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◈ Brain in panic |J.Jk pt. 2


Leggete l'angolino in fondo per maggiori informazioni




































Soo perse il conto del tempo, era persa, sperduta, sotto il battito accelerato di Hoseok e quando rialzò il mento all'insù incontrò i suoi occhi vivi.

Anche i miei erano così, vivi e neri come il manto più lucido dello spazio. Dammi il tuo nero Hoseok e io ti darò il mio grigio.

«Cosa ci fai qui?» il suo era un sussurrò che mascherò vicino all'orecchio, non voleva che Minseo facesse parte di quel frammento di tempo.
«Sono qui per queste» si staccò per riprendersi i fogli sopra il bancone e, prima di girarsi, lanciò un'ultima occhiata di fuoco alla ragazza dietro di esso, «Mamma mi ha obbligato a venire qui. Dice che sono importanti per tua zia e sai: ama disperdersi nel suo mondo logorroico»

Hoseok inclinò il volto senza mai smettere di guardarla. Non la vedeva da capodanno...e vederla lì lo rendeva completo.

Soo gli porse le buste e non poté nascondere le fitte spasmodiche sulle braccia e sopra le mani. Hoseok abbassò lo sguardo su di esse.

So bene che avresti voluto questo incontro con altre motivazioni. Non con delle buste sopra le mani e la fretta di andare via dentro il mio corpo. Ma vorresti che io venissi qui, in quello che era il nostro centro di danza, solamente per volontà mia....

Ma sarei ipocrita..

E tu, Hoseok, saresti illuso.

Senza dire nulla afferrò le buste, ma subito dopo fermò il suo cammino verso l'uscita: «Ti prego Soo...resta ancora un po' con me» la supplicò.
Lei abbassò lo sguardo, sorridendo per terra.
«Mi stai chiedendo una cosa che mi costa ferite e sangue Hope, dovresti accontentarti di questo» poi lo guardò, «Non l'avrei mai fatto per nessuno se non per te»

Allora, Hoseok, decise di afferrare quello spago aggrovigliato che fuoriusciva dal suo scheletro, lo prese e lo legò mentalmente al polso e la trasportò vicino a sé.

«Solo per questa volta. Entra in sala con me e se davvero non te la senti più, di stare lì dentro, non ti obbligherò a rimanere. Ma per questa volta...fallo»

Provaci.

Soo si sentì una vera stupida a seguirlo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Per mesi aveva rinnegato quel mondo come vomito, forse era ubriaca e non lo sapeva. Persino gli insulti e la mera tristezza che adoperava in terapia con la signora Sebak stavano crollando come carte da gioco.

Si diede dell'incoerente e dell'autolesionista; non puoi ballare, non ha senso che assisti a quello che non puoi più fare.

Ma il cugino fu più veloce delle sue corde; aprì la porta e il bianco ospedaliero delle pareti trafisse i suoi occhi.

Cos'è successo?

Non ti ricordi nulla?

Erano passati mesi dall'ora e — nonostante ciò, il tempo e gli scogli corrosi — il ricordo del suo risveglio, in ospedale, sembrava non lasciarla mai.

Aprì gli occhi e vide il bianco del soffitto, il male alla testa si propagò come un anello di fuoco. Sua madre la guardava con occhi vitrei, come fondi di bottiglia, mentre suo padre fissava il cielo torrenziale dandole le spalle. Ma dalla quiete oscura sembrava che avesse bisogno dei suoi sigari cubani taroccati.

Cos'è successo?

Domandò ancora, ma non ebbe risposta. Si alzò, ma non trovò nemmeno risposta dal suo corpo. Il bianco e l'anello di fuoco diedero vita al grigio sopra la sua tela di colori.

«Mamma, papà, io— Non mi sento più le gambe»

Cos'è successo?

«Ragazzi lei è mia cugina Soo e per oggi resterà con noi, nelle veci di spettatrice» annunciò con troppa enfasi e questo fece già arricciare le labbra alla mora. Esagerava. Suo cugino amava esagerare, imbandire le frasi e gli spezzoni di silenzi con sorrisi forse fin troppo finti.

«Penso che a breve me ne andrò» affermò con sarcasmo, risultando subito acida agli occhi della mandria di ragazzi.

A quanto pare il deodorante non fa parte della routine quotidiana di questi energumeni, pensò tappandosi fintamente il naso quando un allievo, largo come un armadio, le passò accanto.

Hoseok la guardò supplicando e le indicò subito un posto per sedersi, «Dai non scherzare Soo. Perché non ti siedi qui vicino a—» la sua voce si fermò dopo un sordo rumore di gomme, strisciate sul parquet, e catene metalliche.

Tutti quanti si girarono verso il rumore, la porta spalancata fece intravedere due lunghe gambe, calzate da dei punk jogger neri da un taglio sexy. Le catenelle scintillarono e scoccarono in tintinnii come flauti di pan; erano due e ben legate al fianco destro dell'intruso. L'occhio non offuscato di Soo arrivò fino al petto ampio e allenato, coperto da una lunga maglietta bianca, poi si sforzò di capire chi diavolo fosse quel ritardatario coperto dal cappello a pescatore.

Le risatine acute delle allieve presero il sopravvento e Soo poté giurare di aver visto delle tette, in mezzo a quelle canotte fluorescenti, comparire come per magia. Allora capì, che quel soggetto, doveva aver una buona — ironicamente parlando — reputazione fra le cosce delle ballerine.

«Se dovevo guardarmi il remake di High School Musical dal vivo, potevo farlo tranquillamente a casa in streaming» mormorò, piantandosi il gomito davanti alla testa. Cominciava ad a odiare suo cugino.

Hoseok non si girò per guardarlo — troppo preso dai fili aggrovigliati delle casse — e si sprecò a esordire un: «Sei in ritardo. Un'altra volta» e la tranquillità, con cui disse ciò, la fece interdire.

Hoseok odiava i ritardatari: perché diavolo non lo stava ammonendo o smerdando davanti a tutti?

Mister punkjogger lanciò semplicemente lo zaino vicino alle gambe di Soo, senza nemmeno guardarla, poi si grattò il lobo puntellato da orecchini come sua abitudine.

«Quegli stronzi dovevano farmi uscire un'ora fa dal turno. Per correre fino a qui mi si sono attaccate le mutante al culo» asserì, sbadigliando come se fosse comodo e in panciolle nel suo regno. Hoseok lo fissò con il jack fra le mani. «Sei un caso perso Jungkook, mettiti in posizione: ora iniziamo con il riscaldamento», sogghignò scuotendo la testa.

Punkjogger — aka Jungkook —, prese posto nel centro in prima fila, Soo lo fissava senza respirare quando riconobbe il suo posto. Si trovava ad un metro lontano da Hoseok, dal lato destro, e la cosa in qualche modo la fece stare ancora più male. Le platform stile Prada sembravano riderle in faccia, poi la musica partì e quest'ultime presero a muoversi come serpenti.

Resse i primi cinque minuti di riscaldamento poi iniziò a cazzeggiare al cellulare; doveva restarsene lì per Hoseok, ma nessuno l'avrebbe obbligata a seguire tutta la lezione contro la sua forza.

La musica e le voci si fecero più forti, rimbalzando contro i timpani di Soo, la mora alzò il viso e vide l'inizio di quella che era una coreografia dall'aria dinamica e complessa. Ma il movimento, la coordinazione e l'espressività dei più bravi in prima fila, resero l'aria ancora più pensate di quanto già non lo fosse.

Le sarebbe piaciuto muoversi e vivere fra le vibrazioni con la loro stessa libertà.

Ma ad ogni vita vi era un equilibrio...il suo ruotava tra il bene e un male ubriaco delle scelte più universali, perché forse Dio avevo bevuto troppo vino durate la sua creazione. Ficcando dentro un corpo con la voglia e la passione del dinamismo, un sorriso sgargiante e una mente brillante..ma il vino rende ciechi e Soo preferisce credere che dentro a quella bolla di creazione, quel Dio dagli occhi imbevuti, abbia solamente giocato con il destino.

Se non si cura e non segue ogni terapia potrebbe rimanere su una sedia a rotelle prima dello stato aggressivo.

Perché la depressione portava anche a questo; ti sminuisce, rendendo ogni sbavatura reale ai tuoi occhi.

Le faremo una rachicentesi per prelevare del liquido cerebrospinale tra la quarta e la quinta vertebra.

Ma lei — la depressione —, rimaneva dietro ad una scrivania a infiammarti l'anima con la negazione — con la distanza assicurata per non portarti immediatamente alla morte —e poteva ugualmente toccarti con l'ombra delle sue lunghe dita grigie e torbide. Di quel colore insolito, simile alla carne putrefatta dei cadaveri affogati nei laghi e con la stessa puzza di morte, mischiata con la terra.

Soo non poteva stare a contatto con quei raggi di Sole; allontanava le persone per affondare da sola, senza guardare in faccia a nessuno. Se fosse stato più semplice avrebbe allontanato persino sua madre, suo padre viveva già in un mondo completamente suo e, a distanza di anni, e malattia, sembrava navigare fra la contraddizione.

Quando più ammetti di essere diverso da qualcuno, che al contempo non capisci, forse sei più legato a quella persona più di quanto pensi.

Ma se la logica senza contraddizioni fosse stata realmente così avrebbe amato e sopportato ogni tentativo di Hoseok, sulla propria accettazione. Però, più vedeva il diverso, più lei scappava verso quello che rimaneva il passato.

«Quindi tu saresti la cugina scomparsa di Hope?»

Ebbe giusto il tempo di ricollegarsi col mondo, alzare il mento da terra, e schiantarsi contro gli occhi color cioccolato fondente di mister punkjogger.
Lo trovò rannicchiato sui piedi, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia aperte, dando a lei la totale visione di quel ragazzo mastodontico con le catenelle.

«Cugina scomparsa? Che cazzo significa?» gli chiese, tralasciando ogni tono formale per quello sconosciuto dall'aria impertinente.

Sentendo il suo tono di voce, Jungkook, si fece scappare una risata divertita, mostrando appena i suoi denti bianchi e lunghi sul centro.

«La cugina scomparsa che frequentava il centro di danza, sai ci sono milioni di tue foto tappezzate nel corridoio» disse, toccandosi il bordo del cappello nero. Soo sbarrò gli occhi incredula.
«Allora? Sei tu o non sei tu?» ripeté quasi con un pizzicore di arroganza, lo stesso carattere che faceva capottare a terra centinaia di ragazze.

Ma lei era Soo Min-Fang.

«Ti interessa cosi tanto saperlo?» domandò.
Lui molleggiò sui talloni fissandola attentamente.
«Mmh, sei scorbutica e saccente. L'esatto contrario di Hope, eppure qualcosa mi dice che sei tu, solo senza il sorriso che c'è su quelle foto» sentenziò ghignando e, dopo quel gesto, la mora riuscì a vedere quel piccolo neo premuto sotto il labbro.

Quei due aggettivi non la scalfirono minimamente, visto che era preparata a offese peggiori.

«Disse quello vestito come un tredicenne ad un concerto dei Metallica con un cappello da pesca. Con quelle catenelle ci balli la tecktonic per caso?»

Jungkook la fissò senza battere ciglio, l'espressione mutò, facendo sparire quell'orrendo ghigno da sotto il suo naso a patata. Questo cambio di umore fece sogghignare al contempo Soo: finalmente sarebbe scappato come tutti gli altri.

«Questa risposta è decisamente da Hope, allora sei proprio tu, eh?» scoppiò a ridere in modo aspirato. Quei grossi occhioni da cerbiatto si chiusero sotto gli zigomi prorompenti e Soo trovò tutto quanto, stranamente, dolce.

Si diede per vinta, non si sarebbe mai allontanato o offeso in nessuno modo.

«Se ti dicessi che sono io, quella fottuta ragazza nelle foto, mi giuri che ti leverai dai coglioni?»

Sorrise. «È una cosa a cui non posso fare fede, in compenso mi hai già dato conferma»
Soo si toccò i capelli disperata, «Sei veramente irritante mister punkjogger, te l'hanno mai detto?» sibilò, affondando in quel cioccolato d'occhi troppo intenso per lei.

«Certe frasi te le inventi sul momento? Attenta, perché così potresti spezzarmi il cuore», si toccò il petto scherzando.

«Non devi sgambettare insieme ai tuoi amici che trasudano Chanel n.5 dalle ascelle?» domandò, afferrando la sua borsa dal pavimento. Ma Jungkook si frappose davanti a lei come un muro di carne, inondò le narici di Soo con profumi di fiori di sakura e la testa prese a girarle ancora. Lui, con un balzo si alzò con le ginocchia, e gli occhi spenti di lei incontrarono le sue clavicole scoperte dalla maglia.

«Dovresti sapere meglio di me che esistono le pause durante le lezioni, ragazza delle foto»

Era alto, fin troppo alto per la figura di Soo, ma anche fin troppo idiota e enigmatico. Non gli negò un sorriso trattenuto, «Siamo passati da scorbutica e saccente a ragazza delle foto, forse sei tu che ti studi le frasi, spilungone» nel dirlo, gli passò accanto facendo scontrare accidentalmente la spalla contro il suo braccio.

«Allora dammelo tu un nome, se i miei non ti si addicono» le mani finirono dentro le tasche dei punkjogger, le catenelle vibrarono e la maglia si attaccò ancora di più alla pelle per colpa del sudore.

Soo si fermò, era divertita da quella situazione...erano mesi che non sghignazzava così.

Ma non sapeva quanto quel gioco potesse essere pericoloso per lei, per i suoi ideali e per la sua malattia. Mister Punkjogger era all'oscuro di tutto; prima di aprire la bocca, per rispondergli,  la porta si riaprì per la seconda volta.

La testa di Minseo fece capolino oltre lo stipite e allungò il collo alla ricerca di qualcuno. Beccò la sua ex migliore amica in compagnia di Jungkook. La fissò con non poco fastidio.

«Jungkook! Avrei bisogno del tuo aiuto con il computer» si rivolse al moro con il cappello.
Lui alzò le spalle: «Appena finisco la lezione vengo ad aiutarti» e continuò ad avvicinarsi a Soo, ma quest'ultima era concentrata ad osservare le guance paffute di Minseo.

Sapeva riconoscere le labbra arricciate innervosite, gli occhi sempre più piccoli e il ticchettio del gel che sulla porta sticchiavano sul truciolato della porta. Come se stesse aspettando qualcosa con estrema vanità.

Seriamente avevo avuto a che fare con queste persone? — pensò con disgusto.

«Ti ho detto che ho bisogno di te, ora» insistette.
Jungkook ruotò gli occhi al cielo incominciando ad innervosirsi. «E io ti ho detto che verrò dopo la lezione. Visto che pago per stare qui, non mi sembra il caso di buttare i miei soldi nel cesso per l'assistenza di un computer»

La risposta non poté che gratificare la più bassa coperta dalla felpa enorme. Aveva carattere.

Minseo spalancò la bocca attonita. Non si era mai permesso di risponderle così in malo modo e la colpa non poté che addossarla solamente ad una persona. Guardò Soo come un sudicio scarafaggio della spazzatura, mentre lei faceva le vesti della scarpa mastodontica che provava e riprovava a schiacciarla nei cunicoli della doccia.

«Sei tu che continui a pagare le ore, Hoseok ti ha già detto che puoi venire qui gratis. Avevo bisogno del tuo aiuto per il concorso, ma scusami tanto se ti ho disturbato nel momento del rimorchio» con cattiveria e sarcasmo fissò entrambi. Soo non si imbarazzò, né si arrabbiò nei confronti di quella stronza.

Jungkook piaceva a Minseo ed era palese, ma lei non aveva capito nulla, niente. A mala pena si conoscevano, come poteva pensare che fosse lì per le avance di un idiota con i platforms alti quanto lei? No, Minseo non l'aveva mai capita e non l'avrebbe fatto ora.

«Minseo ma che ti prende?!» Jungkook le sussurrò a bassa voce per non dare spettacolo. Tutti gli altri iniziarono a bisbigliare e a fare finta di niente.

Soo strinse la mano sulla tracolla e cominciò a camminare, «Quello che Minseo stava cercando di dirti è che devi andarle in suo soccorso e magari infilarti in mezzo alle sue gambe dentro un cazzo di sgabuzzino», lui si ammutolì e Minseo fece lo stesso.
Soo si girò verso di lei: «La prossima volta cerca di non rendere così evidente le tue esigenze da troia»

Minseo si appoggiò con la spalla sulla porta, incrociò le braccia sotto il seno e rise falsamente.

«Non devi farti infilare qualche ago nella schiena?» il solito insulto di cattivo gusto e meschino, ma Soo mantenne ugualmente la sua faccia impenetrabile.

Non voleva darle nessuna soddisfazione.

Si avvicinò, «Devi sentirti veramente inferiore per dire certe cose. Pazza stronza»

«La stronza sei tu, che ti permetti di dire certe cose davanti ai miei amici» ribatté. La tensione intorno alle due era palpabile, la musica riprese a pompare dai subwoofer di media generazione e, senza dare nell'occhio, Hoseok, guardò tutto quanto contro lo specchio.

Soo scoppiò a ridere, si piegò in due e si pulì la bocca con gli occhi lucidi.
«Se ti fai notare per l'estensione dei tuoi muscoli pelvici non è di certo colpa mia. Te la prendi perché ti sbatto in faccia: non è essere stronzi, ma sinceri. Ma tu non conosci la vera sincerità, giusto MinMin?»

Ferita nel cuore, la bionda, avvampò dalla collera.

«Vattene a casa Soo» le afferrò la tracolla della borsa per spingerla all'indietro, ma senza farla cadere. Fu una spinta di provocazione, «Torna a fare la depressa dentro un cazzo di ospedale e vattene da qua!»

Soo ridacchiò in modo malato, non le importava più nulla...né di se stessa né degli altri.

«Di un po' ma i tuoi nuovi amici sanno che prendi la clamidia almeno due volte l'anno?-» Soo finì a malapena la sua frase prima che il corpo formoso della bionda si agguantò su di lei come una tigre.

La mora le tirò i capelli, provando a scollarsela di dosso, mentre l'altra, accecata dalla rabbia, urlò come un'ossessa.

Jungkook afferrò la pazza bionda mentre Hoseok si precipitò in soccorso dalla cugina in svantaggio. La musica venne immediatamente fermata e le urla si espansero ancora di più.

«Sparisci! Ritorna nel tuo fottuto buco di merda—JUNGKOOK LASCIAMI CAZZO!» annaspò, divincolandosi dalla presa del moro ma quest'ultimo non l'ascoltava. Osservava i capelli sfatti della ragazza delle foto e il suo corpo protetto da quello del suo amico.

«Faccio il cazzo che mi pare Minseo, hai capito o no!?» gridò lei, dopo che Hoseok la nascose dietro le spalle. «Basta! Cazzo smettetela!-» alzò la voce il ballerino. «Hoseok stanne fuori. Ho aspettato un anno per vedere la faccia di questa imbecille e urlarle addosso quanto in realtà faccia schifo!» gridò piena da dietro le spalle del cugino.

Lui la sguardò arrabbiato da oltre la spalla, «Queste cose qua dentro non le accetto Soo, non siete delle cazzo di bambine e vedete di darvi una calmata!» fu la prima volta che vide il cugino così deluso dal suo comportamento.

Soo sbarrò gli occhi. Luccicarono dal dispiacere, si sentiva tradita e inadeguata. Perché le stava dando contro?

«Ma da che parte stai?» sibilò ferita, «T-Tu vuoi proteggere lei? Dopo tutto quello che mi ha fatto tu ancora continui a proteggerla-» la voce tremò.
Lo sguardo del moro cambiò, si ombrò con un nodo alla gola.

«Soo ascoltami—»»

Lei si allontanò scottata, strinse addosso a lei la sua ridicola borsa a tracolla sul fianco, come protezione. Si sarebbe leccata le ferite da sola ma non davanti ai suoi macellai.

«No! No ascoltami tu invece! Sei tu che mi hai obbligata a restare in questo posto sapendo quanto dolore mi provocasse, ma hai pensato comunque solo a te stesso! Cosa c'è, eh?!» affermò, guardando Minseo, «Ti scopi pure mio cugino ora?»

Indietreggiò ancora con le gambe molli.

«Vi accanite contro di me perché non sono più la Soo che vi andava bene. Ho allontanato solo il male dalla mia vita per non soffrire ancora. Ero la mela marcia del cesto e grazie a voi ho aperto finalmente gli occhi, mi sono guardata intorno» non le importava più se la voce non coincideva con il suo stato statico.

Si sforzò di rimanere dura come una statua di marmo ma il cuore  — quello stesso cuore che aveva ormai smesso di battere da tanto tempo — si annerì, fino a seccarsi come una foglia. Prese la stessa forma dell'oggetto privo di clorofilla e cadde su un letto di arterie e valvole come l'estate ai piedi dell'autunno.

«Smettila di autocommiserarti: ti piace fare la vittima, ti è sempre piaciuto fare queste scene di vittimismo. Ma pensi di essere migliore di me? Pensi davvero di essere migliore degli altri!?» Minseo teneva la testa abbassata, i piccoli ciuffi biondi si attaccarono alla fronte, «Pensi di essere giustificata a trattarci di merda solo perché sei malata?!»

Dopo ciò, Jungkook, le lasciò le braccia stanco. Vide troppo dolore per essere concentrato solamente dentro un paio di occhi come i suoi. Tutti dentro la stanza finirono per guardare la mora e Hoseok non accennò ad alzare lo sguardo dalle snickers consumate.

Vivi ora i sensi di colpa?
Occhi troppi ciechi e bocche immonde per tacere...

Ma la vergogna si riempie di vermi fino a farci vomitare.

Soo la guardò come si guarda un quadro senza anima.

«Ho sperato sai?» gli occhi briciarono, «Sono stata tutta la notte sveglia, sperando che aprissi quella porta d'ospedale. Ho sperato tanto che arrivassi per dirmi che sarebbe andato tutto bene, Minseo. Che avremmo affrontato insieme questa "cosa" insieme»

Fece un passo indietro.

«Ma non é mai successo. Tu non sei mai venuta, tutti gli altri erano già spariti ed ero sola» guardò suo cugino con dolorosa nostalgia, «Sono sola»

Se ne andò.

Andò via, lasciando quel misero spazio vuoto impregnato del suo odore e della sua tristezza. Aveva capito di essere un problema molto più grande di quello che pensava...la sua psicologa blaterava sempre il contrario:

«Il mondo senza di te, Soo, non è più tondo, finirebbe per essere una sfera con un foro in superficie»

Soo si portò la manica della felpa sulle palpebre e singhiozzò, lei quel giorno le rispose: «Il mondo non è tondo signora Sebak. Ci sono così tanti buchi, crateri, avvallamenti, montagne e mari»

Il volto si contrasse ancora e mille cicatrici disegnarono in modo gotico la sua pelle bagnata dalle lacrime.

«Sarebbe solo l'ennesima impronta nascosta fra gli oceani. Al mondo non é mai importato di me, non é questo il suo compito»

Sua madre vide l'inizio della morte del cigno; quelle piume nere, bagnate di sangue, erano accasciate lungo le coperte color sabbia della figlia. Capì che qualcosa era accaduto dalle continue chiamate del nipote sul suo display.

A grandi linee le raccontò quello che successe quel pomeriggio fra i viali dei sakura. La voce di Hoseok resse per pochi minuti, finché la rottura del suono — compiuto da un singhiozzo basso — la fece scattare, togliendo il viva voce e consolarlo in silenzio in camera.

Non odiava suo nipote, era il figlio maschio che tutte le mamme avrebbero voluto avere, il senso di protezione da madre lo ammonì con delicatezza.

Hai quasi venticinque anni Hoseok, sei abbastanza adulto per capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Soffriva per quella crepa, talmente tanto che giurarono di tenerlo per sé senza aggiungere terze persone. Ma la cosa che cominciò a farle perdere la voglia di alzarsi al mattino era sua figlia.

«Si sta lasciando morire Minho» distesa sul divano, davanti ad una telenovela thailandese, parlò ad alta voce verso il marito.

Lui, dalla sua poltrona, tacque. Le pupille passarono sulle immagini pixelate sopra lo schermo, le guardò senza alcun interesse, poi si grattò la guancia come un braccio meccanico.

Altro silenzio.

Il marito allungò il braccio sopra il tavolino di legno, accanto alla poltrona da salotto, il palmo scivolò sulla superficie e, finalmente, trovò la scatola dei suoi sigari.

«Di qualcosa» insistette.

La mano tremò, la scatola cadde a terra sul pavimento e con essa i sigari all'interno. Si allungò verso il basso e provò ad afferrarli, ma scivolarono fra le dita come acqua.

Come sua figlia, la stavano perdendo fra le dita.

«Maledizione!» alzò la voce e la moglie sobbalzò spaventata, vide suo marito disperato in quella ricerca assurda del suo bisogno.
«...Maledizione» disse ancora, fece cadere il tavolino a terra e i vetri del posacenere si frantumarono come i pezzi dei loro cuori. Si alzò con gli occhi lucidi e, senza guardare negli occhi sua moglie, uscì dalla stanza sbattendo la porta con un tonfo.

È il paradosso di chi ama: più sei diverso dall'altro e più soffri a tuo modo.

Anche chi cerca conforto nel fumo di un sigaro guardando il cielo, dentro di sé, può sentire il mare.

Altre due settimane passarono come vento nella tundra e, con la secchezza del caldo piovoso, Soo, uscì vagando dentro i suoi vestiti troppo larghi. Aveva perso altro peso e quella mattina, per lei, fu un inferno; aveva avuto riabilitazione e arrancava per camminare. Perciò decise di fermarsi sopra la panchina di un parco poco frequentato.

Al di là delle statue di legno, a forma di pesce, vi erano delle scale con numerosi gradini. Sapeva che oltre a quel cemento armato c'erano i cieli infiniti di Seoul, pensò di riuscire a scorgere persino i viali di sakura con i rami sempre più spogli.

La leggera pioggia smise di cadere accanto al Sole, alzò il viso in alto e chiuse gli occhi contornati dalle occhiaie sempre più viola.

Era arrivato il giorno.

Con lentezza aprì le palpebre e, dopo aver fatto leva con la stampella — per riordinare l'equilibrio poco stabile —, si inoltrò verso quelle scale infinte.
Ma prima si girò verso la panchina che per mesi l'aveva vista versare lacrime.

Si tolse il cappello con la visiera e lo rigirò fra le mani come un gioco. Lo accarezzò e lo adagiò con cura sul legno bagnato.

«Sei sempre stata scomoda. Mi hai fatto venire il culo piatto» mormorò facendo due passi indietro, «Ma nonostante tutto sei sempre stata qui e insieme abbiamo vissuto interminabili silenzi, forse....»

Alzò gli occhi al cielo, cacciando le medesime lacrime di dispiacere, «Forse qualcuno come me, ma migliore, saprà riservarti la giusta cura che meriti. Perché io non sono riuscita a farlo...» con nessuno.

Salutò il legno e lasciò lì quello che era il cappellino di Hoseok. L'aveva vinto ad una fiera nei dintorni del centro e aveva pensato subito alla dolce e vivace cugina.

«Hobi è orribile quel cappello- No! No! Non farlo» ma il cugino aveva già fatto lo scalpo sulla sua fronte con quel cappellino del cavolo.
«Ma come sei adorabile Soo, una bambina con il broncio» le pizzicò una guancia.
«Ah! Lasciami stare idiota e prenditi questo benedetto cappello» se lo tolse dalla testa sbattendolo sul petto del cugino.

Il sorriso di Hoseok si spense: «Dai tienilo», la pregò,«Dopotutto l'ho vinto per te»

Si appoggiò contro la rete delle autoscontro e ridacchiò. «Ma se me l'hai mollato perché puntavi a quello stupido peluche di Charizard. Ah...dovevi aspettartelo che non l'avresti mai vinto quel coso arancione»

Il cugino, stizzito, storse il naso alla francese, «Sei come un bastone nel culo» Ma lei sghignazzò e gli porse il cappellino.

«Sarò pure un bastone nel culo hobiscimmia, ma rimane il fatto che Charizard non lo avrai mai» il cugino ignorò il nomignolo e le passò un braccio dietro le spalle come un fratello. Lei nel frattempo, studiò ancora quel ridicolo cappello...

«Lo terrò solo perché stai insistendo così tanto. Bah...a guardarlo non è così male dai, forse se aggiungessi qualche borchia o un po' di scarabocchi sopra»

Un raggiò penetrò dalle nuvole semi calanti, scese fino a toccare la stoffa nera dell'oggetto abbandonato sulla panchina.

«Scimmia di un cugino, guarda che cosa ho disegnato sopra la visiera!»

Soo arrivò in cima alle scale con enorme difficoltà. Il fiato e gli arti le dolsero togliendole ogni forza.
Con un grido strozzato si aggrappò alla ringhiera della terrazza e aprì gli occhi.

I viali di sakura la salutavano con orgoglio, perché nonostante tutto non l'avrebbero mai abbandonata. Non avrebbero fatto gli stessi errori degli altri. Neanche i suoi.

«Non mi dire...che cosa avresti disegnato sopra quel povero cappello? Sei un'artista orribile»

«Blah blah, guarda e sta zitto. Però, voglio che leggi ad alta voce!»

«E se volassi con voi?» guardò i petali rosa disperdersi in mezzo la giungla urbana, «Se ora mi lasciassi cadere. Se ora chiudessi gli occhi e saltassi...diventerò come voi?» diventerò libera?

«Scrivi come una bambina di cinque anni...servirebbe un grafologo per capire i tuoi simboli»

«Ma perché non leggi e basta?!»

La stampella venne appoggiata per terra e con un salto corto riuscì ad aggrapparsi al ferro orizzontale. Sulle labbra c'era un sorriso, gli occhi piangevano con lei ma sapeva che sarebbe stata bene...con i suoi ricordi.

Di quello che era stato...

«Leggi forza!»

Tremava, ma bastava un secondo e un pizzico di coraggio e avrebbe smesso di tremare.
Avrebbe smesso di sentire dolore.
Avrebbe smesso di agitarsi la notte per le scosse alla spina dorsale.
Avrebbe smesso di perdere equilibrio.
Avrebbe smesso di perdere la vista.
Avrebbe smesso di fissare la sedia a rotelle riposta nello scantinato.
Avrebbe smesso di curarsi ogni giorno per non rimanere sempre più invalida.
Non avrebbe più visto le lacrime di sua madre.

Non avrebbe più deluso Hoseok.

Non avrebbe più visto il bianco e il grigio.

«C'è scritto...»

Con la scarpa puntò il tallone sulla ringhiera e guardò in basso. Singhiozzò ancora di più e avrebbe continuato a farlo fino al suo addio...ma il suo cellulare prese a vibrare dentro le tasche per colpa dei messaggi.

«Cazzo...non ora—» sibilò singhiozzando. Aprì il display per l'ultima volta e un messaggio, oltre a quello di una stupida promozione telefonica, la fece raggelare sul posto.


Sconosciuto:

[ Lasciare un oggetto prezioso, come il tuo cappello qui, è un peccato, ragazza delle foto]


«C'è scritto...»

«"Sarò per sempre il tuo coso arancione se vuoi, ma poi voliamo insieme? :)"»
















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BUONGIORNO

FINALMENTE LA SECONDA PARTE!!

Mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto, ma veramente è un periodo di merda e riesco a fare poche cose, il resto delle ore vorrei piangere dal nervoso AHAHHAHAHA

-Spero che voi tutti conosciate gli effetti della sclerosi multipla...se non combatti con i denti la depressione è realmente dietro l'angolo. Lo vedo da mia cugina che nonostante i pianti per i lunghi e atroci dolori non molla mai...

-Sono tematiche delicate e volevo risaltare la dura prospettiva di vita di Soo, come la sua malattia -sfociata nella depressione- le tolga giorno per giorno la voglia di ricominciare e subire.

Le parole di Minseo non sono state buttate a caso, tralasciando le battute idiote e tristi, in quanti almeno una volta si sono sentiti nelle condizione di dire "ogni cosa che fa è giustificata solo perché è malata". Il suo cervello ha due neuroni ovviamente ma lei rappresenta proprio quella particella del male che attanaglia l'invidia umana -che paradosso mamma mia- verso il prossimo. Ma sbagliare fa parte dell'uomo,

-Il padre di Soo....è più umano di quello che si pensi ed è più simile alla figlia di quanto in realtà si pensi. Il suo è un dolore trattenuto, diverso da quello visivo della moglie, lui lo getta dentro i suoi sigari ma quando questi cadono...e fanno la stessa fine della figlia, ha un crollo.

-Hoseok si è sentito in mezzo a due fuochi. Ama sua cugina e sarebbe la vita per lei...ma il suo comportamento marcio per colpa della malattia l'ha fatto sentire sperduto. Ha perso la via del ritorno -sfortunatamente- nel momento più sbagliato della sua vita.

Fra Soo (la sua famiglia) e Minseo (unica amica rimasta della sua vecchia amica»

A quanto pare nessuno accetta questo cambiamento del passato.

-Il cappello....la scena della fiera, non nego che mi sono sentita male a scriverla questa parte. Perché nonostante tutto, Soo non avrebbe mai lasciato Hoseok. Sarebbe stata il suo 'coso arancione' cioè Charizard (Pokémon) e insieme avrebbero volato come il drago...

-Raga Jungkook lo amo, capirete più avanti il perché....ma lui ha una forza immensa e riesce a vedere oltre lo specchio che c'è davanti agli occhi.

È così umano quel ragazzo....che a quanto pare è arrivato nel momento perfetto per Soo.

Perché se Jungkook non avesse scritto quel messaggio...Soo sarebbe volata insieme ai sakura, ma più avanti capirà che non è destinata ad essere solo un petalo che fluttua nel cielo....

Ma un vero e proprio drago🤍



Grazie e alla prossima!!
❤️❤️

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