𝑳'𝑼𝒓𝒈𝒆𝒏𝒛𝒂
Baby si sentiva felice come non le capitava da tempo. L'atmosfera nella clinica era cambiata, diventando più leggera, quasi serena, e talvolta persino vivace. Le tensioni che un tempo gravavano sembravano essersi dissolte, sostituite da un'energia nuova, più distesa. Anche Varrick, sempre così chiuso e distante, appariva diverso. Baby non poteva fare a meno di notarlo e di esserne felice.
Come sempre, continuava a occuparsi delle pulizie tra un cliente e l'altro, mantenendo tutto in ordine con la stessa dedizione di sempre, ma con animo più leggero. Ogni tanto, approfittava delle pause per avvicinarsi a Varrick, cercando di strappargli un sorriso, di provocarlo con la sua solita insistenza. Ormai le sue domande—"Mi alleni?", "Diventi il mio allenatore?"—erano diventate quasi un rito, un gioco che si ripeteva tra loro ogni giorno. Anche se Baby parlava con intenzioni serie, sperando davvero di convincerlo, quel piccolo scambio era diventato una consuetudine divertente, un botta e risposta che animava le loro giornate e contribuiva a mantenere alto l'umore.
A differenza del passato, Varrick non reagiva più con freddezza. Non cercava più di tagliare corto o di distanziarsi. Ora, al massimo, sospirava, come se si arrendesse alla sua presenza, oppure le regalava un sorriso, talvolta appena accennato, altre volte più esplicito. Ogni volta che accadeva, Baby si sentiva al settimo cielo, come se fosse riuscita a conquistare un piccolo trofeo nella sfida più importante di tutte: abbattere le barriere di quell'uomo e farsi spazio nel suo mondo.
Non era stato facile, e probabilmente la strada era ancora lunga, ma una cosa era certa: qualcosa in lui stava cambiando. Il modo in cui Baby aveva avuto il coraggio di esporsi, di mostrargli senza paura i suoi sentimenti, il suo punto di vista su di lui, aveva lasciato un segno. Lo aveva scalfito, aveva insinuato una crepa in quella corazza che Varrick aveva costruito attorno a sé.
Baby sapeva di aver risvegliato qualcosa in lui, di aver riportato alla luce quello spirito combattivo che un tempo era appartenuto al Terribile Kang. E sebbene non fosse ancora riuscita a convincerlo del tutto, per il momento, le bastava questo: sentire che, passo dopo passo, stava riuscendo ad avvicinarsi a lui.
Baby si sedette con noncuranza sulla scrivania, dondolando leggermente le gambe mentre osservava l'ennesimo cliente lasciare la clinica. L'aria nella stanza era ancora impregnata dell'odore ferroso del sangue misto all'antisettico, una combinazione ormai familiare. Varrick, in piedi accanto al lavandino, sciacquava via il rosso intenso che macchiava le sue mani cibernetiche, il metallo bagnato che rifletteva la luce fredda dei neon sopra di loro. I suoi movimenti erano come sempre metodici, quasi meccanici.
Baby lo osservava con attenzione, gli occhi accesi di curiosità. "Perché hai scelto di diventare un cyrurgo?" chiese, rompendo il silenzio.
Varrick le lanciò un'occhiata rapida, poi tornò al suo compito senza scomporsi. "Essere un cyberpugile non significa solo saper tirare pugni." Una volta finito di lavarsi via il sangue, si voltò verso di lei, incrociando le braccia sul petto, il suo sguardo ora diretto e intenso. "Studiare gli impianti dei tuoi avversari, conoscerne i limiti strutturali, sapere a quali zone del corpo sono collegati e quali possono essere compromessi se colpiti nel punto giusto...Queste sono informazioni fondamentali per assicurarsi la vittoria. Ti permettono di leggere il nemico, di anticipare le sue mosse e di sfruttarne le debolezze."
Baby seguì il suo sguardo quando scivolò sugli strumenti chirurgici accuratamente disposti sul panno di plastica rossa, stesi con una precisione quasi maniacale sul banco da lavoro. Le pinze, i bisturi, i fili di sutura.
Baby fece un'espressione confusa, le sopracciglia aggrottate. Non capiva dove l'uomo volesse andare a parare, perciò continuò a osservarlo, aspettandosi il seguito del suo discorso.
Varrick rimase in silenzio per qualche istante, come se dovesse raccogliere i pensieri prima di proseguire. Quando parlò di nuovo, la sua voce era più bassa, più controllata. "Dopo essere stato... sconfitto," fece una pausa, impercettibile ma carica di peso, come se quella parola fosse ancora difficile da pronunciare. "Ho semplicemente deciso di applicare le mie conoscenze in un campo dove potessero essere utili. E ho continuato ad approfondirle."
