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𝑇ℎ𝑒 𝐵𝑢𝑟𝑠𝑡 𝑜𝑓 𝐴 𝐵𝑢𝑏𝑏𝑙𝑒


Jonathan camminò fino a raggiungere l'uscita dell'edificio, poi prese a correre, certo ormai che nessuno lo vedesse. Corse fino a quando non sentì i polmoni scoppiare, supplicare per ricevere dell'ossigeno. Solo a quel punto si fermò. Si guardò intorno; non riconosceva quel luogo, ma poco importava, in quel momento. Si sedette sul marciapiede, appoggiando la schiena al muro di un condominio in una stradina secondaria. Si raggomitolò su sé stesso e accolse di buon grado il dolore che sentiva all'altezza del suo petto, consapevole di meritare ben di più. Ringraziò di essere riuscito a scappare da Jed prima di vederlo piangere, altrimenti non avrebbe saputo resistere, avrebbe dimostrato a tutti le proprie debolezze, avrebbe messo irrimediabilmente in pericolo la propria immagine, attorno alla quale ruotava la sua intera esistenza e, quindi, anche la sua felicità. Ora che ci pensava, non era sicuro che quella che viveva si potesse definire una vita felice. Aveva sofferto molto, da piccolo. Era uno di quei bambini timidi, chiusi, che facevano fatica a fare amicizia, e per questo nessuno aveva mai voluto giocare con lui. Aveva sempre guardato da lontano gli altri divertirsi al posto suo, e li aveva invidiati tanto. Dentro quel bambino, con il passare del tempo, si era radicata un'ossessione quasi morbosa verso l'opinione che le persone avevano di lui. Quando aveva capito che qualcosa in lui non andava, che le persone non l'avrebbero mai accettato per quello che era, prese provvedimenti. Cambiò nel giro di una notte. Finse di essere qualcun altro, qualcuno che lui non era mai stato, nemmeno in parte, e continuò a farlo fino a quando ripeté il primo anno di superiori. Fu allora che notò Jed. La prima volta che lo vide fu nel corridoio della scuola. Quell'anno avevano gli armadietti vicini, e finirono per incontrarsi inevitabilmente. Jonathan sorrise debolmente al ricordo di come avevano iniziato a parlarsi. Jed, goffo com'era, aveva fatto cadere dei quaderni che teneva in mano, e Jonathan l'aveva aiutato a raccoglierli, cominciando a parlare con lui, seguendolo fino alla sua classe. Una lacrima solcò il suo volto quando anche la prima volta che senti la risata di Jed gli si palesò chiaramente davanti agli occhi. Era stato quando lui aveva fatto una battuta pessima per ottenere il suo numero. Forse gli apparso come un disperato, e di fatto Jona era proprio un disperato. In pochi istanti si ritrovò a singhiozzare. Non voleva fare del male a Jed, l'ultima cosa che desiderava era vedere Jedidiah soffrire, ma aveva paura. Dopo che iniziarono a frequentarsi, Jonathan apprese che Jed era un po' il bambino infelice e senza amici che si era lasciato alle spalle, Lo amava lo stesso, non gli importava che Jed fosse il ragazzo più solo del mondo, gli era sufficiente essere al suo fianco, ma poi le cose peggiorarono. Il minore veniva preso in giro continuamente, una volta venne addirittura picchiato, e Jonathan si fece prendere dal panico. Nemmeno un mese dopo lo lasciò con una scusa. Era ormai troppo tardi quando si rese conto di amarlo ancora, di non riuscire a dimenticare il sapore delle sue labbra, il calore della sua pelle, la bontà del suo animo, ma represse i propri sentimenti. Fece finta che nulla fosse accaduto, che nel suo petto il suo cuore non ardesse ancora di una passione folle al solo pensiero del ragazzo che aveva amato più di ogni altro nella sua vita, e semplicemente mise tutto da parte. Aprì un nuovo capitolo della propria esistenza, indossò di nuovo la maschera e tornò ad affrontare la vita come se fosse il palcoscenico di un teatro. Durante il secondo anno le cose si fecero difficili anche per Jonathan. Non era in grado di continuare a fingere di essere felice quando il suo sorriso era rimasto con Jed, e si confidò con un suo amico. Gli raccontò tutto ciò che aveva sempre tenuto solo per sé, si fidò. Pochi giorni dopo tutta la scuola sapeva che Jed fosse gay, e ora Jona stava piangendo rumorosamente accasciato contro un muro in mezzo alla strada. Avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro a quando non gli importava di nulla se non del sorriso di Jed, ma sapeva che ormai era troppo tardi. Non poteva ripercorrere i propri passi e unire di nuovo le tante piccole parti in cui il cuore di quel povero ragazzo si era rotto. Aveva preso una decisione, ormai tanto tempo prima, per salvare sé stesso dal giudizio degli altri, un branco di lupi che attende sempre nell'ombra una preda cui tendere un agguato, e non poteva rimangiarsi le proprie parole per un sentimento effimero quanto l'amore. Si asciugò le lacrime e cercò di placare i sussulti che scuotevano il suo corpo, poi si alzò e continuò a vagare senza meta, Camminò fino a non sentire più le gambe sfilando di fianco a centinaia di persone, ognuna persa nei propri pensieri, ognuna curante solo dei propri problemi. Davanti all'enormità di quella città, che non era altro che un misero puntino nel mondo, si rese conto di quanto fosse solo. Quel bambino non se n'era mai andato, era sempre stato dentro di lui, e non si era mai davvero aperto con qualcuno. Si era accontentato di legami superficiali e passeggeri, e aveva perso l'unico che valesse qualcosa. Si era lasciato scappare la sola opportunità di essere felice che gli fosse mai stata concessa, e far fronte a questa realtà lo attirava in un vortice di rabbia e tristezza da cui sapeva perfettamente che non sarebbe mai uscito. Il suo stesso egoismo l'aveva danneggiato, le sue insicurezze lo avevano sopraffatto, e ora non aveva più nulla. Jonathan, ora, era semplicemente sé stesso. La maschera era caduta e aveva rivelato il viso infantile che aveva sempre cercato di soffocare sotto a una personalità che aveva lavorato tanto per mettere a punto, mentendo a sé stesso, illudendosi di stare facendo la cosa giusta. Non era felicità, non lo era mai stata. Era solo una bella bugia che faceva sentire Jonathan al sicuro, avvolgendolo come una bolla. Ebbene, quella bolla era appena scoppiata.

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