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Cαριƚσʅσ 7

Era un lunedì mattina e Jisoo non riusciva a svegliarsi.
Si muoveva stropicciata tra le mura di casa, tentando di scrollarsi di dosso il torpore che la stava pervadendo.
Il freddo delle mattine di novembre le penetrava nelle ossa e il letto, così caldo e accogliente, sembrava richiamarla come il canto delle sirene.
Si era vestita di malavoglia, indossando un semplice maglioncino grigio, a collo alto e un paio di Jeans.
Aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo e si era illuminata lo sguardo con una passata di mascara, questo era il massimo che le concedeva la sua scarsa forza di volontà quella mattina.
Il cielo di Daegu era plumbeo e grigio, solcato da minacciose nuvole che promettevano pioggia.

Dalla camera da letto non proveniva alcun rumore: Taehyung doveva  essere ancora immerso nel sonno.
Lo aveva sentito rincasare tardi, come ogni sera, tanto che oramai quella era diventata una sorta di malsana routine.
In quei giorni aveva tentato d'incrociarlo il meno possibile, quasi di sparire in sua presenza, visto il grado di nervosismo che aleggiava nell'aria.
Sapeva che era stanco, arrivato allo stremo delle forze, e che sarebbe bastato un nonnulla per farlo scattare e prendere fuoco.
Aveva anche smesso di fare domande sull'andamento dei lavori, sperando che sarebbero finiti il prima possibile.
Odiava quel clima, odiava la mancanza di comunicazione che si era creata tra loro due, odiava aggirarsi per casa come una semplice coinquilina e non più come una compagna di vita.
Sperava solo che quello fosse un momento passeggero e attendeva la quiete dopo la tempesta.

Era pronta, doveva solo preparare qualcosa di frugale da portare per il pranzo.
Aprì il frigo e scorse una ciotola di riso avanzata dalla sera precedente: l'aveva lasciata per Taehyung, ma a quanto pareva si era messo a letto senza mangiare.
L'afferrò e cominciò a travasarla su un contenitore, quando alle sue spalle percepì dei passi leggeri e il tocco del viso di Taehyung sulla sua spalla.
Presa così alla sprovvista, ebbe un piccolo fremito di spavento e, anzi che sciogliersi sotto il suo tocco, rimase rigida e impettita.
L'aveva ignorata per giorni, trattata freddamente e ora? Si comportava come se nulla fosse successo?

«Te ne vai?», le chiese, intrecciando le mani attorno alla sua vita.

«Sì. Entro le 8:00 devo stare al lavoro», gli rispose lei con tono piatto, continuando a preparare il pranzo.

«A che ora torni?»

«Non lo so. Dipende da quanto ho da fare»

«Jimin ha finito. Ha fatto un ottimo lavoro», continuò lui, respirando sulla sua spalla, aggrappato come un koala.

"Ora Jimin è stato provvidenziale. L'uomo che non deve chiedere mai se ne è accorto per fortuna!", pensò Jisoo tra sé, ricordando il modo in cui l'aveva incenerita con lo sguardo al K, appena una settimana prima.

«Sì lo so. Mi ha mandato un messaggio ieri sera. Riparte in mattinata per Seoul», rispose lei, sciogliendosi dalla stretta di Taehyung per continuare a muoversi nella cucina.

A un tratto si sentì afferrare per una mano.
Le sue dita affusolate e morbide le stringevano il polso, trattenendola e costringendola a girarsi verso di lui.
Taehyung era di fronte a lei, ancora assonnato, gli occhi e le labbra gonfie dal sonno appena interrotto.
I capelli arruffati gli coprivano gli occhi, occhi che la guardavano timorosi e imploranti.
Era chiaramente dispiaciuto.
Con Taehyung era così, era sempre stato così in verità: le passava sopra come un bulldozer, o peggio, l'ignorava, per poi pentirsene e presentarsi da lei con quell'espressione da cucciolo di foca.

«Scusa», le sussurrò sincero.