Baby lo fissò, sorpresa, realizzando ora cosa volesse dire. Non si era mai fermata a riflettere su quanto dovesse essere stato metodico e strategico sul ring, al di là della pura forza fisica. "Quindi sapevi analizzare gli impianti dei tuoi avversari? Capire esattamente come funzionavano e quali punti deboli creavano?"
Varrick annuì con naturalezza, senza bisogno di aggiungere altro.
Baby sbatté le palpebre, impressionata. "Non c'è da meravigliarsi che fossi così letale. Non colpivi a caso... sapevi esattamente dove mirare. Colpivi con una precisione—"
"Chirurgica."
Varrick completò la frase per lei, le labbra che si incurvavano in un sorriso che tradiva un accenno di orgoglio.
Baby lo guardò per un momento, assimilando tutto ciò che aveva appena scoperto su di lui. La sua letalità non era solo frutto della potenza, ma di una mente analitica, capace di smontare e comprendere il corpo umano – e le sue vulnerabilità – come un ingegnere faceva con una macchina.
E ora quello stesso uomo, che un tempo usava quelle conoscenze per abbattere i suoi avversari, le usava per rimettere insieme le persone.
Baby lo osservò con crescente curiosità, sentendo che dietro quelle parole c'era una storia molto più complessa di quanto lui lasciasse intendere. Si sistemò meglio sulla scrivania, inclinando la testa di lato. "E dove hai imparato tutte queste cose?" chiese con tono genuinamente interessato.
Varrick rimase, nuovamente, in silenzio per alcuni istanti, come se stesse decidendo quante informazioni concederle. "Il cortile dove mi allenavo apparteneva a un cyrurgo."
Baby spalancò gli occhi per la sorpresa. "Sul serio?" chiese, portandosi una mano alla bocca. Le riviste e telegiornali non lo avevano mai detto.
Lui annuì, con un mezzo sorriso che sembrava quasi divertito dalla sua reazione. "Già. Non era il tipo più socievole del mondo. Anzi, era uno degli uomini più scorbutici che abbia mai conosciuto. Non aveva pazienza, odiava chiunque gli facesse perdere tempo e, col tempo, il suo caratteraccio ha fatto scappare tutti i clienti."
"Eppure ha accettato di ospitarti?" domandò Baby, ancora più incuriosita.
Varrick si strinse nelle spalle. "Più per necessità che per bontà d'animo. Gli faceva comodo avere qualcuno che sistemasse eventuali... ospiti indesiderati," spiegò, distogliendo lo sguardo per alcuni istanti mentre un'ombra di vergogna gli attraversava il volto.
Baby ne comprese subito il senso. Prima delle recenti restrizioni, la periferia era molto più pericolosa, con zone praticamente fuori controllo dove il rischio di incontrare problemi era decisamente più alto.
"Mi lasciava dormire nel magazzino della sua clinica per pochi crybz," continuò Varrick. "Non era certo il posto più accogliente: umido, stipato di vecchie apparecchiature, scartoffie e pezzi di impianti cibernetici smontati. Ma era meglio di niente."
Baby lo ascoltava con attenzione, dipingendo nella sua mente l'immagine di quel passato.
"Quando si stancava di sentirmi allenare," disse poi Varrick, "mi rifilava i suoi libri di cyberchirurgia, sperando che mi tenessero occupato." Fece una pausa e lasciò vagare lo sguardo sugli scaffali della clinica, carichi di manuali e strumenti, come se in qualche modo potesse ancora vederci i libri che aveva sfogliato da ragazzo. "Quei libri mi hanno insegnato molto. Più di quanto lui stesso volesse ammettere. Gli devo tutto quello che so."
Un sorriso gli increspò appena le labbra, ma c'era qualcosa di più profondo nel suo sguardo, un velo di malinconia che Baby non poté fare a meno di notare. "Certo, quell'uomo non mi ha mai lasciato avvicinare al suo tavolo operatorio. Diceva che avevo le mani rozze, pesanti, e che avrei solo combinato dei casini. Era davvero un vecchio bastardo..."
Scosse la testa, come se lo vedesse ancora davanti a sé. Nella sua voce c'era un'ombra di nostalgia.
Baby rimase in silenzio per un attimo, poi chiese con un tono più serio: "Hai detto che il suo caratteraccio ha allontanato tutti i clienti... la sua clinica ha chiuso?"
Varrick annuì. "Sì. È successo quando ormai stavo diventando popolare. Avevo lasciato la clinica, finalmente potevo permettermi un piccolo appartamento in centro. Ero preso dalla mia carriera, dai combattimenti, dagli allenamenti... e, senza rendermene conto, ho smesso di tornare da lui. Non che mi volesse rivedere..."
Abbassò leggermente lo sguardo, come se cercasse di mettere ordine nei suoi pensieri. "Quando ho perso tutto, Fig mi offrì un posto presso uno degli immobili che aveva in vendita, diceva di volermelo dare senza chiedere crybz in cambio, ma non mi sembrava giusto. Perciò, sono tornato alla clinica, sperando di ricominciare la mia nuova vita lì, e quando sono arrivato..."
Si interruppe un istante, poi scosse la testa con un respiro pesante. "L'edificio era completamente abbandonato. Le porte sfondate, le finestre rotte. Polvere ovunque. Gli strumenti erano spariti, il magazzino vuoto. Di lui, nessuna traccia."
Baby lo fissò senza parlare, lasciando che il silenzio riempisse la stanza. Poteva sentire il peso di quel ricordo, l'inquietante sensazione di qualcosa di spezzato, di una storia lasciata incompleta. Sapeva che Varrick non era il tipo da lasciarsi andare a sentimentalismi, ma la sua espressione tradiva più di quanto lui stesso avrebbe ammesso.
"Hai mai provato a cercarlo?" domandò infine, con voce più bassa.
Varrick esitò. "Ci ho pensato. Ma non sapevo nemmeno da dove cominciare. Lui non parlava mai del suo passato, né di dove fosse venuto. Era come se non esistesse altro che la clinica e il suo lavoro. Quando è sparito... è stato come se fosse evaporato nel nulla."
Baby abbassò lo sguardo, riflettendo sulle sue parole. Quella storia le lasciava una strana sensazione addosso, come se un capitolo importante della vita di Varrick fosse rimasto sospeso, in attesa di essere chiuso.
Varrick si avvicinò alla scrivania e, con uno sguardo attento, esaminò il registro cartaceo che giaceva accanto a Baby, forse volendo concludere la conversazione. Lei glielo concesse, sentendosi soddisfatta delle nuove informazioni, e scese dalla scrivania. Si voltò per dare un'occhiata anche lei. "Sembra che tu abbia finito per oggi. Nessun altro appuntamento in vista" osservò, poi, con un sorriso malizioso, gli diede un colpetto affettuoso con il gomito. "Direi che possiamo staccare, allora. Ti andrebbe di guardare un incontro?"
Varrick la guardò con un'espressione che mescolava la serietà con un pizzico di affetto, ma non abbassò la guardia. "Frena, ragazzina. L'orario di lavoro finisce tra due ore. Potremmo avere qualcuno che ha bisogno di essere visitato, anche senza un appuntamento."
Baby sbuffò, lanciando uno sguardo di frustrazione verso di lui. "Oh, dai, non facciamo mai nulla di eccitante! Ogni tanto dobbiamo svagarci un po'! Magari potresti insegnarmi qualche mossa, se non vuoi guardare la televisione!" replicò.
Stava per aggiungere qualcos'altro, quando un rumore improvviso interruppe le sue parole.
Entrambi si voltarono, e Varrick, con un riflesso istintivo, posò una mano sul braccio di Baby, spingendola delicatamente dietro di sé. Non sembrò nemmeno accorgersene. Intanto, i suoi occhiali cibernetici si posarono sulla scena che si stava svolgendo davanti a loro, e il suo volto cambiò all'istante.
La situazione era diventata improvvisamente molto più seria.
Un uomo era irrotto nella stanza, spalancando le porte con un'energia disperata. Il suo volto era incredibilmente pallido. Il suo braccio cibernetico, un intricato intreccio di metallo e circuiti, mostrava evidenti segni di danno. Alcune parti del materiale sembravano danneggiate, con cavi esposti che spuntavano dalla superficie, segno di un colpo violento. Fluido meccanico e scuro, misto a oli, si riversava lungo il braccio, indicando che l'impianto aveva subito un colpo pesante. Con una mano tremante, cercava di tenere la spalla, dove una ferita profonda lo stava facendo soffrire. Nonostante il suo tentativo di fermare l'emorragia, il liquido continuava a sgorgare, mescolandosi ai vestiti macchiati. Le sue gambe cibernetiche tremavano, incapaci di sopportare tutto il peso, ma lui continuava a resistere, il volto teso dalla sofferenza.
Sembrava molto giovane, appena un ragazzo.
"Aiutatemi!" urlò, la sua voce tremante e rotta dal dolore, quasi un sussurro che riusciva a malapena a farsi sentire.
Varrick, senza pensarci due volte, si lanciò verso di lui con una rapidità che solo un professionista poteva avere, facendo ogni movimento con una determinazione fredda e calcolata. Baby, paralizzata dalla scena davanti a lei, rimase immobile, incapace di distogliere lo sguardo dalla gravità della situazione. Non aveva mai visto nulla del genere prima, e il suo cuore batteva forte mentre cercava di comprendere cosa stesse succedendo. Cosa poteva essere successo a quel ragazzo? pensò tra sé, ma la domanda restava senza risposta mentre i suoi occhi rimanevano fissi sul corpo del giovane.
La voce urgente di Varrick la scosse dai suoi pensieri.
"Prendi l'anestetico!"
