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Capitoli I : Hira

Hira POV

Vidi una scatola voluminosa sullo scaffale che mi incuriosì , decisi di afferma tra le mani, la osservai attentamente , era consumata e ornata di piccoli disegnini , come se fossero decorazioni. La poggiai e sollevai il coperchio; dentro vi erano dei mucchi di carta con delle immagini stampate , come non se ne vedevano quasi più. Erano disordinate , una sopra l'altra senza un'ordine cronologico , ne presi una casualmente che raffigurava mia madre , con i compagni di scuola , coetanee sue amiche , al mare , graziosa e ben vestita , era mescolata a mio padre pensoso, sempre solitario e distaccato dai compagni. Osservai uno ad uno quei visi sconosciuti, quei visi che raccontavano una storia ; vicino a mia madre , a destra , un ragazzo dai capelli ricci e gli occhi verdi , di piccola statura che la avvolgeva in un tenero abbraccio. A sinistra , una ragazza dai capelli neri , la frangetta , le orecchie molto particolari ed una chitarra elettrica in mano. Papà , come preannunciato prima , era leggermente in disparte, con lo sguardo perso e pensieroso, con le mani in tasca , ed una postura seria e composta , posata ,  tale e quale a quella di un gran signore , che lo contraddistingueva dagli altri . Accanto a lui si scorgeva un ragazzo dai grandi muscoli, alto più o meno quanto lui , dai capelli biondi e spigolosi, dallo sguardo minaccioso. Notai che a sbucare dietro mio padre , Shoto , ci fosse una bella ragazza che non avevo notato prima , dai capelli neri come la pece e apparentemente morbidi , gli occhi a mandorla ,alta e longilinea. Ma tra tutti i ragazzi , tra tutti i visi , quelli dei miei genitori compresi, a stupirmi , ad attrarmi , fu quel ragazzo vicini mia madre , dai capelli ricci e gli occhi verdi. Focalizzai inconsciamente la mia attenzione su di lui, poiché notai che mi somigliasse parecchio . Quel ragazzo mi rimase impresso nella mente, tanto che, qualche giorno dopo , domandai a mia madre chi fosse , lei però non mi diede una risposta esaustiva. 《Un'amico》 rispose con una voce poco convinta e con una nota nostalgica.
Perciò , lo stesso giorno , decisi di farmi avanti, prendermi di coraggio e chiedere a mio padre. Se ne stava nel salotto , seduto, le mani in mano, la testa china e lo sguardo pensieroso rivolto verso il pavimento.Pareva acigno , distaccato, freddo , forse a causa della stanchezza procurata dall'interminabile lavoro da hero.  Mi avvicinai silenziosamente e gli chiesi in modo innocente, indicando con il dito il ragazzo della foto《Papà chi è questo ragazzo insieme a mamma》lui mi guardò , io ero in attesa si una risposta ,  non sapevo che stessi applicando un fuoco in lui , con quella domanda così scomoda.
《Nessuno》 disse , partendo disinteressato.
Riguardai attentantemente la foto 《perché mi somiglia così tanto?》chiesi incuriosita e dato che mamma non mi aveva dato una risposta, speravo che,  lui , almeno lui mi rispondesse《papà chi è》 continuai insistendo. Lui guardava il vuoto , e pronuncio in modo freddo , apatico, come non lo avevo mai sentito fin ora le seguenti parole :《tesoro , ho sempre voluto dirtelo mah-mah io-io-io...》 non capi ciò che stava cercando di dirmi 《tu?》 insiatetti io. Lui mi guardò , la sua faccia sembro trasformarsi , divento cupa , tanto da farmi paura , e mi strappò impulsivamente  quella foto dalle mani , la accartocciò e la ridusse in mille pezzettini. 《No papà che fai?》 Cercai di impedirglielo, piangendo, urlando , supplicando di non strapparla ma ora mai lo aveva fatto . In fine la bruciò con la sua mano destra , rendendola cenere. 《Papà perché l'hai fatto?》 gli dissi piangendo , raccogliendo la cenere con le lacrime agli occhi 《perché l'hai fatto?》 Lui mi guardò con risentimento, forse con pentimento, sembrò aver paura di ciò che aveva appena fatto , in quel momento sembrò come se non fosse più lui ad agire , ma che suo padre , Eandevor , il cui sangue scorreva nelle sue vene , si fosse impossessato di lui. Lui odiava le rare volte che accadeva , odiava se stesso , odiava suo padre ; era come se tutti i momenti di sofferenze dell'infanzia gli tornassero in mente. Si era ripromesso più volte di non dover essere come lui , di dover essere un buon padre , di non seguire le sue orme, ma ecco che nonostante tutti i suoi sforzi suo padre avvolte tornava , in lui. Sospirò. Poi si scusò , mi accarezzò il viso , mi asciugò le lacrime , mi guardò con i suoi occhi profondi , non so come un suo dolce sguardo riuscisse a consolarmi , ma ci riusciva. Io rimasi rigida , non mi mossi ,  pensavo ancora a ciò che poco prima aveva fatto , a quella foto ridotta in briciole, ma sentivo in quelle sue azioni traspariva una forte paura, la paura di perdermi , che ancora non potevo comprendere. Gli richiesi , a voce bassa il perché avesse reagito in quel modo strappando quella foto apparentemente innoqua , almeno dal mio punto di vista. Lui riprese a guardare il vuoto pensieroso, poi mi diede un bacio sulla fronte , ed andò via.
Sentivo crescere in me una forte sensazione di curiosità, volevo sapere, conoscere, capire , odiavo starmene allo scuro di tutto. Mi guardavo allo specchio , e notavo che ogni giorno sentivo di somigliare sempre più a quel misterioso ragazzo della foto , e meno a mio padre Shoto , come avrei voluto.
Chissà com'ero da piccola? Chissà se somigliavo almeno un po' a mio padre? Magari avevo i suoi stessi occhi azzurri? e con la crescita avevano cambiato colore , magari avevo il suo stesso carattere?oppure i suoi capelli rossi. Non avevo neanche una foto da me da piccola, quindi in un giorno qualsisi , per pranzo , feci a mio padre una domanda :《ti ricordi com'ero quando sono nata? Ti somigliavo almeno un po'?》 Lui sorrise , e mi rispose con una semplice quando profonda frase :《per me sei nata quando ti ho abbracciata per la prima volta》 io non compresi , quindi gli richiesi se gli somigliassi , lui mi rispose di sì, disse che gli somigliavo molto , che avevo  il suo stesso coraggio e la sua stessa inpavidità. Io ci pensai attentamente, effettivamente , non aveva tutti i torti.
Papà non aveva tutti i torti.
Di quella foto non rimaneva nient'altro che cenere ormai, ma papà non aveva tutti i torti. Non era mai stato una persona che fuggiva dalle difficoltà: da quando ne avevo memoria, sembrava affrontare ogni cosa a testa alta. Eppure, qualche ora prima, sembrava quasi tremare dalla paura. Non avevo mai visto il suo sguardo cosí tetro, quasi spaventoso. Tuttavia, dentro di me c'era quasi un desiderio di riuscire a compatirlo, di confortarlo. Non sapevo cosa lo stesse affliggendo, non sapevo cosa lo avesse portato a reagire cosí violentemente ad una mia innocente curiosità. Perchè gli si leggeva in faccia, che era spaventato. Papà non aveva tutti i torti, ero determinata. E nonostante di quella foto non rimanesse ormai altro che cenere, non mi arresi. Ricordavo qualcosa sul retro di quella foto. Una grafia disordinata, tanto che ebbi qualche difficoltà nel decifrare i simboli. "Yuuei 2014". Quando la mostrai a papà, mi focalizzai soltanto sul perchè quel ragazzo ritratto nella fotografia mi somigliasse cosí tanto. Avevamo le stesse guance paffute, rosate, ricoperte di lentiggini. Per non parlare della capigliatura, e dei tratti facciali. Se non fosse stato per il marrone chiaro capelli ereditato dalla mamma, saremmo sembrati due gocce d'acqua. Non gli avevo parlato della Yuuei, ma sapevo che era stata la sua scuola superiore, e anche quella di mamma. La scuola per eroi piú prestigiosa di tutto il Giappone. Papà non aveva tutti i torti, ero determinata. Non sapevo cosa fosse o potesse essere, ma c'era qualcosa dietro. Qualcosa che mi premeva scoprire. Perciò lo feci veramente, ero scappata. Con la scusa di dover andare a trovare una mia compagna di classe, che aveva dimenticato di restituirmi qualcosa prima dell'inizio delle vacanze invernali. Ammetto che quella notte, nonostante stessi partendo per un posto che non conoscevo, da sola, e per la prima volta, non potevo fare a meno che sentire ovunque l'odore di avventura. Era come in un libro, c'era anche la luna piena. Sembrava cosí tanto di essere in un libro che avevo anche pensato di sgattaiolare via dalla finestra. Ma ripensandoci, il mio punteggio in educazione fisica non era uno dei migliori: avrei sicuramente fatto rumore, o nelle peggiore delle versioni sarei anche caduta, attirando l'attenzione di papà e perchè no, slogandomi la caviglia un'altra volta.
Nelle strade non vi era ancora nessuna traccia di neve. Sarebbe quasi sembrato il soggetto di un quadro, se I fiocchi fossero iniziati a cadere proprio in quel momento, in cui le luci fioche dei lampioni illuminavano le strade. Però, se avesse nevicato, I treni sarebbero stati bloccati.
