◈ Brain in panic |J.Jk pt. 1
"Vi chiedo gentilmente di leggere l'angolino in fondo, grazie🙏🏻"
Ricordo ancora il giorno in cui ogni cosa si fermò; quando il vento smise di soffiare, trasportando con sè i fiori di sakura, fino a quando il mondo smise di ruotare, successivamente, intorno al suo asse.
Ricordo ancora il giorno in cui il sangue si suggellò sopra le piastre scure del marciapiede, di come ogni suono trovò quell'inquietante silenzio orchestrato fra corvi e vite urbane. Di come i miei piedi smisero di seguire la mia ombra e la mia anima, rendendomi una bambola rotta, incapace di vivere come l'ultima volta.
Ricordo ancora il giorno in cui la mia vita divenne l'opposto del mio vivere.
E ricordo ancora il giorno in cui scoprii di essere malata.
Accade nei momenti più vividi e speciali del ciclo vitale; Stephen Hawking arrivò al primo scalino, della sua malattia degenerativa dei motoneuroni, a soli ventun anni, schiantandosi sul suolo di Oxford.
Per Soo, il suo primo gradino verso la fine, fu molto simile a quello del cosmologo. Guardava con occhi vuoti i viali del centro di Seoul e rivedeva se stessa: un fiore vestito con corte gonne colorate che correva verso la vita.
Le sue gambe bianche e forti correvano per lunghi tratti sconfinati, Soo correva per assaporare l'aria frizzante dell'Oriente, partiva dalle rive del fiume Han fino a spalancare le porte della scuola di ballo di Jung Hoseok.
Smettila di correre in questo modo Soo! Finirai per inciampare e farti male.
Tornasse indietro, avrebbe detto a Hoseok che non bisognava avere paura dei marciapiedi troppo alti e che le crepe in mezzo alla strada non erano nostre nemiche.
Cosa mai potrebbe accadere Hoseok? Corro come ogni giorno, ormai lo sai, nulla mi potrà fermare.
Tornasse indietro avrebbe detto a Hoseok di lasciarla correre ancora un po', perché per lei, quella...
Fu l'ultima volta dove poté correre ancora per vivere.
«Mmh! Questo occhio ancora non si decide a funzionare eh?!»
Soo chiuse l'occhio sano irritato; il getto luminoso, dopo aver surclassato quello guasto, avanzò verso il gemello. Il labbro superiore si storse dal nervoso e dal pizzicore all'altezza della cornea.
«Gli piace giocare. Prima attacca quello sinistro e poi quello destro...si sta prendendo gioco di noi» la voce spense l'utensile medico, scrivendo poi qualcosa sul suo taccuino color panna. Soo respirò rumorosamente, piastricciandosi i capelli con le mani.
«Può, per favore, smetterla di trattare i miei sintomi come delle cavolo partite di tennis?» con voce gelida, fece bloccare sul posto il suo medico e la figura al suo fianco. Quest'ultima fissò torva la figlia, non stupendosi minimamente della sua mancanza di rispetto.
«Modera i termini Soo Min-Fang, qui non sei a casa tua...mostra rispetto alla dottoressa Kim» mormorò, come in segno di scuse, la madre di Soo. La dottoressa Kim, sorrise comprensiva, toccandosi in modo impercettibile il corto caschetto nero attorno al viso.
«Non si preoccupi signora Min. Soo ha tutte le ragioni del mondo per essere nervosa a stressata in questo periodo. L'occhio dovrebbe sfiammarsi e da domani mattina riprenderemo le lezioni di fisioterapia, cerchiamo di risolvere le problematiche coordinative» nel mentre, pigiò qualcosa sopra la tastiera del computer.
«Preferirei starmene tutto il giorno nel letto, se permette»
Le dita smisero immediatamente di navigare sopra i tasti di plastica mentre, la signora Min, si pressò le mani davanti agli occhi, troppo stanca per reagire.
«Ne abbiamo già parlato a casa Soo, questo tuo atteggiamento di sovversione, ribellione e irruenza, peggiorerà solamente la situazione» le mani scivolarono sopra le cosce, alzò disperatamente gli occhi al cielo e guardò, con un'ombra supplicante, la dottoressa Kim.
