Scritti nelle stelle
"Perchè non sei tornata? Perchè non hai fatto nulla per noi?"
Era ormai calata la notte quando tutti si erano asciugati e ripresi almeno un minimo dall'accaduto.
C'erano poche persone ancora sveglie, erano tutti in una grotta dell'isola a dormire, dopo la stancante giornata.
Jacob stava quasi urlando, mentre Queenie lo pregava di sentir ragione.
"Pensavo di potermi fidare di te, invece fosse stato per te io adesso sarei sul fondo dell'Oceano, ti rendi conto Queenie?"
"Jacob, io..."
"Non iniziare con il discorso sul fatto che voi non potete usare la magia davanti a noi. Tu ti sei smaterializzata qua, io allora cosa sono per te?"
Pronunciò quel voi con un tale disprezzo che la donna riprese a piangere.
È più facile leggere chi soffre.
La mente di Jacob era più aperta che mai, ma Queenie non riuscì a leggere nemmeno uno stralcio di quello che gli passava per la testa.
Jacob era fuori di sè: urlava e, di tanto, indicava con una smorfia la bacchetta nella mano di Queenie.
Queenie stava piangendo a dirotto, voleva spiegare a Jacob quanto fosse pericoloso smaterializzarsi in mezzo al mare o lanciare incantesimi, con la possibilità di peggiorare la situazione.
Si sentiva, però, terribilmente egoista, così si tenne tutto dentro.
Dopo qualche minuto passato ad urlarsi contro Jacob prese la bacchetta di Queenie, la lanciò a terra e se ne andò nella grotta.
Queenie non volle seguirlo: si sfilò le scarpe e si sedette in riva al mare, noncurante di sporcarsi la gonna.
Bagnò il piedi nell'acqua, mentre qualche piccola onda le accarezzava i polpacci.
Ricominciò a piangere: era distrutta.
Non si aspettava quella reazione da parte di Jacob e, soprattutto, non pensava di essere talmente vulnerabile al punto di non riuscire a dire a Jacob come funzionava il loro mondo.
Si stava toccando i capelli: era il suo modo per calmarsi.
Pensò al bambino che stava crescendo dentro di lei, il figlio di Jacob, toccandosi la pancia. Lui lo sapeva, ma in quel momento era talmente arrabbiato con Queenie che non ci aveva pensato. Lui credeva che a lei non importasse se fosse morto nel naufragio.
Non si sa perchè, dopo una litigata, le coppie pensino sempre alle cose belle fatte insieme.
Per Queenie e Jacob non era così: uno pensava a quanto fosse ingiusto che lei non capisse cosa avesse fatto; l'altra pensava a quanto fosse ingiusto che lui non capisse quando lei avesse voluto fare qualcosa.
Jacob era steso nella caverna, vicino ad un tale Christopher Claythorne.
Non accennava a chiudere occhio. Era ancora tanto arrabbiato con Queenie.
"Tu non hai nessuno con te?"
Chiese Christopher a Jacob.
"Io ero tra voi, mentre cercavamo il capitano. A proposito, l'hai più visto?"
Jacob si girò lentamente verso il suo interlocutore. Pensava che stesse dormendo.
"No, io non l'ho più visto. Mi sa che è andato giù, insieme alla nave."
"Già, povero Anderson. Comunque non hai risposto alla mia domanda, Jacob."
Jacob sospirò.
"No, non sono solo. Io e mia moglie abbiamo litigato, penso che ora lei sia sulla spiaggia."
"E dov'era mentre tu eri sulla nave?"
Jacob sbiancò. Si diede mentalmente dello stupido. Di certo non poteva dirgli la verità.
"In verità non lo so."
Si poteva notare dai suoi occhi che stesse mentendo, ma in quel momento il buio era a suo favore.
"Ed ora? Perché lei non è qua?"
Non rispose. Non se la sentiva.
"Amico, io non so cosa tu le abbia fatto, però io dico che la ami. Vai a parlarle."
Lui squadrò Christopher, accigliato. Non voleva di nuovo scontrarsi con Queenie, non voleva perderla. I suoi pensieri volarono anche al suo bambino. No, non poteva perderli. Erano le persone più importanti della sua vita.
Si rese conto solo in quel momento dei suoi pensieri: non voleva perderla.
Si alzò di scatto, facendo quasi spaventare il povero Christopher. Gli diede una pacca sulla spalla.
"Grazie, amico."
