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13) Il mio migliore amico

Una tavola perfetta, dei fiori perfetti e un banchetto sontuoso erano stati preparati nella villa della zia Lucrezia non molto lontana dalla casa in cui abitavamo. Le cameriere e i sommelier che come macchine riguardavano tutti i preparativi affinché venisse un ricevimento altrettanto perfetto. Una magnifica tenuta immersa un giardino altrettanto meraviglioso. Un tempo non molto lontano la zia era stata il sindaco della città e come da tramandata tradizione era lei tutti gli anni ad ospitare i cittadini per il ringraziamento. Mentre per il solstizio d'inverno usava solo invitare i più cari. In questo momento costretta alle apparenze, mi avevano incastrata nei festeggiamenti ed eccomi là a posare fiori qui e lì. E direi menomale che mi erano capitati i fiori e non i pasticcini, perché non avrei sopportato i pettegolezzi delle cuoche neanche se mi avessero voluto pagare.

"Guarda , guarda, chi si rivede"- le parole familiari risuonavano nel salone.

"David , ma dai, come hai fatto a venire"- il mio più caro e vecchio amico per una chissà quale fatalità si era ritrovato a Bibury non sapendo ancora in quale trambusto si era immischiato .

" Questo e altro per te, ci sono sempre quando posso, lo sai"- come me David viveva a Wellington due isolati più avanti del mio, ed era stata la mia spalla ed io la sua al college.

" Ma come sapevi che ero qui?"- chiesi stupita.

" Tua zia, Lucrezia mi ha avvisato che eri a Bibury e così sono passato a vedere cosa stavi combinando"- disse ridendo, io non me l'aspettavo per niente, per l'ennesima volta mia zia mi aveva tolto le parole di bocca. Scesi dalla cassa, con i fiori che mi ritrovavo ovunque e lo abbracciai più forte che potei.

" Se sapevo che ti ero mancato così tanto ,venivo prima"- scherzò sul fatto che non ce la faceva più a respirare per quanto lo ebbi stritolato tra le braccia.

" Ora raccontami di te, voglio sapere se c'è ancora quella scapestrata che ho conosciuto al college e che voleva spaccare il mondo in due"- mi chiese. Lo presi sottobraccio e mi avviai verso il giardino, avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno che conoscessi da tempo, di cui mi potessi fidare. Gli raccontai di come sia finita a dirigere la biblioteca con Dylan, anche se io stavo al bancone e lui tra gli scaffali e che in realtà ci incrociavamo poco. Nonostante tutto gli raccontai anche di quanto mi piaceva vivere nella tranquillità di Bibury che era piena di enormi distese spumeggianti di verde, anche se ultimamente non era poi più così tranquilla. Passeggiando tra i viali di quel giardino, notai come fosse diventato ancora più bello di come me lo ricordavo. David era molto interessato a tutto ciò che gli dicevo, era sempre stato un tipo affascinante, il ragazzo perfetto che volevano tutte e impossibile. Io e lui eravamo come fratelli, ci vedevamo con occhi pieni di fiducia e complicità l'uno nell'altra ed entrambi, sempre, ci consideravamo amici per la pelle.

"David per quanto mi faccia enormemente piacere averti qui, non so se hai fatto bene a venire proprio in questo momento"- dissi preoccupata.

" Lo so che voci girano, ma non preoccuparti noi gentiluomini sappiamo difendere le giovani donzelle in pericolo"- rispose ironicamente facendo la voce grossa e modificandone il tono, si atteggiava come fosse un vero cavaliere alzando con un movimento della mano la sua giacca blu, nel contempo prese una margherita nel muschio di fianco e me la porse come un vero principe. Era questa la cosa che più mi piaceva di David, la sua imbarazzante ironia, che ogni volta funzionava bene. Si avvicinò e mi fece accorgere che c'era qualcuno dietro di noi che ci fissava, mi girai e incontrai gli occhi di Dylan che incrociavano i miei. Mi sembrò quasi un momento di sospensione, quasi in attesa, quando ci si guardava a vicenda e non si pronunciavano parole che in quella circostanza avrebbero potuto intromettersi ed essere di troppo.

" Page chi è quello"- mi domandava David.

" È Dylan, il nipote di mia zia Lucrezia nonché il coinquilino della biblioteca"- dissi distogliendo lo sguardo dall'altra parte e rispondendo a voce bassa. Intenzionata a riprendere la nostra passeggiata mi diressi in avanti con passi svelti.

" A me è sembrato di più di un aiutante da come vi guardate"- disse David che mi raggiunse velocemente e sottovoce quasi sussurrando mi fece saltare tutti i nervi ad uno ad uno per il nervoso, che quella frase aveva scatenato in me.

" Ma che dici David, sei impazzito? Guardi troppi film..."- il mio tono di voce si fece ghiacciato.

" In questo momento guardo le tue guance tutte rosse e dico che i film sono giusti"- il sole mi accecava impedendomi di vedere bene David che si burlava di me.

" Solo perché fa molto caldo qui fuori"- risposi testardamente.

" Come vuoi tu misses Page"- rispose e intravidi il mezzo sorrisetto sotto la barba ispida e nera. Il suo carattere perspicace poteva essere un'arma a doppio taglio ma la sua schiettezza lo contraddistingueva da chi pensava una cosa e ne diceva un'altra. Ancora una volta fortuitamente mi girai indietro e vidi che Dylan si faceva strada nel salone rientrando in casa. Se dicessi a David che, io e miss Conte stavamo collaborando all'insaputa di tutti per scoprire il killer, probabilmente avrebbe voluto far parte anche lui di questa imboscata. Ma lo conoscevo fin troppo bene da credere che l'avrebbe presa anche meno sul serio di Dylan, come se fosse stato un gioco contro gli agenti di questa città a chi lo trovava prima. Eravamo in due ed eravamo già troppi, avevo coinvolto Dylan e ora non potevo coinvolgere anche David perché se tutta quella storia sarebbe finita male mi sarei rimproverata di tutto. Al di là della curiosità, al di là dell'euforia pensavo che Dylan avesse partecipato più per ego personale che per altro. Voleva tanto dimostrare il suo saper dimesticarsi dalle situazioni che si era fatto prendere dalla foga del momento ed ora la stava vivendo proprio come un gioco da spia. L'orologio campanario, imponente e antico, colore verde scuro, in bella vista sul tetto segnava le sette, me ne accorsi solo quando i campanari mi risuonarono insistentemente nelle orecchie. Non ero per nulla pronta per la festa ed ero ancora vestita con gli stessi vestiti da tutto il giorno, la coda bassa che avevo fatto si era afflosciata, il vestito con l'orlo sporco di fango e i fiori impigliati, per non parlare delle mani piene di graffi procuratemi dalle spine, ovviamente tutto merito delle rose che si difendevano bene.

"Vai Cenerentola corri, corri..."- disse David ed eccolo là, il mio migliore amico a cui piaceva tanto farmi arrabbiare.

" David ti aspetto al buffet so che ti piacerà tantissimo la torta di mirtilli"-ribattei, lui la odiava la torta di mirtilli che invece a me piaceva da pazzi e io virtuosamente ogni volta mi divertito a mettergliela sotto il naso per osservare la sua faccia disgustata. Correndo all'indietro lo salutai da lontano e salii le scale più in fretta che potei, andai all'ultimo piano , dove il cameriere si era gentilmente offerto di portare il mio abito. Un'acconciatura alta, il vestito elegante e un prezioso collier avevano dato il loro tocco magico da favola. Di rado indossavo un abbigliamento così particolarmente raffinato. I corsetti stretti fino alla morte soffocanti non facevano per me e tante volte avrei preferito essere qualcuno della servitù che non si conciava in questo patetico modo tutti i giorni. Giù nel cortile erano già arrivati tutti gli invitati, il maggiordomo disperato, che portava regali avanti e indietro, era esausto. Ogni anno, ad ogni ringraziamento, si usava fare un regalo, un dono. Ma a Bibury c'era una tradizione, spiegatami dalla nonna Eleonor, ciò che si regalava non doveva essere qualcosa che si poteva comprare o vendere ma qualcosa di personale, anche qualcosa di rotto, di scheggiato, di usato, non importava cosa fosse, l'importante era questo, solo così poteva essere un regalo speciale. Dylan bussò alla mia porta mentre ancora mi gingillavo tra bracciali e collane varie, gli dissi di aspettare fuori e che sarei stata pronta tra pochi minuti. Ovviamente senza ascoltare minimamente, entrò senza darmi retta.

"Posso?"- mi chiese retoricamente prendendo la collana tra le mani che impacciatamente cercavo di allacciare e mi spostò i capelli da un lato, le mani scivolarono lungo il mio collo e con disinvoltura chiuse la cerniera incastrata. Dopo questo tempo passato assieme avevo capito una cosa su di lui, che sotto la facciata del ragazzo tutto d'un pezzo, serioso e sempre sulle sue, tranne quando faceva le stupide battute inopportune, si nascondeva un animo gentile, sensibile, incapace e timoroso di farsi vedere da occhi altrui, occhi indiscreti e io ero riuscita a penetrare in quel suo muro chiuso, sbarrato da catene che con la fiducia si erano fatte aprire. Alle sette in punto eravamo tutti giù ad aspettare che il sindaco facesse il suo discorso di benvenuto così che potesse avviarsi il banchetto preparato da ore. Mi ero gentilmente offerta sotto richiesta dell'organizzatrice dell'evento, mia zia Rosaline, di dispensare il programma della serata. Il ringraziamento sarebbe iniziato prima di tutto con il discorso , che avrebbe aperto le danze e poi il buffet, a seguire una famigerata esposizione dei più bei quadri dell'anno ed infine i giochi acquatici, luminosi e colorati avrebbero chiuso la serata sotto le stelle immense. Il sindaco finalmente arrivò, basso e con la pancia grossa, mostrava le sue scarpe color nero lucido salendo il palco e raggiungendo il microfono, lo afferrò, facendo prima una prova volume. Le persone cercavano nel frattempo un posto a sedere di qua e di là e si facevano spazio tra i preparativi, i tavoli e le sedie.

"Vorrei tanto scommettere che non dirà le stesse parole che fa ad ogni dibattito dagli ultimi tempi a questa parte ma proprio non mi riesce"- con umorismo David si faceva beffe di quell'uomo, prendendo l'altra metà dei mie cartoncini e aiutandomi a dispenderli in sala.

" Ne ho ascoltato solo qualcuno ma a quanto pare i discorsi non sono il suo forte"- risposi sorridendo, prendemmo posto in seconda fila ed eccolo là, il nostro illustre promotore iniziò a parlare di quanto sia bello fare progetti e dare iniziative su ristrutturazione di vecchie scuole ma la verità era che non si era interessato neanche per idea del caso J.C. ed ora era qui a mostrare tutto il suo voler provvedere a noi quando alla prima occasione avrebbe volentieri preso un treno andandosene lontano da qui. Per di più quando ci furono i famigerati omicidi non proferì una sola parola su quanto accaduto proprio perché impaurito che poteva accadergli qualcosa si ritirò nel suo imperturbabile silenzio. Quando le sue quattro parole di giullare terminarono di inondare con falsità quel salone, il violino e Linda, la cantante Jazz di quella sera, davano inizio al loro intrattenimento. L'umore delle persone iniziò a farsi gioioso e spensierato, così anche io mi sentii leggerissima in quella musica ardua da ballare. David mi trascinò in pista , così tra il charleston e i tacchi che risuonavano ballammo più spediti e sincronizzati che mai. La musica cambiò e prese posto una melodia di classe, i cavalieri a turno giravano tra le dame, ed io e David ci salutammo con facce ironicamente infelici. Due passi avanti, una giravolta e quattro indietro erano stati sufficienti per farmi ritrovare faccia a faccia con Dylan.

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