Soo non guardò in faccia nessuno; quella stanza era bianca e ostica, dai toni troppo bianchi. Quel bianco rendeva fragile ogni cosa, scoprendo scheletri tormentati, lasciati dalla malattia, e forme spaiate di vita.
La sua — di forma — assomigliava a un filo aggrovigliato, immedesimata fin troppo dentro la filosofia di Bergson, senza mai lasciare dietro di sé le problematiche del tempo. Le piaceva la pragmaticità del tempo soggettivo, il quantitativo, quel tempo che surclassava ogni scienza e costruzioni intellettuali.
Amava il tempo sperduto, intimo come quel groviglio di fili girati e attorcigliati intorno al proprio centro: così nessuno, oltre a lei, poteva vivere e immergersi in quel mare in tempesta.
Ma quella stanza scopriva — dopo ogni seduta — sempre un pezzo in più del suo spago.
"Al di fuor di me, nello spazio, c'è un'unica posizione della lancetta e del pendolo, perché delle posizioni passate non resta nulla. Dentro di me si svolge un processo di organizzazione e di mutua compenetrazione di fatti di coscienza, che costituisce la vera durata."
«Le sedute con la psicologa come procedono?»
I pensieri di interruppero e la filosofia cessò, cedendo il podio d'attenzione all'esterno.
Non trasparì nessun cambiamento emotivo dopo l'intrepida domanda aguzzina della dottoressa. Il volto pallido e le occhiaie parlavano per lei: trovava ottima la scusa dei disturbi cognitivi — ficcandoci dentro pure i bruciori corporei —, ogni qualvolta che trovava superfluo parlare.
«La signora Sebak dice che dovrei riprendere a camminare per le vie dei sakura, andare a trovare Hoseok nel suo centro di danza e uscire con delle amiche» si fermò, contando ogni respiro dentro il petto.
Le briciava tutto, non sopportava quell'impotenza...non sopportava l'insulsa voce della sua psicologa e...
«È un'idea meravigliosa Soo! È passato più di un anno dall'ultima volta che hai ballato: se la signora Sebak ti ha detto così vuol dire che ha visto del potenziale! Un bel margine di miglioramento»
Ma non sopportava più nessuno.
«Le ho risposto che mi sarebbe piaciuto tanto...moltissimo: ballare, correre, andare alle feste con delle amiche, ubriacarsi e anche scopare» pronunciò con falsa felicità e Min Hae, sua madre, aprì la bocca sbigottita, incapace di prevedere le vere intenzioni della figlia.
La dottoressa Kim smise di sorridere, impacciata per la mancanza di pudore.
«Peccato che non abbia la benché minima voglia di correre e cadere a causa dei tremori, né l'intenzione di riprendere a ballare come se niente fosse. Ma perché non parliamo delle mie amiche!?» afferrò sarcastica, «Quelle fantastiche stronze che si sono dimenticate di me dopo appena un mese di terapia»
Inclinò il volto e fisso la dottoressa Kim dritta negli occhi, mostrando alla donna i suoi occhi zuppi di malinconica insania, «Perché non potevo più uscire e fare la troia a Itaewon con loro» guardò sua madre, chinata su un lato della sedia con lo sguardo fisso a terra. «E non ti preoccupare mamma»
«I ragazzi non si scopano le depresse invalide»
Contemplò il suo aspetto catatonico sul riflesso della teca di vetro, la quale fungeva da scrivania.
Lasciò un altro pezzo di spago in quella stanza e finse di non sentire più i singhiozzi trattenuti di sua madre. Uscì senza salutare e intercettò la porta del bagno di servizio come ogni volta che usciva da lì: avrebbe aspettato e taciuto fino a casa.
Come ogni volta, come tutti i giorni.
Non era cattiva, il suo era un egoismo mal interpretato. Era inutile che sua madre cercava di stimolarla a non mollare e procedere con una nuova vita davanti a sé.
Soo non voleva nulla di nuovo, come non voleva la sua malattia.
Voleva solamente quello che era già stato. Non quello che verrà.
Chiuse gli occhi e appoggiò con grazia la testa sullo stipite della porta alla ricerca del totale riposo. All'improvviso, scene di passi e scarpe da ballo, che graffiavano l'asfalto coreano, piombarono come pioggia sopra i vetri. Sentì ancora il dolore sulle gote, causato dal sorriso persistente sul viso.
