𝑰𝒍 𝑭𝒖𝒐𝒄𝒐
La notte nella campagna era un abisso di silenzio, una quiete profonda che avvolgeva ogni cosa. Solo il lieve fruscio del vento che si faceva strada tra i fili di grano interrompeva la calma, ma era un suono così sottile che sembrava quasi una presenza invisibile, come se il vento stesso si muovesse in punta di piedi. Quella brezza gelida scivolava tra le finestre di legno grezzo e le tende di paglia, entrando nelle stanze con sé l'odore della terra e del grano maturo. Al suo tocco, Isra avvertì un brivido correre lungo la schiena e si rannicchiò sotto la sua coperta di pelle. La pelle, spessa e pesante, cercava di proteggerla dalla fredda brezza notturna che si infiltrava senza pietà, ma non riusciva mai a darle un calore duraturo.
Tuttavia, Isra non si lamentava. Non era mai stato il freddo a turbarla, mai. Il freddo, infatti, andava e veniva, come un vecchio amico che faceva capolino di tanto in tanto, ma non era lui che la disturbava nel sonno. Il vero compagno della notte era il silenzio.
Il silenzio era la costante nella vita di Isra, l'unica compagnia che conosceva nei lunghi giorni trascorsi nella campagna. Era un silenzio profondo, quasi palpabile, che avvolgeva ogni cosa: i vasti campi di grano che si stendevano all'orizzonte, le case di legno che scricchiolavano sotto il peso del tempo, il lento incedere della natura che si fondeva con il respiro della terra. Era un silenzio che Isra non trovava mai disturbante, ma che anzi, le dava una sensazione di pace, di controllo, come se fosse l'unica cosa certa in un mondo che poteva sembrare imprevedibile. Quando camminava tra i filari di grano o si rifugiava nella sua casa, quella quiete la faceva sentire protetta, parte di qualcosa di immenso e immutabile.
I rumori, invece, erano rari, e li incontrava solo in occasioni particolari, come quando andava al mercato. Lì, il chiacchiericcio della gente, il vociare dei mercanti e il clangore delle monete erano un'irruzione che spezzava quella calma naturale, ma per Isra erano solo un'eco lontana, qualcosa che non le apparteneva davvero. Non era abituata a quel trambusto, non lo desiderava, e quando tornava a casa, il silenzio della campagna la accoglieva di nuovo, come un amico che le restituiva il suo spazio sicuro.
Fu proprio per questo che, quando una serie di rumori insoliti raggiunse le sue orecchie, Isra si svegliò di colpo. I suoni che appartenevano a quella terra silenziosa e immobile. E questi erano rumori strani, sfuggenti, che la fecero rabbrividire non tanto per la loro intensità, ma per la loro stranezza, come se qualcosa di sconosciuto stesse per invadere quella tranquillità che le era tanto familiare.
Isra aprì gli occhi, confusa, e si trovò subito avvolta nell'oscurità della sua stanza. Per un attimo non riuscì a ricordare dove si trovasse, ma poi i contorni familiari del suo letto, dei mobili e delle pareti le tornarono in mente. Si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco la stanza. L'oscurità era densa, ma a poco a poco iniziò a distinguere le forme intorno a lei. Restò immobile per qualche secondo, abituandosi alla penombra, prima di girarsi lentamente verso il letto di suo fratello.
Aries dormiva come al solito, nascosto sotto il pesante strato di coperte di pelle, che lo avvolgevano completamente. Fuoriuscivano solo alcuni ciuffi dei suoi riccioli chiari, che sembravano brillare nel buio. Isra sorrise a quel pensiero, il cuore che si scioglieva di tenerezza per lui, come sempre.
Poi, si sforzò di concentrarsi, in ascolto, eppure non udì più nulla, o almeno così credeva.
Per un istante si chiese se non fosse solo la stanchezza a giocarle brutti scherzi, ma poi capì che non si stava sbagliando. I rumori erano reali, distinti e quasi minacciosi. Si sollevò dal letto, mettendo i piedi a terra, nudi sul freddo pavimento di legno. Indossava una semplice vestaglia di lino, stropicciata e ormai sbiadita, che le arrivava fino a metà coscia. Era la stessa che portava da quando era bambina, troppo usurata.
Con passo silenzioso, Isra si fece strada nella piccola camera. L'aria era pesante, quasi irreale. Attraversò il salotto, ma nulla sembrava fuori posto. Le luci della casa erano tutte spente, e il silenzio che regnava all'interno era oppressivo. Ma i rumori aumentavano, ora forti, insistenti, come un battito che cresceva sempre di più. Isra non riusciva a capire cosa fossero, né a cosa stessero rispondendo. Forse solo la sua mente agitata, pensò, ma il cuore le martellava nel petto e non riusciva a ignorare quella sensazione di inquietudine crescente.
Poi, un suono diverso attirò la sua attenzione. Passi veloci, ravvicinati, che si avvicinavano alla porta della casa. Isra sentì un brivido correre lungo la schiena. Quelli li conosceva. Li riconobbe subito. I passi erano troppo familiari. Poi, quando il rumore si fece ancora più forte, capì che non si trattava solo di un semplice timore. Qualcosa non andava.
Il bastone, appoggiato al muro vicino alla porta, attirò immediatamente la sua attenzione. Senza pensarci troppo, lo afferrò, sentendo la sua presenza rassicurante, anche se non poteva fare a meno di sentirsi vulnerabile.
Poi arrivò un colpo secco alla porta, che la fece sobbalzare. Isra strinse più forte il bastone, cercando di trovare coraggio. I colpi continuarono, rapidi e impetuosi, come un'urgenza che non ammetteva esitazioni.
La paura le afferrò la gola. Prima di poter pensare a cosa fare, una voce la chiamò, interrompendo il silenzio teso che le circondava. "Aprite, presto!" La voce era tremante, ma piena di urgenza. Isra riconobbe la voce all'istante e corse verso la porta. La voce apparteneva a Pascor, uno degli uomini che lavoravano con sua madre nei campi, un vecchio amico di famiglia.
Isra aprì immediatamente la porta.
Pascor era pallido, il volto tirato dalla stanchezza e dalla paura. Era un uomo grande, dalle spalle larghe. Le sue clavicole sporgevano in modo troppo evidente, come se avesse perso peso troppo in fretta. I suoi capelli, bagnati di sudore, gli incollavano il volto. Anche lui indossava una veste di lino da notte, e sembrava tutt'altro che sereno.
Non la salutò nemmeno. In un lampo, Pascor la afferrò per le braccia con una forza insolita, i suoi occhi fissi in quelli di Isra. "Isra! Sveglia tua madre e tuo fratello, dovete nascondervi!" la sua voce era grave, urgente, quasi spezzata dalla paura.
La ragazza sentì un nodo allo stomaco. Lo guardò confusa, incapace di comprendere le parole che uscivano dalla bocca di Pascor. "Come? Perché?" chiese.
Pascor non ebbe tempo di spiegare. Senza esitazione, urlò con la forza: "Fallo e basta!" Le sue parole non ammettevano repliche. Un comando, un imperativo carico di urgenza che Isra non poteva ignorare, ma che non riusciva nemmeno a comprendere.
Proprio in quel momento, il cielo si illuminò all'improvviso. Un lampo accecante squarciò l'oscurità come un drago che soffiava fiamme nel cuore della notte.
Isra si liberò dalla presa di Pascor, il cuore che le batteva impazzito nel petto, ma il suo corpo sembrava non voler rispondere. Si voltò verso l'esterno, come magnetizzata. Un bagliore feroce, simile a una scia di fuoco che tagliava l'orizzonte, bruciava tutto ciò che trovava sulla sua strada, incendiando i campi di grano lontani. Le fiamme ruggirono, irrompendo nell'aria con una furia bestiale.
Poi, come se la paura non avesse ancora raggiunto il suo apice, un'onda di urla agghiaccianti risuonò nell'aria. La loro intensità trapassò ogni barriera, penetrando nel corpo di Isra come lame affilate, lacerandole l'anima. Il cielo, il fuoco, le grida: La scena era irreale, ma il terrore che provava era così concreto da sembrare un peso fisico, che le gravava sulla pelle, costringendola a non staccare lo sguardo.
Sul sentiero accanto ai campi avvolti dalle fiamme, figure emersero dalla nebbia del fuoco, portando con sé delle piccole fiamme, delle fiaccole, o forse dei bracieri.
Isra le aveva già viste.
Quelle sagome nere, spettrali, erano tornate, e Isra sentiva come se la loro apparizione fosse un oscuro presagio. Quel brivido gelato che le risaliva la schiena, quella sensazione di terrore che la paralizzava, non erano solo paura: era la consapevolezza che qualcosa di terribile era in arrivo.
Pascor, vedendo il suo viso sconvolto, la afferrò di nuovo, e la spinse con forza dentro casa, senza dire una parola. Isra, ancora incapace di staccare gli occhi da quella scena infernale, si lasciò portare dentro, sentendo il bisogno di trovare rifugio, di proteggersi, anche se nessun angolo del mondo sembrava più sicuro.
Dentro la casa, sua madre emerse dalla stanza in fretta, svegliata dai rumori frenetici e dall'agitazione. Il terrore si leggeva chiaramente nel suo volto, ogni movimento, ogni respiro tradivano la sua angoscia crescente. "Che sta succedendo?" chiese, la voce tremante, e quando vide Isra, il suo sguardo si fece ancora più disperato. Con passi rapidi ma incerti, si avvicinò a lei, gli occhi pieni di paura. "Pascor? Che succede?"
L'uomo, senza indugi, pronunciò le parole che Isra avrebbe voluto non sentire mai:
"Le Carrozze Nere."
Tre parole, tre colpi di martello che risuonarono nella mente di Isra come una sentenza, facendole gelare il sangue nelle vene. La paura le stritolò il cuore, ogni fibra del suo corpo sembrò congelarsi all'istante. Quel nome... significava la fine di ogni possibilità di salvezza. La sensazione di impotenza la sopraffece, e mentre il brivido le percorreva la schiena, sua madre emise un gemito soffocato. "O no... sono qui per prendere vittime per i Giochi," sussurrò la madre, quasi non volendo credere a ciò che stava dicendo. Il suo volto si contorse in un'espressione di puro terrore, come se quelle parole potessero distruggerla all'istante.
Pascor le guardò entrambe, il suo viso visibilmente scosso. "Il nascondiglio sotto il pavimento, lo avete ancora?" chiese in fretta, quasi senza fiato. Un rifugio che avevano costruito anni prima, un luogo segreto in cui nascondersi in caso di emergenza. Un angolo di speranza, in un mondo dove ormai tutto sembrava perduto.
La madre, come se fosse stata colpita da una folata di vento gelido, annuì velocemente, il volto che si irrigidiva con la consapevolezza della gravità della situazione. "Sì, sì, c'è ancora," rispose, ma Isra vide nei suoi occhi che la paura stava consumando ogni angolo della sua mente. La madre si girò verso di lei, il viso teso e pallido come la morte. La voce che le uscì fu tremante, senza la solita durezza. "Vai a prendere tuo fratello, subito."
Isra non esitò nemmeno per un istante. La paura e l'adrenalina la spinsero ad agire. Si precipitò verso la stanza che condivideva con il fratellino, i piedi nudi che picchiavano freneticamente sul pavimento di legno, un suono secco e sordo che si mescolava al rumore dei vecchi tappeti di pelle sotto di lei. Il battito del suo cuore sembrava un tamburo che scandiva il ritmo frenetico dei suoi passi. Entrò, e si avvicinò al letto dove il piccolo Aries dormiva profondamente, avvolto nel caldo delle coperte. Si fermò un attimo, cercando di mettere ordine nei pensieri confusi dalla fretta, ma poi, senza esitare, scosse il suo fratellino chiamandolo con voce urgente.
"Aries! Aries!"
Non rispose. Le sue parole sembravano scomparire nell'aria, come se il sonno lo avesse avvolto in un abbraccio troppo profondo per essere disturbato. Isra si chinò e, con un movimento deciso, tolse le coperte che lo coprivano, svelando il suo corpo piccolo e rannicchiato sotto il lenzuolo. Aries fece una smorfia, le sopracciglia corrugate in un'espressione di fastidio, e allungò una mano nell'aria come a cercare di ritrovare il calore della coperta. Ma Isra non aveva tempo da perdere. La sua voce, tremante e impaziente, riecheggiò nella stanza.
"Aries, devi alzarti!"
Le parole non erano solo un ordine, ma un grido d'aiuto, un disperato tentativo di farlo uscire dal torpore. Aries, stordito dal sonno, aprì gli occhi lentamente, cercando di mettere a fuoco il mondo attorno a lui. Si guardò intorno, ancora confuso, e alla fine fissò Isra, riconoscendola. "Isra? Cosa succede?" chiese, la voce ancora intontita.
Isra non perse tempo. Si avvicinò rapidamente, afferrandolo delicatamente per le braccia e attirandolo verso di sé. "Alzati, Aries, dobbiamo andare!" lo esortò, con un tono che non ammetteva discussioni.
Ma Aries, ancora avvolto nel torpore della notte e nel calore che si stava dissipando, si ribellò, cercando di sfuggire. "Isra, voglio dormire..." mormorò, la sua voce flebile.
Isra, però, non cedeva. "Non c'è tempo, Aries! Forza!" ripeté, ignorando le sue rimostranze. Con un gesto deciso, lo sollevò dal letto, stringendolo per mano e tirandolo verso di sé. La pelle di Isra era umida di sudore, ma dentro di sé sentiva solo il gelo.
Lo trascinò via verso il salotto della loro casa, la cui quiete era interrotta solo dal suono lontano del mondo che stava crollando. Sua madre, con la mano sulla bocca, fissava la porta, gli occhi sbarrati e paralizzati, incapaci di distogliere lo sguardo da ciò che stava accadendo fuori. La luce che la illuminava era quella infernale dell'incendio che divorava i campi, proiettando riflessi rossi e arancioni sulla parete e tingendo la casa con un'ombra minacciosa. Isra si fermò per un attimo, il cuore in tumulto, osservando la madre in quello stato di immobilità, come se ogni parola fosse superflua in quel momento. Pascor doveva essersene andato, pensò.
Poi la donna, scossa da un rumore lontano, si voltò di scatto e chiuse la porta con un movimento rapido, sigillandola con il pesante meccanismo di ferro. Si avvicinò a loro con passo incerto, ma il suo sguardo era ormai fisso su Isra, come se cercasse di raccogliere tutte le forze per affrontare ciò che stava per succedere. Le si fermò davanti, e senza dire una parola, sollevò le mani. Le posò delicatamente sulle spalle della figlia, come a volerle infondere una forza, e la attirò a sé in un abbraccio profondo. Non c'era bisogno di parole: il tremore che scuoteva il corpo della donna e la lucentezza dei suoi occhi rivelavano tutto ciò che non riusciva a esprimere. Isra, sopraffatta da un dolore che non riusciva nemmeno a riconoscere, sentì le lacrime che minacciavano di scivolare, ma con un singhiozzo soffocato si sforzò di trattenerle. Strinse la madre con tutte le sue forze, senza dire nulla, mentre il suono lontano delle urla e del crepitio del fuoco cresceva, come se il mondo intero stesse per venire giù su di loro.
La madre si separò lentamente, inginocchiandosi davanti a Aries. Il piccolo le guardava con un'espressione smarrita, pallido in volto, incapace di comprendere la gravità di quanto stava accadendo, come se avesse bisogno di un segno che gli dicesse che tutto sarebbe andato bene. "Mamma...?" chiese, la voce sottile, tremante. Il volto della madre si contorse nel sentire quella voce dolce e innocente, incapace di trattenere una lacrima che scivolò sulla sua guancia. Un singhiozzo profondo la scosse, e senza più riuscire a contenersi, afferrò Aries, abbracciandolo con forza. Aries, spaventato ma confortato dall'abbraccio, ricambiò con la stessa forza.
Isra non riuscì a guardare quella scena, il cuore le si stringeva nel petto. I suoi occhi si spostarono, quasi istintivamente, sulla porta, dove il pericolo stava ormai per entrare. "Madre, non abbiamo più tempo..." sussurrò, la voce rotta dalla preoccupazione.
La madre annuì lentamente, ma non si separò da Aries. Lo strinse ancora più forte, come se ogni istante fosse l'ultimo, e solo dopo un tempo che sembrò eterno lo rilasciò. Con un gesto dolce, gli accarezzò la guancia, poi si rialzò, con una determinazione che non lasciava spazio a dubbi. "Seguitemi," disse, esortandoli a seguirla nella sua camera da letto.
Una volta dentro, la madre si piegò rapidamente e sollevò un angolo del vecchio tappeto di pelle, rivelando i contorni di una botola che si nascondeva sotto il legno del pavimento. La botola era quasi invisibile, camuffata perfettamente tra le venature del legno, ma Isra la riconobbe subito, come un segreto di famiglia, un rifugio nascosto da tempo. Con un movimento deciso, la madre sollevò la botola e la aprì, mostrando un buco che scendeva nell'oscurità. "Presto!" disse, con voce urgente. Isra aiutò Aries a scendere, ma quando fu il suo turno, esitò per un momento, guardando la madre.
"Anche tu, Isra," disse lei, senza esitazione, con un tono che non ammetteva discussioni.
Isra scosse la testa, il suo cuore colmo di paura e indecisione. "No, io rimango con te, madre..." rispose, ma la donna scosse la testa, i suoi occhi gonfi di lacrime pronte a cadere. "No, tuo fratello ha bisogno di te!" le rispose, la voce carica di una tristezza che non riusciva più a nascondere. Spingendola delicatamente sulla schiena, la madre la esortò ancora una volta. "Ma io..." Isra provò a protestare, ma il peso dello sguardo della madre, quello sguardo pieno di amore e di una determinazione implacabile, la fece tacere.
Alla fine, senza più protestare, Isra scese nel buio del nascondiglio, il cuore pesante nel petto. La madre rimase lì, a guardarli. I loro sguardi si incontrarono, carichi di parole non dette e di addii troppo rapidi per essere digeriti.
Poi, con un ultimo respiro tremante, la madre chiuse la botola sopra di loro, sigillandoli nel buio, mentre fuori, il mondo sembrava ormai perduto nel fuoco.
Isra ascoltò il suono dei passi di sua madre che si allontanavano, il fruscio del tappeto che veniva sistemato sopra la botola, coprendo l'unica luce fioca che era filtrata nel rifugio oscuro.
L'oscurità li avvolse come un manto opprimente, calando su di loro con il peso di una coperta troppo spessa da respirare. Ogni angolo sembrava inghiottito da quella notte impenetrabile, dove nemmeno la più debole traccia di luce riusciva a farsi strada. Il silenzio che seguì fu profondo e opprimente, un silenzio che pesava sulla pelle, sul cuore, e che sembrava minacciare di risucchiarli in un vuoto senza fine.
Isra trattenne il respiro. I suoi nervi tesi, il cuore che batteva più forte con ogni secondo che passava, sembravano gli unici segnali di vita nel buio.
Aries iniziò a tremare, e Isra lo sentì stringersi a lei. Il suo piccolo corpo si agitava, e le sue mani si aggrappavano alla sua vestaglia come se fossero la sua unica via di salvezza. "Isra...?" chiese una voce sottile, rotta dal terrore.
Lei non trovò subito le parole. Solo un suono di ascolto, un "Uhm?" che uscì involontario dalle sue labbra mentre cercava di mantenere la calma.
"Sono arrivati?" chiese Aries. "Gli uomini cattivi sono davvero qui?"
Isra sentì il nodo nella gola stringersi. Le parole che voleva dire si mescolavano con la paura che le lacerava il petto. "Sì," mormorò, il suono della sua voce strozzato.
Non potevano vedersi nel buio, ma Isra sentiva il corpo di Aries stringersi ancora di più contro di lei, come se il piccolo stesse cercando rifugio nella sua presenza. Rimasero fermi, quasi senza respiro, immersi in quel silenzio che sembrava crescere e diventare sempre più pesante. I battiti del cuore di Isra rimbombavano nei suoi timpani, mentre i suoni provenienti dall'esterno sembravano svanire.
Poi, Isra sentì qualcosa di più sottile, un accenno di suono che rompeva la quiete. Abbassò la testa e nel buio percepì il tremolio del corpo di Aries, che cercava di trattenere i singhiozzi. Le sue spalle si scuotevano, e Isra poteva sentire il suo respiro irregolare. Con un sorriso dolce, anche se non la vedeva, Isra sussurrò, "Non ti accadrà niente, te lo prometto," tentando di infondere qualche briciolo di tranquillità nelle sue parole. Alzò una mano e la posò sulla testa di Aries, accarezzandolo con dolcezza, come se quel semplice gesto potesse cancellare la paura che li attanagliava.
Il silenzio continuò ad avvolgerli, più denso che mai. Isra percepiva la tensione nei suoi muscoli, ogni fibra del suo corpo era in allerta. La paura le attanagliava la mente, eppure cercava di concentrarsi su ogni minimo rumore che arrivava da fuori. Ogni suono lontano pareva ingigantirsi, e Isra cercava di captare segnali, segnali che non arrivavano. Poi lo sentì.
Un forte colpo, un rumore secco che lacerò il silenzio. Isra trattenne il fiato, mentre il cuore le balzava in gola. Stavano bussando, o meglio, colpendo la porta di casa.
Un brivido le percorse la schiena. Aries sussultò, il suo piccolo corpo si strinse ancora di più contro Isra. Un singhiozzo più forte, incontrollabile, scosse il corpo di Aries, e Isra, incapace di fare altro, cercò di rassicurarlo, "Sssh, è tutto a posto, è tutto a posto," ripeteva a bassa voce, ma le parole suonavano vuote, anche a lei stessa. Non ci credeva. Non credeva nemmeno un po' a ciò che stava dicendo.
Poi, sentì il ferro scorrere lungo il legno, e un altro colpo, ancora più forte, fece vibrare le pareti. La porta si spalancò con un rumore assordante, e Isra sentì i passi pesanti e minacciosi di chi entrava. Le voci maschili si udirono, basse e dure, ma le parole erano indistinguibili. Era sufficiente il tono per farle capire che non erano lì per fare domande.
Isra cercò di affinare l'udito, sforzandosi di cogliere anche il più piccolo dettaglio, ma tutto ciò che riusciva a sentire era il battito del suo cuore, che rimbombava nel suo petto come un tamburo di guerra. Poi, in un lampo, le sembrò di riconoscere la voce di sua madre, e il terrore la prese alla gola.
Il suono dei passi, la frenesia degli oggetti che venivano rovesciati, le ciotole che si frantumavano a terra, i mobili che venivano spostati con forza: ogni rumore sembrava segnare un passo verso di loro. Poi, l'urlo minaccioso di uno dei soldati: "Dove sono?!" La rabbia nella voce dell'uomo era palpabile, una furia che si scatenava nella stanza
Non c'era dubbio: stavano cercando loro.
Lei e Aries.
Le parole del mercante tornarono a colpirla come un pugno nello stomaco. Le ritornarono in mente le vicende dei villaggi rivoltosi e dei membri più giovani, più deboli, scelti come vittime per i Giochi di Sangue come punizione. L'orribile consapevolezza la sopraffece, come un'onda che la sommerse: stavano cercando loro. Volevano portarli via.
Isra sentì il gelo farsi strada nel suo corpo, mentre un altro brivido percorreva la schiena. Il pensiero che si impadroniva della sua mente era un demone inarrestabile: Non c'era scampo. Le Carrozze Nere sapevano del censimento dei villaggi, sapevano il numero totale degli abitanti, e che, di conseguenza, loro due si erano nascosti. Non avrebbero avuto pietà. Li avrebbero presi entrambi, o forse solo Aries. Ma non poteva permettere che lo portassero via. No, non doveva succedere.
Il tonfo improvviso di un corpo che cade a terra la fece sobbalzare. Un urlo di dolore, che proveniva da sua madre, un suono così straziante che le fece gelare il sangue. Dovevano averla spinta, ferita, Isra ne era certa. Il pensiero che sua madre fosse in pericolo la colpì come una mazzata, mentre sentiva il battito accelerato dei cuori di entrambi, come se stessero vivendo la stessa angoscia. Il tempo sembrò fermarsi per un istante, ma dentro di lei, ogni fibra del suo essere gridava una verità orribile. Doveva fare qualcosa, altrimenti sarebbe stata la fine per sua madre. E poi, sarebbe stata la loro. Le Carrozze Nere non avrebbero mai smesso di cercarli. Isra lo sapeva.
Le sue dita tremavano, ma fermò la mano sulla testa di Aries, cercando di raccogliere quel minimo di calma che riusciva a strappare dalle tenebre che li circondavano. Riuscì a distogliere la mente dal caos esterno, concentrandosi sulla morbidezza dei capelli di Aries. Sentiva il suo calore, la sua presenza accanto a lei, e anche se il buio li avvolgeva, si trovava a guardare quel volto giovane, innocente, che portava ancora con sé il sorriso di chi non ha conosciuto il peso del mondo. Quegli occhi azzurri che non avevano ancora visto la crudeltà. Isra ingoiò un nodo che le bloccava la gola, mentre il dolore e la paura l'assalivano. Non c'era tempo, non c'era spazio per la speranza. C'era solo una scelta da fare, e lei sapeva che sarebbe stata l'ultima.
"Aries," sussurrò, la voce quasi un sussurro, un suono fragile che sembrava spezzarsi.
"Sì?" rispose lui, la sua voce tremante, soffocata dall'angoscia, mentre cercava di non far troppo rumore.
Isra lo guardò, gli occhi che, nonostante il buio, cercavano disperatamente di legarsi a ogni piccolo dettaglio, per non dimenticarli mai. "Ti voglio tanto bene," disse, le parole che pesavano come pietre sulla sua anima. Non aspettò risposta, e si strinse a lui, come se cercasse di proteggerlo dal mondo intero.
Aries sussultò. La sua testa si appoggiò contro il suo stomaco, come a cercare conforto nel calore di Isra. Un singhiozzo tremante scosse il suo corpo. "Anche io ti voglio bene..." mormorò infine, con una voce che sembrava spezzata. La sua vulnerabilità, la sua paura, tutto ciò che non poteva comprendere, ma che lei sapeva perfettamente, la consumò interamente. In quel momento, il loro legame si fece più forte, ma la tragedia che li attendeva era inevitabile, ineluttabile, e non c'era alcuna via di fuga.
