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III

La Festa

"Una furtiva lagrima
Negli occhi suoi spuntò:
Quelle festose giovani
Invidiar sembrò.
Che più cercando io vo?
Che più cercando io vo?

M′ama! Sì, m'ama, lo vedo. Lo vedo.

Un solo istante i palpiti
Del suo bel cor sentir!"
T. SCHIPA

20 anni dopo...

"Ecco fatto! Guardati, sei bellissima! Questa sera farai colpo!" dissi alla mia amica Clara dopo averle steso un rossetto color cremisi velluto sulle sue labbra carnose "Ah, un'ultima cosa! Un bocchino ce l'hai? continuai chiedendo.
"No, Vittoria!" rispose.
"Ok, tranquilla che te lo dò io!" terminai.

Iniziai ad aprire e a rovistare tra i bauli in noce di quella che un tempo rappresentava la mia cameretta, nel farlo sentivo ancora quell'odore di muschio e mi fece venire in mente la famiglia e il Natale. Era da tanto che non vi mettevo piede presa dai mille impegni che l'esistenza coniugale portava, l'avevo fatto a ragion veduta.
Si trattava di una piccola stanza, una vera e propria bomboniera. Come mobile presenziava solo un letto a una piazza e mezza con la spalliera in pelle color avorio, un copriletto marroncino chiaro e un cuscino bianco, l'altro caramello. A un angolo uno specchio con la cornice in ciliegio e così la porta. Al lato opposto si ergeva un comodino in pietra come tutte le pareti e le volte a stella della stanza, nicchie, appendini, appliques e tende all'altezza delle finestre gli davano il giusto movimento. Per finire un parquet color panna dava il tocco finale a quella pietra miliare, una delle tante che quella casa da secoli custodiva. Era una dimora cinquecentesca quella eppure sembrava nuova. Una lacrima scese giù, di certo era meglio la vita di una volta a quella che conducevo negli ultimi giorni. Pur essendo semplice la amavo di più e senza questo non si andava da nessuna parte. A parte per le mie due bambine Clelia e Rachele non lo provavo per nessun altro. Ci potevano essere tutti i marchese Camillo Simone di questo mondo ma se non c'era quello era inutile e non c'era assolutamente niente. Non era che odiavo tanto quel che vivevo ma che non amavo quel che avevo con lui, quel che era me lo godevo semplicemente da sola. Avrei pagato anche un solo attimo per avere la mia età nubile là tra le mani ma ormai non si poteva tornare più indietro.

"Eccolo qui! Lo sai che devi fare? Come vedi un bel tipo devi avvicinarti chiedendo se ha da accendere e vedrai che andrà benissimo! Ci siamo capite? Ok, vediamo..." così dissi come vidi che annuì.
"Dai, lasciamo perdere! Vittoria, tu sei brava con gli uomini, non vedi chi hai sposato uno di quelli più in vista della città..." ritornai come prima.
"Non è vero e poi smettila! Sei incantevole! Devi dire così! Salve, mi scusate Signore! Avete da accendere, per favore? Se non Vi dispiaccia... e intanto reggi il bocchino con due dita così e col gomito piegato e il braccio all'in fuori, vedrai! Farai colpo sicuro! Vediamo, ora prova tu e scandisci bene le parole! Voce profonda, posizione eretta e petto in fuori! Labbra delicate e occhi languidi..." la interruppi riportando l'argomento al punto precedente.
"Ma... hai scambiato una funzione così importante e formale come questa per un covo di poche di buono? Svegliati, amica! Ti sei per caso dimenticata dove stiamo andando stasera? Al Palazzo dell'Intendenza, mica per strada! Ehi, ci sono vertici che nemmeno ti immagini... Ci sono le persone più importanti di Italia e tu mi vuoi fare fare così neanche fossi la peggiore donnaccia di strada! Ti ripeto, ci sarà anche quel talemme* del Ministro degli Esteri! No, nella maniera più assoluta, guarda!" esclamò.
"Si, si! Shhh... ho capito e lo so ma, ancora meglio e poi che c'è di prostituta in questo! Se vuoi conquistare è così! Lo so, più sono infelice più ci ricasco... è meglio la gente come noi!" le misi una mano alla bocca per azzittirla.
"Eh, ma infatti è meglio un tipo come quelli del tuo mondo e non so perchè dici poi che non ti trovi bene... non ti capisco proprio!" appuntò lei.
"Beh si è fatto tardi e io sto ancora in disabillè!" smorzai.
"Ok!" sbuffò.
"Cavolo, non so cosa mettermi... che ne dici tra questi?" chiesi mostrandole la miriade di abiti appesi alla rella sopra il letto.
"Ehm... lasciami pensare... sul tuo fisico per l'occasione starebbe meglio un abito fresco e sensuale quindi... questo!" ordinò decisa indicando un vestito di seta rosa lungo fino alle caviglie, era di mia madre.

