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DISCLAIMERS:

É un capitolo complesso, ci saranno parti e scene contorte e non sono altro che il frutto della dipendenza e l'astinenza da droghe. É un contenuto "romanzato", non é una pubblicità né alle droghe o il prendere sottogamba certi problemi come l'astinenza. Anzi, questa storia si concentra sulla psicologia umana per una grossa percentuale.

Perciò ho dovuto evidenziare i deliri comportamentali di Jungkook (e di Nookie)


















𝕿𝖍𝖊 𝖉𝖆𝖗𝖐𝖓𝖊𝖘𝖘 𝖎𝖘 𝖆𝖙 𝖎𝖙𝖘 𝖉𝖊𝖊𝖕𝖊𝖘𝖙. 𝖏𝖚𝖘𝖙 𝖇𝖊𝖋𝖔𝖗𝖊 𝖙𝖍𝖊 𝖘𝖚𝖓𝖗𝖎𝖘𝖊.












Alzarsi al mattino indenni e con un buon cuscino caldo sotto al capo era da sempre considerato un miracolo per Jungkook; si raccolse come un fiore alle veci dell'alba, senza ricordarsi nemmeno quale giorno fosse: se il primo, il secondo o il terzo di un nuovo mese. Però, svegliarsi da solo in queste circostanze, non rappresentava più un miracolo ma una lenta agonia, legata ai ricordi, alle paure e a fantasmi di una vecchia Corea del Sud.

Non toccava droghe dalla sera del pestaggio — una settimana circa — e il mondo andava a rilento.

Scacciò immediatamente quei pensieri con un colpo di frusta col collo, potente al punto da togliersi i capelli corvini dall'arcata sopracciliare, per poi alzarsi con pigrizia sotto il freddo di mezza stagione. Camminò lasciandosi il sonno sopra al letto matrimoniale e surclassò il corridoio arrivando finalmente al suo bagno.

La luce illuminò immediatamente i suoi occhi socchiusi e imprecò con la voce piena di raucedine, acchiappò lo spazzolino e, dopo averlo ricoperto con un dentifricio che costava all'incirca dieci dollari a tubetto, fece sgusciare fuori una pallina argento dalla lingua. Visionò la carne e vide il muscolo rosato meno arrosato dei giorni prima; ancora doleva al punto da dover limitare alcuni movimenti, ma il piercing stava guarendo magnificamente da poter ricominciare finalmente a cantare.

Era passata quasi una settimana dal Jane's Vibes e circa cinque giorni da quando si era ficcato in testa, come un maledetto testardo del cazzo, di volersi forare la lingua un'altra volta. Quando decise di presentarsi da uno dei suoi tatuatori di fiducia l'uomo lo guardò sconsolato, quest'ultimo era pieno di tatuaggi sulle braccia, piercing sparsi dalla faccia fino alle orecchie in modo casuale e una pelle cadaverica, molto sottile.

Il tatuato, Jackal Perkins, si grattò il naso con il polso e alzò gli occhi al cielo quando lo vide sedersi, togliendosi occhiali e cappello per mascherare la sua identità: «Non dirmelo» smise di pulire il lettino da lavoro, «non sei qui per farti tatuare, ma per pinzarti»

Jungkook alzò le spalle e cercò di indorargli la pillola: «Andiamo Jackal, dovresti essere abituato» L'uomo calvo incrociò le braccia al petto e negò con la testa: «Fuori!» indicò la porta con il pollice e Jungkook borbottò: «Non fare la fighetta! Ti pago il doppio!»

Jackal lo guardò talmente male da creare una sequenza di almeno cinque rughe sulla fronte. «Ti avevo avvisato l'ultima volta. "Se torni per rifarti un altro tongue perché ti si é chiuso il buco ti caccio fuori"» allungò il bracciò in modo plateale per indicare l'uscita, «quindi... fuori!»

L'altro sbuffò quasi supplicandolo: «Te lo giuro, questa volta non l'ho tolto per una cazzata!»

Il tatuatore incrociò le braccia sospirando. «Avevi detto la stessa cosa anche la prima volta, quando eri talmente ubriaco che hai voluto scambiarti i piercing corporei» elencò col dito, mostrando una smorfia schifata, «La seconda volta si é sganciato e per poco non ammazzavi una tizia soffocandola»

A quel dettaglio Jungkook si mise immediatamente in mezzo: «Alt! Quello può considerarsi un incidente! Era avvitato male!»

Quel commento fece innervosire Jackal e gli urlò contro: «Cazzate! Era avvitato benissimo! Sei stato tu a chiederle di snocciolarti il piercing con la lingua nello stesso modo in cui annodava i gambi delle ciliegie. Non dare la colpa a me, mettendo in dubbio le mie qualità, quando dovresti prendertela con i tuoi schifosi pensieri perversi!»

Jungkook si mise una mano sulla fronte e appoggiò il gomito sul bancone: «Cazzo hai ragione! Diavolo, ci era persino riuscita» raccontò sornione e quella faccia da pesce lesso smosse il temperamento di ghiaccio del tatuatore. Nel frattempo riprese a parlare: «La terza volta l'hai tolto perché pensavi di cantare meglio senza»

«Che grandissima stronzata» strinse gli occhi dandosi del deficiente da solo. Colpa dell'alcol.

«E ora ti trovo qui. Ancora. Suppongo che quel fottuto buco sulla lingua sia tornato vergine» prese il kit senza voglia fino a sbatterlo sul banco, «o forse hai deciso di bucarti il cazzo questa volta?»

Jungkook scosse immediatamente la testa con un'occhiata terrorizzata: «Preferirei farmelo al cervello» e si toccò senza pensare il cavallo dei pantaloni con una fitta di dolore mentale scaturito dal sistema nervoso, la sola idea gli fece ritirare le palle come la testa di una tartaruga.

Jackal lo guardò di sfuggita: «Peccato che tu non ce l'abbia»

«Eddai Jack...» lo pregò fino a dargli noia, «questa volta non é stata colpa mia»

«E allora cos'è successo?» sbuffò prendendosi uno sgabello per mettersi davanti al suo nuovo — e dannato — cliente. Il moro si mise composto sulla sedia: «Mi hanno pestato» esordì molto sinteticamente e Jackal si fermò un secondo.

Borbottò. «Che hai combinato?»

«Perché siete tutti convinti che io abbia fatto per forza qualcosa!?» si mostrò offeso e l'altro alzò le spalle: «Scherzi vero? Sei esattamente il motivo per il quale la tua casa discografica ha talmente tante clausole con gli artisti al punto da paragonale alle volte in cui Donald Trump venne bannato su Twitter» scosse la testa, «ovvero infinite. E poi per quale cazzo di motivo é ancora su X, porca puttana!?» imprecò guardando il soffitto e poi tornare su di lui, «con te vale la stessa cosa. Dovresti essere in comunità o in prigione, invece sei qui a violentarmi l'anima»

Di tutto quel discorso Jungkook si comportò come un bamboccio con problemi di comprensione del discorso. «Non ti facevo un tipo così democratico e appassionato di politica. So che é diventato di nuovo presidente. Il tuo idolo!» liquidò così buona parte del discorso di Jackal, ma quest'ultimo era abituato ad attitudini, sempre di Jungkook, ben peggiori.

«Vaffanculo! Finiscila con questa storia, mi sta sul cazzo quel fascista» ma Jungkook continuò a torchiarlo ancora un po': «Io? Con quale storia?» chiese facendo il finto innocente e Jackal lo fissò. «La prima volta che sei entrato qua dentro mi hai scambiato per un naziskin perché ero senza capelli!» lo uccise con lo sguardo, «fottuto coglione!» aggiunse con rancore.

Jungkook si difese: «Vuoi condannarmi per questo? Sembravi il cosplayer di Eminem in 8 Miles, non puoi biasimarmi per aver avuto paura di te! Te ne stavi in piedi, a fissarmi con quel fottuto ago in mano grosso come un braccio!»

L'altro perse immediatamente la pazienza: «Sei proprio un imbecille! Ti fissavo perché non sapevo se fossi un semplice turista o quel cantante sfigato, con un pessimo gusto della moda anni 80', tappezzato sulle foto per tutta la strada—»

Jungkook gli puntò un dito davanti alla faccia: «Non ti azzardare a giudicare i miei vestiti! Il mio gusto della moda é sacro. Non é per tutti, tu cosa ne vuoi sapere!?» tolse il braccio e sbuffò, «eh sì, sembravi un fottuto naziskin che aveva voglia di tatuarmi la lista dei colonialisti sul culo»

L'uomo calvo si limitò a fissarlo impassibile, senza alcuna voglia di ribattere sul discorso: «A volte mi sorprendo di quanto tu possa essere...»

«Incredibilmente bello?»

«Incredibilmente idiota»

«Mai quanto Fingers»

A quel punto Jackal alzò l'angolo della bocca all'insù e ridacchiò scuotendo la testa: «Questa era carina. Però mi sta simpatico il tuo amico, é molto strano, ma é forte»

«Quel nano sta simpatico a tutti» sdrammatizzò il moro mentre l'altro socchiuse gli occhi azzurro ghiaccio e portò la mano destra sul viso della rockstar. «Sei geloso perché il nano ha il faccino più bello del tuo?»

