V
♠️ Aria di Guerra
"Chi non ha mai commesso un errore,
non ha mai provato nulla di nuovo."
A. EINSTEIN.
Non ci volle molto ad arrivare, bastava uscire di casa prendere la strada e seguire sempre diritto. Cercavo ovviamente di prestare la più calma possibile, non volevo destare cattive impressioni a chi mi vedeva e addirittura conosceva. Erano molti, soprattutto da quando avevo sposato il Marchese Camillo Simone. Era un uomo parecchio più grande di me essendo alla soglia dei cinquant'anni. Era affascinante, è vero ma non so perchè la mia reazione era sempre e decisamente quella. Lo vedevo pedante.
Avevo il cuore in gola, non vedevo l'ora di vederlo. Neanche fossi un'adolescente di appena quindici anni che andava incontro alla prima cotta incontrata per caso. Era bene sì, lo incontrai per caso e mi apparve per sbaglio ed è stato il migliore di tutta la mia vita. Un vivere piatto da quando sono ascesa all'altare, almeno da allora.
Giunta al principio della Piazzetta su cui affacciava la Chiesetta di cui aveva parlato il moro, era molta la gente che si apprestava fuori la porta del centro religioso di stampo greco. Quello era il segno che la messa ortodossa si era da lì a poco conclusa, in effetti se solo vi si guardava dentro si scorgevano le navate semideserte e silenziose. Invogliarono anche me a entrare, lo feci. Quattro le persone che presenziavano davanti all'altare.
Era una chiesetta antica, ben due secoli recava sulle sue spalle in pietra arenaria, orpelli in stile orientale e colonne in stile neoclassico. Il suo credo era ancora più remoto, risaliva alla scissione di Nicea. Lì il cristianesimo subì una divisione interna in due fedi: una del vescovo di Roma, l'altra dell'arcivescovo di Costantinopoli. Entrambi ci influenzarono e parecchio: il primo già nell'antichità con i viaggi missionari di Pietro e Paolo apostoli, il secondo con quello dei bizantini. Infatti furono proprio loro gli autori di tutto questo splendore.
Inizialmente però si stanziarono da un'altra parte del tutto opposta a questa e anche lì crearono un centro simile, poi con l'arrivo dei gesuiti e della Controriforma non arrendendosi alle loro ostilità furono costretti a cambiare zona sbucando alle pendici opposte di Porta Napoli dove ero io d'altronde. Volevano vincere, ci riuscirono.
Rimasta sola misi le mani giunte piegata sull'inginocchiatoio, in mano il rosario e incominciavo a pregare.
"Che ci fate tutta sola da queste parti? Non dovreste stare!" una voce roca mi giunse alle spalle all'improvviso interrompendo tutto.
Mi girai, lo sapevo chi fosse: lui. Non avevo in fondo dimenticato di starlo lì ad aspettare, non volevo semplicemente farlo per strada.
"Signor Ministro degli Esteri! Che ci fate Voi piuttosto qui, capisco la Vostra è una carica importante ma fino a un certo punto... c'è Lui e proprio qui davanti?" ero un po' spaesata a dire il vero ma dall'altro lato no.
Fingevo semplicemente di fare la gnorri.
"Io sto sempre qui, ragazza!" schioccò la lingua, non mi ero accorta che recava in mano una sigaretta accesa e fumante "Non avete paura?" continuò.
"Certo, che no! Sono nella casa del Signore, di cosa dovrei avere mai paura? Credete in Lui pure Voi presumo a meno che non siate anticlericale, il che non credo vedendo la vostra provenienza politica e presumo anche... geografica..." si schiarì la voce, era divenuto cupo.
"Io, credere? Ho perso amici, Danny Wizz-Bang è solo uno di una lunga serie... mia madre, mia moglie, mio fratello, mio zio, mia cugina, mia zia, due cognati... Un altro fratello che c'è ma è come se non ci fosse e io ci sono?" Si grattò di nuovo la gola.
"Ah mi dispiace! Si, si che ci siete! Maledetta spagnola!" arricciò il naso.
"Fosse solo la pandemia, non l'avete forse sentito affatto il discorso proferito ieri? È la guerra!" replicò.
"Capisco anche mio padre c'è andato, conoscevo anche un ragazzo che ha combattuto e anche a Gallipoli... era straniero come sembrate essere Voi cioè... non uno dei dintorni... mio fratello, no... ancora era troppo piccolo per farlo..." spiegai.