Queenie stava guardando il cielo stellato: a New York non aveva mai visto una cosa del genere. Era proprio vero che sulle isole il cielo notturno è fantastico.
"Come si chiamano quegli animali che fate uscire dalla bacchetta? Patronus, giusto?"
Queenie si girò improvvisamente, con ancora il volto bagnato.
Si sorprese nel vedere Jacob in piedi, dietro di lei, con un caldo sorriso.
"Sì.", gli rispose lei, senza nascondere un leggero sorriso e anche un'aria interrogativa.
Lui le sorrise ancora. Si sfilò le scarpe e si sedette accanto a lei.
"La vedi quella?", le disse, indicando un punto imprecisato nel cielo.
"Quale?", rispose lei, accennando una risata.
"Questa qui, la vedi? Poco più su dell'albero, quella più luminosa.", continuò, tenendo sempre l'indice puntato.
Queenie fece un segno affermativo con il capo, asciugandosi un'ultima lacrima.
"Quella è Anser,", le spiegò lui, "è della costellazione della Volpetta. Il tuo Patronus è una volpe, giusto?"
"Sì... Sì, esatto." Queenie non aveva ancora capito dove il marito volesse arrivare.
"Posso vedere il tuo Patronus?", le chiese, cingendole le schiena con un braccio.
La donna si alzò e così fece anche Jacob.
Si guardò intorno, poi sfilò la bacchetta dalla tasca della gonna.
Si aggrappò ad un ricordo felice: il giorno in cui aveva rivisto Jacob e lui si era ricordato di lei.
"Expecto Patronum!".
Dalla bacchetta della strega uscì una volpe che iniziò a volteggiare attorno a loro, poi sulle loro mani per fare infine giravolte in aria, come ad indicare un altro punto nel cielo.
Jacob emise una risata: la volpe stava girando attorno la costellazione del Cane Minore.
Queenie si accorse del sorriso di Jacob e gliene chiese il perchè.
Lui continuò a ridere.
"Quello è il Cane Minore. È quasi impossibile da vedere insieme alla Volpetta.".
Queenie, per l'ennesima volta quella sera, era confusa. Si trattenne dal leggere la mente di Jacob.
"Nel Cane Minore c'è la stella di Willem Jacob Luyten, mentre Anser è nella costellazione della Volpetta.".
Queenie capì solo in quel momento. Chinò il capo, sorridendo.
"Siamo scritti nelle stelle, Queen. Siamo destinati a stare insieme. E ti chiedo scusa per non aver voluto sentir ragione, tu hai fatto tutto quello che potevi. Poi comunque quella corrente ci ha salvati.".
Jacob sorrise, ironico, mentre Queenie abbassò di nuovo la testa, non volendo dire di averla creata lei.
"L'hai fatta tu?!", esclamò Jacob, intuendolo dall'espressione della moglie. Lei accennò un leggerissimo "sì".
Jacob la abbracciò.
"Sei stata fantastica, Queen!".
I due si staccarono e lui prese le mani di lei, come nel giorno del loro matrimonio.
"Sei stata fantastica," ripetè, con l'amore che gli trapelava dagli occhi. Lei lo guardò con la stessa espressione, poi lui continuò, più serio.
"Tu per me sarai sempre fantastica. Sei la mia stella, mi illumini la via. Senza di te sarei perso, Queen. E oggi ho tremendamente sbagliato. So di essere stato ingiusto e me ne pento. Tu ci hai salvato la vita, per Dio! Certe volte credo sul serio di non meritarti. Insomma, una strega con una persona normale, con me. È al limite dell'impossibile, se ci pensi. Però mi hai scelto, ci siamo scelti. E non avrei potuto fare scelta migliore, tu sei tutta la mia vita. Tu e Anser siete la mia vita".
Su questa ultima frase posò la mano sul ventre ancora quasi piatto della donna.
Lei aveva di nuovo le lacrime agli occhi. Non sapeva come rispondere, l'aveva lasciata senza parole. Appoggiò anche lei la mano sul suo ventre, sopra quella di Jacob, dicendo forse la cosa più insolita da dire in quel momento.
"Come fai a dire che è un maschio?", disse, lasciando sgorgare ancora qualche lacrima ma sorridendo.
"Perché no?", rispose lui, sorridendo di rimando e avvicinandosi a lei.
"Allora sai cosa ti dico?".
Jacob scosse lievemente la testa, sorridendo ancora.
"Che io e Anser ti amiamo.".
Dicendo questo, Queenie colmò la distanza che c'era tra loro.
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