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XI

Amore e Psiche

"Due cose vuole il vero uomo:
pericolo e gioco.
Perciò vuole la donna,
come il giocattolo 
più pericoloso."
F. W. NIETZSCHE

Il disco girava ancora, la luce soffusa rendeva più strana l'idea che quella fosse davvero casa mia. Era la luce dorata che l'abat-jour bronzea e calda emanava creando una certa penombra che cresceva nell'atmosfera a mano a mano che ci si allontanava da quella sorgente. Riuscivo a cogliervi ugualmente ogni singola cosa, lì non c'era nessuno e questo era evidente.
Senza perdermi d'animo, scesi di nuovo al piano di sotto. La porta di casa era davanti a me e il che rendeva completamente impossibile il fatto che i tre fossero scappati, me ne sarei accorta di questo.
Ero vicina all'uscio dell'ultima stanza quando realizzai che anche quella era vuota, il cuore era ormai sobbalzato in gola dalla più piena preoccupazione che più m'attanagliava. Gridai in suo nome, il volto pallido dall'angoscia non sapeva più nemmeno dove guardare o andare.
Salii la scala che conduceva all'area soppalcata di sopra, anche se già da quel punto si poteva scorgere qualcosa al di là della mia figura non mi diedi per vinta e ignorando la seconda opzione lo feci ugualmente.
La polvere era tanta e involontariamente ne seguivo la scia, solo in un secondo momento realizzai che il camino era acceso. Il tavolo in pelle nera che investiva tutto l'ambiente era vuoto e le sedie che vi roteavano attorno risiedevano nell'ordine più assoluto come il salottino in cremisi e in cristallo che iniziava col farsi strada di lì a poco. Lampade ovunque e tutte spente, il letto matrimoniale era ancora da fare e anche quello posto nel piccolo nido che si avviluppava in altura riversava nella stessa condizione. Che cosa strana, mormorai dentro me. I comodini in vetro erano liberi e allo stesso modo si presentava la libreria infissa nel muro in calcare. La tenda in chiffon color panna e fiori amaranto della finestra mancava, non sarà stato mica un ladro quell'uomo che ho appena ospitato, continuavo col rimproverarmi. Con la legna finita e il bagno chiuso a chiave arrivai al piano, la poltrona blu in seta era mezza sgualcita quasi vi fosse passato sopra un gatto.
Sollevai il sopracciglio in segno di incomprensione e feci ancora il loro nome, un tonfo improvviso mi invitò a sussultare. Una strana ombra si faceva sempre più nitida sul pavimento, proveniva da dietro di me e sembrava minacciarmi. Mi voltai. Poi, un sospiro roco e tendente al silenziato si fece strada quasi rincorrendo l'eco del vinile che ancora proseguiva in lontananza. Era l'uomo ed era tornato, poi lo guardai meglio e rimasi ancor più senza parole nel descriverla. Bello, dietro a una nuova uniforme insolita e diversa che non avevo mai visto prima di allora e questo mi faceva intuire che doveva essere più potente di quanto pensassi e non poco. Al braccio recava una grossa fascia rossa e al centro uno spazio circolare bianco con incisa una stella uncinata nera come il resto della divisa d'altronde. Non recava con sè cappello e i suoi capelli color carbone erano tutti arruffati. Un ciuffo in modo particolare sfuggiva a quella cornice dalla riga laterale piovendo talvolta sul volto, la sua mano leggiadra la spostava ripetutamente invano poichè quella era sempre pronta a tornare al punto di partenza. Pareva una pioggia di cenere lavica che non lasciava alcun segno di terra ma solo una leggera ombra di melancolico mistero. Sembrava segnato e quella ciocca che gli rigava il viso ne era esattamente la prova più accertata di questo, quasi fosse la sua proiezione o meglio ancora il suo alterego oggettificato. Sembrava un bambino e un uomo al tempo stesso apparentemente sereno, in verità non lo era.

