𝑼𝒏𝒂 𝑴𝒂𝒄𝒄𝒉𝒊𝒂
"Ti sei messa il trucco solo per attirare attenzione, vero? Se è così, allora fatti guardare," disse Grace con un sorriso che le piegava le labbra in un'espressione di disprezzo. Julia sentì una forte stretta tirarle la testa, le dita di Grace che si insinuavano tra i suoi capelli, affondando nella pelle come artigli. La presa era dolorosa, ma Julia non riusciva nemmeno a reagire, paralizzata dalla violenza implicita di quel gesto.
I suoi capelli neri e lucidi, che normalmente sembravano in ordine, ora erano arruffati, unti dall'olio che le era finito addosso poco prima, nella mensa scolastica, quando Grace le aveva rovesciato il piatto senza nemmeno un motivo.
L'olio aveva macchiato il viso di Julia, lasciando tracce appiccicose sulle guance e sulla fronte, mentre qualche goccia si era fermata anche sulla maglietta a righe nere e bianche, sulla giacca viola e sui jeans strappati.
Non solo l'olio, però. Pezzi di pasta, sugo e frammenti di carne erano rimasti impigliati tra i suoi capelli, incastrandosi tra i ciuffi in modo visibile. Alcuni pezzetti di insalata e fette di pane secco erano rimasti attaccati al colletto della sua maglietta, mentre il sugo rosso stava ancora colando lungo il suo corpo. Ogni movimento le faceva sentire l'umiliazione più viva, come se il suo stesso corpo fosse diventato il riflesso di quanto Grace e le altre la disprezzassero.
Le parole, tuttavia, facevano più male di tutto il resto. L'avevano già chiamata "una sfigata che si veste di stracci", l'avevano derisa, ma quelle parole di Grace... quelle la trapassavano come lame. "Non mi sorprende che tua madre se ne sia andata di casa," aveva continuato Grace con una freddezza tagliente, "e che tuo padre si riempi di lavoro, nessuno vorrebbe una figlia che si veste così."
Ogni parola era come un colpo, una fitta che la lasciava senza respiro. Julia sentiva il cuore battere forte, il volto scaldarsi mentre un nodo le si stringeva in gola. Aveva sempre saputo che non sarebbe mai stata ben voluta come le altre ragazze, ma sentire quelle parole uscire dalla bocca di Grace, così piene di veleno, le sembravano un peso insopportabile. Si chiedeva, in un angolo remoto della sua mente, se fosse davvero questo il modo in cui la vedevano gli altri: una macchia sul pulito, qualcosa da nascondere, o addirittura eliminare.
Lo strattone che la costrinse a sollevare la testa fu così violento che la costrinse a chiudere gli occhi per il dolore. Voleva mantenere il controllo, trattenere a fatica quel minimo di dignità che le rimaneva, nonostante fosse ridotta in quel modo. Ma seduta sul gabinetto dei bagni delle ragazze, con il viso e i vestiti sporchi di rimasugli di cibo, non c'era nulla che potesse proteggerla dalla sensazione di impotenza. Grace la guardava dall'alto verso il basso, con il suo sorriso trionfante, le sue labbra truccate di lucidalabbra, gli occhi delicatamente sfumati con fondotinta pastello e capelli rossi perfettamente sistemati, come se fosse una diva e Julia fosse solo un'ombra ai suoi piedi.
Le risate delle due "amichette" di Grace, Taylor e Blaire, le arrivavano come un'eco lontana, ma ben presente. Stavano fuori dalla porta, a vigilare, impedendo a Julia di scappare come un animale intrappolato. Ci aveva provato più di una volta, aveva pensato di correre, di urlare, di liberarsi, ma ormai sapeva che non serviva. Non c'era scampo. Ogni tentativo di opporsi era stato sistematicamente annientato, ridicolizzato, e Julia aveva smesso di provare a fuggire da quel circolo di umiliazione.
