。⋆୨୧˚𝐹𝑟𝑎𝑔𝑖𝑙𝑒 𝑒𝑥𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑐𝑒˚୨୧⋆。
!☆𝐶ℎ𝑎𝑝𝑡𝑒𝑟 𝟷𝟷☆¡
.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧 ❁
Il serpente che si morde la coda e tutto si ripete. Scene già viste una marea di volte, storie che sulla sabbia rimanevano indelebili e un'altra bottiglia di vino senza più il suo tappo.
Il suo contenuto si andava pian piano svuotando.
Tutto già visto, tutto già vissuto eppure sembrava non esserci fine.
Un rivolo di vino gli colava giù dalle labbra.
Beveva con foga, in piedi con la schiena appoggiata al muro, come se non fosse in grado di darsi sostegno da solo, come se avesse fretta di finire e cancellare tutto ciò che gli passava fra la mente. Sperava che quei pensieri avrebbero prima o poi sbagliato strada e che avrebbero smesso di andare da lui, forse non sarebbe mai successo o forse avrebbe solamente dovuto prendere una matita e disegnare qualche percorso nuovo per loro.
Forse sbagliavano solamente strada, assiduamente, come se non ve ne fossero altre.
Poi ogni sogno e ogni incubo smise di esistere, si sbriciolò di fronte ai suoi occhi e la bottiglia gli fu tolta dalla bocca all'improvviso.
Come sangue sparso fra le labbra, ne bramava ancora senza chiedersi cosa ne sarebbe stato dopo e intanto il mondo girava, come trottole instancabili ed il supporto del muro sembrava non essere più abbastanza.
«Che cosa diamine stai ancora facendo?!»
Il tono di voce usato era più alto del solito, non era da lui pensò, chissà cosa aveva visto si chiedeva.
La figura dell'uomo di fronte a lui era sfocata, tutto lo era ma non ne faceva un dramma e non rispose a quella domanda che in realtà non necessitava di una reale risposta.
«Perché cavolo stai ancora bevendo Kaveh?»
Con occhi assenti lo guardava cercando di elaborare la domanda.
Poi rise e non in quella maniera dolce che lo Scriba conosceva.
Rise perché non lo sapeva più. Il perché continuasse a bere se lo era dimenticato in qualche sorso di troppo, così lasciò al divertimento il posto dell'angoscia.
E si lasciò andare. Abbandonò il muro con uno slancio pericoloso, e circondò il collo dell'uomo che aveva di fronte.
«Non lo so» Rispose ridacchiando.
La vita in quel momento non sembrava poi così complicata, quasi leggera come fiori di loto sull'acqua, così iniziò a girare in tondo come a simulare qualche danza strana e Alhaitham si ritrovò nuovamente a sorreggerlo per evitare che cadesse.
L'odore del suo profumo era vacuo, quasi inesistente. Aveva lasciato il posto a quello dell'alcol, di cui si era intriso ogni angolo del suo corpo e Alhaitham sembrava avere in quel momento, una repulsione nei suoi confronti.
«Dai su! Balliamo» Continuò il biondo con quel tono di voce leggero.
«Kaveh adesso basta»
«Eddai non brontolare, perché sei così arrabbiato?»
«Smettila Kaveh sono serio!»
Lo Scriba allontanò il biondo da sé e lo fece riappoggiare alla parete per poterlo vedere in viso, così che l'Architetto potesse fare lo stesso.
L'autodistruzione era un processo che ti faceva odiare da chiunque, persino da te stesso.
Kaveh però non sembrò capire i gesti del suo coinquilino, così smise di sorridere e non disse più niente.
«È per il Palazzo di Alcazarzaray che stai facendo così vero?»
Ed improvvisamente la realtà gli cadde addosso come pioggia acida.
Si era improvvisamente ricordato il motivo per il quale stesse bevendo e odiava averlo fatto, avrebbe voluto che quel sogno fra le nuvole, durasse un po' di più.
Ma forse non era solamente quello. Era partito tutto da lì e poi la tristezza aveva raccolto a sé tutto il resto delle cose spiacevoli, trasformandole in un fiume poi sfociato in un lago.
«Perché parlarne ora? Non è poi così importante»
«Se pensi che il discorso finirà qui ti sbagli di grosso. Ne parleremo oggi, domani e dopodomani ancora, fin quando il concetto non entrerà in quella testa vuota che ti ritrovi, perché non puoi continuare ad andare avanti così ed io non posso continuare a stare appresso a te!»
