♡. Capitolo 14
[amor che nulla ha dato, amar perdona]
Quando Jimin si offrì gentilmente di accompagnarti a casa, non declinasti certamente il suo invito.
Ti lasciò davanti all'uscio della tua abitazione, in quel buio soffuso che penetrava da quella porta semi aperta, che stavi cercando di varcare: si era avvicinato tremendamente a te, quasi stesse per compiere qualcosa di avventato, qualcosa che aveva scombussolato tragicamente ogni angolo remoto del tuo corpo, rendendoti per la prima volta quasi vulnerabili a quelle sue labbra carnose che puntavano verso di te «Non farlo» lo bloccasti bruscamente, tempestivamente, quasi che il ragazzo all'inizio rimase perplesso. «Jimin, so che intenzioni hai ma non farlo» il ragazzo strabuzzò gli occhi, prima che un fascio d'ira percorse il suo intero corpo «Perché?!» chiese agitato, mentre aveva preso a mordersi il labbro e a toccarsi ripetutamente i capelli, scompigliando la sua folta chioma corvina «Perché non ti porterà a nulla: non innamorarti di me» continuasti fredda e distaccata, entrando nella tua abitazione «Dammi una ragione!» chiese, arrabbiato e furioso. Forse verso sé stesso o forse verso colui che gli aveva inflitto quella pena, ma di certo non era arrabbiato con te: tu non sapevi della sua natura, quindi non avresti potuto rifiutarlo. «Non mi fido facilmente degli altri e ancora dubito di te, in primis» dicesti, questa volta con voce atona, mentre lo fissavi dritto in quei suoi occhi scuri «Seconda cosa, quello di prima era un vivo consiglio...e ti avverto, sta a te farlo: non sono la persona che tu credi che io sia» quelle parole lo lasciarono totalmente spiazzato, che quasi ogni certezza che aveva ritrovato gli cadde addosso. Alla fine avevi detto che il tuo era solo un avvertimento, ma il ragazzo lo aveva preso più come un no categorico, cosa che lo stava rendendo davvero instabile in quel momento; lo salutasti freddamente, prima di entrare in casa tua e chiuderti la porta alle spalle.
Quando tornò a casa era ormai notte fonda e tutto era avvolto nel più totale e spettrale silenzio. Jimin lasciò cadere il suo cappotto a terra, una volta entrato, prima di battere contro il muro che separava il corridoio dalla cucina, creando un forte tonfo, richiamando all'attenzione tutti coloro che dormivano beatamente, o almeno provavano a riposarsi: insomma il sonno non era qualcosa di proprio delle creature infernali. «Park Jimin, dammi una ragione buona per averlo fatto...non mi interessa che tu sia il diavolo o meno ma come-» la voce assonnata di Yoongi venne interrotta da Taehyung, il quale corse verso il ragazzo, che si era rannicchiato a terra «Che hai?! Perché stai così?!» chiese ripetutamente, con un espressione volta alla preoccupazione più totale, mentre cercava di non andare in panico e restare il più lucido possibile. «Tae evita troppe domande consecutive» disse con voce calma Jin, il quale si avvicinò alla figura del ragazzo a terra «É bene se lo facciamo mettere comodo e che lui ci dica come sono andate le cose, senza assillarlo» concluse Namjoon, mentre Hoseok e Jungkook si guardavano chiaramente in pena per il loro amico.
Quando Jimin alzò finalmente lo sguardo, riportando in piedi la sua figura, i suoi occhi erano di un rosso scarlatto, lucenti e puntati su ognuno di loro, mentre ogni suo muscolo sotto il suo vestiario, aveva preso a contrarsi, gonfiandosi pian piano, tirando sempre di più il tessuto, rischiando di romperlo; le sue lunghe zanne appuntite facevano capolino da quelle sue labbra rosate e piene. Per la prima volta, dopo decenni, se non secoli, Jimin era tornata alla sua forma ordinaria, con quelle sue corna che piano piano uscivano, facendo capolino dai suoi lunghi capelli neri, lasciando una scia di aura demoniaca dietro di sé, non indifferente «Porca puttana qualcuno cerchi di calmarlo!» urlò Hoseok, mentre tutti gli altri lo guardavano sconcertati «Hyung, non possiamo fare nulla, a parità di forza neanche Jin hyung che è il più grande tra noi, può» disse sconsolato Jungkook, titubando anche della sua stessa posizione nello spazio «No, però possiamo sempre farlo raggionare» disse la voce assonnata della ragazza, la quale li guardava un po' confusa. Jimin stesso sembrò fermarsi per un attimo, puntando alla sua figura: in fondo l'aveva vista spesso parlare con la ragazza, quindi poteva anche sapere qualcosa.