Baby reagì con un balzo, cercando di riprendersi dalla paralisi del momento. Vedeva Varrick sorreggere l'uomo, che stava per collassare, cercando di stabilizzarlo. "Sì, sì, va bene!" rispose velocemente, correndo verso il banco da lavoro. Aprì i cassetti con mano tremante, afferrando la siringa con l'anestetico che le era stata mostrata molte volte.
Si voltò in fretta e vide Varrick adagiare il giovane sul lettino, cercando di mantenerlo stabile mentre il ragazzo si abbandonava senza forze. Baby lo guardava, il suo cuore che batteva più forte mentre cercava di rimanere calma. "Santo cielo, è davvero tanto sangue..." mormorò tra sé, la sua voce tremante e piena di preoccupazione. Non aveva mai visto così tanto sangue. Nemmeno durante l'intervento chirurgico ne aveva visto così tanto. Ma va detto che i tagli dei chirurghi erano sempre stati precisi e controllati. Quella ferita, invece, sembrava essere stata causata da violenza e rabbia, come se fosse stata inferta con un'accanita furia. Il giovane sembrava una creatura in agonia, e lei non riusciva a distogliere lo sguardo.
Fu allora che, osservando meglio, notò qualcosa che la fece rabbrividire. "Ma questi sono... fori di proiettile..." mormorò, le sue parole tremanti mentre realizzava cosa stesse vedendo. I segni sulla pelle del ragazzo, anche se parzialmente oscurati dal sangue e dal danno, erano inequivocabili. C'erano dei fori di proiettile anche sul braccio cibernetico. Alzò lo sguardo verso Varrick, cercando di capire come reagire.
Lui, però, non sembrava sorpreso, si era solo fatto più serio. Si stava preparando, facendo il giro del lettino per pulirsi le mani cibernetiche e prepararsi all'operazione. La sua calma era rassicurante, ma Baby non riusciva a scrollarsi di dosso l'orrore di ciò che aveva appena scoperto, e lo seguì.
"Sono fori di proiettile quelli!" disse ad alta voce, cercando di far capire più a sé stessa che a Varrick la gravità della situazione. "Gli hanno sparato!" aggiunse, e un'ondata di incredulità e shock la travolse. Non poteva credere che la criminalità l'avesse raggiunta. Fino a quel momento, l'aveva sempre vista da lontano, come se fosse un mondo separato da lei, qualcosa da cui si poteva restare a distanza. Ma ora, quella distanza non esisteva più.
"Sei un'acuta osservatrice," disse Varrick, prima di aggiungere con tono sarcastico: "Benvenuta nel mondo della cyrurgia di periferia".
"Non è divertente!" Baby guardò la vetrata spalancata della stanza, e si portò una mano alla bocca, mordendosi un'unghia. "Oddio, e se lo avessero seguito?" chiese con preoccupazione palpabile nella voce.
Varrick la guardò con occhi severi ma comprensivi, forse avvertendo la paura che la stava pervadendo. "Non è il momento, ho bisogno che ti concentri, vieni qui," disse, la sua voce aveva qualcosa di rassicurante.
Baby lo guardò, confusa e un po' spaventata, ma obbedì. Si avvicinò al lettino dove il ragazzo stava ormai perdendo conoscenza, i suoi occhi spaventati e la mente ancora annebbiata dall'adrenalina.
Varrick le porse dei lacci spessi e resistenti, che sembravano piuttosto pesanti. "Cosa devo fare con questi?" chiese Baby, ancora incredula.
"Legaci il braccio cibernetico," spiegò Varrick con calma, mentre si spostava verso l'altra parte del lettino. La sua voce era composta, ma l'urgenza che traspariva da ogni parola non passava inosservata. "Ci sono dei ganci sotto il materassino. Devi farli agganciare lì. Non possiamo permetterci di aspettare che l'anestetico faccia effetto del tutto, perciò potrebbero esserci degli spasmi muscolari che faranno scattare il braccio, visto che gli impianti partono proprio dalla zona della ferita."
Baby esitò per un attimo, sentendo l'ansia crescere dentro di sé. Ma il ragazzo aveva bisogno di aiuto, e lei non poteva farsi prendere dal panico. Con un respiro profondo, afferrò i lacci e iniziò ad avvolgerli attorno al braccio cibernetico, cercando di mantenere la mano ferma nonostante le sue mani tremassero.
Uno ad uno, agganciò i lacci ai ganci sotto il materassino, facendo attenzione a non muovere troppo il braccio del giovane. Sentiva il respiro affannoso del ragazzo e il suo corpo che tremava, e non poteva fare a meno di chiedersi quanto sarebbe durato quel dolore per lui.
Quando l'ultimo laccio fu fissato, il ragazzo si riscosse dal suo torpore, come se la coscienza gli fosse ritornata, e si aggrappò alla canotta di Varrick. Le sue dita macchiate di sangue tinsero di sfumature più scure la canotta rossa dell'uomo. Baby fece un piccolo sobbalzo, ma Varrick non si mosse, rimase calmo, osservando il ragazzo con attenzione.
