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𝑼𝒏𝒂 𝑴𝒂𝒕𝒕𝒊𝒏𝒂

Isra avanzava attraverso un mare dorato di spighe, il grano ondeggiante che sembrava danzare insieme al vento. Le sue dita abbronzate scivolavano lungo gli steli, fermandosi appena per intrecciarsi con i loro aghi sottili. Le punzecchiature erano come minuscoli pizzicotti affettuosi, così familiari e dolci che un sorriso le affiorava sulle labbra, leggero e inconsapevole.

Il vento le accarezzava il volto con la gentilezza di un amico. Le sue guance, arrossate dal sole, sembravano accogliere quel tocco fresco come un dono prezioso, un piccolo sollievo nella monotonia dei giorni trascorsi nei campi. La brezza, leggera ma vivace, giocava con i lembi della sua veste di lino ruvido, consumata dal lavoro e dal tempo, sollevandoli in un lieve ondeggiare.

Ciocche scure sfuggivano dalla sua treccia scomposta, incorniciandole il viso con morbide ombre ribelli. Quei fili sottili danzavano nell'aria come fili di seta nera, e ogni tanto le pizzicavano il collo o le sfioravano la fronte, provocando un lieve prurito. Era un altro gioco del vento, che sembrava deciso a tenerla ancorata a quel momento, lontana dalle preoccupazioni che, nonostante tutto, si annidavano ai margini della sua mente.

Isra chiuse gli occhi, lasciando che i suoni del mattino la avvolgessero. Il fruscio delle spighe, il canto lontano di un'allodola, il grido basso delle cicale che riempiva l'aria. Ogni rumore era un ricordo di casa, un frammento di quella fragile pace che sembrava resistere a tutto.

In quei momenti, era facile fingere che il mondo fosse diverso. Poteva immaginare un futuro migliore, uno in cui non ci fossero carrozze nere che arrivavano all'improvviso, né uomini in armature scintillanti che strappavano via i figli delle famiglie. Uno in cui suo fratello poteva crescere senza paura, senza il terrore costante che un giorno lo avrebbero portato via. Ma il suo cuore non poteva ignorare del tutto la realtà. La pace era un'illusione, fragile come la brina del mattino che svaniva sotto i raggi del sole.

Isra riaprì gli occhi, sospirando.

Il sole era ormai alto nel cielo, ed un caldo tenue ma persistente si faceva sentire sulla sua pelle abbronzata. Isra socchiuse gli occhi, rilassandosi nel calore del sole che baciava la sua pelle e nella brezza che accarezzava i suoi capelli disordinati, finché non decise che era il momento di tornare. Il campo, benché meraviglioso nella sua semplicità, la stava trattenendo dai suoi doveri, e Isra sapeva che non potevano più aspettare.

Con un ultimo sguardo al paesaggio, si avviò verso la recinzione che delimitava la loro casa, attraversando ancora una volta il mare di spighe dorate. Una volta raggiunta la staccionata, le sue mani si strinsero sulle sbarre di legno ormai vecchie e rovinate dal tempo, e aprì la piccola portiera.

Il cortile che circondava la casa era irregolare e polveroso, con un terreno che si mescolava di fango e sabbia. Piccole tracce di passi si intrecciavano nella polvere, segno di una vita che, pur nel suo splendore agreste, era segnata dalla fatica e dalla lotta quotidiana. Una recinzione di legno abbattuto, con travi storte e più di un paletto piegato, delimitava la proprietà. A volte il vento faceva sibilare la recinzione, come se volesse raccontare storie di passati lontani.

Il passo di Isra divenne più rapido. Attraversò il cortile, e si diresse al pollaio accanto alla casa, dove le galline razzolavano in cerca di cibo. I suoi gesti erano meccanici, quasi automatici: aprì la porta e fece uscire le galline, esaminando con attenzione i nidi. Quando trovò alcune uova, le raccolse nel cesto appeso alle assi di legno, sentendo il calore di quelle piccole uova sotto le dita, un calore che le dava un po' di conforto in quel mondo che spesso sembrava così freddo e distante.