«Non guardarlo! Sai che il suo sguardo è mortale» «Ricordi che sono già morta vero, Jin?» il ragazzo si morse il labbro, prima di essere seguito da una risatine generale di gruppo. «Ora venendo a fatti seri, sappiamo tutti dov'era e con chi era Jimin questa sera no?» «Beh era uscito con (T/N)» continuò Jungkook «Ok, bene e sappiamo tutti che quando si arrabbia così è perché qualcosa non gli va a genio» sostené la ragazza, prima che Yoongi prendesse la parola «Lui odia essere rifiutato» aggiunse, sospirando, mentre osservava il ragazzo: per la prima volta Jimin si sentì compreso davanti a loro e fu proprio quello che piano piano frenò il suo istinto rabbioso che lo avrebbe divorato.
«Ora Jimin ti chiediamo, se vuoi dircelo: cosa è successo e perché ci hai svegliati tutti in questo modo?» continuò il discorso sempre il ragazzo mingherlino dalla pelle pallida come la neve «Come avete detto voi, mi ha rifiutato» disse, prima di sedersi comodamente sul divano, come se nulla prima fosse accaduto «E anche se ipoteticamente ti ha rifiutato, ha avuto delle ragioni?» continuò Namjoon «Si, ma non avevano abbastanza senso...» declinò il ragazzo «Piuttosto tu hai chiesto ulteriori spiegazioni, dato che a quanto dici non avevano abbastanza senso?» continuò il maggiore tra tutti «No» rispose freddamente.
«Beh vedi Jimin» riprese la ragazza «Probabilmente se le avessi chiesto spiegazioni, forse ora non saresti qui, ridotto in questo modo...capisci? Insomma tutti noi abbiamo lati di noi, o cose che ci danno fastidio o di cui abbiamo paura e la cosa migliore da fare, se tieni veramente a quella persona, è farsi spiegare ogni cosa, se essa è disposta e, aiutarla. Non sono la persona migliore del mondo e l'ultima che forse ti può dire tutto ciò... però se hai l'opportunità parlarle. Anzi senza opportunità: sii uomo e vai da lei, parlate e confrontatevi. Alla fine c'è sempre una soluzione a tutto» concluse il suo discorso «Non puoi scattare così, quando la questione è ancora rimasta inconclusa» terminò definitivamente Taehyung, tirando un sospiro di sollievo: almeno il peggio era stato scongiurato.
Mentre tutti gli altri tornarono al loro dolce coricarsi, il diavolo rimase lì in silenzio, senza dare alcuna risposta precisa, rimanendo a contemplare quelle parole e a trovare il modo più diretto e giusto per poter parlare con te e risolvere al più presto quella questione: anche se tu glielo avevi fortemente sconsigliato, lui era deciso a farlo.
Passarono circa 4 giorni da quando tutto quello era successo e in ufficio non avevi avuto traccia di Jimin, che a quanto pare non solo ora si divertiva a sparire, ma anche ad evitarti, dato che quando chiedevi al tuo capo reparto notizie, rimaneva sempre piuttosto sbrigativo e vago. Così, non appena rincasasti, più adirata che mai, salutasti a mezza bocca le tue amiche, andando direttamente in camera; le due, che ormai ti conoscevano da anni, sapevano che in quei momenti dovevano lasciarti i tuoi spazi e che forse quello non era il momento migliore di parlare d'altro.