Jungkook lo guardò facendosi scivolare addosso il suo sarcasmo: «É per via delle labbra gonfie vero? Sembra più bello per quell—» si perse nelle chiacchiere ma Jackal alzò gli occhi al cielo e lo interruppe. «Principessa! Apri la bocca» e gli chiese di cacciare fuori la lingua. Jungkook non riuscì a starsene zitto: «Mettici meno enfasi, potrei interpretare male la tua richiesta e sentirmi violato»

L'uomo calvo afferrò le pinze d'acciaio e tenne ferma la lingua di Jungkook mentre quest'ultimo, con impazienza, fissava il soffitto con l'aria che gli seccava la gola.

«Ma guarda un po' che bella faringe dilatata che abbiamo qui. Hai aperto Only Fans e le foto dei piedi non ti bastano più?» gracchiò sarcastico e stappò il collutorio. Jungkook lo fulminò: «Chiedimelo senza tenere le tue cazzo di dita dentro la mia bocca» lo fissò, «e comunque no, ma volevo chiedere consigli a tua madre» rispose acidamente alla sua battuta, richiuse la bocca per poi riaprila e farsi disinfettarsi con il liquido verdastro.

Jackal si fece scappare un sospiro e riprese il lavoro segnando, per la quarta volta, il punto dove forare. Afferrò la canula facendo assaporare il lattice fastidioso a Jungkook ed evitò le vene principali con attenzione.

Si preparò a forare ma Jungkook si mosse con la schiena in una posizione troppo scomoda.

«Dritto. Sta' fermo...» si riconcentrò e aspettò qualche secondo finché dovette rifermarsi a un centimetro dalla pelle perché Jungkook ebbe un altro spasmo. «Jungkook! Cazzo!» il moro riprese a muoversi sullo sgabello e lo fece alterare: «Fermo o finirai all'ospedale!» mormorò innervosito.

«Non posso nemmeno muovermi per colpa delle mutande strette sul cazzo?» ironizzò sistemandosi volgarmente la patta dei pantaloni. Jackal schioccò la lingua al palato: «Non sei Johnny Sins. A meno che tu non abbia un cazzo di trenta centimetri cuciti la bocca»

Il moro obbiettò: «Potrei sorprenderti»

«Si certo, come no» pronunciò sarcastico, «quando tornerai a casa ricordati di toglierti la carta igienica che hai usato per riempire lo spazio vuoto che c'è tra le tue palle» inserì nuovamente le pinze bucate sulla lingua e Jungkook, offeso, gli mollò una ginocchiata sul femore.

«Peccato che tua sorella non diceva lo stesso mentre me la scop—» chiuse gli occhi e sobbalzò per il dolore, l'aveva bucato con una forte pressione in modo da vendicarsi.

«Cazzo Jackal!» urlò con gli occhi lucidi.

Il tatuatore flagellò la lingua, girò le perle sotto i mugolii di fastidio del moro e poi, finalmente, chiuse il tongue.

Jungkook imprecò toccandosi le labbra: «Tu shei...» lo indicò, «un'enoshme teshta di cashho!» la lingua era così gonfia che bloccarono alcune consonanti. «Potevi almeno avvisharmi, Dio! Dammi quel cashho di ghiashhio!» mormorò incazzato mentre afferrò, in modo burbero, la busta ghiacciata per mettersela addosso.

Jackal si mise una mano sugli occhi e cercò di non ridergli spudoratamente in faccia sentendolo parlare così. «Come sei virile» si morse il labbro inferiore prossimo a un pianto di risate, «vuoi... vuoi che ti ripari anche l'apparecchio? Scusami volevo dire: appasheshhio?» lo prese in giro e Jungkook cercò di dargli un calcio sullo stinco, ma quest'ultimo balzò via grazie ai suoi ottimi riflessi.

Jungkook brontolò: «Shono sherio! Non fashe più una cosha del genere!»

L'altro smise di ascoltare le sue lagne: «Faccio piercing da quando avevo sedici anni. Potevi anche ballare il valzer e avrei centrato il punto senza ricorrere a delle suture vascolari» rispose piccato mentre cercava una sigaretta per fumarsela, «volevo farti cagare nelle mutande, quindi mettiti il ciuccio in bocca e smettila di frignare»

Jungkook si sdraiò contro la poltroncina e sospirò pressandosi il ghiaccio sulla lingua. Il dolore era ormai sparito ma sapeva che sarebbe tornato a fargli visita i prossimi giorni. Come ogni volta. Per la quarta volta consecutiva.

Jackal si mise la sigaretta in bocca: «Come farai a fare le prove così?» domandò arricciando le dita intorno al filtro. Jungkook fissò i suoi agghiaccianti occhi azzurri e provò a parlare più piano, mentre la lingua si sgonfiava: «Ho una settimana libera, ho detto a Namjoon di volere dei giorni di pausa e ha acconsentito. Tanto lo sai che la lingua si sgonfia subito»

Jackal scosse la testa. «Mi riferivo al resto. Guardati,» lo indicò alzando e abbassando il braccio in uso, «hai un aspetto di merda» il calvo vide benissimo lo zoppicare di Jungkook appena entrò nel suo negozio. Per non parlare della camicia aperta sul petto dove si intravedeva un enorme livido bluastro.

Jungkook storse il naso. Lo sapeva già. Sentiva le fitte all'addome ogni volta che respirava o provava a cantare. Sospendere ogni farmaco per non aggravare la sua dipendenza sembrava una scelta da maestro ma la noia, a volte, o quasi sempre, faceva più danni delle droghe. Seokjin aveva già deciso al posto suo come farlo guarire perché non solo non si fidava di Jungkook, ma nemmeno di Nookie. Quindi niente droghe e alcol.

«Sai come va il mondo no? Ti ritrovi con la ragazza sbagliata, nel posto sbagliato e con le persone sbagliate» gemette al solo ricordo, «e poi sei qui, a fare un piercing del cazzo perché arriva la noia» sibilò vitreo con una mano sulla tempia.

Jackal lo ascoltò e poi sospirò: «Hai fatto sempre scelte sbagliate Jungkook, una vale l'altra» dichiarò pacato.

Jungkook grugnì: «Niente ramanzine. Già lo so»

Il tatuatore aspettò un pò prima di riparlare: «Non fare quella faccia da morto» sbuffò, «sei ancora qui a farti bucare il corpo dal più bravo tatuatore di New York, ti scopi chi vuoi e fai il lavoro dei tuoi sogni. Non farmi cascare le palle con i tuoi pensieri da filosofo con un piede nella fossa. Tutti vorrebbero essere te»

Fidati Jackal, se solo sapessi non vorresti mai essere me.

Jungkook si lasciò sfuggire una smorfia sarcastica e cercò di non farsi vedere come un debole. Ormai era abituato a mostrare solo la parte di sé che tutti volevano vedere, quella estetica, brillante, l'attitudine da cattivo ragazzo con la corazza impenetrabile e la vita perfetta, perché a nessuno importava delle cose imperfette come lui. Perciò si mostrava indistruttibile e menefreghista, anche in quel momento ingoiò un palla di saliva e cambiò discorso: «Tra i due, quello con il piede nella fossa, sei tu» tirò fuori dal portafoglio dei contanti e glieli mise sul tavolo. «Ecco qua: mancia e un extra per il disturbo»

Jackal prese i soldi e lo guardò: «E l'extra per la sopportazione?» scherzò strofinando il pollice e le dita per avere più denaro, il moro fece un sorriso divertito e allungò un altro bigliettone: «Sanguisuga»

«É sempre un piacere fare affari con te» canticchiò contando i soldi e poi guardò di sfuggita il tatuaggio sulla mano di Jungkook, «Perché non ritorni uno di questi giorni? Ti ripasso il tatuaggio»

Jungkook seguì i suoi occhi fino al disegno sfumato sotto le sue nocche. Accarezzò senza volere il volto di quella donna vestita da suora, con gli occhi privi di vita, quasi demoniaci, ed ebbe paura che il suo pollice portasse via con sé l'inchiostro.

«Potrei farlo. Magari dopo le prove, quando torno a lavorare» sussurrò senza alcuna sfumatura nella voce, il divertimento sparì come briciole al vento e Jackal annuì diventando improvvisamente serio. «Quando vuoi, basta che mi chiami e ti trovo un posto. Sarebbe un gran peccato lasciarla sbiadire» commentò con un pennarello in bocca per guardare l'orario nell'agenda cartacea.

Era sempre piena ma per Jungkook — e per quel tatuaggio — avrebbe bidonato pure il presidente.

Jungkook si mise le mani nelle tasche dei pantaloni e lo osservò: «Certe volte mi dimentico di averla con me, il giorno in cui me la tatuasti mi sembra ieri. Quanto tempo è passato?» fece un conteggio mentale.