"Prometti che ascolterai sempre la mamma," disse Isra, la voce strozzata dall'emozione. Le parole le uscirono come un sussurro doloroso. La sua richiesta sembrava schiacciarla dall'interno.
Aries si irrigidì all'istante, e Isra avvertì il suo corpo alleviare la presa, fino a quel momento rimasta salda attorno a lei. "Isra... che cosa vuoi fare?" chiese, la sua voce carica di paura e confusione, come se cercasse di afferrare qualcosa che già scivolava via.
Isra sorrise amaramente, lo sguardo perduto nel buio. Prese le mani di Aries, e le staccò da sé. Sentì la sua resistenza, il suo desiderio di non lasciarla andare, mentre lui cercava di riabbracciarla. "Isra, che vuoi fare?!" La sua voce era disperata.
"Shhh!" Isra lo zittì con un gesto deciso, ma tremante. "Io... vado solo ad aiutare la mamma," disse, le parole che le uscivano dalla bocca come un inganno. Ma non c'era altro modo.
Aries rimase in silenzio per un attimo, il suo respiro affannoso riempiendo il rifugio. Poi, la sua voce si fece più debole, più incerta: "Ma dopo torni vero?" Le parole furono come una lama conficcata nel cuore di Isra. La sua anima si frantumò, ma non poté fare altro che rispondere, con dolcezza, mentre le sue parole uscivano false: "Sì, certo." Gli accarezzò i capelli, quella sua zazzera disordinata che ancora gli conferiva un'innocenza che lei aveva ormai perduto. Si sforzò di sorridere, ma il sorriso le morì sulle labbra, incapace di sopravvivere al peso di quello che stava per fare.
Si staccò lentamente da lui, facendo qualche passo indietro, mentre le sue mani tremavano ancora. Cercò nell'oscurità qualcosa che la aiutasse a uscire da quel buio che sembrava avvolgerla completamente. Trovò rapidamente la rigida asta, e la spinse verso l'alto. Dovette fare uno sforzo, ma alla fine la botola si sollevò, il tappeto di pelle che la copriva si scosse, e una sottile striscia di luce penetrò nel buio. Isra guardò la porta della stanza socchiusa. Nessuno l'avrebbe vista mentre usciva. Senza perdere altro tempo, salì sulla scaletta, sentendo la testa che le pulsava.
Una volta fuori, si voltò. Guardò Aries, che la fissava da sotto, le mani strette in un pugno e il corpo rigido come una statua. "Ti aspetto qui," disse, ma nella sua voce suonò più come una domanda, un'incertezza che Isra non riusciva a sopportare. Sperava, che non avesse capito, che non sapesse veramente cosa avrebbe fatto. Non poteva permettersi che lui la fermasse e che rischiasse la vita.
Isra non riuscì a mentirgli faccia a faccia, così con la luce a illuminarlo. Si limitò ad annuire. Il sorriso che Aries le regalò era piccolo, insicuro, e quello sorriso le si fissò nel cuore, facendola vacillare. Isra si prese alcuni istanti per imprimere quel momento nella sua memoria: i suoi occhi azzurri, i capelli ricci del colore del grano e quel sorriso che ancora riusciva a scaldarle il cuore.
Inspirò profondamente. E con una delicatezza apparteneva, chiuse la botola, il rumore soffocato che segnava la fine di ogni possibilità di tornare indietro.
Isra rimise rapidamente il tappeto sopra la botola, con le mani che tremavano come foglie al vento. Si alzò, si avvicinò alla porta e la aprì silenziosamente. Le voci intorno a lei si fecero più chiare, e i gemiti di dolore di sua madre divennero sempre più intensi. Isra sentì le gambe muoversi da sole, spinte da una forza che non riusciva a comprendere, da una determinazione che sembrava non provenire da lei. Non credeva di essere del tutto lucida, ma il suo corpo continuava a camminare.
"Parla, donna!" ordinò un soldato, la voce severa e autoritaria. "I registri del villaggio dicono che hai due figli, una ragazza e un ragazzo. Dove sono?"
Isra sentì il grido di sua madre, straziante, e il cuore le si fermò per un attimo. Si precipitò verso il salotto, trovandosi davanti a una fila di soldati con mantelli neri e armature rosse, del colore del sangue. Non appena la videro, sguainarono le spade. Uno di loro si fece avanti, afferrandola per un braccio. "Capitano! Ecco la figlia!" annunciò uno dei soldati con tono trionfante.
Isra spostò lo sguardo su sua madre, che giaceva a terra, parte del volto e del collo coperti di sangue, i suoi capelli tenuti stretti nelle mani del Capitano. L'uomo aveva un pugnale premuto contro la clavicola della donna, e il sangue che sgorgava dalla ferita cominciava a colare. Sua madre la guardò, gli occhi pieni di paura.
"No!" urlò, cercando di divincolarsi. "Vi prego, no!"
"Taci!" il Capitano la colpì con uno schiaffo potente che la fece crollare. Fece cenno a uno dei suoi uomini di tenere la madre ferma, la faccia premuta contro il pavimento. La donna si contorceva, gemendo.
Isra, tremante, portò lo sguardo sul capitano che le si avvicinava. L'elmo copriva tutto il suo viso, tranne gli occhi, occhi gelidi e impietosi che sembravano scrutare nell'anima della ragazza, penetranti come lame. La lama della sua spada scintillava minacciosa sotto la luce fioca. "Bene, bene," mormorò lui, "finalmente il serpentello è strisciato fuori dalla sua tana." Prima che Isra potesse reagire, il Capitano puntò il coltello verso di lei, facendolo avvicinare così pericolosamente al suo volto che poteva sentire il freddo metallo che sfiorava la sua pelle.
Il suo respiro si fermò per un istante, ma Isra non si mosse. Fissò il Capitano negli occhi, determinata a non farsi piegare dalla paura, anche se il cuore le batteva all'impazzata e il sudore le scendeva lungo la fronte in gocce fredde.
Il capitano inclinò lentamente la testa. "Dimmi," mormorò, la sua voce diventando ancora più bassa, carica di minaccia, "Dov'è tuo fratello? Come si chiama il moccioso? Aries, non è così?"
Isra deglutì, cercando di mantenere la calma, di non tradire l'ansia che la stava divorando dentro. Sperava che le parole che stava per dire fossero abbastanza convincenti, abbastanza per salvare la sua famiglia dalla furia che li circondava, almeno per il momento.
"Lui..." abbassò lo sguardo, come se fosse sopraffatta dal dolore, un dolore che non sentiva davvero, ma che doveva simulare per non farsi smascherare. Sperava che la tristezza che cercava di mostrare fosse abbastanza credibile. "Non è più con noi." La voce le tremò leggermente mentre lo disse.
A queste parole, la madre di Isra smise di divincolarsi. Lei percepì il suo sguardo, rivolto verso di lei, e per un istante la sua determinazione vacillò. Ma il Capitano, dopo averla fissata a lungo, scoppiò a ridere. La risata era crudele, un suono che gelò l'aria intorno a loro, un'eco di derisione che rimbombò nella stanza.
"Non è più con voi?" disse il capitano, ridendo mentre scuoteva la testa. "Allora perché non è stata registrata la sua morte? Il censimento è stato fatto solo una settimana fa." Ogni parola sembrava affilata, pronta a trafiggere il fragile velo di verità che Isra aveva cercato di costruire.
Isra sentì un'ondata di paura gelata attraversarla, ma cercò di non farla vedere. Si sforzò di respirare lentamente. "È morto stamattina," rispose, cercando di far trasparire un po' di dolore. "La fame... lo ha strappato alla nostra famiglia." Il dolore che provava, fino a quel momento tenuto sotto controllo, sembrò improvvisamente farsi più tangibile. Le sue parole, sebbene finte, suonavano più vere di quanto avrebbe voluto.
Il Capitano rimase in silenzio. Poi lanciò uno sguardo ai suoi soldati, ordinando loro di liberare la madre. La donna rimase a terra, con un sospiro di sollievo che quasi non riuscì a trattenere. Ma mentre i soldati eseguivano l'ordine, il Capitano riportò la sua attenzione verso Isra, che ancora non era stata liberata dalla presa del soldato che la teneva prigioniera.
Lei lo guardò, il suo respiro affannoso, mentre un senso di rassegnazione le saliva dentro. Sapeva cosa stava per accadere.
"Allora," dichiarò il capitano, la voce dura e senza alcuna pietà, "prenderemo solo te."
Le parole furono come un colpo al cuore per Isra. Il mondo sembrò fermarsi, ogni suo organo divenne pesante come ferro, ma non protestò. In fondo, era proprio ciò che aveva voluto. Era la sua fine, ma anche la salvezza per sua madre. E suo fratello.
La donna, però, non ci stava. "No! No, non potete portarmela via!" urlò con tutta la forza che le restava, sollevandosi a fatica. I soldati cercarono di fermarla, ma lei, spinta dall'istinto di proteggere la figlia, si lanciò contro Isra, afferrandola in un abbraccio disperato. Il contatto del suo corpo caldo, segnato dal sangue delle ferite, fece sobbalzare Isra. La strinse a sé con tutta la forza che riusciva a trovare.
"Madre," sussurrò Isra, le labbra sfiorando l'orecchio della donna, "devi lasciarmi andare."
"No!" gridò la madre, trattenendola ancora più forte, come se potesse fermare tutto quel caos con la sua sola volontà. Ma un soldato la afferrò per le braccia e la spinse via con violenza. La donna sbatté contro il muro e crollò a terra, gemendo dal dolore.
"Madre!" gridò Isra, il cuore che le batteva forte nel petto, il respiro corto, l'angoscia che le strozzava la gola. Il Capitano non le concesse nemmeno un secondo di pietà, con una forza brutale la trascinò via. Lei cercò di resistere, ma l'uomo la spingeva con una violenza che le tolse ogni speranza di ribellione. Fu spinta fuori, e quando i suoi piedi toccarono l'erba bruciata del cortile, il paesaggio che si aprì davanti a lei le strappò il respiro. I campi intorno alla fattoria erano illuminati dal fuoco. Le fiamme alte si levavano verso il cielo come lingue di demoni che divoravano ogni cosa sul loro cammino. Il vento portava con sé il fetore di fumo e cenere, e il cielo, tinto di rosso, sembrava l'inferno stesso, un'enorme distesa di fuoco che divorava il mondo intero.
Isra strinse gli occhi per cercare di abituarsi alla luce abbagliante, ma la scena che si presentava davanti a lei era troppo orribile per essere ignorata. Il paesaggio che una volta era stato familiare, ricco di colori e vita, ora era un inferno di distruzione. Le fiamme si alzavano voraci, il loro bagliore riflettendosi nei suoi occhi e bruciando il suo cuore.
I soldati non le permisero nemmeno un momento per riflettere su quello che stava accadendo. Con una spinta, la costrinsero a camminare più velocemente, portandola a muoversi verso la carrozza che stava ad aspettarla, una carrozza nera e sinistra, posta davanti al cancello della sua fattoria. La carrozza sembrava un mostro che la stava inghiottendo.
Mentre veniva trascinata attraverso il buio della notte, Isra si guardava indietro. La casa, la sua casa, le pareva ora così lontana, come un sogno che sfumava. La vista della porta d'ingresso che si chiudeva alle sue spalle la colpì come un pugno allo stomaco. Era l'addio a tutto ciò che aveva conosciuto, l'addio alla sua infanzia, alla sicurezza che aveva trovato tra quelle mura.
Il cuore le si spezzò in mille pezzi.
Quella casa, che per tanto tempo aveva rappresentato rifugio, ora sembrava un ricordo già svanito nel nulla.
Ma non c'era tempo per fermarsi a piangere.
Un soldato, che stava vicino alla carrozza, aprì la gabbia sul retro con un rumore stridente, e Isra fu spinta dentro con forza, le sbarre fredde e dure contro la sua pelle. Un brivido le percorse la schiena, gelandola fino alle ossa. La sensazione di prigionia la sopraffece all'istante, il buio che la circondava la opprimeva, e la porta di ferro che si chiuse davanti di lei fu come una condanna definitiva. Isra si trovò intrappolata, completamente sola, incapace di muoversi, nel buio della gabbia.
Non c'era via di scampo, non c'era speranza.
"Mancano solo due famiglie," disse il Capitano, come se stesse parlando di numeri su un registro da cancellare, come se quelle famiglie non fossero persone, ma semplici voci da spuntare da una lista. La sua voce era priva di emozioni, un comando eseguito senza rimorsi, senza pietà. "Due famiglie, e poi il lavoro sarà finito."
Diede alcuni ordini, e poi fece un cenno al cocchiere di partire. L'uomo, senza fretta, si sistemò sulla carrozza e afferrò le redini, mentre alcuni soldati salivano a bordo con passi pesanti, facendo scuotere la struttura. La carrozza si mosse lentamente all'inizio, ma il rumore dei cavalli che iniziavano a galoppare presto riempì l'aria. Isra si aggrappò con entrambe le mani alle sbarre della gabbia, cercando di trattenere una minima parvenza di controllo. Il rumore dei cavalli che calpestavano il terreno battuto riempiva l'aria, un suono incessante e assordante.
Isra fissava il paesaggio che scivolava via, ma il buio e il fuoco, che sembravano inghiottire ogni cosa, le impedivano di vedere almeno un ultima volta i campi di grano della sua casa.
Poi, all'improvviso, una figura attirò la sua attenzione.
Un lampo di luce dall'incendio illuminò brevemente il volto di Aries che correva, disperato, cercando di raggiungere la carrozza. Le sue urla, strazianti e piene di dolore, risuonarono nell'aria: "Isra! Isra!" Ogni parola, ogni urlo, si conficcò nel cuore di Isra come una pugnala, lacerandola.
Non riusciva a credere a ciò che stava vedendo. Aries, con il volto sconvolto dal terrore e dalla disperazione, correva verso di lei con tutta la forza che aveva. Ma proprio quando sembrava che potesse raggiungerla, inciampò. Il suo corpo vacillò, ma non si fermò, e Isra vide sua madre, che aveva corso dietro di lui, afferrarlo con tutta la forza che le restava, impedendogli di andare oltre. La madre, con il volto rigato di lacrime, gridò qualcosa che Isra non riuscì a sentire. Non voleva che lui andasse, non voleva che neppure lui soffrisse come lei. Aries allungò una mano verso la carrozza, i suoi occhi pieni di disperazione, ma non c'era nulla che Isra potesse fare.
Poi, come se la notte stessa lo inghiottisse, la figura di Aries sparì nell'oscurità. La sua mano, che avrebbe voluto afferrare la sua, svanì, e con essa il suo grido.
Isra sussultò, il suo cuore che batteva forte nel petto come se fosse pronto a esplodere. Sentiva la rabbia, il dolore, la paura, mescolarsi in un vortice di emozioni incontrollabili. Si lasciò cadere indietro contro le sbarre, incapace di fermare il dolore che la travolse come un'onda impetuosa. Il suo corpo tremava, il respiro affannoso, eppure non riusciva a fermarsi. Le lacrime continuavano a scorrere, mescolandosi al sudore e alla polvere che le coprivano il viso. Ogni singola emozione, ogni ricordo, ogni speranza ormai perduta si riversava su di lei in un fiume di sofferenza. Le lacrime non cessavano mai di scendere, come se la tristezza stessa fosse diventata una seconda pelle.
La carrozza, però, non si fermava. Il suo viaggio verso un destino oscuro e incerto proseguiva, senza pietà. Isra sentiva il battito dei cavalli, il rumore delle ruote che sfregavano contro il terreno, ma tutto questo le sembrava distante. Il mondo intorno a lei sembrava essere diventato un altro luogo, lontano, privo di speranza.
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