"Mi hanno saccheggiato il negozio," disse il giovane, la sua voce rotta dalla sofferenza. "Hanno preso tutto..." Si interruppe un attimo, come per raccogliere le forze, e continuò con fatica, "Hanno sparato senza pensarci. Mio padre... non ce l'ha fatta," la sua voce si incrinò e i suoi occhi si riempirono di lacrime. "È morto sul colpo."
Le parole del ragazzo colpirono Baby come una freccia, e sentì un nodo al cuore. Era difficile immaginare una perdita simile, una vita distrutta così all'improvviso.
Varrick non si scompose. Prese la mano del giovane, stringendola in segno di conforto, senza preoccuparsi del sangue che ora gli macchiava le mani cibernetica. Lo incoraggiò così a rilassarsi, e dopo qualche istante la mano del ragazzo si distese, accettando il gesto. Con delicatezza, Varrick la posò di nuovo sul lettino. "Mi dispiace davvero per tuo padre," disse, con un tono che trasmetteva sincerità e rispetto. Poi, cercando di spostare la sua attenzione su altro, Varrick chiese: "Non ti ho mai visto qui. Dove si trova il tuo negozio?"
Il giovane, ancora affaticato, rispose: "A due isolati da qui, il negozio di alimentari."
Varrick annuì lentamente, riconoscendo il nome. "Il Drugstore Kelley's?" chiese.
Il ragazzo confermò con un cenno del capo, mentre Varrick continuava a esaminare la ferita sulla sua spalla e i danni al braccio cibernetico. "Ho sentito ottime cose al riguardo."
Baby, pur concentrata sulla scena, si rese conto che Varrick stava cercando di distrarre il giovane dalla sua sofferenza, non solo fisica ma anche emotiva. La calma di Varrick era l'unico elemento che sembrava riuscire a dare un po' di pace al ragazzo in quel momento di caos.
Tuttavia, una volta che ebbe preso in mano la situazione, Varrick decise di porre una domanda più pesante. "Chi sono stati?" chiese, con voce profonda e grave.
Il giovane esitò, cercando di trovare le parole. Varrick non lo forzò, ma continuò a guardarlo con attenzione, come per rassicurarlo che poteva parlare senza paura. "Sei al sicuro qui," aggiunse, il tono rassicurante.
Il ragazzo guardò attorno a sé, il suo sguardo si fermò su Baby, che cercava di infondergli un po' di sicurezza con i suoi occhi. Dopo un istante, il giovane sembrò rilassarsi un po', consapevole che si trovava in un posto sicuro. La sua espressione cambiò leggermente, come se avesse capito che, almeno per ora, non avrebbe dovuto temere.
Con uno sforzo visibile, trovò finalmente il coraggio di rispondere:
"I Byte Rats." Le parole gli uscirono a fatica, ma erano chiare.
Appena pronunciato quel nome, il volto di Varrick si fece scuro, come se avesse riconosciuto subito il pericolo che comportava quella banda. Il suo atteggiamento cambiò in un attimo, passando dalla calma a una tensione palpabile.
Baby, visibilmente confusa e preoccupata, si girò verso di lui cercando di capire meglio.
"I Byte Rats? Li conosci?" chiese Baby, la voce piena di incertezze.
Varrick non rispose subito. Scosse lentamente la testa, un'espressione di disapprovazione che si mescolava con la sua smorfia sulle labbra. "Non di persona," rispose infine, mantenendo lo sguardo fisso sul giovane, mentre con un gesto rapido tagliava via i lembi della maglietta sporchi di sangue con gli impianti cibernetici delle mani. "Sono una banda di disperati. Più interessati a rubare crybz e a causare disordini che a fare altro. Non sono certo dei killer..." aggiunse con un'espressione quasi rassegnata. "Non avevano mai ucciso nessuno. Al massimo, picchiavamo qualche malcapitato per divertirsi."
Il giovane, ascoltando le sue parole, scosse la testa. "Non sono più così. Sono cambiati, hanno un nuovo leader" aggiunse, gli occhi che si scurivano al pensiero di quell'uomo.
Varrick continuò a rimuovere eventuali ostacoli dalla ferita, il suo gesto preciso e metodico mentre si preparava a sbrigare un'altra parte del trattamento. Si chinò leggermente verso il ragazzo, mantenendo l'attenzione sul suo corpo. "Che aspetto aveva?" chiese, la voce concentrata ma calma.
Il giovane fece un respiro profondo, come se stesse cercando di ricordare ogni dettaglio. "Era grande," disse, cercando di farsi un'immagine chiara nella mente. "Spalle larghe, capelli rasati... una mascella cibernetica... Ugh!" Si fermò un momento, il viso contratto in un'espressione di dolore. "Ha impianti cibernetici su tutto il corpo, in particolare dal busto in su. Uno di quei tipi... più macchina che uomo."