La mano del tatuatore si fermò sopra il foglio della moleskine rilegata in pelle nera. Sentì la plastica del pennarello bruciargli sotto le dita, l'irritante musica senza fine in sottofondo sparì e il respiro di entrambi a finirono per fare da padroni.

«Beh... un po', credo» si morse l'interno della guancia, «qualche... qualche anno»

Jungkook si incantonò a guardare il cielo plumbeo specchiato di New York vicino alla Park, fuori dal negozio gli artisti di strada cantavano con gli occhi chiusi e la gola tremante. Ma c'era poca gente. La città era spoglia quel giorno e non viva come a mezzanotte.

«Sei anni, sette mesi e venti giorni» disse in un sussurro.

Jackal smise di scrivere e lo guardò: «Mmh. Che cosa?»

«Sei anni, sette mesi e venti giorni» ripeté in automatico senza staccare gli occhi dal quadro vivente di New York appeso sulle finestre del negozio, poi aggiunse, «dal mio primo passo verso l'ignoto e dalla mia libertà concessa»

Quel momento sperduto nello strano limbo trascendentale, superava la ragione di ogni essere o non essere, per poi svanire con inquietudine. Jackal rabbrividì davanti a quegli occhi malati, ultraterreni e persi chiedendosi per un secondo che fine avesse fatto quel silenzio in mezzo a lui e a Jungkook.

Ora c'era solo rumore e l'oscura presenza di Nookie.

Ipocrita. Come tutti gli altri. Nessuno voleva Jungkook, bramavano Nookie con la saliva alla bocca e quando questo demone compariva le ombre scendevano. Finivano col pentirsi, come Jackal nel suo studio di tatuaggi vuoto, mentre Jungkook se ne stava al centro con le occhiaie sotto gli occhi e un sorriso da pazzo.

«Sei in America da quasi sette anni?» si accarezzò la pelle calva della testa e fischiò, «dannazione, ne é passato di tempo. Sto invecchiando...» imprecò a bassa voce e Jungkook gracchiò: «Siamo in due»

Jackal chiuse l'agenda e si sgranchì il collo: «Comunque un posto per il ripasso te lo trovo in settimana, basta che mi mandi un messaggio in anticipo» lo informò e poi adocchiò il moro per avere una conferma da parte sua. Jungkook si schiarì la gola con pigrizia e accettò: «Perfetto. Almeno stacco tra una pausa e l'altra. Questi giorni di ferie sono stati troppo brevi»

Senza volere Jackal si permise di fare una battuta che sconquassò le viscere a Jungkook: «La prossima volta prendine di più e fatti un bel viaggio. Magari te ne ritorni in Corea» trattenne una risata mentre apriva le cartelle nel suo computer da lavoro. Jackal non poteva sapere di aver appena aperto un varco nel petto, affilato e doloroso quanto un temperino, sulla carne.

Jungkook divenne silenzioso e mentì poco dopo: «Ci penserò» disse solamente mentre si preparò per andarsene. «Fidati di me! Potrebbe essere una bella vacanza» continuò Jackal facendogli un sorriso.

La rockstar si fermò con la porta ormai aperta, la mano stringeva la maniglia fino a far venire le nocche bianche e il riflesso del vetro mostrò la sua immagine senza pupille, a causa di uno scherzo di luci e ombre per la mancanza del sole. Alzò gli angoli della bocca in un sorriso che non raggiunse mai gli occhi.

Era un'immagine agghiacciante. Pericolosa. Imperiosa. L'uomo lasciò la porta e uscì dal negozio mettendosi gli occhiali da sole sugli occhi e un cappuccio per nascondersi. Si mise una sigaretta in bocca e il dorso della mano tatuata andò sopra lo zigomo con uno spasmo volontario, tipico dell'astinenza. Pulì il residuo di una lacrima e tirò le labbra in un sorriso sadico, dimenticandosi immediatamente che cosa avesse appena cercato di fare il suo corpo, con l'intento di ribellarsi e rigettare al mondo tutta la sua umanità.

Sbatté una mano allo specchio e tutto tornò al presente; il negozio, Jackal, le stupide conversazioni e quel giorno plumbeo sparirono nel passato: era mattina, si era svegliato da solo, non ricordava se — come detto all'inizio — fosse il primo, il secondo o terzo giorno del mese e sentiva il corpo piangere a causa dell'astinenza. Il suo spazzolino usato giaceva sul lavandino accanto al dentifricio e alzò gli occhi per vedere quell'ammasso di carne — ciò che rimaneva di se stesso — contornare uno sguardo senza anima.

Le nocche tornarono a stringersi intorno ai bordi del lavabo e quel che vide dentro non fu misericordia, ma lo scheletro dell'intero inferno.

Si tolse la maglia sudata, la quale andò a riposare fuori dal cesto della biancheria perché tanto — pensò lui vincolato dai suoi vizi — la donna delle pulizie avrebbe sistemato tutto quanto senza un solo lamento. Si chinò di centoventi gradi in avanti e i capelli rotolarono verso il basso senza toccare la pelle sopra alle guance, si toccò il corpo con una spinta di coraggio per affrontare il freddo.

Spinse con i piedi le mutande come un pizzico fastidioso e si contemplò allo specchio; occhi color pece come la più nera ossidiana dei vulcani del tropico del Cancro, sottili e delineati da una linea che incorniciava la palpebra orientale; il naso tondo e unico, gli zigomi alti, le labbra sottili che odoravano di anice ma che sapevano cantare le storie più belle, così come le più tristi; le gocce di sudore uscirono impaurite dalla chioma folta e bagnata, scivolarono lungo il corpo senza frontiere, alcune riposarono sul ciglio delle clavicole e altre si nascosero tra l'inchiostro inciso sul petto e sul costato fino a ricomparire nel basso addome. Le gocce meno vergini sfidarono l'ombra del suo sesso.

Era l'asiatico che aveva fatto innamorare mezzo mondo, annientando montagne di stereotipi con abitudini occidentali discutibili e che di pudico non aveva più niente. Nemmeno il suo nome.

Entrò immediatamente dentro la doccia per togliersi, graffiandosi ogni centimetro di pelle con le unghie, l'odore di falso gelsomino ereditato dalle sue origini sud coreane. Lo odiava. Lo odiava così tanto che gemette di dolore e scattò sbattendo il gomito sulla parete, vide il sangue colare giù dalla spalla. Le gocce raggiungerò le piastrelle lisce del box e tremò tenendosi la ferita e lasciò l'acqua aperta; uscì arrabbiato, ringhiò senza curarsi che potesse scivolare sul marmo a causa del bagnato.

Provò a placare una terribile crisi di astinenza e di panico, dovette vomitare per liberarsi e sentì la schiena bruciare e forargli la nuca. Si girò con la bocca ancora sporca e si guardò le spalle, tramite lo specchio, e vide il suo corpo coperto dai tremori ma ciò che più lo sconvolse fu la sua espressione. Quel sorriso tirato all'insù, senza che raggiungesse gli occhi nel negozio di Jackal, ricomparve come un demone e una risata isterica gli sconquassò la cassa toracica.

La doccia continuò a scrosciare gocce dure come ghiaia, scalfirono il piatto all'interno, la sua schiena rotolò sul pavimento di marmo e le risate agghiaccianti si elevarono per tutto l'appartamento.

Rise fino a piangere.












Un paio di fogli comparvero sotto i suoi occhi stanchi: «Vedi questi dati? Come ti sembrano?» Namjoon le porse i documenti appena stampati.

Fay li osservò a fondo e guardò i bilanci: «Buoni...?»tentò, «Le azioni della Billion sono salite in percentuale, o mi sbaglio?» non capì perché Namjoon glieli stesse ripresentando, li aveva già visti due giorni prima.

«Giusto. Non ti sbagli» si mise seduto, «Ma la domanda è un'altra: sai dirmi il perché?» la interrogò con una sinistra pacatezza.

Fay arricciò il naso frustrata e sentì il silenzio spaccarle le spalle. Lesse ad alta voce: «"La produzione presenta un più 10% in merito a collaborazioni e vendita dei diritti musical"—» poi si fermò e vide quel dannato dettaglio che un pò la fece pensare.

Namjoon allungò l'indice sopra la frase: «Le azioni sono salite e questo è un bene per la casa discografica, no?» domandò retorico e Fay annuì seguendolo, «ma quello che però mi sfugge è il perché. Non fraintendermi, é un ottimo profitto. Quasi... troppo alto se vedi la nostra media trimestrale» e le mise sotto il naso i precedenti rapporti, «La Billion non finanzia mai più del 5% con le altre imprese per evitare stupide battaglie legali come è già avvenuto in passato. A meno che le compagnie non siano multinazionali di un certo calibro o featuring di spessore» spiegò più chiaramente.

La donna lo guardò con uno sguardo incerto: «Eppure qui c'è scritto il contrario. Non solo c'è stato un aumento ma anche un'uscita...» mostrò i dati a Namjoon e prese al volo una calcolatrice dalla scrivania, «é... strano» guardò il risultato, «ci deve essere un errore da parte dei commercialisti» sussurrò non sapendo più cosa dire.