Vedeva gli stessi sakura che affiancavano la vetrina di Hoseok: sentiva il profumo dei fiori affievolirsi, a tal punto che il tanfo idraulico del bagno — e il ticchettio, come un batticuore del lavabo — fece piombare la pioggia torrenziale in mezzo al suo sogno.
Perché dopo il Sole, alto in cielo, arrivava la pioggia come inizio dell'inferno.
Gli occhi si aprirono e vide intorno a sé ancora quel bianco opprimente che le stringeva la gola. Una lacrima uscì dall'occhio, temporaneamente, cieco e la denigrò con immediatezza sulla manica della felpa con disgusto.
Non accettava nulla di tutto questo e nemmeno ciò che ne conseguiva.
Perché far nascere una lacrima viva da un occhio malato?
«Soo, sbrigati che dobbiamo andare a casa»
Come già predetto, il viaggio fino alla macchina fu fatto solamente di silenzi e parole represse. Hae non salutò le receptionist dell'ospedale e non degnò di uno sguardo nemmeno il senzatetto davanti ai muri macchiati di urina vicino al parcheggio.
«Non hai niente da dire?»
«Cosa dovrei dire? Mi dispiace?», si allacciò la cintura senza guardare in faccia sua madre.
«Sì! Sì Soo, dovresti dire che ti dispiace per il tuo comportamento infantile! Specialmente se le persone, a cui riservì questo trattamento, cercano di aiutarti a stare meglio!» iniziò ad alzare la voce, prestando poca attenzione alle macchine che sbucavano dal parcheggio dell'ospedale.
Soo aprì la bocca perché le veniva da ridere: una risata ridicola, quanto le aspettiate di sua madre.
«Sarei infantile solo perché dico quello che penso?! Se la psicologa, che mi segue da più di sei mesi, mi dice ad un tratto: "Esci e fai quello che facevi prima", sapendo che queste cose non posso più farle, automaticamente ti mando a cagare!» ribatté, stringendo i pugni dal nervoso.
La testa le scoppiava e per colpa della quasi cecità, dell'occhio destro, l'intera area sinistra le provocava dolore per lo sforzo visivo. Ma questo sua madre non poteva capirlo perché per lei, la cosa più importante, era stare bene esternamente e basta.
«Cambia quel dannato non posso in non voglio Soo! Potresti fare tante cose ma ti ostini a chiuderti in quella dannata bolla e allontanare ogni cosa; cure, fisioterapie, psicologi e amici, tutto quanto buttato nel cesso per colpa di questo carattere riottoso!» le lanciò addosso la mera frustrazione che incombeva su di lei da più di un anno.
La voce prese a tremare, la compostezza vacillò,«Non eri così. Non ti saresti mai permessa di dire quelle cose davanti ad un estraneo e non avresti mai mandato all'aria ogni nostro sacrificio» e questo fece cruciare il cuore di Soo. Tutti quanti pensavo la stessa cosa, persino suo padre.
Provò a non piangere e ad ignorare i tremori su tutte le articolazioni del corpo, si mordicchiò il labbro perché persino i pantaloni della tuta rendevano pesanti i movimenti sopra la pelle.
Vide un petalo di sakura incastrarsi sotto il tergicristallo, rimase immobile nell'impossibilità di capire il mondo attorno a sé. Il petalo non capiva, non poteva farlo, perché una volta staccatosi dal ramo e dal suo frutto natale, doveva solo aspettare di morire in mezzo al mondo.
Sei un po' come me.
Mi sento come te.
«La Soo di una volta non avrebbe mai reagito in questo modo»
«Alla Soo di una volta non gli era stata diagnosticata una forma acuta di sclerosi multipla mamma. Non si svegliava al mattino con problemi alla vista, arti paralizzati o problemi di memoria. Non doveva nemmeno preoccuparsi di pisciarsi addosso.
La Soo di una volta si preoccupava di scegliere quale tuta indossare per fare colpo sugli amici di Hoseok, mentre ora devo scegliere quale antidepressivo ficcarmi in gola al giorno» si girò a guardarla con entrambi gli occhi colmi di lacrime.
L'inespressività dell'occhio destro fece stringere il cuore a Hae.