Grace la osservava con quella sua espressione che mischiava disprezzo e divertimento. "Non sai proprio metterti l'eyeliner," disse, la voce intrisa di veleno, "ci hai provato, ma fai proprio pena." Le parole la colpirono come un pugno. Julia sentì una fitta al petto, ma non si piegò. Voleva rispondere, ma non riuscì a farlo. Il dolore nelle sue mani, nelle sue braccia, nel suo cuore, le impediva di articolare anche solo una parola. Poi, come se non fosse abbastanza, Grace arricciò le labbra, il gesto che ormai Julia conosceva fin troppo bene. "E guardarti," continuò con disprezzo, "ti sei anche messa il rossetto. Nero, eh? Ti sta malissimo. Come hai potuto sprecare quel povero rossetto? Su di me non andrebbe mai sprecato, no di certo." Il tono di superiorità nelle sue parole era insopportabile. Julia avvertì il gelo salire lungo la schiena, come se ogni parola fosse una lancia che la trafiggeva. Il suo rossetto, il suo unico piccolo tentativo di sentirsi bella, apprezzata, era stato ridotto a uno scherzo crudele, uno spreco agli occhi di Grace.
Le risate di Taylor e Blaire le rimbombavano nella testa, mentre si nascondevano dietro le mani per cercare di trattenere le loro risate, come se avessero paura che fosse troppo per loro. Ma ogni risata che sentiva era una coltellata più profonda, un eco di disprezzo che le scivolava sotto la pelle.
E poi, Grace le diede un altro strattone, come se volesse strapparle via la testa dal collo. Era troppo, ma non c'era niente che Julia potesse fare per liberarsi. Si morse il labbro inferiore, cercando di trattenere un gemito di dolore. Ogni fibra del suo corpo urlava di fermarsi, di reagire, di scappare, ma il suo corpo non rispondeva. La vergogna la soffocava. Si costrinse a non chiudere gli occhi, ma dentro, in fondo al cuore, sentiva come se stesse perdendo ogni parte di sé, una dopo l'altra.
"Bisogna sistemare questo disastro, non preoccuparti, ci penso io, Julietta!" Grace disse con un tono sarcastico. Subito, le afferrò il viso di Julia e cominciò a premere le dita sulla pelle, come se stesse cercando di rimuovere non solo il trucco ma anche ogni sua minima traccia di dignità. Il movimento era brutale, la pressione dolorosa. Julia sentiva il viso bruciare sotto le sue dita, e cercava di ritrarsi. Ogni tocco sembrava penetrare più a fondo, un atto che andava oltre la semplice umiliazione fisica.
Le mani di Grace si spostavano con determinazione sul viso di Julia, rovinando il trucco che con tanto impegno si era messo. Il fondotinta che si era accuratamente applicato scivolava via, mescolandosi con l'oleosità che le aveva rovinato i capelli, come una macchia indelebile. Grace la costringeva a rimanere immobile mentre il trucco veniva letteralmente sfregato via. Julia cercava di resistere, ma il dolore cresceva a ogni movimento. Poi, con la stessa indifferenza, Grace iniziò a premere le mani sugli occhi, spargendo l'eyeliner in ogni direzione. Julia cercò di trattenere il respiro, ma un singhiozzo le sfuggì, inaspettato, rivelando il suo dolore, il suo disagio.
Voleva solo sentirsi un po' carina, per un attimo, solo per sentirsi diversa da quella ragazza che tutti sembravano ignorare. Voleva solo poter sorridere guardandosi allo specchio senza vergognarsi. Ma quel momento di speranza veniva sistematicamente distrutto, come sempre, da Grace, che sembrava determinata a fare in modo che niente fosse mai abbastanza per Julia.
Finalmente, dopo averle "sistemato" il viso a modo suo, Grace la lasciò andare con un movimento brusco. Julia non poté fare a meno di abbassare la testa. Alcuni ciuffi di capelli scivolarono sulla sua fronte, nascondendo in parte gli occhi, ma era solo un vano tentativo di proteggersi dalla realtà. Le ragazze intorno a lei, in piedi accanto alla porta del bagno, la guardavano in silenzio, come se fossero spettatrici di una scena che ormai le divertiva più di quanto dovesse.
Grace non aveva finito. Si chinò su di lei, avvicinandosi ancora di più, con il viso quasi a pochi centimetri da quello di Julia. Con un gesto rapido e deciso, schioccò le dita davanti ai suoi occhi, come per attirare la sua attenzione. Julia, infastidita, spostò la testa per evitare lo sguardo diretto.