Ti eri buttata sul tuo letto, prendendo un vecchio libro e iniziando a sfogliare quelle pagine, perdendo, come era tuo solito fare, la concezione del tempo e dello spazio intorno a te, tanto da non accorgerti che qualcuno aveva appena suonato alla porta della tua abitazione. «Si chi è?» chiese Dafne, mentre la figura di Jimin si mostrò ai suoi occhi «Chi è questo manzone?!» chiese Veronica, correndo verso di lei, mentre il ragazzo, vestito sempre in maniera impeccabile, si accostò a sorridere «Io sono il capo di (T/N) per caso è in casa?» chiese con garbo, prima di fare un piccolo inchino, cosa che lasciò le due non solo perplesse, ma anche totalmente scosse. «S-si» rispose la bionda, facendogli cenno di accomodarsi, mentre la mora aveva iniziato a fissarlo, quasi non riuscisse a togliergli gli occhi di dosso per quanto fosse affascinante. Forse era stato un errore farlo entrare ma loro non avevano potuto resistere e forse, Jimin aveva giocato un po' sporco.
Si apprestò a togliersi il cappotto di uno strano verde scuro, prima di abbassarsi e togliersi le scarpe, infilando le pantofole ordinarie che si trovavano davanti ad ogni entrata delle case tipiche coreane «Scusare se sono scortese, ma non mi sono presentato: sono Park Jimin» le due scattarono sull'attenti come soldatini, prima di inchinarsi e dire correttamente i loro nomi. Dopo quel breve discorso iniziale, le due indicarono al ragazzo la tua camera raccomandadolo di bussare prima di entrare dato anche la tua eccessiva irrascibilità: il ragazzo si avvicinò con cautela alla tua stanza, prima di bussare, abbastanza forte, rumore che ti riportò alla realtà bruscamente «No, non ho fame Veronica, vai via» dicesti d'istinto, prima che la voce roca e maschile del ragazzo, ti facesse trasalire «Sono Jimin» disse «Posso entrare?» non avevi un minimo di esitazione. Finalmente potevi scontrarti faccia a faccia con quell'uomo meschino, al quale non avevi potuto fare a meno di insultare e di pensare.
Lo lasciasti entrare e notasti come si guardasse intorno, notando come la tua stanza fosse notamente buia, illuminata solo da una piccola luce chiara dell'abat-jour, che utilizzavi solamente in casi come quello, per leggere e scrivere quando avevi la giusta ispirazione o dovevi lavorare. I tuoi occhi (c/o) si posarono sulla sua figura, che rimase in piedi davanti a te; non dicesti nulla, lo guardavi soltanto, uno sguardo tagliente, che lo invitava a parlare, a sputare il rospo, prima che ti avresti potuto farlo a pezzettini.
«Volevo scusarmi con te per essere piombato all'improvviso e per essere sparito nel medesimo modo dopo quella sera» iniziò e quasi quelle sue scuse non sembrarono avere nessuna valenza per te «Sono stato uno sciocco lo ammetto e non ho intenzione di giustificarmi: puoi dirmi tutto quello che vuoi, ma negli ultimi giorni non ero in condizioni ottimali e mi sono nascosto persino ai membri,per questo non avevano idea di cosa dirti. Probabilmente penserai che sono un vigliacco, ma la cosa che voglio dirti e del quale voglio essere totalmente sincero. Tu mi hai avvertito sul fatto di non innamorarmi di te, ma sono io quello che avrebbe dovuto avvisarti di ciò: io, Park Jimin, non sono quella persona che tu credi che io sia. Se è giusto dirlo, io non sono e non posso essere definita una persona. Perché? Perché io sono Satana o Lucifero, come vuoi chiamarmi tu» a quelle parole non ti sorprendesti neanche più di tanto, alla fine avevi notato che qualcosa in lui era totalmente diverso e ora ne avevi la piena conferma di cosa fosse. Il ragazzo continuò quel suo discorso «Vedi...io essendo tale sono dominato dagli istinti ed ho dei periodi post scatenamento, che mi fanno stare davvero male: tutto questo perché questa è la mia forma umana, mutata dalla mia reale forma demoniaca. Io non posso provare nulla che sia simile all'amore o all'affetto perché mi è stato totalmente impedito, ma grazie ai ragazzi, grazie a te soprattutto, io ho scoperto qualcosa che finalmente dopo anni ,posso dire, mi ha permesso di tornare a vivere. Ero oppresso, riuscivo solamente a portare distruzione, morte e sangue. Ho sedotto e ho ucciso, ho ridato la vita e tradito e ho continuato la mia lotta, ho alimentato la mia sete di vendetta verso quello che è chiamato "Mio Padre"» dalla sua voce emergeva un senso di rabbia, quasi sembrava avesse sputato il nome di Dio, per quanto disprezzo era contenuto tra quelle sue labbra «Si dice che il bacio del diavolo ti privi di tutta la tua vita, che ti divori con il peccato più grande, eppure io sono condannato ad un destino peggiore, alla mia distruzione e alla distribuzione di chi mai amerò. Io mi sono innamorato perché per la prima volta ho lasciato scorrere via i miei condizionamenti e perché ho trovato in te quel conforto e quel calore che nessuno mai mi ha dato. Tu hai alleviato il mio dolore e la mia paura semplicemente ascoltandomi e chiedermi di non amarti mi infligge una ferita ancora più grande di quella pena che io sconterò in eterno» concluse, prima di sedersi, abbandonato sul letto, con quei suoi occhi che per la prima volta si erano macchiati di sincerità, qualcosa che un bugiardo cronico come lui, non sarebbe mai riuscito a fare. Davanti a tutto ciò, non potesti fare a meno che osservarlo, cauta, prima di tirare un sospiro e iniziare a parlare «Perché l'ho detto? Ebbene ora ti darò subito la ragione.