Kaveh abbassò la testa, che pesante non si reggeva in piedi, poi raccolse un po' di frustrazione da dentro il suo petto.
«Allora vattene via, non ho mai chiesto il tuo aiuto»
«Si dia il caso che questa sia casa mia Kaveh»
«Allora me ne vado via io!»
Con una spinta delle mani si allontanò di nuovo dal muro a cui dava le spalle, ma questa volta lo fece per andarsene via. Voltò le spalle allo Scriba, scordandosi di come tutto l'alcol che gli circolava nel sangue, gli avrebbe impedito di camminare senza alcun supporto e così al primo passo fatto, le gambe gli cedettero.
Convinto di cadere al suolo, pensava alla figuraccia che si sarebbe fatto di fronte ad Alhaitham, a cui avrebbe dato poi importanza in un secondo momento, ma due mani gli presero al volo i fianchi e la sua caduta fu un po' meno brusca di quel che si immaginava.
Nel tentativo di prenderlo, Alhaitham cadde con lui e si ritrovarono entrambi sul pavimento freddo del loro alloggio.
Nessuno si mosse e nessuno parlò più.
Alhaitham sospirò e si appoggiò con la schiena alla parete più vicina, gettando la testa all'indietro. Sentiva che poteva esplodergli da un momento all'altro.
«Kaveh non puoi andare avanti così, il continuare a bere non ti aiuterà a scappare dai tuoi problemi»
La capacità di Alhaitham di centrare subito il punto, lo destabilizzava sempre, così il biondo non emise alcun suono. Aveva un così terrore della realtà, che avrebbe trovato la forza di alzarsi, solamente per riprendere la bottiglia lasciata a metà.
«Devi imparare a gestirti Kaveh... A partire dalla tua situazione economica alla tua dipendenza con l'alcol»
"Non sono dipendente"
Provò a rispondergli Kaveh. Aprì la bocca per emettere dei suoni, i primi che gli vennero in mente, ma le parole gli morirono in gola.
Come un cimitero per parole mai pronunciate, lettera dopo lettera, incastrate nel suo esofago, creavano un groppo che gli impediva persino di respirare, ed il suo corpo raggiunse il punto in cui non poteva più sopportare il circolo di quella bevanda di cui abusava.
La nausea lo fece alzare dal pavimento.
Barcollò, mentre usava una mano per reggersi al muro e ne perlustrò scrupolosamente tutto il perimetro, fino a raggiungere il bagno.
Alhaitham sapeva cosa stava andando a fare. Nulla di nuovo ed un'altra volta ancora, tutto sembrò ripetersi. Era una situazione da cui non riuscivano a sfuggire.
Un libro con la stessa vicenda stampata per ogni capitolo.
Sospirò nuovamente. Avrebbe raggiunto il coinquilino più tardi, giusto il tempo di dare cinque secondi di tregua alla sua testa che non ne poteva più. Il silenzio esisteva, ma non nella sua mente tormentata, così si passò le mani sulla faccia, come per tenersi cosciente e si chiese chissà quale ora avessero ormai fatto.
Era veramente necessario tutto quello?
Fatiche incomprese, innecessarie in una vita che di complicato aveva già ogni cosa.
Di animi morti e inconsistenti quel mondo ne aveva già abbastanza, perché volevano anche i loro?
In fondo loro erano due adulti che di adulto non avevano niente. Forse nemmeno l'aspetto, ma solo un numero che indicava da quanti anni esistessero e resistessero in quel posto che si aspettava che sapessero già come funzionasse la vita. Che due 20enni sapessero già come affrontarla. Loro non si sentivano ancora adulti, eppure lo erano.
Poi il pavimento smise di dargli il freddore di cui non necessitava, ed Alhaitham si alzò e raggiunse il bagno dove trovò Kaveh nelle stesse condizioni di sempre.
Seduto tra il gabinetto e il bidet in uno stato che conoscevano entrambi meglio di quanto avrebbero voluto. L'immagine che l'Architetto ci teneva tanto a mantenere in pubblico, gli moriva davanti agli occhi, ogni volta che si ritrovava di fronte alla medesima scena.
Il giovane talento, la stella più luminosa di cui la Kshahrewar andava tanto fiera, che oltre ad essere bravo e con un lavoro importante, era anche di bell'aspetto e che quindi senza il minimo sforzo faceva innamorare tutti di lui e di quell'immagine da principe azzurro che lo avvolgeva, ma alla fine che cos'erano quegli appellativi, quelle parole insignificanti di fronte a quella visione?