Uscendo dal pollaio con il cesto, un suono familiare le giunse all'orecchio: le capre. Gli animali saltellavano nel loro recinto, ansiose di essere liberate per il pascolo. Isra sorrise leggermente, ricordando che quelle creature erano tra le poche cose che ancora riuscivano a renderle felice in un mondo che sembrava sempre più brutale.

Posò il cesto sotto la porta della casa e si incamminò verso l'interno, i sandali di paglia sfregando sul pavimento di pietra e fango, mentre il rumore dei suoi passi riecheggiava nelle stanze silenziose.

La casa di Isra e della sua famiglia non era grande, ma aveva una forma robusta, costruita per resistere agli anni e alle difficoltà. Il tetto di paglia era consumato dal vento e dalla pioggia, ma ancora tenuto insieme dalla forza della natura. Le travi di legno, ormai scolorite e screpolate, segnavano il passare dei decenni, eppure la struttura rimaneva solida, come un vecchio guerriero che aveva visto molte battaglie ma non era ancora crollato. Le pareti esterne erano fatte di legno grezzo, di una tonalità marrone scuro che si era amalgamata con la terra circostante. Alcuni buchi nel legno erano stati sigillati con pezzi di stoffa e paglia, cercando di tenere lontano il freddo che, a volte, si insediava anche durante le notti più miti. La porta, piccola e scolorita, era fissata da un semplice chiavistello di legno, che ogni tanto cigolava al minimo movimento.

Isra attraversò il salotto, scarsamente arredato: c'erano soltanto un vecchio tavolo di legno scuro, consumato dall'uso, e alcune sedie impagliate, con le gambe incrinate. Sulle pareti c'erano pochi oggetti, ma uno in particolare si faceva notare: un disegno fatto di carbone che lei e Aries avevano realizzato da bambini prima che loro padre scomparisse. Era molto semplice, e poco realistico, ma era tutto ciò che era rimasto di lui.

Proseguì verso la sua stanza. Al suo interno c'era un letto di paglia e coperte di pelli di animale, fatte in casa, assieme a cesti di legno per tenere i pochi abiti che possedevano. Lungo la parete si trovavano una piccola panca fatta a mano, una scatola di legno contenente vecchie lettere e ricordi, e un paio di scarpe vecchie lasciate sotto il letto.

Isra si fermò sulla soglia per guardare il fratellino. Aries, dormiva ancora profondamente, avvolto nella coperta di pelli d'animale, che sembrava piccola per il suo corpo in crescita. Era rannicchiato su un lato, i capelli riccioluti in disordine sulla testa. Isra si avvicinò, sorridendo tra sé e sé, e gli diede una leggera scrollata sulla spalla.

"Aries..." mormorò, cercando di svegliarlo senza fargli troppo male. Nessuna risposta. Isra ripetè, questa volta più forte: "Aries!"

Il ragazzo si girò a fatica, borbottando con la voce impastata dal sonno. "Ancora cinque minuti..." sussurrò, tirandosi la coperta sopra la testa.

Isra sorrise con affetto, ma non cedeva. "Niente da fare, zazzera," lo chiamò con il suo soprannome affettuoso. "Dobbiamo portare le capre a pascolare."

Con un lamento, Aries finalmente si sollevò dal letto, il viso giovane e segnato dalla stanchezza, ma ancora pieno della vitalità che solo i bambini possiedono. Si grattò la testa e cominciò a cambiarsi lentamente. Isra uscì dalla stanza, lasciandogli il tempo di vestirsi.

Passò davanti alla porta della stanza occupata da sua madre, che si era già alzata. La sua stanza era l'unica che sembrava un po' più ordinata. Le pareti erano decorate da qualche disegno semplice, tracciato con del vecchio colore, forse un tentativo di fare spazio alla bellezza in una vita costantemente segnato dal duro lavoro.

La madre di Isra e Aries, il cui volto portava le tracce di anni di fatica sotto il sole, era pronta per una nuova giornata nei campi. Indossava il grembiule e aveva i capelli legati in un semplice nodo dietro la testa.