La mia vita era una vita perfetta, la vita di una bambina che si divertiva era felice e spensierata, che amava e poteva provare ogni tipo di emozione senza alcun problema; improvvisamente, però, davanti alla mia crescita, tra problemi personali legati alla mia natura, in netto contrasto con il mio carattere gentile e altruista, io mi sono ritrovata in un totale stato di apatia, avvolta nella solitudine più nera, nel gelo più totale, incapace di provare e donare affetto. Il mio dolore, qualcosa che io non potevo sopportare, che mi divorava, dove vivevo in uno stato di vita che era quasi più simile alla morte stessa: insomma per me vivere o morire non aveva mai fatto alcuna differenza. Isolata da tutti, derisa da tutti coloro che erano vicini a me, sola contro il mondo dove la mia debolezza era diventata la mia forza, dove io ero la forte che distruggeva i deboli che mi mettevano i bastoni tra le ruote. Tutto cambiò radicalmente, non entrando troppo nei dettagli, quando una persona fece capolino nella mia vita, l'unica che inconsciamente mi tese la mano, la luce in fondo a quel tunnel che era la mia salvezza: finalmente ero fuori, finalmente potevo iniziare di nuovo a vivere, finalmente ero stata salvata.
Ho vissuto anni in cui sono stata bene, in cui ero consapevole di non essere mai sola, che qualcuno accanto mi voleva bene e era lì con me, io avevo il bisogno completa di quella persona. Peccato che se ne sia andata e quando se ne è andata, quel gelo si è abbattuto su di me di nuovo, facendo crollare tutto in pezzi, distruggendo tutte quelle cose belle: di nuovo chiusa in me stessa, abbandonata alla mia sorte, chiusa in quel mondo apatico dove provare emozioni è impossibile, se non rabbia. Ho iniziato ad essere diffidente, a perdere la speranza, persino l'amore mi è sembrata un amara e inutile certezza, perché io incapace di amare, perché io avevo perso tutto quello che mi teneva in vita.
Di nuovo in quel limbo, in quella fascia dove vita e morte congiungono e sono fottutamente uguali, dove la monotonia regna sovrana, dove neanche l'amore forse, non sarebbe riuscito ad arrivare. Non è facile amarmi, io sono una persona diversa, dominata da istinti, una persona sadica, una persona affetta da un disturbo della personalità, una persona che se viene ferita, ferisce violentemente a sua volta. Non è facile starmi accanto ma-» quella volta, dopo anni in cui avevi riaperto il tuo cuore, venisti interrotta: non da parole, né da persone, semplicemente da un gesto che ti fece capire quanto radicalmente tutto sarebbe cambiato da lì a poco.
N.A.
so che l'ho lasciato appeso, ma tranquilli il prossimo aggiornamento sarà entro il fine settimana quindi avrete presto il continuo.
Mi scuso ancora per le mie lunghe assenze e continue sparizioni, ma sono molto impegnata con la scuola.
Scusate anche per eventuali errori e spero che vi piaccia.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro