culo, ma... dettagli). Le sue tette sfidano la forza di gravità e ti guardano negli occhi, ammaliandoti, come il canto delle sirene, per non parlare di quelle cosce che sarebbero, addirittura, melodiche aperte ad attendere il sottoscritto. Una sinfonia di Beethoven, in pratica.

Ok. Forse rientra un tantino nei miei gusti.

«Jonathan, mi spiace per le tue sicurezze, ma crolleranno.» dico, sicuro di me. «Al cuor non si comanda, amico mio.» Batto una mano sulla sua spalla, ma continuo a non perdere di vista l'ochetta bionda.

«Non sapevo che il cuore si trovasse dalle parti dei genitali.» risponde, cercando di non soffocare nel bicchiere di rum.

In realtà, ho un conto in sospeso con quel coglione del ragazzo di Melissa: Matt Pooland.

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Classico campo estivo. Potevo avere sedici anni, Matt diciannove. Era una specie di fratello maggiore per me.

Io avevo una cotta immorale per l'unica Lei che mi abbia mai fatto battere il cuore. La stessa che lo ha preso e ridotto in brandelli, trasformandomi in ciò che sono da allora: un assatanato in cerca di sesso di poco conto, completamente incapace di andare oltre e avere legami più lunghi di una notte. Due se la serata merita.

Ricordo poco di quel periodo. Credo che la mia mente tenda a dimenticare per proteggersi da sola, visto che io non l'ho mai saputo fare.

Lei era un angelo caduto dal cielo... o almeno credevo.

Ho memoria del suo profumo, però.

Qualcosa di indescrivibile. Speziato, caldo e avvolgente, con una punta di fresco che ricordava vagamente il mare. Rosa e gelsomino intensi che tentavano di inebriare i miei sensi, portandomi direttamente in paradiso.

Lo sento ancora sotto la pelle, passa, mi lascia brividi che non riesco a spiegare. Non ho mai più sentito qualcosa di simile.

Lei, dalle iridi verde smeraldo con delle sottili striature ambrate che li rendevano irreali, capelli castano dorato dalle morbide onde che quasi accarezzavano i glutei, labbra turgide di un rosa profondo e un piccolo neo delizioso appena sopra di esse, sulla destra. La pelle dorata, classica di chi ha sangue arabo nelle vene.
La perfezione ai miei occhi.

Non ricordo la prima volta che la vidi, ma è ancora perfetto e vivo il motivo che mi portò a odiare l'amore.

Erano state settimane di corteggiamento estenuante. Non riuscivo a fare a meno di ammirarla, riempirla di complimenti e organizzare cose stupide da inguaribile romantico.

Che schifo! Mi faccio schifo, se ci penso.

Aveva due anni in meno di me –
che a sedici anni sarebbero l'equivalente di due anni canini –, eppure l'amavo.

L'amavo davvero. L'amavo di un amore che brucia dentro e non ti fa dormire la notte. L'amavo di quello stesso amore che disintegra l'anima, la riduce in polvere e ne scaraventa i resti in mare.

Ero riuscito a conquistare quel sorriso che avrebbe fatto crollare muri invalicabili.

Passeggiavamo sulla spiaggia al calar del sole, aspettando l'oscurità per rubarci qualche bacio sotto un cielo illuminato da miriadi di stelle e una luna che pareva invidiarci. Aspettavamo che tutti andassero a dormire per sgattaiolare di nascosto, in silenzio, con il timore di essere scoperti e privati di quei momenti solo nostri.

L'estate era al suo termine e così anche il campo. Un'estate fatta di amore, baci, falò a ritmo di musica suonata intorno al fuoco, insieme agli altri ospiti.

Matt era uno di loro. Eravamo amici, credevo. Lui era l'unico a conoscere ogni più piccola briciola del sentimento che provavo.

Quella sera pioveva.

Ho sempre pensato che la prima pioggia di agosto porti via l'estate. Quella, in particolare, portò via anche me.

Mi trascinò in un vortice dal quale non sono più riuscito a uscire, per raccogliere i pezzi del mio cuore distrutto e della mia anima spezzata. Avrei potuto ricostruire tutto, ma continuo a vorticare, senza mai stancarmi. Mi lascia un senso di nausea con cui convivo da che ne ho memoria.

Risale ogni volta che mi rifletto a uno specchio.

La mattina dopo, mia nonna sarebbe venuta a prendermi al sorgere del sole. Dovevo rubarle un ultimo bacio, prima di andare via.

A causa della pioggia, eravamo rimasti chiusi nei nostri dormitori. Non erano molto distanti, ma divisi in base al sesso.