"Pascor e gli altri sono quasi qui," disse la madre, senza alzare lo sguardo.

Fece un respiro profondo, quasi come se stesse raccogliendo tutta la forza per affrontare un'altra lunga giornata di lavoro. Il suo viso segnato dalla fatica e dalle preoccupazioni quotidiane, sotto il cappello di paglia che le dava un minimo di protezione dal sole implacabile, mostrava una determinazione che Isra aveva imparato a conoscere bene. I guanti di pelle, che indossava sempre per proteggersi dalle spine e dai lavori nei campi, erano consumati ma ancora resistenti. Con gesti rapidi, infilò i sandali di paglia intrecciata, che scricchiolarono sul pavimento di terra battuta, e si avvicinò alla figlia.

"Ricordati di andare al mercato oggi a vendere il latte delle capre, o non avremo abbastanza Cunie per pagare l'esattore questo mese," disse con tono pratico, mentre le porgeva un piccolo sacchetto di cuoio. Le monete dentro tintinnavano lievemente, un suono familiare che parlava di piccoli sacrifici, di economia domestica e di speranza. "E prendi questi," aggiunse, mettendo una manciata di Cunie nelle mani di Isra. Le monete erano piccole e opache, con incisioni intricate. "Abbiamo abbastanza per comprare della carne di maiale. Penso che dovremmo approfittarne prima che gli altri avvoltoi del villaggio la prendano tutta."

Isra prese il sacchetto e lo legò alla cintura della sua veste. "Non me la farò sfuggire, madre," le rispose. "Promesso."

La madre le sorrise, ma era un sorriso stanco, forgiato da anni di fatiche e sacrifici. Le diede un bacio veloce sulla guancia, che Isra percepì come una carezza di consolazione, prima di uscire dalla porta con passo deciso. "Bene," disse, e sparì tra le ombre della casa. Isra la seguì fino all'uscio, e là si fermò, osservando la figura della donna confondersi tra le sfumature dorate e marroncine dei campi mentre si avviava.

Aries si avvicinò alla porta con la sua solita aria assonnata. Masticava distrattamente un pezzetto di tortino di uova, gli occhi socchiusi per il sonno. Isra lo guardò con un sorriso affettuoso.

"Sei pronto per una nuova giornata di lavoro?" gli chiese, con un tono scherzoso, ma la sua voce tradiva una stanchezza che nemmeno lei riusciva del tutto a nascondere.

Aries sbuffò, appoggiandosi alla porta come se la sola idea di svegliarsi fosse già una fatica. Ma Isra, con un sorriso malizioso, gli arruffò i capelli, facendogli scivolare via il torpore del sonno. "Su, forza," disse con un tono più morbido, "Cerchiamo di finire prima così andiamo assieme al mercato, va bene?"

Gli occhi di Aries si illuminarono all'istante, e le rivolse subito un sorriso solare, rischiando di far cadere il tortino. Il mercato era una costante nel loro villaggio, un luogo di incontro e di scambi dove le persone si ritrovavano per cercare ciò che potevano ottenere, barattando oggetti, cibo e speranze. Era sempre una confusione di suoni, di voci che si intrecciavano, di odori forti e invitanti che mescolavano la carne alle spezie e al pane appena sfornato. Ogni bancarella era un piccolo mondo a sé, con i suoi prodotti e le sue storie. Isra e Aries avevano sempre trovato qualcosa di magico in quel caos, un piccolo angolo di vita che li faceva sentire un po' più vivi, seppur solo per qualche ora.

"Va bene!" esclamò, con entusiasmo, e subito si diresse verso il recinto delle capre. Isra scuoteva la testa divertita mentre lo seguiva. Era una scena che le si ripeteva ogni giorno, ma che non smetteva mai di strapparle un sorriso.

Aries afferrò un bastone di legno robusto, dalle estremità leggermente consumate dal tempo e dall'uso. Con un movimento sicuro, lo sollevò e colpì delicatamente il suolo, facendo saltellare alcune capre, che si svegliarono dal loro stato di tranquillità e si allontanarono dal recinto. Le sue mani erano abituate a quel gesto, il movimento quasi naturale come un riflesso, mentre le capre, una dopo l'altra, iniziavano a muoversi verso il cancello aperto.