Mi ritrovai quindi accasciata su uno dei sedili dal quale potevo guardare fuori dai finestrini lievemente appannati, coi piedi che si alternavano, penzolando avanti e indietro come per scandire il tempo. Non ero abituata a stare sveglia fino a cosí tardi. Col naso infreddolito sepolto tra la pesante stoffa rossa della sciarpa, rischiavo di addormentarmi. La Yuuei si trovava nelle prefettura di Musutafu, e a causa della sua fama, tutti ne erano a conoscenza. Era diventato un po' come chiedere dove si trovasse New York. Un posto dove tutti volevano andare, un'aspirazione che cresceva con essi. Era strano. Non mi ero mai interessata a diventare un'eroina. E anche se mi fosse interessato, non avrei avuto modo di riuscirci. Che cosa buffa, la figlia del numero 1 in carica non aveva un quirk. E in piú era maldestra, lenta, goffa e non andava troppo bene negli studi. Gli altri si tenevano a debita distanza da me e, anche se cercavo di non darci troppo peso, ero arrabbiata. Mi chiedevo se fosse veramente colpa mia il fatto di essere nata senza un quirk, ma di essere la figlia di due eroi. Uravity e Shoto. A loro non era mai dispiaciuta la mia diversità. Dicevano che non avessi bisogno di un potere per essere speciale. E col passare del tempo, mi sono convinta che andasse bene in quel modo. Circondata dal calore dei miei genitori, quel calore che riusciva a scaldarmi anche in quei gelidi inverni.
Stavo facendo preoccupare mamma e papà. Soprattutto papà, probabilmente. La figlia del numero 1 era anche un'ostinata e testarda, quanto sconsiderata undicenne: non si arrendeva neanche se del movente delle sue folli azioni non rimaneva altro che cenere.
Tirai su col naso, cacciando indietro le lacrime.
<<Prossima fermata: Musutafu>>
Mi ero resa conto solo in quell'attimo d i quanto stessi facendo preoccupare i miei genitori. Sapevo che se mi fosse accaduto qualcosa, sarebbero stati tristi, ed era senza alcun dubbio l'ultima cosa che desideravo vedere. Tuttavia il treno stava già per fermarsi, e se mi fossi tirata indietro proprio adesso, probabilmente non sarei riuscita a chiudere occhio per il rimorso, nonostante sentissi già le palpebre farsi pesanti. Se papà aveva reagito in quel modo, allora c'era sicuramente qualcosa di importante in ballo, qualcosa che riguardava non solo me, ma anche le persone a me piú vicine. E I loro visi tristi, erano l'ultima cosa che avrei voluto vedere.

Scesi dal treno, stringendomi nel cappotto beige. Una brezza fresca mi scompigliava leggermente I capelli, estendendo brividi di freddo su tutta la superficie della mia pelle.
Sapevo che la Yuuei si trovava a Musutafu, ma non sapevo da che parte dovessi andare. Ero terribile a seguire le indicazioni, o a ricordarmi I tragitti. Ma consultare una cartina sembrava al momento la migliore opzione.
Mi avvicinai quindi ad un grosso tabellone sul quale era appesa la cartina della prefettura. Su di essa vi erano molti simboli e scritte complicate e, insieme alle strade che nonostante stilizzate erano rappresentate con massima precisione, mi confondevano.

Mi incamminai verso una stradina casuale. C'era freddo , e pioveva. Le luci soffuse delle auto si mescolavano alle goccia di pioggia. C'era buio, non si vedeva quasi nulla, e nonostante mi sforzassi continuavo a vedere tutto sfocato. L'unica cosa a me chiaramente visibile era un'insengn appariscente, di quelle adornate da mille luci. L'improvviso contatto con quella vista abbagliante provocò il chiudersi dei miei occhi per qualche secondo. "Minimarket Musutafu" lessi, e decisi di raggiungerlo. Entrai, si sentiva il rumore del contatore della cassa mescolato al brusio delle voci di tutte quelle persone. Mi diressi verso lo scaffale dei dolciumi, li osservai con desiderio. Poi mi diressi verso lo scaffale degli stack, provai ad afferrarli, ma erano troppo alti per me. Mi misi in punta di piedi, cercai di allungarmi, provando a prendere il Mochi che appariva tanto squisito dalla scatola. Stavo per riuscire ad afferrarlo ma persi l'equilibrio, e caddi all'indietro . Decisi perciò di accontentarmi di un semplice onigiri ripieno di pollo, già riscattato, ma a preoccuparmi era il prezzo: 378 yen. In tasca avevo a malapena 100 yen, avevo speso tutto per pagare il biglietto del treno fino a Musutafu, e non avevo tenuto conto alle ulteriori spese. Sentivo lo stomaco rumoreggiare, avevo fame , mi sembrava di sentire l'odore della carne di pollo nonostante fosse ancora coperta da riso, alghe, e la confezione plastificata del prodotto. Non pensai alle conseguenze, fui impulsiva come sempre: mi diressi vicino all'uscita e scappai via di corsa. Si attivò il sistema dall'arme e poco dopo mi resi conto di essermi cacciata nei guai. Mi stavano inseguendo.
Correvo. Con il fiato in gola, con il vento freddo che mi colpiva il viso, senza sapere dove andare. Dal cielo iniziarono a cadere dei cantidi fiocchi bianchi, mentre io continuavo a correre in quelle strade, spingendo tra la gente per passare, attraversando la strada quanto era rosso, sentivo di star rischiando tutto. Mi voltai indietro per vedere se mi seguissero ancora, continuando a correre e non guardando mai indietro. E andando a sbattere contro una ragazza. Caddi a terra a causa dell'impatto. Lei mi aiutò a rialzarmi, non mi curai neanche di ringraziarla che corsi via. Mi nascosi in un vicolo innevato e mi sedetti per terra. Sentivo freddo, l'unica fonte di calore era quel poco fiato riscaldato che usciva ad intervalli regolari dalla mia bocca, a causa del fiatone dovuto alla corsa. Scartai velocemente la confezione che proteggeva la polpetta di riso, e non ringraziai neanche per quel pasto, cosí come I miei genitori mi avevano insegnato. Lo divorai, lo divorai tutto. mi sembrò la cena più squisita di tutta la mia vita.

Mi accasciai in una panchina gelida, c'era vento, nevicava, e l'unico mio riparo era stare in quella panchina solitaria sotto quel albero di Sakaki, sempreverde, e stringermi nel cappotto beige. Non sentivo più il corpo, sembrava assente, c'era così tanto freddo che neanche lo sentivo piú, ma non avevo la forza di alzarmi. Provai a dormire ma anche se il mio corpo era lì, immobile, i miei pensieri scalpitanti vagavano nell'aria. Scrutai, esausta, la neve sciogliersi una volta arrivata a contatto con il suolo. Il vento diminuiva ed aumentava, e tutti i Sakaki e gli alberi di ciliegio spogli, intorno, sembravano danzare al ritmo del vento.
Ma ora cosa avrei fatto? Dove sarei andata? Ero una bambina di undici anni dispersa in una città sconosciuta, senza una meta, senza sapere dove andare o dove stare. Perché ero andata via? Per cercare risposte? E su cosa, poi? Su un ragazzo, sì, un ragazzo. Un ragazzo che pareva somigliarmi, ma che senso aveva lasciare la famiglia e vagare nell'ignoto alla ricerca di un ragazzo sconosciuto? Che motiva aveva questa mia impulsiva scelta?per rincorrere cosa? Mi penti di ciò che avevo fatto , stavolta avevo realmente superato ogni limite. Ero scappata di casa senza un valido motivo, provocando ai miei amati genitori una profonda amarezza. Cosa stavano facendo in quel momento? Mi stavano cercando? Erano preoccupati?Arrabiati? Delusi?
E se fossi tornata a casa dimenticando questa mia disubedinza, i miei genitori mi avrebbero messa in punizione? Rimproverata? Mi sentii confusa , non sapevo cosa fare , mi tornava in mente il viso di mio padre Shoto , di mia madre Ochako, i loro visi tristi e delusi e poi ecco che tornava nei miei pensiero quel ragazzo sconosciuto, con i miei stessi occhi, che sembrava perseguitarmi con lo sguardo. Era come se quella bufera che vedevo con i miei occhi si stesse scatenando anche dentro me. Ero scappata. Avevo rubato. Ero una criminale.Cosa avevo fatto? Avevo tradito tutta quella fiducia riposta in me , avevo ferito i miei genitori, avevo ferito coloro che mi circondavano, per cosa? Per una foto? Per un completo sconosciuto? Sentii i sensi di colpa invadermi l'animo. E piansi.
Piansi in silenzio.
Il freddo si impossessò del mio corpo e con le lacrime che scorrevano lungi lepaffute guance rosate, chiusi gli occhi, e mi addormentai.
Buio.
Freddo.
Ero questo che sentivo , finché non sentì delle braccia avvolgermi , delle mani calde accarezzarmi il viso , il calore del fiato di qualcuno , d'istinto aprì gli occhi sonnacchiosi . Intravidi un visino pallido e dei capelli bianchi che ondegiavano al vento  confondendosi con la neve. Non sapevo chi fosse , ma mi lasciai prendere tra le sue braccia senza opporre resistenza,lei si incamminò portandomi con sé, non sapevo dove mi stesse portando , ma lo avrei scoperto presto.

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