Kaveh non aveva niente di un principe azzurro.
Kaveh non combatteva i mostri, in sella ad un cavallo bianco.
Kaveh combatteva se stesso, con le bottiglie di alcol in mano.
Si può dire che gli fungevano da spada.
E scemo chiunque si sarebbe privato di una spada, al cospetto di un mostro.
Senza spada i mostri lo avrebbero divorato.
Ma non capiva ancora che la sua spada era maledetta e tutto ciò che ne rimaneva di lui, era l'immagine di un ragazzo morente sul pavimento di un bagno.
Tormentato da se stesso, dimorava sul suolo, quasi come non esistesse luogo migliore per lui al momento, con la testa pendente all'indietro che batteva contro la parete, i suoi occhi chiusi, desideravano una vita più serena, priva di pentimento per ogni azione che compiesse.
I suoi desideri non erano soliti avverarsi, così non potevano far altro che rimanere tali. Irraggiungibili come le stelle nel cielo e tutto ciò che gli rimaneva fra le mani erano sempre e solo le ceneri di desideri incompiuti.
Era il suo respiro ad occupare il silenzio, i minuti di quella notte angosciosa, così annaspava alla ricerca di aria come se stesse affogando, mentre si riprendeva piano piano, riacquisendo ossigeno per i suoi polmoni.
Alhaitham invece tratteneva il suo. Persino lui che era intonso, faticava a respirare di fronte a quella scena, così, incapace di trovare una soluzione, sostava in piedi sull'uscio della porta del bagno, com'era solito fare.
«Kav-»
«Vattene via, ti prego»
Tra quelle parole non c'era rabbia, ma solo una considerevole quantità di stanchezza e frustrazione. Ci fu una breva pausa in cui Alhaitham tentò nuovamente di spiccare parola, ma Kaveh lo interruppe e riprese con il medesimo tono.
«E smettila di guardami... vattene via soltanto»
Era la paura del giudizio o la vergogna di se stesso che lo spingeva a mandarlo via?
Forse entrambe, forse nessuna delle due. Forse era presente in lui una così consistente voglia di annegare tra le piastrelle di quel bagno, che voleva farlo in intimità, senza spettatori, senza qualcuno in grado di giudicarlo.
Alhaitham a quel punto sospirò ed interruppe la monotonia.
Un po' perché non aveva più sonno e un po' perché non ne poteva più, così si abbassò e mantenendo le distanze, si sedette sull'uscio della porta, poggiandosi con la schiena sullo stipite di essa.
Stese una gamba, l'altra la tenne piegata a sé, mentre la sua visuale gli permetteva di vedere solamente lo stipite opposto.
«Non ti sto più guardando, ora mi lasci parlare?»
Kaveh desiderava la solitudine, ma nemmeno quella sembrava essergli concessa. Raccolse l'aria nei suoi polmoni, poi buttò tutto fuori e non disse niente. Sapeva che se Alhaitham era arrivato addirittura al punto da sedersi sul pavimento, non se ne sarebbe più andato da lì.
Lo Scriba si fece bastare quel silenzio come risposta.
«Non starò qui a farti la predica... otterrei solamente il risultato opposto con te. Ti dico soltanto che tendenzialmente le persone iniziano a smettere quando toccano il fondo, ma sempre tendenzialmente quando lo raggiungono, è ormai troppo tardi per fare qualsiasi cosa»
Kaveh si avvalse del silenzio. Qualsiasi parola avesse scelto sarebbe stata inutile, così risparmiò fiato.
«Non raggiungere il fondo Kaveh»
L'Architetto sospirò di nuovo e intanto sperava silenziosamente, che una voragine si fosse aperta sotto il suo peso, risucchiandolo per sempre al suo interno.
Non voleva affrontare quei discorsi, non sapeva se sarebbe stato in grado di reggerli.
«E tu non pensare minimamente di organizzare tutto quello stupido evento al Palazzo di Alcazarzaray...»
«Lo sapevo che era per quello-»
Alhaitham si girò di scatto verso Kaveh, come per avere una conferma dalle sue espressioni, ma il biondo si girò a sua volta e distolse lo sguardo dallo Scriba, posto ancora all'ingresso del bagno.
Poi il più giovane tornò a guardare lo stipite, accortosi dell'errore e sospirò.
«Ti rammento che io ho solo detto che ci avrei pensato, non che l'avrei organizzato lì per certo»
«Non raccontarmi balle! Lo so per certo che stavi già pensando a come organizzare lì, tutte le cose! Perché se fossi stato in te, anche io lo avrei fatto! Persino io avrei lo avrei scelto... Il Palazzo di Alcazarzaray è semplicemente il luogo perfetto sotto ogni punto di vista...»