Namjoon la osservò con uno sguardo enigmatico: «Non ci sono errori. Ho controllato io stesso»

Fay schiuse le labbra e rimase attonita: «Quindi la Billion ha finanziato, oltre il range impostato, più dell'8% nella vendita dei diritti?» la realtà le arrivò velocemente davanti agli occhi, «Significa ch—»

Placidamente la interruppe: «Che vendiamo e acquistiamo al contempo»

«É regolare?» gli chiese titubante, «avete contratti o clausole con altre compagnie?»

Namjoon sospirò: «Più di quelle che immagini. Ma la maggior parte di queste sono clausole di riservatezza per far tenere la bocca chiusa dopo alcuni casini avuti con Jungkook» gesticolò non volendone parlare, «poi abbiamo qualche contratto ma per scopi minori. Marketing, pubblicità e altro, fattori irrilevanti»

Le azioni erano salite ma al contempo le uscite della Billion sono maggiorate: morale della favola la compagnia stava pagando cose non tracciate. Soldi? Produttori? Stilisti? Strumenti o forse i disastri clandestini dei LTB per farci degli articoli?

«Quindi tu sospetti che...» ma non finì, si morse le labbra e lasciò ben intendere.

Namjoon lì per lì non rispose, distolse gli occchi da quei dannati fogli: «Ogni due settimane mi arriva in cattedra il responso della borsa e delle azioni perché io devo monitorare tutte le questioni burocratiche che nessuno vuole assumersi» chiuse le palpebre un po' irritato, «la Billion Of Hopes non è mia, io sono un pilastro ma non sono l'unico a portarne il peso» le spiegò facendole capire che stavano cercando un ago nel pagliaio, «se davvero qualcuno sta vendendo sotto banco i diritti dei LTB alle mie spalle ad altre compagnie... siamo nei guai»

Fay scosse la testa: «Forse siamo solo precipitosi. Cosa pensi che stia succedendo?» buttò fuori sarcastica un'ipotesi a caso, «Che uno dei nostri si é messo a vendere illegalmente dei diritti? É... assurdo! Cosa ne ricaverebbe?»

Il manager si fece scivolare quel sarcasmo con un'occhiata penetrante: «Tutto» esordì secco.

Fay deglutì rumorosamente e tornò immediatamente con i piedi per terra. «Come?» sussurrò senza voce. L'uomo divenne incredibilmente serio: «Soldi. Segreti. Informazioni. Album. Anni di produzioni musicali. Se un dipendente qualsiasi, che sia io o una stagista come te...» la indicò col mento, «vendesse illegalmente dei diritti anche solo per una di queste cose manderebbe all'aria la Billion e i suoi artisti come un cancro invisibile e silenzioso»

La mora si stese sullo schienale della sedia girevole e mordicchiò le unghie dal nervoso. «Merda» sussurrò ignorando le buone maniere e si mise le mani in faccia realizzando solo allora.

Non mi pagano abbastanza per tutto questo —quante volte l'aveva ripetuto da quando lavorava in quella casa discografica?

Si infilò le mani fra i capelli.

L'altro alzò appena l'angolo della bocca accennando un sorriso, divertito nel sentirla imprecare e poi rilasciò un lungo sospiro: «Risolveremo tutto quanto, tu pensa solo a monitorare i ragazzi» tentò di rassicurarla, «il resto spetta a me... ah,» la osservò serio, «questa conversazione non dovrà lasciare la stanza, signorina Davis. Sono stato chiaro?»

Lei si raddrizzò e annuì: «Assolutamente sì. Ho firmato così tanti contratti di riservatezza che se ne infrangessi anche solo uno potrei rischiare il carcere a vita» cercò di sdrammatizzare passandosi le mani accaldate sulla gonna, «Quindi... i LTB non sanno nulla»

«E per fortuna» esordì Namjoon con un sospiro plateale, «i ragazzi, specialmente Jungkook, sono molto attenti a non far trapelare nulla sulla loro vita personale. Questo, infatti, ha portato le riviste mondane e di gossip a puntare anche sulle loro briciole. Non hai idea di quanti silenzi abbiamo comprato, anche a spese dei ragazzi stessi, per evitare che il loro passato venisse alla luce» fece uno sguardo afflitto, non disse altro e ingoiò il dolore.

Fay tentennò. Si ricordava ogni cosa della cartella di Yoongi e personalmente l'aveva inquietata, a volte faceva incubi strani e non fu affatto difficile capire perché né lui, né tutti gli altri, volessero rivivere quei ricordi e il peso che tutto il mondo poi potesse giudicarli.

«Loro non sanno che io ho le credenziali per quei file?» domandò ansiosa.

Namjoon cercò di tranquillizzarla: «Sanno che alcuni membri del nostro team ne sono in possesso, loro non si interessano dei diretti interessati e non voglio i nomi, perché chiunque parlasse farebbe meglio a trasferirsi su un altro pianeta» calcò bene ogni parola per enfatizzare quanto fosse essenziale — anche per la propria sopravvivenza — tenere la bocca chiusa.

Si morse il labbro timorosa e cercò di parlare ma la porta dell'ufficio di Namjoon si aprì all'improvviso, una faccia da schiaffi sgusciò fuori mentre la maniglia rimaneva abbassata da una mano tatuata e non appena Fay riconobbe il maleducato alzò gli occhi al cielo e sprofondò sulla sedia.

Era stata la settimana più bella della sua vita da quando Jungkook si era preso dei giorni per staccare la spina, ma come tutte le cose belle... prima o poi finivano.

Il moro avanzò senza scusarsi per l'interruzione e nascose le mani dentro a un paio di jeans neri e aderenti in vita. La donna notò quanto i suoi fianchi fossero stretti, per poi ingrandirsi sul bacino e sulle cosce. L'attenzione si spostò sulla disposizione dei capelli di Jungkook e pensò, addirittura, che non avesse toccato minimamente il pettine quella mattina. Aveva un aspetto di merda.

Namjoon strinse gli occhi non appena udì la fastidiosa suola di gomma degli scarponi di Prada sul pavimento, questo rumore aumentò finché non fu davanti a lui e come se non fosse già abbastanza troppo Jungkook iniziò a sbattere il piede con un tic nervoso. «Non é più buona educazione bussare, prima di entrare in un posto privato, Jungkook?» domandò sarcastico ma il moro non aveva voglia di scherzare.

«Cos'è questa stronzata!?» ringhiò funesto senza calcolare Fay e mettendosi davanti con presunzione.

Namjoon inarcò un sopracciglio confuso: «La stronzata in questione... sarebbe? Una cosa? Una persona?» tentò di indovinare a quale diavoleria volesse appigliarsi.

Il moro avvertì la sclera sotto gli occhi, di chi non dormiva bene da giorni, con crisi di dipendenza ogni fottuta mattina, irradiarsi fino agli zigomi pronunciati. «Mi prendi per il culo!?»

Namjoon non fu per nulla toccato dal suo tono furibondo e riappoggiò la schiena comodamente alla sedia: «Non rientri nei miei gusti» rispose pacato.

Jungkook si passò una mano sui capelli con la pazienza esaurita e alzò il mento adirato, pronto a fare fuoco e fiamme: «Torno oggi e, dopo quasi una settimana in cui non vengo minimamente aggiornato su nulla, vuoi farmi fare un altro percorso dallo psicologo!?» la voce si acutizzò oltraggiato, «Mi hai preso per un deviato mentale?»

Fay girò la faccia verso la finestra dell'ufficio per non rispondere al posto del suo manager, perlomeno Namjoon avrebbe avuto il buon senso di dirgli la verità in maniera più consona. Se fosse dipeso da lei l'avrebbe spedito a calci in culo in un furgone con la camicia di forza in una casa in mezzo al nulla, dopo avergli sbattuto in faccio un sonoro "sì".

Il manager cercò di ponderarsi. «Jungkook tu sei tante cose, tantissime, ma non normale» spiegò con un aplomb invidiabile, «e se pensi che io non abbia visto i tuoi ematomi e come zoppicavi al Vibes, allora ti consiglio di andarci direttamente ora da quel fottuto psicologo» e a quel punto anche Fay si irrigidì pericolosamente: dov'era finita la sua compostezza?

Il petto di Jungkook, ricolmo dapprima di orgoglio, si sgonfiò come un palloncino; quella rivelazione lo fece boccheggiare e stupito, quasi scioccato, si limitò a guardare con intensità la giovane mora seduta al suo fianco. «Sei stata tu a—» provò ad accusarla ma Namjoon lo troncò sul nascere. «La signorina Davis non mi ha detto nulla» e la guardò facendole capire di non essere fuori dal torto nemmeno in quel caso.

Lei tentò di giustificarsi ma Namjoon alzò velocemente la mano per fermarla un secondo, prima di aprire quel discorso, per poi tornare su Jungkook: «Non hai più diciotto anni Jungkook,» calcò bene la sua immaturità, «eppure continui a comporti come un bambino viziato e mi sono stancato. Abbiamo già molti problemi ed é inutile puntualizzare, per l'ennesima volta, la natura di essi. Mi spiego?»

