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𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝟷𝟸

❝𝐸𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑜𝑚𝑝𝑟𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑎 𝑐𝑜𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑐𝘩𝑒 𝑎𝑚𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑒̀ 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑑𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑔𝑔𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑣𝑖𝑣𝑒𝑟𝑒 𝑒 𝑎𝑓𝑓𝑟𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝑖𝑚𝑝𝑒𝑔𝑛𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎.
𝐿'𝑖𝑛𝑐𝑜𝑚𝑝𝑟𝑒𝑛𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑠𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑚𝑜𝑛𝑡𝑎𝑔𝑛𝑎 𝑒 𝑡𝑟𝑎𝑐𝑐𝑖𝑎 𝑠𝑜𝑙𝑐𝘩𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑜𝑛𝑑𝑖 𝑠𝑢𝑙𝑙'𝑎𝑛𝑖𝑚𝑎.❞

||𝑅𝑜𝑚𝑎𝑛𝑜 𝐵𝑎𝑡𝑡𝑎𝑔𝑙𝑖𝑎||

[𝐹𝑙𝑎𝑠𝘩𝑏𝑎𝑐𝑘]

In quella società piena di eroi i bambini non fanno altro che ripetere di voler diventare come loro.

Aspettano con ansia il momento nel quale gli si svilupperà il Quirk, e nel frattempo viaggiano di fantasia, proiettandosi in mezzo a battaglie dove salvano le persone con il proprio potere, e dove catturano i villains, rendendo così più sicure le strade della loro città.

E perso in quelle immagini mentali vi era anche un bambino che in quel momento se ne stava affacciato alla finestra, chiuso nella sua camera, a guardare cosa stesse succedendo fuori.

Avrebbe dovuto dedicarsi ai compiti da finire, visto che non poteva fare altro, però aveva deciso di sedersi sulla sua scrivania e osservare fuori.

Un leggero sospiro uscì dalle sue labbra, desiderava così tanto scendere e andare a giocare con i bambini come facevano tutti gli altri.

Era noioso starsene sempre chiuso in casa, non sapeva mai cosa fare per passare il tempo.

Abbassò lo sguardo sulla sua mano, da dove fece uscire una piccola ombra.

Da quando gli si era manifestato il Quirk i suoi genitori gli avevano categoricamente proibito di uscire, a detta loro poteva fare del male a qualcuno con quel potere.

Ma Yusuke sinceramente non capiva come avrebbe potuto procurare delle ferite, alla fine quelle che lui emanava erano delle semplici ombre, neanche troppo grandi a dire la verità.

Era ormai un anno che quella situazione andava avanti, e dentro di lui non faceva altro che provare frustrazione per ciò che gli veniva negato.

Anche lui voleva uscire e giocare con gli altri bambini, non voleva essere escluso, non voleva continuare a vivere le giornate in quel modo.

Tutto quello gli provocò una rabbia mai provata prima, che fece aumentare di volume l'ombra che alleggiava sul palmo della sua mano, ora era si e no il doppio di prima.

«Oh...» Sussurrò quando la vide, era come se avesse reagito alla sua collera, come se l'avesse alimentata con quest'ultima.

Non fece in tempo a pensare a cosa potesse significare che la madre entrò nella sua stanza.

«Sapevo che ti avrei trovato davanti la finestra.» Si avvicinò e tirò le tende.
«Smettila di pensarci e-» Gli occhi le caddero su ciò che il figlio teneva tra le mani e d'istinto fece dei passi indietro.

«P-Perché l'hai usato di nuovo?!» Domandò con voce tremante, ma comunque infuriata.
«Io e tuo padre ti avevamo chiaramente detto di non farlo!» Dal suo sguardo si poteva capire che ne avesse paura.

«Ma mamma, guarda, non sta succedendo niente» cercò di dirle Yusuke, allungando la mano verso la donna, ma lei in risposta si affrettò ad allontanarsi.

«Adesso non sta succedendo niente! Ma quel potere è oscuro, non devi usarlo più, hai capito?!» Anche se con timore si avvicinò e gli afferrò con forza il polso.
«Devi farlo sparire!»

Il piccolo Yusuke fece quanto gli era stato detto, anche se controvoglia, triste perché la madre anche quella volta non aveva riposto fiducia in lui.

«Lo capisci, vero?» Lo guardò sull'orlo dell'esasperazione, chiunque l'avesse vista in quel momento l'avrebbe scambiata per una pazza a causa dello sguardo che aveva sul volto.    

«Non è solo per il tuo bene, ma anche per il nostro, per chi ti circonda» continuò a dire con un tono più alto di voce, e anche abbastanza instabile.
«E tu non vuoi fare del male a noi, vero?»

«Mamma, mi stai facendo male...» Sussurrò il bambino, la donna aveva ancora il suo polso nella mano e non intendeva allentare la presa, al contrario, la serrò ancora di più quando lui non rispose alla sua domanda.