Kaveh poggiò un braccio sulla gamba che si teneva vicina e su di esso fece cadere la testa, che iniziò a guardare frustrata il pavimento su cui sedeva. Alhaitham sospirò nuovamente e Kaveh sognava la voragine divorarlo.
«È un luogo molto spazioso, vasto, circondato dalla natura, in grado di ospitare molte persone, degno di importanza e come simbolo artistico mi sembra più che valido...»
«C'è anche un altro motivo per la quale pensavo di farlo lì...»
Alhaitham si girò ancora un volta verso di Kaveh, che studiava, perso chissà dove, le piastrelle del pavimento.
«Se posso convincere Dori, a prestarci la sua proprietà per l'evento, posso anche convincerla a usare una parte dei ricavi, come saldo del tuo debito Kaveh»
Al biondo morì il fiato in gola e alzò lo sguardo verso il coinquilino, che lo stava già osservando.
Il respiro corto e i loro occhi che si guardavano senza sapere bene cosa cercare. Che si fosse trattato di certezze, o di speranze non lo sapevano nemmeno loro, sarebbe bastato qualche segnale positivo in quella vita per cui il tormento si dilettava tanto.
Nella sua testa, Kaveh sapeva che una proposta del genere sarebbe stata assurda, più facile a dirsi che a farsi. Dori non avrebbe mai accettato un patto in cui ne sarebbe uscita sconfitta... Era chiaro ed evidente che non sarebbe mai successo ciò che gli era stato appena proposto.
Ma se da un lato c'era il suo pessimismo a parlare, dall'altro c'era la fiducia che non avrebbe mai ammesso di provare, per Alhaitham. Sapeva che quell'uomo era capace di fare qualsiasi cosa se solo lo voleva. Sapeva che niente poteva mettersi fra lui e i suoi assurdi piani e sapeva che Alhaitham poteva davvero farcela.
E in tanto lui non riusciva a trovare le parole giuste da dire allo Scriba, forse perché di parole giuste da dire non c'è n'erano o forse non servivano nemmeno per due come loro, che di parole ne sprecavano troppe per dirsene molte di poco conto, così, quando era il momento di quelle importanti, rimanevano a corto di fiato.
Con frasi spezzate e parole inadatte da non poter pronunciare.
C'era un libro che diceva "Quando sei perso nel buio, cerca la luce" e quando Kaveh l'aveva letta, gli sembra l'ennesima di quelle belle frasi da sottolineare, una di quelle che si vedono solo nei libri, in situazioni adatte solo essi, ma d'improvviso la vide anche lui la luce nel buio quella notte. La vide davvero come un faro nel mare, che assumeva le sembianze della mano di Alhaitham che gli stava porgendo in quel momento e che sembrava davvero in attesa di essere afferrata.
Alhaitham si era alzato dal pavimento e ora sostava di fronte a lui con una mano che sembrava avere tutta l'intenzione di aiutarlo.
Kaveh in quel momento avrebbe voluto dire tante di quelle cose, talmente tante da scordarsele tutte, da non sapere cosa dire, così continuò a non dire niente e con gli occhi più luminosi e la fiducia tra le labbra schiuse, come se trattenesse il respiro, afferrò la mano di Alhaitham, che con un gesto deciso lo aiutò a mettersi in piedi tirandolo verso se.
Parve di nuovo la sera di quel giorno. Parve di nuovo la notte precedente, solo che questa volta era stato Alhaitham ad agire, facendo posare la fronte di Kaveh sulla sua spalla e la mano che gli rimaneva libera finì tra i capelli biondi di quel ragazzo incasinato.
Kaveh sapeva che quelle parole non erano certezze assolute o verità universali. Sapeva che non avrebbe dovuto illudersi, non fare il passo più lungo della gamba, ma non poteva farne a meno, era così famelico di belle prospettive a cui la sua testa non si apriva mai, che spalancava le finestre del suo cuore lasciando che la speranza prevalesse una volta tanto.
E si lasciò sprofondare nell'animo dell'uomo che proclamava tanto di odiare. Lasciò che le sue braccia lo nascondessero dal mondo, mentre lui gli raccontava un po' di quelle bugie di cui aveva bisogno, da cui si sarebbe lasciato abbindolare. Così si intossicò del suo odore, del suo calore e delle sue mani fra i suoi capelli biondi, di tutte quelle cose che solitamente non gli erano concesse, in quel bagno da cui non erano mai usciti.