Quelli appesi almeno un tempo erano tutti suoi.

"Ok, grazie amica mia cara! Se solo non ci fossi tu!" esclamai.

L'ora dei preparativi e degli abbellimenti passò velocemente, così eravamo finalmente pronte per la serata che tanto ci attendeva.

"Perfetta!" non riusciva a far uscire nemmeno una parola dalla sua bocca, nel guardarmi era rimasta completamente ammaliata.
"Dai, su! Non essere sempre la solita insicura! Stai bene anche tu e poi io tutta sta bellezza non è che me la vedo!" la stavo a scuotere.
"Si, ma mai quanto te!" esclamò.
"Taci e andiamo!" ordinai.

Detto questo uscimmo dalla stanza.
Il pianerottolo che portava alla scala che conduceva al piano di sotto godeva anche del suo arredo. Due piccole librerie azzurrine come la tolettina posta di fronte, la quale sedia era di un color salmone. Un divanetto pullulava di cuscini bordeaux in un angolo dell'ambiente. Due finestre affacciavano sul terrazzo, da una di queste vi si poteva anche accedere. Persino la balaustra era bianca come il pavimento. Scorsi anche stavolta una delle tante piantine che l'ornavano, gli appliques ci illuminavano il passaggio.

Giunte al piano di sotto, un'altra stanza ci accoglieva. Non era poi così diversa a parte il pavimento in cotto e che era più grande a tal punto da potersi permettere il letto matrimoniale con due cuscini scarlatti e il comò bianco, qualche scaffale e uno sgabellino in castagno che fungeva da comodino. Qui il soffitto era in travi bianche, sembrava una piccola scuderia e infatti lo era prima che arrivassi io.
Prima del corridoio da un angolo vi si accedeva anche a un bagnetto dalle piastrelle rosa antico e crema. Uno scrigno lo divideva dalla camera da letto di un paio dei miei fratellini minori. Due mensole bianche abbondavano di piantine, non vi mancava nulla. C'era persino la doccia, cosa insolita con i tempi che erano.
Abbandonai quell'ambiente e mi ritrovai nel corridoio dove si ergeva un imponente armadio a muro, era la scarpiera. Girai a destra verso l'uscita, il soffitto dalle volte piuttosto alte possedeva un grande finestrone al di là del quale vi era il terrazzo.
Arrivammo alla cucina, i quali mobili erano in frassino lilla, altresì particolare. Finestre con tende bianche qua e là che davano per una metà sul terrazzo e per l'altra nel giardino al quale anche qui da una di queste vi si poteva accedere.
Due gradini sotto a un arco quadrato mi fecero accedere alla piccola sala da pranzo. Qui al centro c'era un tavolo rotondo in cristallo e tre poltrone in pelle rossa. Vi si poteva scorgere in un angolino persino un termosifone, anche questo rendeva la casa più all'avanguardia rispetto al tempo. Altri appliques illuminavano l'abitacolo e un'altra tenda color panna copriva una finestrella in alto nel muro al di sotto del quale si ergeva una dispensa in quercia e una vetrinetta, di fronte altri scaffali in vetro impreziosivano ancora più di prima l'ambiente che in quel momento mi ospitava.
Infine arrivai al salone, lungo e stretto. Altri appliques, due cristalliere e due tappeti persiani di un amaranto lo ravvivavano. Un sofà nero in pelle a sei posti fungeva da angolo relax. Un'edera mi faceva compagnia sorvegliandomi dall'alto, non eravamo noi le sole a dare vita a quella casa.
Sul punto d'ingresso si ergeva un cancelletto bianco che pullulava di ghirigori, al di sopra uno sferico lo aiutava a dare luce a tutta l'antica dimora. Aprii il primo e sceso il gradino ci riversammo nella strada.

Vociare di bambine si udivano sempre più vicine, erano le mie figlie prese per mano dalle mie sorelle e tutte quante seguite da mio fratello. Fu il primo dei tre ad aprire bocca.

"Salve mie belle Signore! Ah, scusate! Dimenticavo che Voi eravate nubile! Buonasera Signorina!" Si avvicinò sempre di più, si tolse il cilindro nero e con un inchino prese la mano di Clara e gliela baciò con la massima galanteria "Beh, dolcezze! Andiamo, loro verranno dopo dovendosi ancora vestire!" continuò strizzando l'occhiolino.
"Chiudi il becco, Filippo!" lo ammonì Nicoletta "I nostri aspettano, stanno già lì!" continuò rivolgendosi a me.
"Sissignora!" s'intromise lui sempre con fare ludico una volta che aveva origliato.
"Tu sei già pronto, invece?" gli chiesi cambiando discorso.
"Si e c'è pure Camillo!" concluse Filippo.
"Beh che aspettate? Andiamo!" suggerii guardando un po' l'uno e uno l'altro negli occhi "A dopo, bambine!" continuai rivolgendo un'occhiata verso le più piccole del gruppo.

Ci incamminammo così verso il luogo di ritrovo e non ci volle molto a raggiungerlo poiché era solo a un paio di girate da lì ed esattamente all'isolato dopo ma strada facendo un'automobile ci stava per investire, ci notò in ritardo e per fortuna si arrestò.

"Ma guarda avanti a te quando guidi, a cosa pensi?" Inveii.
"Azz, un'Austin! Aspetta, ho visto bene! Si, hai visto chi era? Non ti azzardare più a fare così con lui, Vittoria!" di nuovo mio fratello.

Poco badai e proseguimmo fino alla destinazione.
Era un Palazzo maestoso a ridosso della Basilica Barocca di Santa Croce, uno dei più importanti della città. Costruito in stile Liberty la bellezza di un secolo prima. Il portone che accedeva alla Corte era aperto e pronto a ospitare tutti gli invitati alla serata. Noi ci addentrammo, era decisamente strapieno di gente.
Donne con ventagli e dagli abiti più sfarzosi. Quelle acconciature simili alla Pompadour le rendevano simili a tanti alberi di Natale ancora da addobbare, a parte qualcuna che recava qualche brillantino o qualche fermaglio come per ravvivare di più quelle capigliature spoglie e opache. Alcune di loro erano proprio grosse e ciò rendeva un po' critica la decifrazione del loro stato sociale. Quelle dimensioni oscuravano pure i vari portamenti gentilizi che esibivano e sfoggiavano a tal punto da farle sembrare esattamente come non erano, sembravano popolane quando erano della più alta forma di aristocrazia. Proprio mi colpirono quelle.
La musica era la sola che smorzava il pacchiano disgusto verso tutto quel vedere, schifavo persino me stessa per essere entrata estremamente a farne parte. Chi me la fece fare, non sapevo. Mi ritornarono in mente quei pensieri del pomeriggio, in realtà non c'era momento senza loro. Eppure cercavo con gli occhi mio marito, per la mia società non potevo non farlo. Solo un tenore come Tito Schipa* riusciva ad attenuarli subito fino a farli scomparire completamente. Ammiravo la sua voce sin da piccola quando a casa non facevano altro che ascoltarla.

"Madame, posso offrirle un ballo!" chiese ironicamente mio fratello baciandomi la mano.
"Ma certo, Monsieur!" risposi.

Mi portò così al centro della pista e mi abbracciò. Posò la fronte sulla mia spalla mentre io avevo il volto riverso verso l'alto rapita da una scala coperta da un lungo tappeto rosso ed era esattamente lì che si perse la mia immaginazione. Era tutto che intravidi appena. Dove portava, forse questo mai si saprà.
Malgrado tutto amavo ogni cosa di quel mondo, dipendeva solo il modo e il punto della prospettiva da cui guardavo. Li chiamavo gli occhi dell'arte, erano quelli a rendere più bello ciò che in realtà non era. Sarà stata la magia del nostro lirico, chissà. Adesso ballavo su quelle note e stretta a mio fratello, era tutto perfetto.
Il pezzo terminò, gli applausi furono interminabili.

"Adesso non ti dispiacere, Filippo ma devo cercare mio marito! Sai dov'è?" chiesi ricomponendomi.
"Certo, l'avevo visto andare da quella parte!" disse girandosi attorno "Comunque, gradiresti prima una coppa di Champagne?" continuò.

Non ebbi il tempo di rispondere.

"Ciao, Vittoria! C'è il nuovo Ministro degli Esteri, perché non vieni che te lo presento! Lo vedi, è quell'uomo accanto al buffet!" mi girai e lo vidi, era con il sindaco.

Avrò capito bene? Sarà stato anche nuovoma l'ennesimo vecchio eppure quell'uomo quasi davanti a me in un angolo della festa non mi sembrava molto in avanti con gli anni, cioè si ma non abbastanza. Pareva un uomo chissà, intorno alla quarantina e dall'aspetto per niente affatto rugoso anzi piuttosto bello e affascinante semmai. Per non parlare di come era vestito e pettinato, il portamento poi. Sembrava un militare senza divisa, era proprio tutto d'un pezzo. I suoi capelli corvini rasati ai lati e dietro la nuca, un ciuffo ribelle gli pioveva sul viso. La pelle candida e le labbra carnose. Sembrava austero e un uomo che di vita ne aveva fatta, non ne avevo visti così da queste parti. Sicuramente la sua provenienza sarà tutt'altro che salentina, sarà un alpino che ha combattuto gli stranieri sul Carso. Più che probabile.
Anche lui dopo un po' alzò lo sguardo e mi notò, mi fissò.
Lo fece ma non in un modo normale, quegli sguardi di diamante erano delle vere spie taglienti.
Distolsi lo sguardo ma non smisi di sentirmi osservata, fanatico.