Varrick riflesse su ciò che aveva appena sentito. "A quanto pare, questo nuovo leader segue tutta un'altra politica quando si tratta di derubare e saccheggiare," mormorò mentre il silenzio si faceva carico di un nuovo senso di gravità.
Baby, d'altra parte, guardava il giovane con crescente preoccupazione, finchè la mano del cyrurgo attirò la sua attenzione, seguita dalla voce ferma: "L'anestetico."
Lei, con un movimento rapido e preciso, glielo porse.
Varrick prese la siringa e, con la stessa precisione di sempre, iniettò il farmaco al giovane, cercando di alleviare almeno un po' del dolore lancinante che il ragazzo stava provando. Ma il suo dolore era evidente. "Cazzo, fa tanto male!" urlò, la sua voce rotta e disperata. Ogni parola sembrava una supplica contro la sofferenza che sembrava non finire mai, mentre la ferita sulla sua spalla continuava a sanguinare copiosamente.
"Andrà tutto bene," disse Varrick, la sua voce calda e rassicurante, ma anche severa. "Adesso dobbiamo operare rapidamente."
Baby annuì, anche se non sapeva se fosse davvero pronta per ciò che avrebbe visto. Osservava Varrick mentre si chinava sul giovane ferito, i suoi movimenti metodici e precisi che trasmettevano una calma silenziosa. Sulle punte dei suoi indici, le stanghette metalliche che ricoprivano le dita si allungarono gradualmente, trasformandosi in punte sottili e affilate, simili a quelle di uno strumento chirurgico avanzato. La luce fredda e sterile della sala operatoria illuminava la scena, creando un'atmosfera di concentrazione e professionalità.
Con estrema attenzione, Varrick utilizzò quelle punte metalliche per allargare le ferite sul corpo del giovane. Il dolore che l'uomo stava provando sembrava attenuarsi poco a poco, poiché l'anestesia cominciava a fare effetto, ma i suoi muscoli, ancora tesi, rilasciavano dei lievi tremori. Il braccio cibernetico danneggiato iniziò a contrarsi involontariamente, mentre le sue gambe, anch'esse cibernetiche, tremavano debolmente.
Varrick, senza distrarsi neanche un istante, si concentrò sulla rimozione del primo proiettile. Ogni movimento che faceva era preciso, calcolato, e il tempo sembrava scorrere più lentamente mentre lavorava. Quando il proiettile fu finalmente estratto, un altro sottile flusso di sangue iniziò a uscire dalla ferita, ma Varrick lo tamponò prontamente. La sua voce, calma e sicura, si levò nell'aria: "I panni puliti." Le parole erano un comando che Baby eseguì senza esitazione.
Si voltò verso il banco da lavoro, dove i panni sterili erano disposti ordinatamente, pronti per l'uso. Ne prese uno, la sua mano che scivolava rapidamente tra gli oggetti come un movimento ormai automatico. Lo passò a Varrick, che lo prese senza interrompere il suo lavoro. Varrick, con estrema destrezza, lo piegò e lo utilizzò per tamponare la ferita, mentre Baby osservava in silenzio. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle sue mani, che si muovevano con una calma e una sicurezza che sembravano essere il risultato di anni di esperienza.
Varrick, senza distogliere lo sguardo dal ferito, fece un cenno con la testa verso il mobiletto degli strumenti. Il suo gesto era rapido, ma deciso. "Secondo cassetto," disse con voce calma ma autoritaria, indicando la posizione degli oggetti di cui aveva bisogno.
Baby annuì senza esitazione. Si girò velocemente verso il cassetto indicato, la sua mano che scivolava tra gli oggetti con sicurezza. Aprì il cassetto e iniziò a cercare tra le boccette di liquido. Alcuni flaconi avevano etichette che Baby non riusciva a decifrare, scritte in una lingua che non riconosceva, e con nomi che le erano completamente sconosciuti. Ogni bottiglia aveva una forma diversa, alcune piccole, altre più grandi, ma tutte sembravano avere un'aura di mistero, come se appartenessero a un mondo medico ben oltre la sua esperienza.
Senza fermarsi a chiedere spiegazioni, Baby prese tutti che le furono chiesti, uno alla volta, allungandoli a Varrick con un gesto rapido ma preciso. Poi seguirono gli strumenti cyrurgici, anche quelli dai nomi e dalle forme strane. Non si preoccupava di chiedere a cosa servissero, né di come avrebbero influito sulla situazione.
Dopo avergli passato il necessario, si diresse verso il banco da lavoro per prendere delle pezze sterili. La sua mano afferrò le pezzette morbide, che aveva già imparato a riconoscere, e le porse a Varrick senza indugi. Mentre le passava, non fece domande. Non c'era spazio per la curiosità in quel momento.