Durante quel pomeriggio ero riuscito a chiederle di vederci.

La pioggia scrosciava impetuosa al di fuori del nostro rifugio sicuro. Non sarei mai dovuto uscire, ma l'esigenza di vederla pulsava nelle mie vene. Iniziai a correre per arrivare il prima possibile nel nostro posto.

Quando la sera uscivamo per incontrarci, l'appuntamento era alla tenda sulla spiaggia, una specie di Chiringuito con drappi bianchi che sapevano danzare col vento e acquisivano un non so che di romantico.

Nelle settimane precedenti, avevamo trascorso il tempo a renderlo comodo. Ci divertimmo a costruire un tavolino e dei divanetti arrangiati, ma robusti.

Dopo una decina di minuti di corsa, sotto lo scrosciare incessante della pioggia, intravidi la candida stoffa, resa cupa e appesantita dal diluvio, sferzare seguendo la scia del vento. Avevo gli occhi bagnati dalle gocce d'acqua, ma comunque sicuro di aver visto la sua sagoma perfetta.

Ne ero certo. Anche lei voleva riassaporare le mie labbra. Sapevo che anche lei sentiva lo stesso suono che ascoltavo io. Anche lei era lì per gli stessi motivi che portavano me a esserci. Pensai che avrei sentito uscire le paroline magiche dalla sua bocca. Mi ero fatto mille film mentali.

Io e lei che avremmo fatto l'amore non appena avesse compiuto sedici anni. A ventuno l'avrei sposata. Avremmo avuto tre figlie femmine, meravigliose come la madre. Un cane di nome Rum, un criceto, una casa da sogno e... lei era lì.

Era lì, ma non era sola. Le mani di Matt erano salde sul corpo di lei, mentre la bocca ne aspirava vorace anche i pensieri, con una foga che ricordava la ricerca disperata di acqua nel deserto per un Tuareg. Succhiava avido, mentre le spostava la gonna.

Matt alzò lo sguardo che incontrò il mio in un battito di ciglia.

Non potrò mai dimenticare il momento in cui mi resi conto che i suoi "consigli fraterni sulla nostra relazione insignificante, che non avrebbe portato altro che guai e avrebbe rubato gli anni migliori della mia adolescenza", erano un modo per allontanarmi da lei e farla sua.

Un sorriso soddisfatto che metteva ben in evidenza il suo essere ignobile, fiero di sé, gli disegnò il volto, mentre puntava nella mia direzione e le abbassava la testa, portandola verso parti a lei ancora sconosciute, forse.

Non era più solo la pioggia a bagnare i miei occhi.

Non riuscivo a muovermi. Dentro di me avrei voluto scappare, ma il mio corpo non mi dava ascolto. Bloccato, disarmato, le dita spingevano nella carne dei palmi.

Ero distante, non riuscivo a sentire nulla, per fortuna. Anche la vista era appannata. Ricordo poco di quel periodo, ma la scena di lui che possedeva quel corpo rimane, ancora oggi, indelebile nella mia mente.

Ne sento la sensazione sulla pelle.

Finalmente, la mia salma riuscì ad ascoltare il dolore e le gambe cominciarono a muoversi, veloci mi portarono verso il campo, come fossi un automa.

Potrei giurare di non aver respirato per l'intera notte.

Poco dopo il sorgere del sole, Matt rientrò. Ero intento a terminare, il prima possibile, la preparazione delle valigie da riportare a casa. Mi guardò con aria gongolante.

«È mia», disse. «Pensavi davvero che una di quel calibro potesse preferire te a me?» Mi tranciò il respiro, di nuovo. «Quella è una ninfomane e tu volevi preservare il suo candido fiore?» chiese, sbeffeggiandomi. «Sei solo uno stupido ragazzino.»

Non lo degnai neanche di un pugno.

Con il senno di poi, avrei dovuto farlo, perché, quel mancato cazzotto è rimasto in attesa per troppo tempo.

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Lei?

Non volli più vederla né sentirla. A parte Jonathan, nessuno capirebbe i miei comportamenti sbagliati nei confronti di me stesso e delle donne.

Avevo sedici anni e il dolore che provai mi aiutò a farmi strada nella vita.

«Matt è solo un coglione che può baciarmi le Hermes.» dico, guardandolo negli occhi. «Ascolta bene, Jonathan: io, Melissa me la scopo, stanotte stessa.»

«Elias, ti prego.» dice spazientito. «Okay che la vendetta è un piatto che va servito freddo, ma sono passati dodici anni. Non può fare ancora così male, non credi anche tu?»