Jungkook strinse i pugni: umiliazione, rabbia, angoscia e tante altre emozioni si annidarono dentro al suo stomaco: era infantile e poteva essere vero. Ma non era così stupido da non cogliere le pesanti parole del suo manager. Era tagliente quanto un: "abbiamo problemi per colpa tua, dei tuoi comportamenti inopportuni avuti in tour e altre beghe con il Jane's Vibes."

«Ora sono solo l'unico a essere un problema in questo casino!?» venne ferito al punto che il vittimismo si palesò senza controllo, «siamo una band di quattro disadattati e l'unico sono io!?» ripeté con i pugni chiusi. Ma prontamente Namjoon lo fermò, cogliendo il suo disagio, per illustrargli la situazione.

«Assolutamente no, non credere che tutto questo dipenda solamente da te» mise in chiaro, «ho già parlato con i diretti interessati questa settimana; con Jimin e la sua pessima furbizia nel pensare di fregarmi senza registrare le auto della Billion durante le vostre scappatelle; Yoongi e Hoseok per avere non solo partecipato a questa coglionata, ma anche taciuto» fece un pausa, «però non cambierò idea, Jungkook, seguirai questo percorso»

Lo sguardo impenetrabile di Jungkook vacillò in mezzo alla sconfitta più totale e cercò di patteggiare: «Fammele fare almeno con Seokjin» lo supplicò.

«Non se ne parla. Mica sono scemo, so che vi ha aiutato anche lui» a quel punto Fay scivolò sulla sedia sconfitta, sentendosi al pari di Jungkook, «È un medico e non il vostro migliore amico!» obbiettò con un cipiglio severo.

Jungkook lo guardò sentendosi destabilizzato. «Questo é ingiusto!»

«"Questo", come lo chiami tu, significa crescere e maturare, Jungkook!» fu scomodo anche per Namjoon tirare in ballo questioni così delicate davanti a persone che non dovevano sapere, ma quel ragazzo non gli stava dando altra scelta se non rimetterlo al suo posto, «Così prima di immischiarti in altri guai ci penserai dieci volte!»

Jungkook scosse la testa velocemente e cercò di mantenere il respiro tranquillo. Ritentò guardandolo dritto negli occhi. «Farò quelle visite. Te lo giuro. Ma ti prego, le voglio fare con Seokjin» fece un passo indietro e smise di tenere quella stupida postura da teppista. L'altro chiuse gli occhi: «Ti conosco troppo bene—»

Il moro insistette: «Appunto perché mi consoci bene, Namjoon» ammise sincero, «mi conosci e sai che non mi fido di nessuno. Figurati di un completo estraneo e se...» strinse gli occhi, nauseato dall'idea, «sono obbligato a fare questa stronzata, pretendo di essere messo a mio agio e tutelato»

Namjoon cercò di nascondere quel briciolo di stupore, nel sentirlo esprimersi in quel mondo, solamente perché non voleva dargliela vinta così facilmente. Voleva che Jungkook imparasse una volta per tutte a stare al mondo. Ci pensò su ed esordì pacato. «La mia risposta é la stessa»

Jungkook fece una smorfia di fastidio e si sentì sopraffatto: «Ti ho chiesto solo un favore!» cercò di non essere lamentoso ma fu quasi impossibile. Namjoon stava per ribattere, stanco di ripetersi, finché Fay, tentennando, provò a esporsi.

«Perché non proviamo a dargli una possibilità?»

I due tacquero e girarono la testa in contemporanea verso di lei, il cuore prese a battere molto forte ma cercò ugualmente di non mostrarsi incerta. «Facciamolo provare. Dati i molteplici problemi comportamentali avuti durante il tour, Jungkook avrà un ultimatum disciplinare come il resto della band e, a parer mio, dovrebbero tutti fare questo percorso» spiegò lineare, «non solo lui»

Namjoon la lasciò finire e le spiegò perché fosse così incerto sul piano: «Sulla partecipazione di tutta la band mi trovi in accordo. Ma in questi anni abbiamo lasciato il beneficio del dubbio a Jungkook più volte, senza ottenere risultati» lanciò un'occhiataccia al ragazzo davanti a lui, quest'ultimo gonfiò le guance offeso senza però dire nulla.

Fay pensò che quel ragazzo fosse seriamente senza speranze. Era il numero uno nel sabotarsi. «Magari questa volta possiamo essere... come dire, più diretti! Amministravi e meno indulgenti. Sappiamo che lui non vuole parlare dei fatti suoi con un estraneo, giusto?» ignorò lo sguardo cruciato di Jungkook e si concentrò su quello interessato di Namjoon, «Allora lui saprà molto bene che se non otterrà nessun miglioramento, o non manterrà un atteggiamento professionale durante il percorso con il dottor Kim, verrà seguito da un nuovo psicologo» dopo una fugace occhiata al moro vicino a lei si mise più composta, «a mio avviso potrebbe essere una buona trattativa»

Jungkook la fulminò: «Quale? Farmi stringere la cinghia perché così puoi rilassarti meglio e non avermi tra i piedi, principessa?» chiese aspramente a bassa voce.

Lei si girò e per poco non gli strappò tutti i capelli dalla testa per renderlo calvo e dolorante. «Se solo vedessi più in là del tuo naso capiresti che non faccio tutto questo solo per un tornaconto personale, Jungkook» masticò il suo nome con il fegato che ribolliva, «ma per salvare l'immagine della casa discografica che tu e la band state mandando a rotoli con il vostro fancazzismo» fece un sorriso finto come le banconote del Monopoli e ritornò su Namjoon, «e se le cose procederanno secondo i piani non dovremo coinvolgere altri sconosciuti nei nostri affari» e, senza che Jungkook potesse saperlo, Fay guardò attentamente il suo capo parlandogli in codice.

Meno persone sanno e meno informazioni da persone ignote saranno vendute.

L'uomo colse al volo e fissò distrattamente i fogli sotto di sé per analizzare l'idea; lo sguardo zigzagò tra i due e poi spinse le dita sopra le palpebre borbottando: «Me ne pentirò. Amaramente, già lo so...» sbuffò e fissò Jungkook in modo glaciale, «procederemo con il piano della signorina Davis ma non pensare di aver la strana spianata Jungkook. Dimenticati i festini alle mie spalle o la tua posizione nella band comincerà a vacillare» lo minacciò senza problemi e finalmente vide un lampo di paura negli occhi del ragazzo. «Sono stato chiaro!?»

Jungkook si mise le mani dentro le tasche della giacca di pelle e annuì con lo sguardo abbassato: «Cristallino»

Namjoon annuì soddisfatto e si alzò dalla sedia accaparrandosi tutti i suoi documenti sulla contabilità e diede un'ultima occhiata a Fay. «Mi aspetto una maturità da parte di tutto il team» chiuse la cartella e Fay si mise in piedi con uno sguardo pentito, «e visto che la signorina Davis ha avuto questa brillante idea, immagino che sarà in prima linea per monitorare i progressi. Dico bene?» le chiese conferma per metterla alla prova.

Se vuoi rimanere qui dentro devi accettare.

Fay annuì con finto entusiasmo e il volto brillò non appena tirò le labbra carnose in un sorriso: «Mi trovi già lì!» scherzò su, accompagnandolo alla porta.

L'uomo trattenne un sorriso divertito e saluto entrambi con un cenno deciso prima di dileguarsi dalla stanza. Cadde immediatamente un terribile silenzio tra Fay e Jungkook, in contemporanea smisero di guardare il varco della porta vuota e si fronteggiarono.

Jungkook fece una smorfia irritata: «Non aspettarti un grazie»

Lei alzò gli occhi al cielo: «Per carità. Sarebbe come pretendere che un Neanderthal venga ammesso alla facoltà di medicina» lo guardò dall'alto in basso prima di avvicinarsi alla scrivania per mettere a posto i suoi documenti.

«Se fossi in te non farei questo genere di battute, sapendo che il tuo grazioso culo da taglia quarantadue dipende anche dal rendimento finale di questo fottuto piano» ribatté acido come un limone.

Fay sbatté la cartella sulla scrivania e contò fino a dieci prima di parlare. Ma il lato tossico della famiglia Davis, che vi era in lei, la fece sbandare appena sorpassò il numero quattro. «Rendimento finale che però vede come unico risultato il raggiungimento della tua civiltà» e chiuse la zip della cartella così forte da poter falciare una testa dal collo, «ed é una quaranta»

Jungkook alzò un sopracciglio disinteressato: «Che cosa?»