"Su, venite!" disse Aries, con la sua voce ormai energica. Le capre, abituate a lui, risposero al comando e iniziarono a sgattaiolare fuori dal recinto, una dietro l'altra, con le loro corna che si sfioravano, scivolando in un'onda di pelliccia bianca e marrone. Isra si unì a lui, afferrando un altro bastone che teneva vicino al cancello. Insieme, guidavano il piccolo gregge verso i prati lontani, dove l'erba era fresca e tenera, pronta a soddisfare la loro fame.

L'aria mattutina era fresca e pulita, e Isra sentiva sotto i piedi la morbidezza della terra bagnata dall'umidità. Camminavano fianco a fianco, senza parlare troppo, lasciando che il suono del vento tra le spighe di grano e il rumore delle capre che masticavano occupassero il silenzio della campagna.

Le capre avanzavano lentamente, a volte fermandosi a mangiare qualche erbaccia lungo il sentiero, altre volte rifiutando di proseguire finché non le incitavano a muoversi con una spinta gentile. Era un lavoro che Isra e Aries avevano imparato a fare fin da piccoli, in quel mondo di campi e recinti, dove la terra e gli animali erano gli unici veri compagni. Ogni passo che facevano insieme, ogni sguardo scambiato, portava con sé una sensazione di familiarità che sembrava far parte di loro, come un legame profondo che nulla e nessuno avrebbe potuto spezzare.

Quando le capre finalmente raggiunsero i prati verdi, Isra e Aries si fermarono per un momento, osservando le loro bestie che cominciavano a brucare avidamente. Il sole luccicava nel cielo, facendo brillare le gocce di rugiada sulle foglie e sull'erba come piccole perle di luce. Un senso di soddisfazione pervadeva Isra mentre guardava il piccolo gregge che pascolava tranquillo, la fatica della giornata appena iniziata che sembrava quasi svanire davanti a quella scena semplice e rassicurante.

Mentre lei e il fratellino camminavano tra i prati, le capre che brucavano tranquille intorno a loro, Aries improvvisamente si fece avanti, saltellando eccitato a fianco di un piccolo capretto che lo seguiva a fatica. Il ragazzino rideva a voce alta, il suo viso giovane illuminato da un'espressione di pura gioia. "Guarda Isra, guarda!" esclamò, facendo un giro su sé stesso e tentando un'acrobazia, sollevando il capretto sopra la testa come se fosse una piuma. In un batter d'occhio, però, il suo piede scivolò su una pietra nascosta nell'erba bagnata, e il corpo di Aries cadde a terra con un tonfo sordo.

"Aries!" urlò Isra, spaventata per un attimo, ma poi richiamò l'attenzione delle capre che, spaventate dal movimento improvviso, avevano iniziato a scappare. "Ferme, ferme! Tornate qui!" Il tono di Isra era deciso mentre agitava il bastone per richiamare le bestie, mentre Aries, rialzandosi con una smorfia di imbarazzo, tentò di trattenere il capretto che si era spaventato per il rumore e stava cercando di scappare. Con il viso arrossato dal ridicolo, si scusò velocemente, ancora confuso dalla caduta. Isra gli si avvicinò e gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi. "Stai attento, zazzera," gli disse con un sorriso che nascondeva un filo di divertimento. Lui accettò la mano con gratitudine, un po' più impacciato del solito, e si rialzò in fretta. "Scusa, Isra, davvero."

Isra lo guardò con un'espressione divertita. "E quella cos'era?" chiese, scuotendo la testa mentre cercava di non ridere.

Aries, cercando di mascherare la sua imbarazzo con un sorriso malizioso, rispose prontamente. "Una acrobazia!" annunciò con orgoglio. "Voglio fare il giocoliere, l'artista di strada! Guarda, ti faccio vedere!" Si preparò a lanciarsi in un'altra mossa, ma Isra lo trattenne prontamente con una mano sul lembo della sua veste.