"Vallo pure a dire a mio padre, come hai fatto l'altra volta," disse Grace con una risatina. "Tanto lui non ti crederà mai. È inutile che ci provi." Julia, purtroppo, sapeva bene a chi si riferiva. Suo padre, il preside dell'istituto, era una figura di autorità, e Julia aveva già provato, senza successo, a cercare il suo aiuto in passato. La consapevolezza che ogni parola, ogni tentativo di rivolgersi a lui, sarebbe stato ignorato, la fece sentire ancora più piccola. In quel momento, Julia capì quanto fosse difficile sfidare l'ingiustizia, ogni suo sforzo fronte al potere che Grace e sua famiglia detenevano era inutile. Il peso di quel pensiero la schiacciava.
Poi Grace si incamminò con il passo fiero di chi sa di avere il controllo, il mento sollevato, gli occhi che brillavano di quella sicurezza che sembrava travolgere tutto attorno a lei. Taylor, senza una parola, afferrò lo zaino di Julia, e lo aprì. Con uno scatto deciso, scaraventò tutto sul pavimento. Le matite, i pennarelli, gli oggetti che Julia teneva con cura, si dispersero ovunque, mescolandosi ai pezzetti di carta igienica abbandonati e alle macchie visibili sul pavimento del bagno, a piastrelle colorate. I colori sgargianti del pavimento sembravano una beffa, come se tutto intorno a lei fosse troppo vivace e luminoso per quello che stava vivendo. Il caos dei suoi oggetti sparsi era un altro segno della sua impotenza in quel momento.
E poi, come se fosse un altro gioco da ridere, le lanciarono lo zaino contro. Julia lo vide arrivare verso il suo viso, la velocità della traiettoria le fece quasi chiudere gli occhi, ma quando lo zaino la colpì, il vuoto al suo interno lo fece sembrare meno doloroso di quanto fosse stato. Si limitò ad abbassare di più la testa, stringendo le mani con forza attorno allo zaino, nella speranza che potesse nascondersi, che nessuno potesse vederla per un istante. La sensazione di essere un'invisibile macchia, un'ombra, si faceva sempre più forte.
Le risate delle ragazze, i loro sussurri e commenti, riecheggiavano tra le pareti del bagno. Alla fine, si allontanarono, con le loro risate che sembravano avvolgerla in un abbraccio gelido.
La porta sbatté con un rumore secco.
E finalmente, rimase sola.
Come sempre.
Il silenzio che seguì fu come un peso che le schiacciava il petto. La stanza intorno a lei, il bagno freddo e disordinato, sembrava un riflesso di ciò che sentiva dentro. La desolazione di quella solitudine la avvolgeva come una coperta troppo pesante da sopportare. Non c'era alcun modo per uscire da quella situazione, nessuna via di fuga che Julia potesse vedere.
Si sentiva intrappolata.
Un pensiero continuava a rimbombare nella sua mente: forse avevano ragione loro. Forse era davvero giusto che venisse trattata così. Sua madre se n'era andata, abbandonandola, e suo padre non sembrava mai avere tempo per lei, occupato com'era con il suo lavoro. Ogni pensiero sembrava rinforzare il senso di solitudine, di insignificanza.
Julia provò a fermare quel flusso di pensieri, ma non ci riuscì.
Le lacrime, lente e pesanti, cominciarono a scivolare sulle sue guance, unite al trucco che ormai stava scomparendo in un mare di nero. Ogni lacrima che cadeva sembrava portare via un altro pezzo di sé, ma non riusciva a fermarsi. Non riusciva a fermare il dolore che la stava soffocando. Le sue labbra si contorsero in una smorfia di dolore, e iniziò a singhiozzare, silenziosa e immobile. Ogni singhiozzo le scuoteva il corpo, facendo tremare le sue spalle in un movimento impercettibile ma intenso. Abbracciò con forza lo zaino che aveva di fronte a sé, come se fosse l'unica cosa che ancora le appartenesse, come se fosse capace di proteggerla da un mondo che sembrava sempre più ostile.
Si rannicchiò su sé stessa, piegando le ginocchia, mettendo i piedi sul gabinetto in un tentativo di ridursi, di farsi piccola, di nascondersi da tutto. Poi, senza più forza per combattere, premette il viso nello zaino. Le lacrime cominciarono a gocciolare sul tessuto, ma Julia non ci faceva più caso. Il buio intorno a lei divenne il suo rifugio, e in quel buio la sua disperazione esplose in un pianto sfrenato.
Non le importava più di chi potesse sentirla. Si lasciò andare, senza più l'illusione di poter restare forte.
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