"Mi concedereste un ballo, mogliettina mia cara!" mio marito mi fece tornare alla realtà.
"Certo, maritino mio! Con piacere!" risposi.

Un'altra canzone si sprigionò nell'aria, una nuova del Maestro Schipa. Non durò più di tanto essendo una delle più corte. Alla fine, dopo un sonoro applauso, Camillo riprese la mia mano e mi fece strada verso il tavolo del buffet. Ci buttammo sulla folla e cercando invano di uscirne illesi e uniti, alla fine lo persi ma riuscii comunque a raggiungere il buffet.

"Ah, eccoti di nuovo finalmente! Dov'eri finita? Assaggia le pittule* sono veramente squisite!" esclamò Clara.
"Lo farò! Piuttosto, che stai combinando?" aggiunsi.
"S..." la fulminai.

Rise.

"Signorina Clara, me lo concedereste un ballo?" chiese mio fratello, lei mi guardò.
"Vai, su!" la incalzai e così rimasi di nuovo sola.

Anche quel ballo finì e prima che incominciassimo ad applaudire una voce insolita spiazzò tutti, era di nuovo quell'uomo che stava cercando di approcciarsi al microfono davanti all'intera platea di invitati che stava assistendo a quella sera. Che cosa mai vorrà? Mi chiesi. Il silenzio era il solo a regnare, a parte quel timbro non una mosca volava.

"Salve a tutti, Signori e Signore! Benvenuti a questa serata voluta dal sindaco! Sono fiero di voi! Perdonate il mio italiano pessimo ma come molti sanno io non sono come voi e come ormai mi sento dai tempi della guerra e soprattutto dai combattimenti di Gallipoli! Molti mi hanno persino conosciuto e c'è anche chi mi ha fortemente stimato! Non mi sarò forse ancora presentato ma alcuni ne saranno già certamente a conoscenza della mia identità! Chi vota, chi segue la politica e la vera arte dello Stato? Chiunque, ognuno di voi mi avrà sentito almeno una volta nella vita e questa sera sono io! Anche in senso negativo o pensandomi tale! Esattamente in carne e ossa, dopo i fatti che sono successi e che non voglio stare qua a ricordare! C'era un altro prima di me ma poi ci sono stato io! Il Nuovo Ministro degli Esteri è qui, sono io! Grazie!" ero veramente allibita.

C'era chi gridava e chi fischiava e poi d'un tratto uno sparo, nessuno sapeva da dove provenisse. La gente urlava e scappava, incalzava perfino me che fortunatamente infine trovai riparo al piano di sopra.
La scala era decisamente interminabile, girava quasi come su se stessa. Un corrimano nero in ferro abbellito da ghirigori tondeggianti e astratti la recintava tutta. Il resto che vi ruotava attorno era tutto bianco. Naturalmente, anche qui i il verde non mancava.
Sembravo una principessa giunta al castello ma stavolta si trattava di una fanciulla che voleva sfuggire da un principe grigio e vecchio anzi da due se anche quello a cui stava andando incontro potesse essere considerato principe tale e sempre. Una senilità che li macchiava fuori e dentro.
Giunsi in sommità, un lungo porticato mi ospitava. Altri pochi passi e finalmente arrivai a destinazione, la porta era aperta.
Aspetterò qui, continuai a dirmi. Entrai.

Clara e Vittoria alla festa

Note dell'Autrice:

Ciao a tutti e soprattutto scusate il ritardo! Comunque, innanzitutto. Avete visto un po' come sono andate le cose, già. Scherzo, ancora è presto e non è successo un bel niente ma... alla fine... e soprattutto alla fine... avete capito chi è? Anche qui i posti sono reali, la foto sopra è la cameretta della nostra protagonista. Anche Tito Schipa è veramente esistito, era un tenore leccese di origini albanesi nato nel 1888 ma presto divenuto internazionale in effetti è morto a New York nel 1965. Non a caso quell'anno era stato in Italia, a Modena e quindi a casa anche se per lui ormai casa era tutto il mondo pur rimanendo sempre il Salento il suo primo amore. Da ascoltare e tenere particolarmente presente "Lecce mia" che è una sua canzone. È un po' come un Caruso o Carosone nostrano o un Rodolfo Valentino del canto. Ahahah li abbiamo tutti noi pugliesi e meridionali, anche Rudy era non salentino ma veniva sempre dall'Apulia, Caruso e Carosone erano invece napoletani. Comunque è già cominciata la sigla, eh? ahahah Sicuramente con questo capitolo avrete visto da chi ho preso spunto. Stay tuned!

Talemme (dialetto leccese) = matusalemme
Pittule (specialità tipiche leccesi)

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