"Oh, Signore... mi scusi ma non trovo mia sorella!" aggiunsi sgranando gli occhi, la mia finzione era riuscita.

Questi allargò le braccia come per tranquillizzarmi o almeno così pensai.

"Tranquilla, Signorina... La posso aiutare?" la sua voce era greve, sapeva di accento straniero ed estremamente sensuale, questo l'avevo costatato in precedenza.

Scrollai così il capo come per mandare a quel paese certi strani pensieri appena sorti come fuoco, quei briganti già andavano a capriole dentro me.

"No, si figuri... non c'è bisogno alcuno, non vorrei mica arrecarle fastidio... mia sorella è proprio una birbante..." cercai di disimpegnarmi in qualche modo, sbuffai poi.
"Eh, le ragazzine di oggi sono proprio così... quanti anni ha? La sorella, dico..." chiese sogghignando, si grattava il capo.

I suoi occhi brillavano in una penombra più fosca di prima, quelle iridi cerulee accecavano e io abbassai lo sguardo verso i miei piedi, aggrottai la fronte per via della sua continua impertinenza. La sua presenza ingombrava quell'ambiente scarno più di qualunque altra cosa.

"Venti..." sembrava misurassi le parole non appena tornai a sollevare il capo.
"Eh, io a vent'anni non ero così... ero in guerra, i giovani di oggi che ne sanno di tutte queste cose..." sogghignava ancora, mi soffermai con le mie ciglia lunghe abbassate sul colletto della sua giacca scura.

Le lasciai scendere lungo la cucitura che costeggiava i bottoni e poi non so come piovvero su quella targhetta mezza ingiallita posta proprio in corrispondenza del lato destro del cuore, non ne riuscii neppure a leggerne la scritta che nel pieno essa arrecava.

"Comunque ricordale se La vede che non sono il Tenente Schultz ma il Generale Schiller!" così mi parve di aver capito, quello era telegrafico a sua volta.
"Ok, come la vedo glielo dirò ma adesso mi scusi... devo andare!" smorzai.

Ero ancora totalmente in cerca di lei, dovevo pur sapere dove si fosse cacciata!

"Aspettate, Signorina... insisto, posso essere d'aiuto!" sentenziava ripetutamente, mi afferrò dal braccio deciso ma non così forte da lasciare solchi di dolore.

Nascose il labbro in una morsa laterale, la parte destra dello stesso era ancora più prominente del solito. E che dire? Erano proprio delle belle labbra, le sue.

"Eh, va bene!" i polsi tremavano e pulsavano, talvolta quella sensazione svaniva.

Erano strane cose mai provate fino a quel momento, dopotutto il mio matrimonio non era principalmente fondato sull'amore come tutti solitamente pensavano e speravano.
Camillo era l'uomo che tutte avrebbero voluto ricevere una volta raggiunto l'altare fuorchè io, il suo abile savoir faire elitario a me appariva sicchè snervante. Era più propenso sul lavoro che sull'amore, sembrava trascurarmi. Quel che le altre mi invidiavano di più al mondo io lo ignoravo, sarò sembrata presa quando invece mi sentivo alquanto paranoica e scortese quando si toccava tasto simile a questo. Dicevano mi avesse presa per il cuore quando a me non parve altro che uno sposalizio combinato se non addirittura di interesse e per di più familiare.
Le nostre mani si lasciarono improvvise e soavi, le nostre labbra socchiuse e un brivido mi travolse per tutto il tempo. Non sapevo cosa stesse succedendo, sapevo solo che il suo palmo calloso mi scalfì quasi fossi fatta di marmo. Apparivamo a chiunque ci vedesse lì come rilievi impressi nella roccia che ci circondava, sculture o come la statua di Amore e Psiche stazionari nel bel mezzo della classicità che in quei piccoli istanti felici ci avvolgeva, il settecento giaceva e scorreva al tempo stesso ancora lì ed eterno. Il neoclassicismo era nostro, era tutto un continuo cercarsi senza ritrovarsi mai.

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