«Vero?!» Ripeté ancora una volta, nella sua voce ora c'era anche durezza.

A quel punto Yusuke annuì rapidamente.
«Non voglio fare del male a nessuno!» Quando la madre lo lasciò andare il piccolo si portò subito il braccio verso il petto, massaggiandosi il polso, che ancora gli doleva.

«Bene, e non riaprire le tende! Scendi dalla scrivania e concentrati sullo studio, che è meglio!» Gli rivolse un'ultima occhiata furiosa prima di uscire dalla stanza.

Yusuke fece, ancora una volta, come gli era stato detto, ma quando la donna se ne andò lui abbassò la testa, continuando e tenersi il polso, ora poggiato sulle sue gambe.

Una lacrima scese e si scontrò contro di esso.
«Perché non vuole cercare di capire?» Singhiozzò silenziosamente, non voleva che lo sentisse, si sarebbe arrabbiata maggiormente.

«Mi vedono davvero come un pericolo?» Si bloccò, incapace di pronunciare l'altro pensiero che si era formato nella sua testa.

Mi vedono come un mostro?

Strinse i denti, costringendo le altre lacrime a non scendere.

Dentro di se sentiva crescere sempre di più il suo potere, che in quell'istante si stava alimentando dei sentimenti negativi provati dal bambino per accrescere senza sosta la sua forza.

Quel giorno, in quella stanza, Yusuke decise che non avrebbe più pianto per le incomprensioni degli altri.

Se lo vedevano come una minaccia allora tanto valeva far avverare quei loro presentimenti.

Sarebbe diventato sempre più forte e sempre più temuto, avrebbe sviluppato il suo Quirk in modo da avere sempre più potere, così facendo nessuno avrebbe avuto il coraggio di provare a giudicarlo in qualsiasi maniera.

Nessuno ci avrebbe provato, nemmeno ci avrebbe pensato. Nessuno avrebbe più ostacolato la sua strada.

Così cominciò il suo allenamento per aumentare la forza del Quirk, ovviamente senza farsi scoprire dai genitori, i quali però sentivano sempre di più una presenza oscura, all'interno della casa, che li opprimeva.

A causa di quella sensazione, dopo nemmeno un anno, Yusuke si ritrovò completamente solo.

Una mattina si era svegliato più tardi del solito, e nell'andare in cucina aveva notato l'estremo silenzio che alleggiava nell'aria.

In casa non c'era anima viva, nemmeno si preoccupò di chiamare sua madre e suo padre, già aveva capito cosa fosse successo.

A prova di ciò fu la loro stanza, svuotata di tutti i loro affetti.

Fece vagare il suo sguardo verso lo specchio, rimanendo a fissare i suoi occhi, molto cambiati, tanto che non sembravano più quelli di un bambino.

Essi non erano più pieni di vita, ma nemmeno di tristezza, erano semplicemente vuoti, con l'oscurità che ci nuotava dentro.

Doveva ammetterlo, in tutto quel tempo aveva sperato che provassero a capirlo, per poi dargli il supporto che ogni genitore deve dare al proprio figlio, però non era andata così.

Un'altra speranza buttata nel cestino, e per quanto volesse nasconderlo, gli faceva male.

Ma quel dolore lo avrebbe usato per diventare più forte, in modo che nessuno lo avrebbe più fatto soffrire come avevano fatto loro.

[𝐹𝑖𝑛𝑒 𝑓𝑙𝑎𝑠𝘩𝑏𝑎𝑐𝑘]

Per tutto il tempo Ryoko aveva ascoltato in silenzio, non c'era molto che avrebbe potuto dire, e poi Yusuke, nel raccontarlo, non ne sembrava provato.

La cosa che li differenziava era che lui, a differenza della corvina, non aveva incontrato nessuno che lo capisse, come invece Aizawa aveva fatto con lei.

Quel semplice dettaglio aveva segnato in maniera significante il loro modo di vedere il mondo, era stato quello a portarli su strade differenti.

E ora comprendeva meglio il suo desiderio di averla vicino, visti i problemi che avevano avuto con i loro poteri Ryoko probabilmente era l'unica che lo avrebbe compreso appieno.

Questo l'aveva portato a fare di tutto pur di farla passare dalla sua parte.

«E ti sei vendicato dei tuoi genitori? Per come ti hanno trattato e per come ti hanno abbandonato?» Domandò la ragazza.

Un ghignò per niente rassicurante nacque sul viso di Yusuke.
«Hanno fatto tutto da soli» rise gelidamente.
«Io ho solo manipolato la loro oscurità interiore, per il resto ci hanno pensato loro.»

Ryoko accennò ad un sorrisetto.
«Hai fatto in modo che fossero divorati proprio da ciò di cui avevano più paura.»

«Esattamente.» Si alzò, guardandola dall'alto.
«Ma ora pensiamo a te, basta parlare di me, devi migliorare a gestire la magia nera.»

xxx

Giorni.
Erano passati giorni dalla scomparsa di Ryoko, i quali sembravano non terminare mai.

