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Capitolo Uno

Non c'era nulla di più noioso, stressante e irritante nello stare in mare con nobil uomini che di nobile non avevano proprio niente.

La mia vita era stata scritta fin dalla mia nascita.

Ero figlia di schiavi neri destinata ad e essere a mia volta una schiava.

Se mi fossi comportata bene e avessi tenuto i soldi da parte sarei riuscita in giro di 10 anni a comprare la mia libertà... non c'era nient'altro che volevo per me stessa.

L'ambasciatore Garcia era il mio padrone, era un uomo molto ricco e aveva uno schiavo per quasi ogni mestiere.

La sua signora invece era rimasta in Spagna "questi affari non erano per le donne" e ora capivo bene il perché: C'erano concubine ovunque, concubine che si erano fatte pagare profumatamente per affrontare quel lungo viaggio con loro.

C'erano molti politici, avvocati e uomini di cultura la dentro.
C'era per fino il figlio dell'ambasciatore, Diego, nonché figlio unico.

Non faceva altro che cercare di imitare il padre, provocava le concubine e, alcune volte, dal mio posticino nella stiva, riuscivo a sentire suoni indecenti.

«Juana, portaci da bere, veloce!»L'ordine arrivò direttamente dall'ambasciatore e non potei tirarmi indietro.
Scesi nella stiva nonostante la nave dondolasse molto più del solito, alla ricerca della botte che non voleva stare ferma.

Eravamo in viaggio da quasi tre settimane e la destinazione erano le nuove colonie sud-americane.

Il mare era impetuoso, ma ciò non mi impedì di riempire una caraffa di vino rosso e portarlo di sopra dove canti e balli erano sempre all'ordine del giorno.

Non mancai a servire nessuno, perfino le concubine si prendevano la libertà di trattarmi come se fossi inferiore a loro.

Una mi rovesciò il vino e iniziò a fare una scenata isterica contro di me.
Rimasi in silenzio come sempre, mentre ricevevo la mia solita dose di insulti.

Alcuni avevano visto come era andata davvero ma preferirono non schierarsi dalla mia parte per difendermi, voltarono lo sguardo e fecero i loro comodi.

Non avevo abiti di ricambio, ne avevo uno e dovevo fare attenzione a trattarlo bene.

L'ambasciatore mi guardò con sguardo pieno di disappunto e io cercai di camuffare quella macchia come meglio potevo, non riuscendoci comunque.

Fui cacciata e sbattuta al ponte dove la pioggia battente cadeva.
Rimasi fuori, infreddolita, seduta in un punto in cui l'acqua, pregavo, non mi avrebbe toccata.

La situazione da lì a poco peggiorò drasticamente, il capitano era ubriaco e non si era accorto che eravamo entrati in acque poco sicure.

In un attimo tutti i sostegni della nave si staccarono, le vele si strapparono e la nave diventò incontrollabile.

Due marinai andarono ad avvisare del disatro ma era ormai troppo tardi.
Il capitano aveva tentato inutilmente di cambiare rotta, peggiorando ulteriormente la situazione.
Tutti si reggevano a quello che meglio credevano.

Era l'aprile del 1801.

Sulla nave iniziò una guerra alla sopravvivenza, io cercai di reggermi come meglio potei.

Ma uno dei funzionari del re non la pensava al mio stesso modo.
Era grosso ed imponente e preferiva sacrificarmi e prendersi il mio posto piuttosto che morire o cercarsene un altro.

«LEVATI»Mi spinse in acqua e nin ebbe alcuna riserva a farlo.

Cercai di tenermi a galla e chiedere aiuto, ma inutilmente.

Nessuno si voltò nemmeno una volta e piansi dalla disperazione mentre mi reggevo ad un pezzo di asse che galleggiava.

Cercai in tutti i modi di sorreggermi ma fu inutile, mi stancai velocemente e l'acqua non fece altro che sbandarmi.

