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𝐵𝑒𝑒𝑡𝑤𝑒𝑒𝑛 𝑈𝑠


La mattina dopo Jed si svegliò presto, come sempre, quando il sole non era ancora sorto e le luci nelle case erano ancora spente. Fece una misera colazione nel più assoluto silenzio, impegnandosi a non fare il minimo rumore per non svegliare il padre. Controllò velocemente di avere quello che gli serviva nello zaino e poi uscì di casa, le immancabili cuffiette alle orecchie. Ripeté per l'ennesima volta la solita strada camminando il più lentamente possibile e sperando che la giornata precedente fosse stata solo un brutto sogno, ma il dolore era ancora li, vivo, in un angolo del suo cuore, pronto a prendere il sopravvento. Arrivò a scuola con un bel po' di anticipo, e percorse il vialetto con la testa bassa pregando di non venire notato nella massa di studenti e insegnanti che stavano andando nella sua stessa direzione. Purtroppo, però, le sue preghiere non vennero ascoltate e una mano si schiantò sulla sua spalla. Lo zaino attutì il dolore, ma il ragazzo venne comunque spinto qualche passo più avanti. "Ehi, frocetto, come va?" La voce di William gli arrivò chiara alle orecchie, si insinuò nella sua mente come un veleno letale di cui Jed non era certo esistesse un antidoto. "Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua? Oppure hai urlato così tanto, stanotte, a fartelo mettere in culo, che hai perso la voce?" Le risatine dei soliti tre ragazzi, alle sue spalle, lo fecero imbarazzare ancora di più. "Cosa vuoi, Will?" Non osò voltarsi a guardarlo. "Sapere quando hai intenzione di morire." Jed sentì il fiato mozzarglisi in gola. "Presto" rispose caustico allontanandosi. Non lo seguirono. Will, e probabilmente come lui anche gli altri due ragazzi che lo affiancavano, non aveva mai dato peso alle proprie azioni. Non aveva mai pensato a come le sue parole e i suoi gesti potessero influenzare qualcun altro. La serietà con cui Jed aveva risposto alla sua provocazione aveva mosso qualcosa dentro di lui, e l'aveva spaventato. La realtà delle cose gli era piombata addosso, l'aveva travolto e lasciato completamente stordito. Il suo equilibrio era stato rotto, e William non era più sicuro di sé come prima. Jed camminò con lo sguardo basso fino al proprio armadietto, riflettendo sulle sue stesse parole. Le pensava sul serio? Voleva davvero porre fine alla sua vita? Non ne era sicuro, non aveva mai preso davvero in considerazione l'idea, e non era sicuro di aver parlato sinceramente. Scosse leggermente la testa per scacciare il pensiero e alzò lo sguardo verso la porta dell'armadietto, serrando gli occhi subito dopo. Erano decine i bigliettini pieni di offese che aveva intravisto prima di rifugiarsi nel buio dietro le proprie palpebre. Li strappò con rabbia, guardandoli cadere ai propri piedi. Sistemò alcuni libri nell'armadietto, prendendo quelli che gli servivano, poi raggiunse la sua classe. Cercò di ignorare gli sguardi dei suoi compagni, di farseli scivolare addosso, ma non ci riuscì. L'onnipresente sensazione di disagio rimase per tutta la mattinata, accompagnandolo ovunque andasse. Il suono della campanella interruppe il flusso di pensieri che stava scorrendo inarrestabile nella mente di Jed e lo fece scattare in piedi. Raccolse velocemente le sue cose e sgusciò lontano da tutti gli sguardi, evitando tutte le spinte e le parole cattive che tentarono di bloccarlo. Aveva bisogno di aria. Uscì nel giardino e si sedette ai piedi di un albero. Aveva freddo, il sangue gli si stava gelando nelle vene, dalla sua bocca uscivano delle nuvolette bianche ogni volta che respirava, il suo corpo rabbrividiva, ma non gli importava. Non poteva continuare in quel modo. Doveva parlare con qualcuno che potesse aiutarlo, ma non aveva nessuno al suo fianco. Suo padre e suoi fratelli lo ignoravano, e lui non aveva nessun amico su cui potesse contare. Poi, un nome attraversò la sua mente. Fu un attimo, e credette di non essere del tutto perduto. Forse, e il suo cuore si scaldò a quell'idea, c'era qualcuno che potesse aiutarlo. Si alzò un po' rincuorato e tornò dentro alla scuola, camminò a passo spedito fino alla mensa e perse due minuti buoni a cercare con lo sguardo di Jonathan. Era seduto ad un tavolo circondato dai suoi nuovi amici, persone con cui Jed non aveva mai avuto occasione di parlare. Il ragazzo represse la timidezza e si avvicinò. "Jonathan" La voce di Jed fu appena un mormorio, ma tutti lo sentirono e smisero di parlare, puntando i loro sguardi su di lui. Jonathan lo guardò con sufficienza. "Che vuoi?" chiese freddo. Jed non rimase colpito da quel tono: in fondo, ciò che c'era stato tra loro era finito da molto tempo. "Puoi venire con me un attimo? Vorrei, uhm... parlarti." Si dondolò sui piedi, come faceva sempre quando era a disagio, e Jonathan ci fece caso. Lo conosceva meglio di chiunque altro, e sapeva perfettamente quanto quel ragazzo sarebbe stato male sentendo tutte le cattiverie che aveva in mente, ma doveva farlo. Doveva farlo per proteggere sé stesso, la propria immagine, la propria felicità. "Non c'è nulla di cui dobbiamo parlare, Jed, puoi andare." Si voltò nella direzione opposta al ragazzo, e tornò a chiacchierare con i suoi amici. "lo...Jona, so che probabilmente non vuoi vedermi, ma devo chiederti una cosa" i loro occhi si incrociarono. Lesse la sua paura, la sua fragilità, la sua speranza che lentamente si spegneva scontrandosi con la sua rabbia. "Un favore? Con quale diritto vieni da me a chiedermi un favore?" Si alzò in piedi e gli si parò davanti, superandolo di una decina di centimetri. La media statura di Jed.,che fino a pochi mesi prima aveva rappresentato la persona più importante per lui, lo aveva sempre reso carino ai suoi occhi, e le cose non erano cambiate. Non era cambiato nulla: il suo cuore batteva ancora per quel ragazzino così timido e gentile, ma non poteva tornare indietro e commettere lo stesso errore un'altra volta. "lo...credevo che dopo quello che c'è stato tra noi." tentò di dire Jed, ma Jona lo interruppe prima che la sua voce dolce potesse insinuarsi nella sua testa, raggiungere il suo cuore e farlo innamorare di nuovo. "E cosa c'è stato tra noi, eh?" Alzò leggermente la voce, e le persone si raccolsero piano piano attorno a loro. "Noi siamo stati insieme per tanto tempo, Jonathan" sussurrò il più piccolo abbassando lo sguardo. Jona fu quasi tentato di prendergli il viso e premere le sue labbra su quelle morbide dell'altro, ma si costrinse a pensare lucidamente e trattenersi. "Si, è vero, e vuoi sapere perché siamo stati insieme per così tanto? Perché ti lasciavi scopare senza ritegno." Vide chiaramente il corpo esile dell'altro irrigidirsi, e dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per mantenere fredde la sua espressione e la sua postura. "Credevi veramente che fosse amore? Sei proprio un ragazzino, cazzo, cambia aria." Lo urtò con la spalla e si allontanò facendosi strada tra la miriade di persone che si era raggruppata vicino a Jed cercando di ignorare il dolore che premeva il suo cuore contro la gabbia toracica, schiacciandolo.

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