"Frena, zazzera," lo richiamò, ridendo lievemente. "Riserva le tue acrobazie per più tardi, ora non è il momento, dobbiamo fare attenzione che le capre non scappino."

Aries si fermò, il sorriso che gli era appena apparso sul volto si allargò, più sincero questa volta. "Scusa ancora," disse, con la testa china per un istante, ma il suo viso era illuminato da un sorriso solare, una smorfia di entusiasmo che non riusciva a nascondere.

Isra lo guardò, incuriosita. "Da quando ti è venuta questa voglia di fare l'artista di strada?" domandò, ancora sorridendo.

Aries si grattò la nuca, un gesto che aveva quando cercava di ricordare qualcosa. "Ecco," disse, "la scorsa volta che siamo stati al mercato, mentre tu contrattavi con il signor Friso, ho visto questo tipo, un artista di strada. Faceva delle acrobazie spettacolari, volava tra le folle, faceva saltare in aria oggetti e li prendeva al volo... La gente lo guardava tutti rapiti, era fenomenale!" Aries si fermò un attimo, come se stesse ancora vivendo quel momento. "Anche io voglio fare qualcosa di simile. Voglio che tutti guardino me così, con gli occhi pieni di stupore!"

Isra sorrise più ampiamente, divertita dalla passione di suo fratello. "Immagino che tu voglia ritrovare quell'artista al mercato, eh?" disse con un sorriso malizioso.

Aries annuì entusiasta. "Spero che ci sia! Chissà, magari lo incontro di nuovo. Mi allenerò finché non sarò bravo come lui!" Le sue parole erano un fiume in piena, cariche di speranza e determinazione. Il suo viso sembrava quasi splendere, animato da quel sogno così puro e contagioso.

Isra lo guardò, incapace di trattenere una risata cristallina. C'era qualcosa di irresistibile nel suo entusiasmo: una scintilla di innocenza che illuminava tutto intorno, come se per un momento, anche il mondo in cui vivevano potesse tingersi di colori più caldi.

"Beh, allora meglio che ti alleni," disse Isra, scuotendo la testa con affetto.

Aries rise e diede un piccolo saltello di gioia, come se già pregustasse il momento. Isra si sentì stringere il cuore: avrebbe fatto di tutto per proteggere quella scintilla nei suoi occhi.

Continuarono a camminare fianco a fianco tra i prati. Ogni tanto Aries si esibiva in qualche buffo saltello, cercando poi di afferrare il piede al volo per improvvisare un'acrobazia stravagante. Isra, divertita, non poteva fare a meno di ridere, scuotendo la testa mentre osservava il fratello divertirsi con quella goffa spavalderia.

A un certo punto, mentre si addentravano nel cuore dei prati verdi, Aries si voltò verso Isra con un'espressione curiosa. "E tu?" chiese, i suoi occhi azzurri che brillavano di una luce interrogativa. Isra lo guardò per un momento, confusa dalla domanda. "Io?" ripeté, inclinando la testa.

Aries annuì con decisione, aspettandosi una risposta. "Tu chi vorresti essere?" insistette, come se quella fosse una domanda che stava maturando da tempo.

Isra si fermò un istante, riflettendo. Non era abituata a pensare in quel modo. La vita le aveva insegnato a essere pratica, a concentrarsi sulle cose che dovevano essere fatte, senza perdere tempo a sognare su chi o cosa sarebbe potuta diventare. Ma ora, con quella domanda così semplice e diretta, Isra si trovò a guardarsi dentro, forse per la prima volta. Cosa avrebbe voluto essere? Chi avrebbe voluto diventare?

Alla fine, dopo una lunga pausa, rispose lentamente, come se fosse una scoperta anche per lei. "In realtà... nessuno in particolare," disse, alzando lo sguardo verso il cielo azzurro che si stendeva sopra di loro. "Non credo di voler essere qualcun altro, ma c'è qualcosa che vorrei, qualcosa che desidero con tutto il cuore."

Aries la guardò con curiosità crescente. "E cosa sarebbe?" domandò, la sua voce piena di attenzione.

Isra sorrise, lasciandosi avvolgere dalla tranquillità dei ricordi. Immaginò il mattino nei campi, il silenzio sereno delle spighe di grano che ondeggiavano dolcemente sotto la brezza leggera, il calore del sole che accarezzava la pelle come una carezza. Il suono della risata di Aries, lontano ma vivido, e il profumo del pane appena sfornato dalla madre le riempirono il cuore. "Voglio che la nostra famiglia sia sempre felice e al sicuro," disse finalmente, le parole che le uscivano dal cuore con naturalezza. "Non voglio altro, davvero. Voglio solo che stiamo bene, insieme, e che nulla possa minacciare ciò che abbiamo."

Aries la guardò con occhi grandi, sorpreso dalla profondità di quelle parole. Non riuscì a rispondere subito, come se fosse stato colpito da una verità che non aveva mai considerato.

Percependo il suo silenzio, Isra distolse lo sguardo dal cielo e lo posò sulla figura esile di Aries. In un gesto lento e amorevole, accarezzò la sua testa, e lui sobbalzò, sorpreso da quell'attenzione: rimase senza parole, come se quella piccola carezza avesse significato più di quanto riuscisse a comprendere.

"Isra, è davvero bello..." mormorò infine, guardandola con uno sguardo che tradiva una rara vulnerabilità.

Isra lo guardò, vedendo in lui una fragilità che non aveva mai notato prima, e per un istante, tutto intorno a loro sembrò fermarsi. Con un sorriso, gli diede un'ultima arruffata di capelli, più scherzosa, come era solita fare, la mano che si spostava con naturalezza tra i ricciolini di Aries. "Siete la cosa più importante per me," disse con un tono che voleva sembrare leggero, ma l'espressione del suo volto tradiva tutta la sua serietà. "E voglio che tu sappia che non permetterò che succeda nulla alla mamma," lo fissò negli occhi, facendosi ancora più seria. "E che nulla succeda a te, zazzera."

Aries sbarrò gli occhi, le iridi azzurrine che splendeva sotto la luce del sole. Poi sorrise di nuovo, ma questa volta era un sorriso più grande, più genuino, che parlava di un legame che andava oltre le parole.

Gli sguardi dei due fratelli si incrociarono ancora per un istante, in un silenzio che non aveva bisogno di parole: il calore nei loro occhi era un dialogo muto, fatto di emozioni profonde.

Continuarono a camminare fianco a fianco, guidando le capre e le pecore verso i prati più lontani, dove l'erba era più fresca e abbondante. Isra osservava il paesaggio intorno a lei, la tranquillità del mattino che lentamente si trasformava in una calda giornata estiva. Il silenzio era rotto solo dal mormorio delle pecore e dal lieve fruscio dei fili d'erba mossi dalla brezza. Aries, saltellando di tanto in tanto per divertirsi, teneva il passo con Isra, il suo sorriso radioso che non sembrava mai svanire.

Ma poi Isra si fermò un momento, il suo sguardo rivolto al cielo. Alzò una mano al volto per asciugarsi una goccia di sudore che le scivolava lungo la tempia. Sentiva il calore che la penetrava, un caldo che si spandeva dalle caviglie fino alla testa, ma non era sgradevole. Il sole splendeva forte, tingendo l'orizzonte di un azzurro brillante e le ombre degli alberi sembravano più corte, mentre l'erba sotto i suoi piedi, ancora umida dalla rugiada mattutina, cominciava a diventare più secca.

"Ormai è mezzogiorno," osservò Isra, rompendo il silenzio. "Pronto per andare al mercato, zazzera?" chiese poi, lanciando un'occhiata a suo fratello. Aries la guardò con entusiasmo e annuì fragorosamente la testa.

Le capre, ormai soddisfatte, si erano distribuite in piccoli gruppi sparsi sui prati, ognuna concentrata sul suo pasto. Isra e Aries, invece, erano pronti a tornare verso la casa, a proseguire la loro giornata, tra il lavoro e le piccole gioie che la vita di campagna offriva loro, cercando di trarre dalla fatica quotidiana anche quei momenti di felicità che sapevano apprezzare come pochi.

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