«Mi stai obbligando ad accettare quella che sono adesso mamma ma non posso. Sono una stronza egoista, ma non potete obbligarmi solo perché mi volete vedere vivere ugualmente questa vita. La mia vita è quella che è già stata, quella che è ora, insieme a quella che verrà, saranno solo strade senza vie»
Non è la mia strada con i sakura, non più.
Nessuna delle due parlò più. Hae si rinchiuse nella sua stanza appena rincasate e, senza fare il minimo rumore, sparì per ore. Avrebbe aspettato suo marito e le sue parole di poco conforto come ad ogni visita medica.
Capirà da sola che sta sbagliando, le diceva ogni volta.
In ogni discorso ci ficcava dentro quella frase spicciola e di poco conto. Perché mai la loro figlia malata dovrebbe capire da sola che stava sbagliando? Fra spine e roghi, Soo, non sarebbe mai riuscita ad uscire da quella logorante depressione mortale.
Non può farcela da sola, non lei.
Stanca di stare a casa da sola, sotto i silenzi della figlia, si alzò dal letto per andare a fare la spesa. Una grossa spesa, per tenere occupata la mente dopo aver visto le orrende occhiaie di tristezza e rabbia sul volto della più piccola.
Soo si stese sopra il letto e fissò il soffitto dai toni caldi.
Quando le era stata diagnosticata la sclerosi multipla primariamente progressiva in corso, aveva richiesto, assolutamente, che la sua stanza venisse ridipinta da cima a fondo. Non voleva il bianco, nemmeno uno spazio vuoto in quella stanza o si sarebbe disperata maggiormente. Strinse sopra il seno l'enorme cuscino e lasciò cadere tutte le lacrime sulle guance.
Ora che finalmente era sola poteva smettere di fingere.
Le mancava ogni cosa della vecchia Soo ma il solo pensiero di cadere di nuovo, e farsi male, le bloccava il respiro. Cadere ancora, per lei, sarebbe l'ennesimo schiaffo in faccia che riceveva ad ogni nuovo sintomo improvviso.
E fra le lacrime umide provò a chiudere gli occhi e sognare l'immensa distesa d'erba sotto il manto ceruleo del cielo. Gridando a pieni polmoni, dinanzi a quelle mastodontiche nuvole bianche, fino al calar del Sole. Trovandosi sopra una terrazza in alto a Seoul, sul ciglio della notte viola e le stelle dorate, le scie e gli aeroplani completavano il quadro di spirito e libertà.
Aprì le braccia e sognò di volare.
Rise e si sentì più viva che mai, non si curò delle vertigini per colpa dei deficit di equilibrio, ma volò lontano. Perché era questo quello che realmente importava.
La sua testa non bruciava più.
Non c'era più nessun cervello in preda al panico..
Si girò e sorrise con amore ad un paio di occhi neri come il carbone minerale. La vista dell'occhio destro tornò e vide colui che stava imprimendo con affetto le mani sulla sua vita.
E...
Il cellulare vibrò e fu costretta a svegliarsi da sogno. Le nuvole, l'erba verde e la terrazza svanirono come nebbia e il ricordo di quel calore sopra ai fianchi lasciò un enorme amaro in bocca.
«Che cazzo..» tirò su con il naso e scorse il contatto di sua madre sul display. Con voce assonnata e infastida rispose. «Dimmi...»
«Soo? Ti ho per caso svegliata?» domandò sentendo uno sbadiglio rumoroso.
«Sì, ma non importa. Piuttosto, avevi bisogno di qualcosa?» arrivò al dunque. «Avrei bisogno che mi facessi un enorme favore» la richiesta fece subito storcere il naso alla più piccola.
«Di che tipo?»
Hae si girò una ciocca di capelli e guardò il meccanico, sporco di olio, che provava a ripararle la macchina. «Questa non ci voleva..» sussurrò pigiandosi il ponte del naso, «Ho bisogno che consegni dei fogli alla zia, hanno sbagliato di nuovo indirizzo e mi sono arrivate per posta dei fogli sulle sue attività-»
«Perché non puoi andarci tu? Sei già fuori» la interruppe immediatamente. Si alzò mettendo il telefono in viva voce e dopodiché afferrò una spazzola per snodare i lunghi capelli intorno al viso magro. «Perché sono dal meccanico in questo momento e non so quando finirò...il cofano faceva dei versi strani e una puzza altrettanto strana...»
Logorroica, pensò Soo sbuffando.
«—Ed è per questo che tu andrai da tuo cugino a lasciare quei fogli»
La spazzola si fermò a metà lunghezza e Soo non capiva se stava scherzando o no.
«Ti sei dimenticata che Hoseok a quest'ora fa lezione?!» disse e mise giù l'utensile per i capelli. Non tolse mai lo sguardo del suo riflesso dalla specchiera. «Infatti lo raggiungerai lì e non voglio sapere storie. Tuo padre non ci sarà fino a stasera e tua zia arriverà alla stessa ora, quindi sarai tu a portarglieli», dopodiché, chiuse la chiamata in faccia a Soo, senza provare il minimo rimorso.
«Non ce la faccio, non posso farlo»
Perché non cambi quel 'posso' in 'voglio'?
Il respiro cominciò a mancarle ma sapeva che non era dovuto a nessun tremore o pizzicori improvvisi, era solamente la paura che emergeva e pesava come una grossa catena
Lo spago del tempo qualitativo non si rigirò più dentro la sua essenza ma sfociò fino al collo per soffocarla. Quello era il suo più grande tormento; la consapevolezza di essere il problema stesso. Il problema di sè stessa e di tutti quanti.
Come una donna chinata su una collina, si sollevò dalle sue insofferenze e partì per questo viaggio.
Era un anno e tre mesi che non faceva quella strada, una volta più rigogliosa di adesso. Sembrava che la mancanza della sua linfa abbia giovato in maniera paradossale su tutto il suo passato e ciò che la circondava. Come se la sua assenza avesse corroso la felicità; perdendo colori e profumi, in quel quartiere colorato di pesca estiva, ora, ricoperto dal marrone sporco della secchezza.
Quel tipico colore che ti abbracciava prima del nero, dianzi della morte.
Dopo aver carezzato, con lentezza, la corteggia dell'ultimo albero del quartiere dei sakura, si staccò, privandosi del ricordo. Si avviò verso l'entrata con estrema difficoltà e il bruciore bruciore articolare tornò a schiaffeggiarla in faccia. Le mani pizzicavano e si sforzò ugualmente di tirare la leva del portone anti-panico.
I piedi di fermarono non appena vide Minseo davanti al computer e una busta di patatine sotto il mento. Mangiucchiava e cliccava qua e là senza alcun interesse, sembrava non avere nessuno stimolo vitale, neppur sotto il rimbombo dei subwoofer della sala grande.
Minseo era ingrassata notevolmente dall'ultima volta che l'aveva vista; una persona come lei, che aveva sempre ostentato il suo fisico perfetto e le sue gambe longilinee con gonne sbarazzine, ora sembravano nascondersi dietro alla noia di uno schermo.
Non solo i viali erano piatti....
Ma lo era l'aria e le persone intorno al cerchio.
Minseo alzò lo sguardo e una patatina al formaggio cadde sopra il bancone con rapidità. Vedere Soo Min-Fang, lì, davanti a lei, dopo un anno, fu tediante. Osservò con occhi da falco le sottili gambe fasciate dalla tuta scura, le clavicole perlacee scoperte appena dal maglioncino a spalle larghe.
Aveva perso peso ma rimaneva ugualmente bella e voluta. Gli occhi non erano più neri e brillanti come stelle dai ponti d'azzurro. Le occhiaie intorno alle ciglia imbiancavano le perle rosse e carnose sulle labbra, è quegli occhi la facevano sentire morta, più di quanto non lo mostrasse.
«Soo..», sussurrò prima lei con la gola vibrante e secca, «Cosa ci fai qui?»
La mora si sistemò la borsetta sulla spalla e tirò fuori delle buste bianche e spesse. «Sono qui per Hoseok» affermò «Devo lasciargli queste buste e poi tolgo il disturbo», rispose quasi con acidità davanti a quello sguardo di compassione.
Provala per te stessa e non per me.
«Disturbo? Ma che dici, come potresti disturbare?» chiese, guardandola con difficoltà. Parlare con un'altra persona, con una seconda Soo così ostile e...morta, era diventato complicato.
Soo ammiccò sarcastica. «So che in realtà la mia presenza è di troppo in questo posto. Anzi, se vuoi mollo questa roba a te così puoi consegnargliela tu a mio cugino. Qualsiasi così, pur di non sentire altra falsa misericordia» e nel dirlo, sbatté i fogli sopra il bancone, non curante delle mani vibranti.
I tremori non l'abbandonavano da giorni e forse l'idea di saltare fisioterapia non era stata la scelta più saggia.
Minseo scosse i capelli biondi da davanti al viso e deglutì come una incapace. «Smettila Soo, sai benissimo che questo non è assolutamente vero. Sei stata tu ad esserti allontanata da noi»
Soo tacque per contare fino a dieci, mentre i pugni finirono stretti lungo i fianchi e fermarsi dal metterle le mani addosso.
«Mi sono allontanata da voi perché non vi andavo più bene. Ai vostri occhi ero diventata una depressa malata che non aveva più voglia di fare il comodino sui divani delle discoteche, mentre voi scopavate i ragazzi dell'intero gruppo e io me ne stavo lì a piangere da sola» alzò il viso al cielo per cacciare quell'inizio del suo presente catastrofico.
«Era una cosa troppo grossa d'affrontare per una persona come me. Non sei venuta nemmeno all'ospedale quando sono caduta davanti a questa scuola del cazzo! Eri la mia migliore amica, Minseo! Quindi smettila di guardarmi in quel modo, come se avessi davanti a te un morto che cerca vendetta. Fai quello che stavi facendo fino ad adesso. Cioè il nulla»
Continua a fare il niente, come hai sempre fatto.
La porta dello spogliatoio venne aperta con decisione e il corpo slanciato di un ragazzo moro comparì, non capendo di chi fossero quelle voci 'vivaci'.
Il sorriso si incurvò un secondo per lo stupore.
La felicità crebbe e si lanciò sopra il corpicino minuto di Soo. Lei rimase a guardarlo con le mani aperte e indecise.
Decisamente non si aspettava nulla di tutto questo. Hoseok non lo vedeva da Natale eppure, vederlo in quel posto, cambiava ogni cosa. Il tempo variava le sue leggi e rendeva il loro incontro come un ricongiungimento centenario.
Quanto tempo è passato Hoseok?
Hoseok nascose la testa dietro il suo collo e respirò l'intenso odore di pillole e dolci fatti in casa di sua zia. Odorava di intimo e focolare.
«Mi sei mancata Soo..»
Bastò quello per far crollare quel muro di reti metalliche che ergeva da davanti al suo petto. Ricambiò l'abbraccio e respirò il suo odore.
«Anche tu Hobi, anche tu»
Quanto tempo è passato Hoseok?
Troppo tempo Soo.
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FINE PRIMA PARTE
Eccoci qui con un'altra os...eh s, su Jungkook. Voglio precisare delle cose;
- Sono stati giorni difficili per me...ma specialmente per quello che sono stati intorno a me. Decidere di scrivere questa os molto personale è stato un parto e non lo nego.
Ma dovevo sfogare il mio dolore in qualche modo. La scrittura è diventata una fonte di sfogo nell'ultimo anno e ringrazio me stessa di non essermi mai fermata davanti ai "non sai fare nulla" e continuare per la mia strada.
Avevo bisogno di scrivere il mio tormento in qualche modo...
-Ci sono tematiche pesanti e non vorrei mai offendere qualcuno o mancare di rispetto a certi argomenti così delicati. Scrivo ogni cosa con sensibilità.
-Jungkook sarà una svolta molto importante per Soo e capirete perché. Le farà ricredere sulla vita e sul perdono...ma specialmente le farà ricomincia a fare una cosa che da molto tempo non faceva più.
Respirare
-Non dirò molto altro...penso che del perché io abbia scritto questa storia sia ormai capibile no?
Per questo voglio dare una possibilità a tutti quelli che si sono fermati perché rivogliono "quello che era" e non " quello che è già o sarà".
Come ultima cosa:
-Dedico questa os alla mia dolce e forte cugina, che nonostante tutto, nei suoi soli 24 anni, è riuscita a tirare fuori la forza di un titano.
Non ti lascerò mai sola.
Grazie a tutti
💜
La vostra Vions💜
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