Il professore era stato d'accordo nel dire anche agli altri del problema che la loro compagna aveva con la magia nera, ma aveva anche impedito ai ragazzi di uscire fuori a cercarla alla cieca, cosa che invece tutti erano pronti a fare.

Avevano persino informato Yukimi, l'eroina con la quale Ryoko aveva fatto l'apprendistato, ma anche lei non aveva ottenuto nessun risultato.

Nonostante ciò era subito ripartita, alla ricerca del più piccolo indizio.

Todoroki si sentiva quasi oppresso nello stare in mezzo a tutte quelle supposizioni, motivo per il quale si allontanò, dirigendosi verso la stanza della corvina.

Aveva già cercato più volte nella camera della ragazza, ma non aveva trovato niente di utile, aveva solo scoperto che si era portata dietro il diario che aveva avuto da Takeshi riguardo la magia nera.

Si sedette sul bordo del letto e poggiò entrambe le braccia sulle gambe, chinandosi leggermente in avanti, con la testa piena di pensieri.

Ryoko credeva che quel diario l'avrebbe aiutata a gestire il suo potere. Credeva che con quello avrebbe avuto meno problemi.
Ma da quando si era risvegliata non l'aveva più toccato, aveva deciso di seguire il consiglio di Aizawa nel non usare la magia nera per un po'.

«Mi chiedo a cosa sia servito non utilizzarla se alla fine è finita comunque con il perdere il controllo...» Sussurrò a se stesso.

Però Shouto si sentiva anche in parte responsabile.
Avrebbe potuto aiutarla maggiormente, lui sapeva degli incubi che disturbavano il suo sonno. Avrebbe dovuto fare di più per lei, molto di più, anche se la ragazza gli diceva che le bastava la sua presenza.

Il rumore della porta fece alzare di scatto la testa al bicolore, trovando Takeshi all'entrata, che aveva appena puntato gli occhi su di lui.

«A quanto pare abbiamo avuto la stessa idea» disse il corvino facendo dei passi all'interno della stanza.

«Ormai non so più nemmeno dove guardare.» Iniziò a dire Torodoki, facendo vagare brevemente lo sguardo in ogni angolo della camera.
«Non ha lasciato proprio niente che possa portarci a lei.»

«Non vuole essere trovata» affermò il fratello con un tono basso di voce, non riuscendo però ad evitare di guardarsi attorno, stare lì trasmetteva solo una nostalgia senza fine, mischiata alla paura di non trovarla in tempo per salvarla da se stessa.

«Sono passati giorni, non riesco più a starmene qui senza fare niente.» Quelle parole attirarono l'attenzione di Takeshi, che si voltò subito verso l'eterocromatico.

«So che stanno facendo tutto il possibile, ma non posso continuare così.» Puntò gli occhi verso il corvino.
«Hai detto che mi avresti aiutato ad uscire di qui indisturbato.»

Takeshi ricordava benissimo la promessa che gli aveva fatto, e aveva tutte le intenzioni di mantenerla.

Ciò che gli aveva detto lo pensava seriamente, credeva davvero che lui potesse essere la loro migliore possibilità di farla ragionare.

«Si, l'ho detto» rispose il corvino.
«Vuoi andarla a cercare?» Domandò, anche se sapeva che quella era la sua intenzione, altrimenti non avrebbe preso quel discorso.

Lo vide annuire per poi riportare lo sguardo davanti a se.
«Si, anche se non ho idea da dove cominciare, ma almeno ci proverò» rispose prima di fare un leggero sospiro.
«Devo quanto meno provarci.»

«Lo capisco.» Gli disse Takeshi, annuendo.     
«Anche io vorrei fare di più, quindi se posso rendermi utile per farti uscire da qui lo faccio molto volentieri, ma questo già lo sai.»

Il bicolore si alzò.
«A pensarci bene... Forse anche gli altri potranno aiutarti, ora che lo sanno.» Fece una breve pausa.
«Se trovate tutti insieme il modo di distrarre il professore, per me sarà più facile.»  

In Todoroki vedeva uno sguardo determinato oltre ogni limite, tutta quella attesa non aveva fatto altro che alimentare la sua voglia di ritrovarla.

Aveva promesso a se stesso, ma anche agli altri, che avrebbe fatto di tutto pur di salvarla, ed era esattamente quello che intendeva fare.

Però non avrebbe potuto portare a termine quel suo compito se non poteva nemmeno uscire dal dormitorio per andare a cercarla.

Dovevano lavorare di squadra, tutti quanti, in modo da lasciarlo provare.

A costo di rimanere fuori l'intera notte e continuare anche per tutto il giorno successivo, non si sarebbe fermato fino a che non l'avrebbe vista. Fino a che non avrebbe parlato con lei.

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