In bilico, permettevano alle loro identità di fuggire via, perdersi tra i percorsi che delimitavano le loro braccia e i loro corpi stretti l'uno all'altro, mentre cercavano di lasciarsi il peggio alle spalle, e di imparare a convivere con sé stessi e con quel loro mondo tanto incasinato, più di quanto in realtà non fosse. La pausa da una lotta, la tregua da una vita che non poteva interrompersi.
Poi Alhaitham lasciò a Kaveh il bagno e con esso il tempo di sistemarsi e riprendersi un po' da quelle che erano le sue brutte abitudini, mentre la sua mente si lasciava travolgere dalla corrente dei suoi pensieri, che fluivano perpetui grazie all'assenza di rumori distrattori.
Una volta finito raggiunse l'uomo che lo attendeva nella propria stanza, sul letto e nella medesima posizione di sempre. Con la schiena posta al muro ed un libro tra le mani che probabilmente non stava realmente leggendo, ingannava l'attesa e la sua mente stressata che non sembrava più capace di riposare.
Si affiancò a lui. Kaveh si sedette al suo fianco, con lo sguardo scrutatore per quelle lenzuola che non gli interessavano davvero, privato ancora del coraggio di parlare e di guardare Alhaitham in faccia.
E fece trascorrere un paio di minuti in questa maniera, poi cedette e lasciò cadere la sua testa sulla spalla dello Scriba, che continuava a fingere interesse per un libro che forse aveva già persino letto.
«Dimmi di andarmene e di lasciarti riposare in santa pace»
Erano parole che sapevano di colluttorio e vaque tracce di abitudini errate, quelle che Kaveh pronunciò tra le mura di una stanza non sua, attribuendo a quella vicinanza un po' di senso di colpa, come un innesco, una conseguenza alle sue azioni, a cui fino a quel momento non aveva badato.
«Vuoi che lo faccia?»
«No»
Voleva rimanere lì, affamato di quell'affetto in affitto che ogni tanto riceveva, da cui imparava a dipendere nei momenti più strazianti, quelli da cui non si vedeva alcuna luce.
«Però dovresti farlo. Domani devi anche andare a lavoro»
«Non importa più, ora pensa a dormire»
Kaveh non seppe cosa aggiungere, così tacque e chiuse gli occhi. Il sonno avrebbe dovuto prenderlo e trascinarlo nel suo mondo, permettergli di concludere quella giornata, ma così non fece. Decise piuttosto di ignorare lui e il suo coinquilino, che attendevano invano il momento in cui si sarebbero addormentati.
«Comunque so che quello che mi hai detto non accadrà sul serio... Ma era una bugia a fin di bene, quindi te la faccio passare»
«Non era una bugia la mia»
Kaveh non dubitava di Alhaitham, era degli altri che dubitava, per questo cercava di non illudersi, perché se lo avesse permesso si sarebbe fatto solamente più male del dovuto.
Però non poté far a meno di alzare lo sguardo in sua direzione. Alhaitham parlò con la sicurezza tra le parole, come sempre faceva, ma quella sera sembrava avere un impatto diverso dal solito.
La speranza che tanto temeva Kaveh, si impossessò dei suoi occhi stanchi che cercavano la certezza che Alhaitham affermava nelle sue parole, anche all'interno del suo sguardo.
«Dovresti averlo ormai capito che quando decido di fare qualcosa è perché sono perfettamente in grado di farla, in un modo o in un altro»
Kaveh aveva bisogno di certezze, di speranze, di cose positive a cui aggrapparsi e Alhaitham gliele stava dando tutte. Forse non se ne rendeva nemmeno conto, ma la sua sicurezza aveva prevalso sui suoi dubbi eterni.
Così lui sorrise e chiuse gli occhi, questa volta cercando davvero il sonno sulla spalla dello Scriba, mentre la sua mente ricordava le parole che quella stessa sera gli erano state dette nel retro di un locale.
Nel suo cuore iniziò a vivere la loro dolcezza, il loro impatto e il fatto che fossero uscite proprio dalla bocca di Alhaitham e Kaveh si ritrovò a pensare a quanto tutto sommato fosse fortunato ad avere lo Scriba al proprio fianco.
E prima di addormentarsi riuscì a sentire soltanto una mano poggiarsi sulla sua testa.
Doveva soltanto ricordarsi di cercare la gentilezza nelle piccole cose.
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