Ogni boccetta o strumento che passava, ogni pezzo di garza che gli porgeva, diventava un atto meccanico, eppure, in qualche modo, più significativo. Non c'erano parole, solo il lavoro che parlava per loro. E mentre Varrick continuava a trattare la ferita del giovane, Baby rimase al suo fianco, pronta ad adattarsi a qualsiasi altro gesto o richiesta che sarebbe seguita, mentre il suo volto rimaneva visibilmente teso.
Varrick le lanciò un'occhiata, e nello scorgere l'espressione che traspariva dal suo viso non riuscì a reprimere uno strano sorriso. "Non volevi qualcosa di eccitante?" le chiese, con tono stuzzicante, come se stesse cercando di alleggerire la tensione della situazione.
Baby lo guardò per un attimo, sorpresa dalla domanda. "Trattare un paziente agonizzante dopo essere stato sparato non è affatto eccitante!" rispose, e Varrick, udito il suo commento, accennò un sorriso che però scomparve rapidamente. Tornò subito serio, concentrandosi sul lavoro.
L'operazione andò avanti per ore. Il paziente giaceva completamente incosciente, il suo corpo immobile sul lettino, mentre Varrick lavorava freneticamente per arginare il danno. L'uomo era impeccabile, come sempre, un vero maestro nel suo campo, ma ogni minuto sembrava un'eternità. Il sudore gli imperlava la fronte, eppure non si fermava mai.
Quando finalmente terminò di ripulire le ferite, si prese un momento per fasciarle con precisione. Poi, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro, ordinò a Baby di liberare il braccio elettronico dai lacci di contenimento. Lei agì subito, rispondendo ai suoi comandi.
Una volta finita la fasciatura, la esortò ad alzarsi, così da lasciargli lo spazio per estrarre il braccio cibernetico. Varrick lo posò delicatamente sul suo banco da lavoro. Con una calma quasi chirurgica, iniziò a smontarlo, maneggiando ogni parte con una precisione meticolosa. Esaminò le componenti danneggiate, sostituendo con cura le parti distrutte e riparando i fori dei proiettili con piccoli strumenti che sembravano troppo minuti per essere efficaci, ma che invece eseguivano il lavoro in modo impeccabile. L'intervento richiese un'ora di lavoro aggiuntiva, durante la quale Varrick si concentrò completamente, senza distrazioni, finché ogni componente non fu al suo posto e il braccio cibernetico sembrò rinascere, come se niente fosse mai accaduto.
Concluso il lavoro, lo riagganciò al giovane, ancora immerso nel sonno dell'anestesia.
Il silenzio che seguì era carico di tensione, con il solo rumore degli strumenti che venivano riposti ordinatamente al loro posto. Varrick si spostò con calma e precisione nella stanza, cominciando a risterilizzare meticolosamente tutto l'equipaggiamento che aveva utilizzato durante l'intervento. Passava le pinze, i bisturi e gli altri oggetti sotto il flusso di un disinfettante, pulendo ogni superficie con una cura quasi rituale. Il suono del liquido che scorreva e il lieve fruscio dei tessuti mentre venivano riposti nei loro contenitori sembravano essere l'unica cosa che riempiva la stanza.
Baby lo osservava di tanto in tanto, seguendo ogni suo movimento con ammirazione. Anche nei gesti più semplici, Varrick sembrava possedere una calma impressionante. Non c'era alcuna incertezza nei suoi occhi o nelle sue mani, solo la certezza di chi aveva già visto tutto e non aveva bisogno di alcuna conferma. Mentre lui lavorava, Baby non poteva fare a meno di pensare a quanto non fosse cambiato dai suoi anni di cyberpugilato. Adottava la stessa precisione e l'approccio analitico che impiegava durante gli scontri. Ora che Baby aveva avuto l'opportunità di comprendere meglio il suo percorso verso la chirurgia, tutto ciò risultava ancora più chiaro.
Quando il giovane iniziò a muovere lentamente le palpebre, come se stesse cercando di tornare dal buio di un lungo sonno, Varrick si avvicinò con la sua consueta calma. Fece il giro del lettino, camminando silenziosamente, e gli porse un bicchiere d'acqua non appena riprese coscienza.
"Come ti senti?" chiese con una voce bassa, misurata. Non c'era alcuna fretta nelle sue parole, solo un'accoglienza rassicurante.
Il giovane, ancora confuso e intontito dal risveglio traumatico, annuì debolmente. Il suo sguardo divenne più lucido con il passare dei secondi, il velo che copriva i suoi occhi lentamente si dissolse. "Meglio," disse infine, con un filo di voce.
Poi, con un sorriso stanco ma genuino, aggiunse: "Grazie." Le sue parole non erano solo un ringraziamento formale, ma un'espressione di profonda gratitudine e riconoscenza, un respiro di sollievo che solo chi ha flirtato con la morte può comprendere davvero.