"Comprendo..." annuì.
"Non sembra..." feci una smorfia di disapprovazione.
"Invece dovresti... anche se chi è stato ragazzo dopo di noi è stato solo un ragazzo..." sottolineò.
"Nel senso?" apostrofai.
"Cioè non erano uomini..." borbottò.
"Perche?" Inveii, ero sul punto di andarmene.
Mi ero già alzata in piedi e girato i tacchi, lui riprese a parlare fermandomi. Mi girai.
"Non hanno conosciuto la guerra... ora pensano che sia facile... stare per ben cinque lunghi anni piegato in una trincea con i crampi a braccia e gambe per via della postura... abbracciato ad un'arma e al terreno quasi fossero gli unici ed eterni fidanzati... tra l'odore di morte che ti pervade in ogni costante minuto... al freddo... non c'è differenza tra i cadaveri e i soldati... sono più morti questi che i primi... sono stati uccisi dentro e non da chi hanno di fronte ma da chi ha voluto tutto... pure io, i miei due fratelli che l'hanno fatta e il mio primo cognato siamo partiti speranzosi di farcela così pare essere stato ma a chi non l'ha vissuta... per noi è stata solo avvilente, lunga e poco produttiva... il mio fratello maggiore ne è uscito ferito e non solo fisicamente... ha il cosiddetto male di trincea e io ho i fantasmi delle bombe davanti agli occhi... adesso sono latenti... nella notte esplodono... ma non è finita neanche il giorno..." incominciò a gridare, intorno era tutto deserto.
Abbassai il capo.
"Lo so, con quanti fatti stanno succedendo... Ma Voi avete combattuto anche a Gallipoli?" chiesi.
"Si..." sospirò, aveva i gomiti sulle ginocchia.
"Allora potreste conoscerli? Anche quest'uomo soffriva di quel..." interruppi.
"Può anche darsi... Succedono e succederanno sempre e non pensare sia solo la guerra di cui parlano ce ne sono tante guerre... più subdole..." sottolineava.
"Si, ad esempio la sparatoria di ieri al Palazzo..." aggiunsi.
"A parte... quella è una delle tante e parte di quelle..." chiarì.
"Le guerre di religione..." ancora io.
"Altre... vedo che siete informata comunque..." si complimentò.
"So più di quanto pensiate, capo... comunque sono lusingata per ciò che dite..." sorrisi, ricambiò.
Ci guardammo un attimo, vedevo la distanza tra i nostri volti farsi sempre più sottile. Tutto intorno silenzio ma io non lo sentivo. Era il mio cuore a tribolare e anche il suo.
Le sue labbra tumide e pallide sempre più vicine, era a un passo da me e niente più differenza d'altezza. Ormai era solo un uomo alto non più ripiegato su se stesso ma su di me. Sembrava aver mandato all'inferno tutti i suoi demoni, quasi come per magia. Pareva limpido, chissà se lo è mai stato magari un giorno ancora lontano dalla guerra.
Sentivo il suo respiro, le sue iridi celesti e vuote riempirsi e chiudersi. Le avevo nelle mie, mi avvicinai anch'io.
Il dorso della sua mano mi accarezzò i capelli e mi sfiorò il viso, le mie narici annegarono nel suo odore di colonia. Sembrava quasi avessi dimenticato la realtà, per un attimo e non così a lungo. Ritornò presto alla memoria, abbassai il capo come per distogliere eppure c'ero quasi.
"Non posso, mi spiace..." fu solo questo che dissi e sgattaiolai via.
~~~
Ero tornata a casa che era l'ora di pranzo, qualche momento dopo lo fece anche mio marito. Ero già tutta svestita e struccata, era meglio far finta di non essere per niente uscita naturalmente.
"Ciao, Camillo!" lo salutai.
"Ciao!" era più gelido della giornata che infin dei conti era piuttosto mite pur essendo vicini al Natale, qui il freddo tardava a venire.
"Che è successo!" allibita.
"Niente!" imbronciato.
Alzai un sopracciglio in cerca di una migliore spiegazione.
Non avvisate sai!" So tutto! A questo punto quando manco non rispondete..." era proprio adirato.
"Non capisco a cosa Vi riferite..." ancora più allibita di prima.
"E Voi non capite mai niente, quando mai..." farfugliava.
"Ma si può sapere?" chiesi ancora
"Mi ha chiamato il Ministro degli Esteri e mi ha detto tutto..." replicò.