Mi arresi al fatto che sarei morta in quel modo.
Iniziai a pregare, pregai di trovare la pace di cui avevo bisogno.

Giorno 1

Mi svegliai su una spiaggia desolata, una spiaggia così bianca da sembrarmi un sogno.

L'acqua del bagnasciuga mi bagnava ogni tanto e mentre cercavo di alzarmi cercai di capire cosa fosse successo.

Dondolai guardandomi attorno, davanti a me c'era solo mare per chilometri e chilometri, dietro una enorme distesa di verde, di palme e di vegetazione.

Tossii un'enorme quantità di acqua, tanto che, per un momento, non sentì più i miei polmoni.

Dondolavo mentre cercavo di camminare come meglio potevo. Il mare portava pezzi di nave di grandezza indifferente, oggetti che ero sicura provenissero dalla nave. Posate in argento, cocci.

Ma fu quando, tra quei innumerevoli detriti, trovai un corpo capovolto in giù e apparentemente senza vita che mi avvicinai.

Mi decisi a girarlo e riconobbi subito quella persona.

Era Diego Garcia, il figlio dell'ambasciatore.

Lui aprì di colpo gli occhi e una volta che lo girai, prese a tossire acqua.

Mi allontanai spaventata, temendo potesse farmi del male.

Lui si guardo in giro, provò ad alzarsi e dopo di che iniziò ad incamminarsi verso chissà dove.

Lo osservai, nascosta dietro un masso, allontanarsi e credere non sarebbe mai tornato.

E invece dopo un po' tornò con la desolazione sul volto.
Si sedette sulla spiaggia, in mezzo a quelle casse e quei pezzi di legno.

Lo vidi piangere e per la prima volta in lui vidi un umano e non uno stronzo.

Scivolai con il ginocchio su una vecchia foglia di palma su qui era posizionato il mio ginocchio e il rumore lo doveva aver spaventato.

«CHI VA LÀ?! »Prese dalla sua tasca un taglierino e io, nonostante volessi tenergli quanto più possibile la distanza, mi avvicinai a lui con le mani alzate. Avevo l'abito malconcio, i miei capelli erano sporchi di sabbia e zoppicavo per una storta che probabilmente mi ero presa scontrandomi contro lo scoglio.

Ero terribilmente spaventata ma quando mi riconobbe, mise giù il taglierino e mi guardo quasi felice, mi sarei permessa di dire.

«Juana... »E mi stupii del fatto che sapesse chi fossi.

Io lo tenni comunque distante, non volevo si avvicinasse a me.

«Statemi lontano... »Sussurrai con una voce strozzata. Ingoiate acqua salata doveva aver diminuito la mia capacità respiratoria e oratoria che già era poca.

«Juana, non sai chi sono? Sono io, Diego... »Lui si avvicinava e io arretravo.

«So bene chi siete»Dissi fredda tenendomelo lontano.

Lui capii che non volevo averci niente a che fare e così smise di avanzare.

«Sono morti tutti Juana... Mio padre è morto»

A quell'annuncio non seppi bene come regire... Mi sentivo sollevata, ma alcun tempo molto triste.

Aveva sempre un occhio nei miei riguardi e mi aveva concesso la possibilità di liberarmi.

Avevo sempre un posto per dormire e sua moglie, nonostante non mangiasse con me, ogni tanto aveva premura di portarmi da mangiare, del buon mangiare, nel maneggio in cui ero collocata.

Sospirai immediatamente e mi sedetti sulla spiaggia guardando l'orizzonte.

«Mi dispiace per vostro padre... Non era un cattivo uomo e non meritava una fine tanto crudele.»Interuppi il mio silenzio.

Lui, che non era mai stato particolarmente alto e che teneva sempre i capelli disordinatissimi, si sedette al mio fianco, mantenendo comunque una certa distanza.

«Moriremo»Disse in tono drammatico.

«Voi morirete»Mi permisi di correggerlo.

«Come scusa?»




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