«Jonathan», rido ironico. «Non fa male. In realtà dovrei ringraziare entrambi. Se non fosse per loro, a quest'ora non sarei arrivato dove sono.»

È vero, non ho alzato la testa dai libri da quel giorno. Sono entrato a Stanford, laureandomi con il massimo dei voti. Sviluppo, brevetto e vendo software. Il mio conto in banca non smette di aumentare, ora dopo ora. Dovrei solamente ringraziarli. Ma il vuoto che mi porto dentro, a causa loro, non posso perdonarlo.

Matt ha finto di essermi amico.  La sofferenza è stata così forte da scaraventare, lei fuori dal mio cuore all'istante, provocando uno strappo che, a mio modo, sono riuscito a risanare. Ma con Matt è un'altra storia.

Lui ha scelto di ferirmi, consapevole di farlo. Ho aspettato anche troppo per fargliela pagare.

Mi accorgo di quanto Jonathan mi osservi perplesso.

«Che c'è? Che vuoi? Parla, muoviti.»

«Elias, caro, dolce, amabile cucciolo di foca. Mi stai dicendo che non c'entra nulla il fatto che "lady Voldemort" abbia ridotto il tuo cuore in brandelli e tu da quel giorno non sai più come amare?»

Inarco un sopracciglio ed emetto un suono nervoso che potrebbe risultare una risata.

«Mio caro, cucciolo di lemure impazzito» sbatto la mano sul tavolo per dissentire delle parole che ho appena ascoltato. «Non ho smesso di amare: amo i miei amici, amo... ecco vedi, adoro gli hamburgers,» dico, mostrando il panino che ho tra le mani, «amo qualunque bevanda abbia più di dieci gradi, anche. Chiuso qui il discorso.»

Shot di tequila puliscono la mia bocca dal sapore godurioso della carne di Angus dell'hamburger.

Melissa si trova a un paio di tavoli di distanza. Sembra alticcia, ma non troppo. Il giusto abbassamento di difese.

Il problema della maggioranza delle ragazze di questo posto è che, al secondo bicchiere, tendono ad aprirsi facilmente.

La osservo con la coda dell'occhio. Non ha staccato lo sguardo da me neanche un secondo. Troppo facile. Un cacciatore a cui tolgono il gusto della battuta è un predatore castrato.

«Jonathan, ti saluto. Vado a compiere il mio dovere», dico mentre sistemo il colletto della camicia color cachi.

Lascio il mio posto, diretto verso la ragazza. Non riesco a guardarla neanche in viso. Le sue tette mi chiamano in uno strido disperato. In mano stringe un bicchiere di champagne, gioca a versarne, in parte, lì, dove la sto fissando.

«Finalmente, ti sei deciso.» Mi sussurra, avvicinandosi a un orecchio. «Ho notato come mi hai squadrata per tutta la sera.»

«Che donna attenta» ricambio il sussurro, mentre le circondo i fianchi con un braccio. La stringo a me e il suo sguardo dice tutto, senza dire niente.

"Io ti vedo."

Capisco il sesso, ne sento l'odore.

Le faccio cenno con lo sguardo di dirigersi verso la porta che conduce sul terrazzo del palazzo.

L'accesso è vietato, ma il proprietario del MOR, Steve, mi deve una carovana di favori quindi mi lancia il via libera per portarci le mie conquiste. Non porterei nessuna di loro nel loft.

«Raggiungimi tra dieci minuti. Steve ti aprirà la porta del retro,  sarà molto discreto.»

Vado avanti. Faccio cenno al boss di avere cura della mia piccola e preziosissima vendetta. Capisce al volo, mi fa un cenno di disapprovazione, ma anche lui sa benissimo che quando mi metto in testa di portarmi a letto qualcuna, solitamente, non guardo in faccia niente e nessuno.

Arrivo alla porta che dà accesso al terrazzo a mio uso esclusivo, per ora.

Il cuore batte veloce, senza apparente motivo. Penso, per un attimo, che potrebbero essere i sensi di colpa, ma mi riscuoto, convincendomi sia per le scale fatte di fretta.

Porterò Melissa alla follia, questo è sicuro.

Apro la porta e...

Quel dannato profumo!

Spazio autrice.

È vero, lo ammetto. Elias potrebbe sembrare lo sterotipato cliché dei noi altri, ma attenzione. Ho ideato un personaggio del genere per poter creare degli spazi che potessero insinuarsi e farvi pensare: ma perché cavolo non ci ho pensato prima?
Se il capitolo vi è piaciuto (o anche no) mettetela una stellina, dai su. Non dimenticate anche di commentare per farmi sapere cosa ne pensate.

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