"Riguardo?" ancora non si spiegava.
"Che ha chiamato e gli avete risposto!" Inveì.
"Non ero io..." continuai.
"Ah, no!" ancora lui.
"Forse era Clara!" aggiunsi.
"Si, me l'ha detto..." annuì sbuffando.
"Si, era lei!" accertai.
"Continua ancora ad andare più in basso quell'amica vostra... non ha ancora capito niente che sono guai..." ancora lui.
"Temete forse che influenzerà me? Non succederà... è pure libera... è la sua vita... siamo ormai nel 1937... che pensate..." borbottai.
"Ci mancherebbe! Guai..." di nuovo lui con sguardo minaccioso.
"Solo questo mi dici?" domandai ancora.
"Perchè?" si chiese.
"No, niente..." liquidai. "Comunque anch'io le feci segno di non rispondere e lei..." continuai a giustificare.
"Lo so, è tosta..." mi abbracciò, un abbraccio diverso anche da parte mia.
Dovevo fingere, viaggiavo nel mistero.
Eppure io ancora pensavo a quel momento prima che mi aveva fatto mancare tanto il fiato, decisamente unico. Ero stanca di quella monotonia, non ne potevo più di quella vita e ora si aggiungevano pure quelle cose a renderla ancora più piatta di quanto mai lo fosse stata prima di allora.
Uscii nel giardino prima di pranzare, ancora a tavola non era pronto anche se I tavolini del patio erano già tutti imbanditi, quando era bello mangiavamo fuori.
La incontrai mentre era assopita nel salottino sotto il gazebo, quella birbante.
"Hai visto, che ti avevo detto? Non dovevi rispondere!" rise, aggrottai la fronte.
"No, vabbè non ti dico niente... tanto non capiresti..." minimizzò.
"Che hai fatto di nuovo? chiesi "No, adesso mi racconti..." continuai.
Arrivarono le bimbe, non potevo più continuare a parlare.
"Beh, andiamo a tavola, adesso! Che ci saranno tante cose buone...." dissi senza esitare prendendole per mano.
~~~
"Che stronzo Damiano!" Sentivo gridare dall'altra stanza, era Clara. Pensando l'avessi trovata in camera sua passai di lì e solo dopo capii che si era rinchiusa nel suo bagno.
Sconfitta dalla noia giravo l'ambiente in lungo e in largo, i miei passi sordi. La camera era simile alla nostra. D'altronde non potevo non trattare anche lei così. Adiacente alla stanza entrambe avevamo uno studiolo, vi entrai. Venni rapita da un pezzo di carta abbandonato sul comodino, lo presi facendo finta di niente.
MINISTRO DEGLI ESTERI, VIA IDOMENEO N° 2
Era la calligrafia di mio marito, la riconobbi subito. Doveva essere l'indirizzo di casa dell'uomo che mi stava per baciare, andai nella mia stanza e lo lasciai dove l'avevo trovato. Così, come se niente fosse.
Rivissi ancora quel momento, pensare che nessuno dei due ancora conosceva il nome dell'altro. Che persona ero, se ero più una persona. Tornai in camera con un passo ancora più felpato, ci ripensai e lo feci di nuovo. Mi accomodai sul letto proprio nel momento in cui Clara aprì la porta del bagno, mi vide.
Stavo iniziando a parlare quando la porta si aprì: era Camillo.
"Dopo la Cristiada rivoluzionaria messicana, la Cina e il Medioriente anche la Spagna è in pericolo. È guerra. Soprattutto a Guernica. Io esco. Prepara le valigie, domani partiremo!" ordinò.
Chiuse la porta, svanì.
Dimenticai tutto quello che stavo per dire fino a quel momento, o almeno era come se l'avessi fatto. Non era proprio cosa. Uscimmo dalla stanza.
D'improvviso mi rivenne in mente l'indirizzo, i piedi non mi stavano più addosso. Parlavano un linguaggio diverso, andava oltre il normale.
Lei vidi che andò in direzione della Nursery, dov'erano le pargole.
Rimasta sola e incontrollata, mi recai nella mia stanza a cambiarmi. Uscii di nuovo di casa e mi avviai verso quella via.
Lei la sera
Note dell'Autrice:
Abbiamo visto, adesso? O.o Qua le cose si fanno calde e se solo sapesse il Marchese! ahahah sopra è il Ministro degli Esteri in chiesa! Le notizie storiche dal mondo sono vere! Stay tuned!
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