Lei si girò e lo affrontò con gli occhi pieni di lampi e saette. «Il mio "grazioso" culo é una quaranta, idiota» si avvicinò innervosita, «e se il tuo percorso di buona condotta inizia con questo tuo assurdo atteggiamento posso considerarmi già disoccupata»

Lui alzò le spalle, fregandosene altamente del destino della donna. «Beh, non la vedo come una cosa così sgradevole dal mio punto di vista. In qualche modo il tuo destino dipende da me» mostrò un sogghigno beffardo, pensando di averla vinta. Ma quella frase non l'atterrò come pensava, nemmeno la scalfì, anzi Fay si aspettava una frase del genere e lei fu immediatamente pronta a rispondere. «Sai cos'altro non é sgradevole? Il probabile disband del gruppo con la Billion a causa di Nookie, tutto perché se la faceva sulla sedia alla sola idea di parlare con uno sconosciuto» incrociò le braccia davanti al seno e lui si avvicinò pericolosamente.

Era troppo alto, di almeno una ventina di centimetri più di lei e la mascella affilata di Jungkook si strinse non appena lui fu a un palmo dal naso di Fay. I suoi occhi neri e profondi furono solcati da una freddezza agghiacciante. «Attenta a quello che dici»

Lei non si tirò indietro e alzò il mento: «Attento tu, ti conviene chiudere le gambe prima che ti arrivi una ginocchiata sulle palle» sibilò tra i denti, «e ora fai un passo indietro. Le minacce, o come ti pare a te, falle a chi vuoi ma non ti azzardare a farle con me»

Jungkook trattenne il respiro per qualche secondo prima di guardarla in modo spocchioso e fece due passi indietro: «Contenta ora, poony?» alzò persino le mani in alto per fare scena.

«Ora che ti vedo al tuo posto? Sì, molto devo dire» rispose secca, «e adesso, se non abbiamo più niente da dirci, vorrei andarmene»

Ma lui rimase in mobile a fissarla come se fosse un fastidioso acaro da sterminare. «Potrai pure aver convinto Namjoon con la tua erudita parlantina, ma non pensare di poter fregare me. L'hai fatto per farmi fuori» difronte all'ennesima accusa lei si esasperò e fece un'espressione stupita. «É assurdo! Non solo ti ho salvato il culo e portato avanti la tua stupida causa per farti seguire dal dottor Kim, ma continui ad accusarmi per cospirazione!?»

Jungkook sentenziò sicuro di sé: «La cosa assurda é vederti fare gli occhi dolci al nostro capo e che addirittura prendi le mie parti, quando sappiamo benissimo entrambi che ci vogliamo fuori dalle palle a vicenda. É reciproco—»

«Assolutamente reciproco» si permise di interromperlo per enfatizzare quel dettaglio.

Lui irrigidì le spalle per poi rilassarle subito dopo, provando a non dare il cento percento della sua stronzaggine, ma solo l'ottanta. «Come stavo dicendo: non trovo una valida motivazione per il quale tu vorresti rendermi la strada più spianata, quando ti bastava startene zitta su quella sedia,» la indicò velocemente con il braccio, «e beffeggiarmi durante la tirata d'orecchie di Namjoon. L'hai pure passata liscia, tra l'altro»

«Passata liscia!? Mi ha implicitamente obbligato a monitorarvi per colpa vostra! Altrimenti se mi fossi rifiutata mi avrebbe cacciata, ne sono sicura!» per poco non gridò in preda alla collera.

Lui fece una smorfia insolente: «Ma per favore, quello secondo te era un obbligo?» la prese in giro incrociando le braccia davanti al petto e minimizzando il problema, «"É vero signorina Davis?" "La signorina Davis non mi ha detto niente!" "Il brillante piano della signorina Davis!"» vomitò quelle parole imitando la voce di Namjoon, «Oppure ti da fastidio che per lui non sei solo più "Fay" ma signorina e cognome?»

Fay socchiuse gli occhi: «Cosa stai insinuando, razza di imbecille!?» indietreggiò oltraggiata fino alla scrivania, «io non faccio gli occhi dolci a nessuno! Non ho fatto questo piano per sedurre il mio capo, per farmi dare del "tu"o per manipolare la band con qualche malevole espediente!»

Vedendola così destabilizzata Jungkook si fece scappare una risata molto bassa: «Ne ho viste molte come te. A bizzeffe» si avvicinò passo dopo passo con una lentezza pericolosa. Lei si ritrovò a stringere le mani contro il brodo della scrivania per la rabbia che dovette seppellire con il buon senso. «Io non credo proprio» rispose tagliente ma Jungkook continuò a parlare come se non l'avesse sentita.

«Le facce angeliche non nascono addosso a nessuno, tanto meno a una washingtoniana come te. Al contrario sapete come cucirvi perfettamente queste maschere finte sul viso» la guardò negli occhi, privo di allegria, facendole suscitare una strana inquietudine, «il buonismo ingiustificato nei miei confronti, ben sapendo che razza di campo minato c'è tra noi, é una delle cose che reputo più pericolose»

Fay alzò il mento per cercare di difendersi contro quelle accuse infondate: «Se hai dei traumi irrisolti non é affar mio. Io sono limpida e professionale in tutto ciò che faccio. Non ho niente da nascondere»

Jungkook sussurrò con un mezzo sorriso sarcastico: «É quello che dicono sempre tutti quanti prima di piantarti un coltello nella schiena» si fermò a un metro da lei. Fay ruotò gli occhi al cielo: «Dio, sei melodrammatico! Hai mai pensato di cambiare amici allora?» postulò sarcastica e stanca di sentire sempre le stesse cose.

«Non mi va di scherzare su queste cose, poony»

«Nemmeno a me» strinse i denti diventando completamente seria, «stai combattendo una guerra che non esiste e io non voglio perdere tempo. Perché non ne ho. Ecco perché questo lavoro mi serve e non mi vergogno a scendere a compromessi con il mio nemico se questo mi porta a sopravvivere»

Gli occhi di Jungkook si chiusero in un paio di fessure glaciali, cercò di cogliere ogni minimo movimento che potesse tradire quella faccia angelica infuriata con lui. Si leccò le labbra e, infine, disse: «Non pensare che questo cambi le cose tra di noi. Non mi interessa se ti farò piangere o se perderai il lavoro perché io non devo niente a nessuno»

Lei accusò quelle parole, capì che una tregua tra di loro sembrava impossibile e irrealizzabile. «Mi sono comportata da essere umana dinanzi a un tuo problema, ma non l'ho fatto per avere la tua pietà nei miei confronti. Non scenderei mai così in basso» mantenne l'orgoglio alto, «e non sarei mai così sprovveduta. So che stai cercando di sabotarmi dal mio primo giorno»

Dannazione se era sveglia.

Jungkook fece un mezzo sorriso maligno: «Hai appena detto di non aver tempo per combattere una guerra» la contraddisse. Ma contro ogni sua aspettativa lei tirò le labbra in un ghigno furbo: «Non ho tempo per una guerra che nemmeno esiste. Ma fino a prova contraria mi stai sul cazzo. Non ti sopporto, sei un pagliaccio, una razza di rockstar viziata che crede di averlo più lungo e grosso di tutto il mondo» fu molto allusiva, senza essere esplicita.

Il moro si leccò un'altra volta le labbra, torturandosi in modo concentrico il tongue: «Principessa basta idolatrarmi, ho anche dei difetti»

Lei sventolò una mano e, come per scacciare una mosca, ignorò completamente il suo sarcasmo: «Perciò, l'unica guerra che porto avanti é quella che abbiamo iniziato a Phoenix. Non ho nient'altro da condividere con te»

Stronza impertinente.

Jungkook rischiò di risultare falso e bugiardo, con se stesso, se negasse che quella situazione non gli aveva toccato le corde di chitarra cucite dentro al ventre; si avvicinò sotto il suo sguardo penetrante e lei dovette tenersi in equilibrio sull'angolatura del bordo della scrivania, il moro torreggiò su di lei con la sua ampia figura e si fermò solamente per chinarsi appena.

Il naso tondo e arricciato di Jungkook toccò il lobo sinistro scoperto di Fay, con le mani si tenne alla scrivania e respirò l'odore con un sorriso famelico. Lei restò ferma, congelata, non capendo che intenzione avesse.

«Cos—» tacque nel momento stesso in cui la mano santa e indemoniata di Jungkook le afferrò le guance da sotto il mento e strinse senza farle male per avere il controllo.

La sua guancia per poco non si fuse con la sua mischiandone i colori. Diavolo, l'ossigeno non arrivò più a entrambi. Di cosa si nutrivano? Cosa bevevano e cosa inalavano per non far chiudere gli occhi nel triste confine della mortalità? Momenti, si nutrivano solo di momenti e gesti improvvisati dettati dall'inconscio: cosa stai facendo, Nookie? Perché la stai toccando?

Il naso di lei percepì il forte odore di caffè, sigaretta e una fragranza sicuramente costosa intorno a lui.

«Lo senti questo?» iniziò finalmente Jungkook, sibilando contro il suo orecchio, crudo e scoperto, «Si chiama silenzio» strinse i denti, «e da quando sei arrivata qui, questo silenzio, non c'è più»

Fay si scostò scottata e lo affrontò con il cuore che palpitava agitato: «Abituati perché niente sarà più come prima: il silenzio, la sovranità e i tuoi vizi verranno cancellati. Hai usato il tuo potere per creare un'ambiente che non é nelle corde di una donna per niente remissiva come me. Sei finto, Jungkook» cercò di ferirlo.