Baby, che osservava tutto in silenzio, non poté fare a meno di sorridere. Ma quel sorriso non era solo un riflesso di ciò che stava vedendo; era anche un sorriso di ammirazione per Varrick. Sentiva il cuore gonfiarsi di orgoglio. Non riusciva a fare a meno di sentirsi fortunata ad essere al suo fianco, a lavorare sotto la sua guida.
Con una delicatezza che mostrava quanto fosse abituato a gestire situazioni simili, Varrick aiutò il giovane a sollevarsi dal lettino. Il ragazzo, sebbene ancora debole e provato dalla ferita, cercò di mantenere l'equilibrio. Ma la sua postura tradiva il dolore. La ferita lo faceva pendere da un lato, come se una forza invisibile stesse cercando di abbatterlo.
Varrick lo sostenne, mettendo un braccio intorno alla sua vita, senza mai forzarlo, e lo aiutò ad aggrapparsi al materassino per non crollare a terra. Poi, con un passo urgente che Baby riconobbe immediatamente, Varrick si allontanò per prendere il suo cappotto nero appeso all'attaccapanni. Ogni volta che lo indossava, significava che stava per affrontare qualcosa di importante, una chiamata d'emergenza che richiedeva tutta la sua attenzione e determinazione. Quando infine prese le chiavi del furgoncino, Baby sentì un brivido di apprensione crescere dentro di sé. "Dove stai andando?" chiese, non riuscendo a trattenere la domanda. La sua voce tradiva una certa preoccupazione.
Varrick si fermò un attimo. I suoi occhi incontrarono quelli di Baby. "Lo riporto a casa, e poi chiamo le forze dell'ordine," rispose, la sua voce decisa, priva di qualsiasi dubbio. Si avvicinò al ragazzo, aiutandolo ancora una volta a sorreggersi, e insieme si diressero verso la porta sul retro.
Baby sospirò, sapendo che era la cosa giusta da fare, così andò ad aprire la porta. Ma mentre lo faceva, un pensiero la colpì come un lampo. Si fermò di colpo. "Un momento," disse, guardando Varrick con un'espressione preoccupata. "E la clinica? Cosa facciamo?"
"Tu resti qui," rispose Varrick con una fermezza che non ammetteva repliche.
"Cosa? Io?" Baby lo guardò, dubbiosa. Non si sentiva completamente a suo agio con la decisione. "Aspetta, e se arriva qualcuno? Se arriva un altro caso grave?" chiese, un'ombra di incertezza nel suo tono.
Varrick la guardò negli occhi e, con la serietà che lo contraddistingueva, aggiunse: "Digli di aspettare. Se è in fin di vita, fagli un'anestetico. Non preoccuparti, farò presto." La sua sicurezza non lasciava spazio a dubbi.
Nonostante il piccolo nodo di apprensione che le restava nello stomaco, Baby annuì, accettando la sua decisione. Varrick aveva il controllo della situazione, e, in fondo, sapeva che poteva fidarsi di lui.
Fuori, nell'oscurità del vicolo, Baby si avvicinò al furgoncino bianco parcheggiato, il rumore dei suoi passi che rimbombava nel silenzio circostante. Aprì la portiera, rivelando l'interno poco illuminato del veicolo. Varrick era già lì, e insieme aiutarono il giovane a salire, sostenendolo con estrema cautela per non peggiorare le sue condizioni. Ogni movimento era misurato, come se temessero che anche il minimo errore potesse fargli male. Il giovane, visibilmente affaticato e ancora segnato dalla fatica, si sistemò lentamente sul sedile, cercando di appoggiarsi in una posizione più comoda. Nonostante la stanchezza evidente, un'espressione di sollievo attraversò il suo volto, come se la consapevolezza di essere finalmente salvo, anche solo per quel momento, lo stesse facendo respirare più liberamente.
Baby, con un ultimo sguardo carico di preoccupazione, chiuse la portiera con un lieve sbattere. Poi si mise a guardare Varrick mentre faceva il giro del mezzo per sedersi al posto di guida. Baby lo guardò, il cuore che batteva forte.
Lui la salutò con un cenno con la testa, e mise in moto il veicolo.
Baby lo fissò mentre il furgone si allontanava lentamente, sentendo un misto di emozioni che le si intrecciavano dentro. Restò ferma, il cuore ancora in tumulto, mentre rifletteva su quello a cui aveva appena assistito, sperando vivamente che i suoi timori non fossero fondati:
Ovvero, che gli aguzzini avessero seguito il giovane fino alla clinica.
Baby si lasciò andare a un sospiro, gli occhi ancora fissi sul furgoncino mentre spariva tra le strade illuminate della città. Dentro di lei, la preoccupazione non accennava a lasciarla andare, ma non aveva altra scelta che tornare dentro la clinica.
E aspettare.
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