«Scuse accettate», rispose lei frettolosamente, distogliendo in un secondo lo sguardo.

«Kim, mi sono comportato da coglione. So che hai chiamato Jimin con le migliori intenzioni, solo per aiutarmi.
Mi dispiace di averti trattata in quel modo», disse, poggiandosi sconsolato al bancone della cucina.

Jisoo non rispose. Non ce la faceva, era più forte di lei.
Se Taehyung era incline ai cambi di umore repentini, lei era l'opposto.
Le serviva metabolizzare e scrollarsi di dosso tutte le sensazioni negative per potersi buttare poi tutto alle spalle.
Lui sospirò forte, capendo che l'aria tra loro fosse ancora tesa.

«Stasera cucino io, è da tanto che non ceniamo insieme», le propose.

Jisoo alzò finalmente gli occhi verso di lui e abbozzò un sorriso tirato.
Superò Taehyung e si diresse verso il salotto, lasciandolo lì da solo, impalato e, per una volta forse, incapace di gestire la situazione.

"È stato carino a offrirsi di preparare la cena. Sì Jisoo, carino dopo giorni in cui si è comportato da vero stronzo", pensava, infilandosi il cappotto e sistemandosi la sciarpa nera al collo.
Come sempre era divisa tra la sua razionalità e l'amore che provava per lui.
Da un lato avrebbe voluto dirgliene quattro, sfogarsi, fargli capire quanto fosse stato assente e ingiusto con lei in quel periodo. Dall'altro non aveva voglia di discutere, d'iniziare quella che sicuramente stata una lunga giornata di lavoro già con il piede sbagliato.
Afferrò la borsa, se la poggiò sulla spalla e si diresse verso la porta di casa.

Trovò di nuovo Taehyung in piedi, le braccia conserte, a disagio nella sua stessa pelle.
Le faceva male vederlo così.
Voleva che capisse, che comprendesse quanto stesse sbagliando con lei in quel periodo, proprio per evitare che continuasse a commettere gli stessi errori.
Ma quegli occhi sinceramente dispiaciuti, che la guardavano inermi, le stavano dicendo che se ne fosse reso conto da solo, senza la necessità di aggiungere altre parole.

«Vado», gli disse trattenuta, ma con la voglia irrefrenabile di stringersi a lui.

«Buona giornata»

Jisoo afferrò la maniglia della porta per uscire.
Chiuse gli occhi, cercando di decifrare le sensazioni che la stavano invadendo.
Ne captò una: la più forte, quella che rivendicava attenzione.
Aveva bisogno di lui.

Si girò improvvisamente, agganciando gli occhi a quelli di Taehyung e gli si gettò al petto, prima che le sue braccia l'avvolgessero, stringendola a sé.
Rimasero così per un tempo indefinito e incalcolabile.
Jisoo ne respirava il profumo, impresso nella t-shirt scolorita, e Taehyung se ne stava con la bocca poggiata sulla sommità del suo capo.
Non erano necessarie parole, rivendicazioni o sproloqui, perché i loro corpi si stavano parlando, esprimendo il senso di colpa di Taehyung e il bisogno che Jisoo aveva di lui.

Dopo attimi che parvero un'eternità, lei si staccò dall'abbraccio, osservò l'orologio al polso sinistro e disse:

«Devo andare... »

«Va bene», fece lui, carezzandole la guancia dolcemente.

«Ti amo», sussurrò Jisoo, senza alcuna esitazione.

Taehyung le sorrise e le disse:
«Anche io, Kim», prima di scoccarle un bacio sulla fronte.

Jisoo si sentì subito più leggera, meno angosciata dalla cappa d'incomprensioni che aleggiava tra loro da giorni.
Aprì la porta di casa, dando un'ultima occhiata dietro di sé, mentre Taehyung le sorrideva con il suo bellissimo sorriso squadrato.

❉⊱•═•⊰❉⊱•═•⊰❉⊱•═•⊰❉

Le porte dell'ascensore si aprirono e Jisoo raggiunse il piano dell'azienda.
Le bastarono pochi passi per percepire qualcosa di diverso: il silenzio assoluto.
Il solito chiacchiericcio mattutino, il viavai di persone tra un ufficio e l'altro, il trillo del telefono della linea interna, erano scomparsi, lasciando spazio a una strana pesantezza che la pervadeva a ogni passo.
Qualcosa non andava.
La pace che aveva provato chiudendo la porta di casa dietro di sé era stata spazzata via in un attimo e Jisoo già si stava arrovellando su quale fossero le problematiche da dover affrontare quella mattina.
Arrivò nel suo ufficio senza aver incrociato anima viva, e scorse Daeji seduta alla sua scrivania, con una tazza di caffè fumante stretta tra le mani.

«Buongiorno», le disse sorridendo.

«Ciao... è una mia impressione o è successo qualcosa?», le chiese Jisoo poggiando la borsa sulla sedia e cominciando a sfilarsi il cappotto.

«Ho avuto lo steso sentore. Ma non so niente, tutto tace», rispose la collega facendo spallucce.

«Che bel modo d'iniziare la settimana!», commentò amaramente Jisoo, prendendo posto davanti al pc.

A un tratto entrò nell'ufficio A-Yeong , una giovane stagista arrivata da poco, con cui lei e Daeji avevano stretto un buon rapporto.
Jisoo notò subito la sua espressione contrita e preoccupata.

«Buongiorno! Che ariaccia che tira oggi», esclamò, chiudendo la porta alle sue spalle.

Lei e Daeji si scambiarono un'occhiata fulminea: le loro impressioni negative non erano infondate, a quanto pareva.

«Hai notato qualcosa di strano?», le chiese Jisoo.

«Sì. Yoo non fa altro che entrare e uscire dall'ufficio del capo. È lì dentro da circa mezz'ora ormai.
E ho sentito, a un certo punto, che hanno anche alzato il tono della voce», rispose esitante la ragazza.

"Guai in vista" pensò Jisoo, conoscendo fin troppo bene le dinamiche di quel posto.

Si mise al computer, alla ricerca di una concentrazione che faceva fatica ad arrivare.
Non conoscere il motivo di quella strana atmosfera l'angosciava ancora di più e la mente tentava di vagliare tutte le possibili ipotesi.
Voleva solo che quella giornata passasse in fretta, tornare a casa e passare la serata con Taehyung, al sicuro tra le sue braccia.

Dopo un'ora poco produttiva passata al pc, la sua attenzione venne attratta dal suono di dita che bussavano alla porta del suo ufficio.
Comparve un collega, che con sguardo inespressivo domandò:

«Jisoo? Hai un minuto?»

Lei fece segno di sì con la testa, aspettandosi una qualche richiesta.

«Ti vuole il capo nel suo ufficio», fece lui con tono piatto.

A quelle parole il battito cardiaco si fece più spedito, come se la risposta ai suoi timori si fosse materializzata in un lampo: c'entrava forse lei con quell'opprimente situazione?

Buttò un rapido sguardo in direzione di Daeji, che la guardò di rimando senza proferire parola, e uscì dalla stanza, seguendo il collega.
Aveva la strana sensazione di avere gli occhi di tutti puntati addosso, sebbene nella realtà non stesse incrociando nessuno nel corridoio.

"Basta con le paranoie. Stai calma. Vorrà solo chiederti qualcosa", cominciò a ripetersi come un mantra, nel tentativo di placare l'ansia che la stava assalendo a ogni passo.

Bussò alla porta bianca, contrassegnata da una targhetta in oro con su scritto:

Dr. Pyeong

«Avanti», disse una voce maschile proveniente dall'interno.

Jisoo entrò tentennante e si ritrovò davanti Gong Yoo, in piedi poggiato a una parete, stretto in un impeccabile completo grigio e il suo capo, il Dottor Pyeong, seduto alla scrivania.
Era un uomo possente, di circa sessant'anni, con lo sguardo inquisitore e la voce perentoria, che riusciva a mettere in soggezione chiunque gli si parasse davanti.

«Buongiorno Dottoressa Kim.
Prego, si sieda», la salutò, indicando la poltrona di fronte a lui.

Jisoo obbedì, cercando di silenziare il ronzio alle orecchie prodotto dalla tachicardia galoppante.
Quella situazione non le piaceva, non le piaceva per niente.

«Buongiorno», farfugliò a sua volta, nervosa.

«Si starà chiedendo perché l'ho convocata», continuò il capo, con tono piatto.

Lei rimase in silenzio, facendo scattare gli occhi dal capo, a Gong Yoo e viceversa.

«Per un motivo molto semplice: i suoi ultimi dati sulla linea che stiamo per lanciare»

Jisoo ebbe un tuffo al cuore e iniziò a sentire lo stomaco contorcersi in spasmi incontrollati.

«Mi dica... », disse lei, tentando di apparire disinvolta, mentre il disagio pervadeva ogni fibra del suo essere.

«Lei è consapevole di quanti soldi abbiamo investito in questo progetto?»

«Sì, certamente. Me ne rendo conto», disse, cominciando a torturarsi le mani che teneva poggiate sul grembo.

«Mi fa piacere saperlo. Allora, mi domando: come mai non si è accorta dei dati fallimentari che stava producendo?», esclamò il capo, questa volta con tono alterato.

«Cosa? Non capisco... », fece Jisoo sulla difensiva.

«Le schiarisco la memoria: gli ultimi dati del progetto CAA28, le dicono qualcosa?»

"Quelli che ho dato a Yoo", pensò Jisoo in quel momento, facendo saettare lo sguardo verso il collega, che la guardava impassibile a braccia conserte.

«Sì, mi rendo conto che non erano in linea con quanto ci aspettassimo. Infatti l'ho accennato a Yoo...», si difese lei.

«Esatto. Per fortuna il dottor Gong si è premurato di farmeli avere e di sottolineare il suo errore!», ribatté il capo, incenerendola con lo sguardo come se non fosse altro che un'insulsa cimice.

Jisoo capì tutto in quell'istante: Gong Yoo aveva falsificato i dati in modo tale da imputare il loro andamento a un suo errore.
La voleva far passare sotto una cattiva luce.

«Dottore, ho riguardato quei dati un milione di volte. Sono certa che non abbia commesso nessun errore.
Non svolgo mai il mio lavoro con superficialità», fece accorata, sentendosi stretta in una morsa.

«Beh c'è sempre una prima volta a quanto pare. Si rende conto quanto avremmo potuto perdere nel bilancio dell'azienda per una sua stupida svista?», rincarò il capo.

«Io... io non so che dire», disse Jisoo, guardando accorata nella direzione di quel Giuda.

In tutta risposta Gong Yoo fece:

«Mi dispiace Jisoo. Era mio dovere essere trasparente e far presente l'errore»

Era un incubo.
Un fottuto incubo.
Doveva svegliarsi in quel momento.
Doveva respirare.

«Signorina Kim. Il suo lavoro è stato impeccabile fino a oggi.
Ma io sono uno dei vertici di questa azienda e non posso permettere che i miei dipendenti lavorino con leggerezza e scarso senso critico.
Qui stiamo parlando di investimenti da milioni di won»

Seguì un attimo di pausa, in cui lo spazio tempo sembrò offuscarsi, svanire, implodere nelle orecchie e negli occhi di Jisoo.

Poi le ultime parole:

«Sono costretto a licenziarla, mi dispiace»

Un tonfo.
Il buio.
Il nulla.

Capitolo 7 per voi💕
Vi ricordo sempre quanto siano importanti le stelline per l'algoritmo di Wattpad e anche per il mio cuoricino che si riempie di gioia quando vi fate sentire.
Impressioni?
Ps: se avete voglia di seguirmi su Instagram ho aperto un profilo:

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A presto😊

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