Jungkook si staccò dal suo orecchio e si ritrovò esattamente davanti a lei. Mise in chiaro la sua posizione: «E tu capirai presto che tutto quello che hai appena additato come un'ambiente creato dalla mia sovranità, così come la mia finzione, non è altro che la predomina di questo mondo» la guardò con sdegno, come se non valesse abbastanza per maggiori risposte, «Ma una come te non può capire cosa voglia dire fare parte di questo mercato. Non sei nessuno. Perciò mi limiterò a lasciarti sguazzare nelle tue finte buone azioni fino a bruciarti, faccia d'angelo» fece un buffetto sulla guancia con due dita, «Ti guarderò bruciare»

La lingua di Jungkook uscì fuori sotto il suo volere e, dopo che le palline d'argento scintillarono, fece un balzo all'indietro per uscire dalla stanza una volta per tutte. La sua pancia di Fay si irrigidì a causa dei brividi e dalle farfalle mangiatrici di viscere, tornò a respirare e fissò il vuoto che Jungkook aveva lasciato dietro di sé.

Era arrabbiata: con il suo lavoro, con Namjoon, con Nookie e con se stessa.

"Ti guarderò bruciare"

Grace, la receptionist del primo piano, con la fissa della mastoplastica additiva, scosse Fay dai pensieri tormentanti non appena la vide scendere le scale come un fantasma. Erano diventate confidenti, colleghe e complici di bevute di caffè.

«Stai bene? Sembra che tu abbia fatto a cazzotti con una tigre»

No, con molto peggio.














Jungkook lavorò come un matto per recuperare gli arretrati di una settimana e Klever fu contento di trovarlo collaborativo e non lagnoso. Lavorarono sulla base per l'intro del nuovo album e Jimin, tornato a un colore di capelli più sobrio come un biondo cenere, memorizzò il beat solamente con la bravura del suo orecchio — merito del suo talento.

Per quanto Jungkook fosse inacidito con la band per aver taciuto su tutto ciò che era accaduto con Namjoon, assieme all'enorme scaricamento di colpe da parte di tutti, non spese molte parole con loro e si mostrò disponibile. Mise da parte l'astio e si limitò a registrare. Collaborò così bene che Namjoon, da dietro il vetro della sala, fece un cenno d'assenso e compiaciuto.

Ma ora, dopo un giorno intero passato a tacere, a mordersi la lingua per non sotterrare il suo team con la sua freddezza di merda, voleva solamente uscire e smettere di fingere.

Era l'astinenza cazzo, da droghe, dall'alcol e il sesso che gli faceva chiudere gli occhi ogni volta che risentiva la voce squillante di Fay Davis nella testa; la loro discussione era stata la goccia fece traboccare il suo equilibrio mentale. Quest'ultimo era stato traballante per tutta la settimana di riposo e iniziò ad avere grosse allucinazioni da qualche giorno prima.

Ora non stava bene.

Nookie, la sua maschera e il suo dannato alter ego, lo riduceva a vivere momenti di euforia fino a picchi di decadente follia paradossale. La forte immagine della bocca a un centimetro dal lobo di quella stronza lo mandava in bestia, fino a fargli salire il sangue al cervello e al cazzo. Già, persino quest'ultimo doleva al punto da averla immaginata, per almeno una decina di volte durante la litigata, piegata a novanta sulla scrivania mentre ansimava.

Per fortuna Namjoon bussò in quel momento per augurare al team una buona serata, così la bocca ansimante di quella stronza sparì dalla testa come nebbia nel nulla; il primo a levare le tende fu Yoongi, strattonò la sua tracolla di pelle marrone con il MacBook personale all'interno e si accese una sigaretta, ignorando le normative antifumo. «Ci becchiamo domani. Morti o vivi, non mi importa, vi voglio qui alle otto» e uscì silenzioso.

Jimin uscì per secondo, «Io mi ritiro. Vado a scopare» dichiarò senza troppe cerimonie, enunciando al resto della combriccola la sua ritirata per infilarsi fra le gambe di qualche americana in cerca del brivido. Forse per dimenticare le angherie del giorno, il marcio del passato o la voglia di lasciarsi baciare da un paio di labbra calde.

Il terzo fu Hoseok: rimase sulla porta per non so quanto tempo a fissare il più giovane rimasto a scrivere e cancellare i testi. «Non vienidomandò con un filo di voce e molto cautamente. Aveva avvertito lo stato d'animo soffocato di Jungkook per tutto il giorno. Dopotutto era il più empatico.

Il moro non alzò nemmeno lo sguardo: «Tu vai. Io ho bisogno di scrivere, di stare da solo e magari quando uscirò da qui mi farò qualche birra» disse senza troppo entusiasmo. Sarebbe stato la sua prima birra dopo la convalescenza. Hoseok accusò un minimo di risentimento nella sua voce.

«Noi...» provò a dire incerto, «non... non abbiamo detto niente, Namjoon l'ha capito da solo» mormorò.

Non aveva il carattere per fare la rockstar, per questo si trovava bene fare musica dietro ai suoi compagni e a spaccare la batteria. Jungkook smise di scrivere e sospirò: «É tardi, vai a casa» tornò sui fogli, «e fatti crescere un po' di coglioni, affronti i problemi come mia nonna» lo prese in giro trattenendo un sogghigno.

Hoseok lo avvertì e un leggero calore si irradiò sopra al petto. Sorrise divertito: «Non bere troppo» aprì la porta per andare via, «cazzone» e venne chiusa.

Dopo qualche ora, alle ventidue circa, Jungkook allontanò la faccia dai fogli sparsi sopra al tavolo e si accorse che quella scaletta di parole e raccolte di pensieri improvvisati non avevano alcun nessun senso. Gli mancava lo stimolo, si sentiva stanco e poco concentrato.

Spense la luce e abbandonò a metà il suo lavoro, decidendo sul momento di continuare domani sotto la supervisione del cervello impulsivo e strano di Yoongi. Scese da solo verso il parcheggio sotterraneo privato e la vernice rossa fiammante della Mustang BULLIT 2020 decorava il bianco dei pilastri con la sua magnificenza. Fece scattare la portiera ma, prima di addentrarsi e raggiungere il primo fast food sulla strada, si guardò un'altra volta intorno sentendosi paranoico. Affianco la macchina e in quel momento vide, in lontananza, una gonna nera e stretta sul culo come colla, un paio di gambe lunghe e letali, un cappotto di mezza stagione lungo fino ai fianchi e delle scarpe da ginnastica ai piedi.

Fay canticchiava a bassa voce senza curarsi del minimo pericolo vista la tarda ora, reggeva un paio di tacchi con l'indice e il medio; le falcate erano lunghe ma a Jungkook sembrò quasi che danzasse con un'eleganza al di fuori del comune.

Raggiunse la Ford e buttò i tacchi nel sedile passeggero, una scarpa però rotolò sotto il sedile e, sbuffando, si chinò di novanta gradi per raccoglierla. Le calze nere si tirarono dietro ai quadricipiti tonici e Jungkook si dovette mordere il labbro a sangue per non commentare o rovinare quella visione celestiale.

Se non fosse così rompi coglioni...

Come ciliegina sulla torta Fay alzò una gamba per darsi equilibrio, gattonò letteralmente sul sedile tastando i tappetini e la gonna si arricciò ancora di più, arrivando alla piega dei glutei. Fu troppo concentrata nel trovare quella stupida scarpa per accorgersene e Jungkook, dopo che sentì il cazzo tornare arzillo per la seconda volta a causa delle sue fantasie su di lei, sibilò un potentissimo vaffanculo mentre chiudeva lo sportello.

Si auto insultò appena mise la retromarcia: «Datti un cazzo di contegno. Cazzo!» ripeté, riferendosi al suo organo che speronava sotto le mutande. «Solo una come lei poteva mettersi a pecora sopra a un cazzo di sedile per un tacco! Una fottutissima scarpa...»

Le ruote fischiarono sulla gomma del parcheggio e passò vicino alla Ford con il sedere mezzo scoperto di Fay in primo piano; con quella vista servita su un piatto d'argento suonò il clacson in modo assordante. Fay si alzò di scatto sbattendo il retro della testa contro il tettuccio e imprecò a gran voce. Non fece tempo a uscire e sbraitare che lo scoppiettio dello scarico sportivo, della freccia rossa, tremò come un tuono dietro di lei.

Scorse Jungkook con il finestrino abbassato e una mano stesa lungo lo spazio del quadro, sulla sua stupida faccia da idiota comparve un irritante sorrisino sprezzante: «Bello "scarico", poony», lei corrucciò le sopracciglia confusa.

Fay capì troppo tardi che quel figlio di puttana non si stava riferendo allo scarico della sua Ford 2006, ma al suo culo esposto alle grazie del mondo; divenne rossa di rabbia e imbarazzo, gattonò immediatamente all'indietro per dirgliene quattro e forse rigargli la macchina con la punta delle sue chiavi. «Razza di imbecille!» poi questo partì portandosi via grosse e grasse risate. Lei gli fece il dito medio con entrambe le mani — assolutamente poco professionale — e Jungkook riuscì a leggere solo il suo labiale data la vistosa distanza.

"Fottiti, coglione!"

Scosse la testa soddisfatto e uscì da quel posto sentendo la potenza del vento innaturale dell'isola di Manhattan sul viso, sognò di planare in volo fra le foglie artificiali dei palazzi giunonici, gemellati all'Empire State Building, per sedersi vicino ai gargoyle delle cattedrali cristiane. Proseguì fuori da quel quartiere fino al primo fast food disponibile con un drive-through decente, aspettò con poca pazienza il suo hamburger e una birra fresca. Ma quando la ragazza, dopo avergli consegnato il sacchetto, lo riconobbe immediatamente per poco non cadde all'indietro.

«Oh. Mio. Dio!» balbettò, «Nookie dei LTB!»

Furono parole spese al vento. Il nome di una maledizione e non andava sussurrato sotto la luna bianca prima di mezzanotte. Chiunque avesse osato dirlo e indicarlo sarebbe caduto in una tentazione agonizzante, le persone volevano e pretendevano tanto da lui e sarebbero morte cantando la sua musica trovandosi a mani vuote. Sopra ai loro letti e con gli occhi chiusi a sussurrare preghiere per un miracolo impossibile.

Si lasciò alle spalle quella giovane fan e una volta arrivato nei pressi di South Cove Park spense i fari, si immerse nel buio del fiume Hudson e nei suoi spettri galleggianti. New York a quell'ora era viva. Più viva che mai.

Perché era andato lì? Per pensare? Rimuginare? O semplicemente fumarsi dell'erba dopo tanto tempo?

Si appoggiò sopra al quadro del finestrino e fu stanco di quel silenzio. C'erano solo la luna e il fiume a vegliarlo come un figlio del cielo, ma mai che vi fosse la vita a farlo, colei che gli diede il peccato e il dolore di venire al mondo. In un mondo, ahimè, dove nessuno l'aveva voluto. Né amato.

Accese la sua playlist e abbassò il sedile mentre appicciava la piccola canna corretta. «Una canzone per una serata come questa non c'è?» mormorò tra sé cercando la canzone giusta, «non c'è niente per me?»

Tutto era per te Jungkook.

Il sole.
La luna.
Il fiume.
E la musica.

Se la mise in bocca e il fumo proseguì per la sua strada verticalmente, su e giù, — Dio come gli era mancato tutto questo. Fanculo la guarigione e fanculo il proibizionismo di Kim Seokjin, lui viveva per gli stupefacenti.

Stava bene? Stava realmente bene? Era riuscito a scoprire se quel giorno, fosse stato il primo, il secondo o il terzo di un nuovo mese?

Abbassò il capo all'dietro ruotandolo e flettendo così il suo prorompente pomo d'Adamo, appuntito come una lama, finché la gola non gorgogliò. Sorrise, scoppiò a ridere mentre la testa si annebbiava come l'interno della sua auto immacolata. Le luci, la luna e il cielo divennero viola e rosse, la radio si accese come comandata da uno youkai, dei monti giapponesi, finché le note di Right Here si accesero come scintille.

Fumò e sentì del calore sul torace, una scia di fuoco scese giù fino alla trachea e girò sopra gli spessi addominali e avvampò come un incendio sopra al suo sesso.

Duro e affamato di carne.

Si passò la mano destra tra i capelli, perso tra il passato e il futuro. Rise. Lo fece ancora e la mano scese automatica ad accarezzarsi la pancia e alzò la maglietta fin sopra al capezzolo artigliato dal piercing.

I'm so far from the line, yeah
I'm too deep in my mind, yeah
If she calls, I'll be right there
That's three calls in a night, yeah.

Annuì assieme alla canzone. Aprì gli occhi ed ebbe altre allucinazioni: vide dei piccoli occhi rossi e profondi dallo specchietto, poi divennero scuri e marroni. «Chi sei?» chiese al nulla con una mezza risata, «Principessa delle nevi, sei tu? Mi hai seguito fin qui?» non ottenne risposta.

Era lei, giusto? La poony stronza e bisbetica che trapanava il suo cervello con la sua presenza spocchiosa.

I wasn't that high, I swear

Well girl, what do you think about
Staying right here in bed
I didn't hear a word you said
I wasn't that high, I swear.

La mano scese e oltrepassò quel muro di stoffa e jeans che gli segavano il cazzo in due metà. Si toccò e sospirò accarezzando la sua pelle spessa e arricciata sul glande. «Vuoi continuare a guardarmi? Vattene!»latrò pateticamente strafatto contro se stesso, «Vuoi piantarmi un coltello alla schiena anche tu!? O vuoi che ti mostri che sono tutto fuorché lo scheletro di una rockstar finta fallita?»

Ghignò e resse fra le labbra sottili la canna, si slacciò finalmente i bottoni dei pantaloni e questi vennero calati giù sulle cosce spesse come una statua.

Oh, baby take a look around
I'm the only one that hasn't walked out
I'm right here, here.

Uscì un altro sospiro e maledisse sé stesso per pensare a lei in un momento del genere, ma era strafatto e vedeva occhi vividi e scuri in tutti gli specchi intorno a sé. La mano si strinse attorno alle vene del suo membro, non si rese nemmeno conto di farlo in un posto del genere, all'aperto e con appena dieci gradi fuori dalla macchina. Si diede la giusta pace e continuò a masturbarsi su pensieri distanti e slegati.

You're sitting alone, why are you sitting alone?
Baby just pick up your phone, oh
'Cause I've been rolling all damn night, woah.

Il bacino prese a contrarsi così forte da farlo piangere. Il bicipite andò veloce. Le vene del polso si gonfiarono e la pelle si bagnò del sudore di quel sesso mentale. Perché stava immaginando lei e il suo corpo? Il sedere inarcato sul sedile? Lei mentre lo affrontava ogni volta e la sua lingua tagliente? Perché i suoi muri furono così deboli da permettere alla droga di rendersi umano?

Oh, baby take a look around
I'm the only one that hasn't walked out
I'm right here, here.

Riuscì persino a vederla e si sentì al limite. Supplicò un: «Sei quisenza voce verso gli occhi rossi. E forse, dovuto alla droga, alle allucinazioni e al suo isterismo mentale, sentì finalmente una risposta.

«Si, sono qui»

Aprì gli occhi di scatto e un gemito strozzato, roco e grave, uscì dalla sua gola. Abbassò lo sguardo e vide il suo stesso sperma che colava sul suo corpo e le gocce che scendevano fino agli addominali in contrazione, mentre la mano tremava ancora intorno al suo cazzo per l'orgasmo.

Fu così intenso da sentirsi male.

Riprese a guardarsi allo specchio e gli occhi vividi non c'erano più. Si chiese che cosa fosse appena successo, la droga stava scendendo e la vista sembrava tornare a quella originale con il nero della notte.

Il viola e il rosso se ne andarono.

L'umanità tornò ad abbracciarlo e si mise a piangere frustrato. Riguardò il suo corpo pitturato dai suoi liquidi e si sentì impotente, senza più controllo e, per l'ennesima volta, abbandonato.

Il cielo, la luna e il fiume erano i soli a vegliare su di lui ancora una volta. Provò una sofferenza infinita dopo quel piacere immenso e fissò il manto senza stelle dal basso.

«Davvero tutto questo per me?» chiese piangendo.

Tutto quello che vuoi, figlio del mondo.











🎶Right Here.

Chase Atlantic.


























Buonasera!

Inizierò con il dirvi che questo capitolo è molto psicologico e cercherò di mostrare i vari punti:

-

-Nookie si sveglia. Si sveglia negli incubi e quel giorno sente che qualcosa non va; nell'aria nella sua mente e dentro la doccia. A causa dei medicinali di Seokjin e delle sue indicazioni lui gli ha proibito di bere e fare altro per guarire prima. Jungkook sta avvertendo gli inizi dell'astinenza.

-Abbiamo l'incontro con Jackal: é il primo che ha tatuato Jungkook per la prima volta e lui è lo stesso che ha tatuato la mano santa e demoniaca. Questa mano torna sempre, secondo voi cosa rappresenta?

-Mentre parlano Jungkook si congela quando Jackal menziona la Corea del Sud. Lui odia la sua terra d'origine per un motivo per preciso. La odia al punto che quando sente l'odore della sua pelle i ricordi lo soffocano.

- Lo stato mentale di Jungkook é veramente un caso clinico.

-Che l'intesa sessuale fra Fay e Jungkook abbia inizio! Entrambi sono bacati nel cervello❤️ lmao. Sono come cane e gatto, li amo.

-La scena della macchina: la masturbazione. Continua ad avere grosse allucinazioni e poi perde ogni senso del pudore e continua a pensare a Fay

- Dettaglio importante: il cielo, il fiume e la luna, gli unici che non lo anno abbandonato 💔

Grazie ancora e buona serata!

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