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chapter two.


「 a JAMES BEAUFORT fanfiction 」
chapter two

















"Come va a scuola, tesoro?"

"Tutto bene, mamma" risposi, sorseggiando la mia tazza di the verde.

Stavamo facendo colazione, ed era l'unico momento, insieme alla cena, dove riuscivo a passare del tempo con i miei genitori.

"Ti trovi bene? Vuoi che facciamo qualche chiamata?" continuò la donna, poggiando sul tavolo la rivista di Vogue e gli occhiali da vista.

"Assolutamente no, è tutto apposto!" la rassicurai, posando la tazza sul ripiano e aggiustandomi il fiocco fucsia che tenevo tra i capelli biondi.

"Buongiorno" fece il suo ingresso nel salotto, mio padre, già tutto agghindato, nel suo completo perfetto, color bordeaux.

"Ti trovo bene, sergente William" risi sotto i baffi
"L'aria inglese ti dona particolarmente" velatamente lo presi in giro.

"Sei una ruffiana" mi scoccò un'occhiataccia; si sedette a capotavola, attendendo che Dorothea, una delle domestiche, gli versasse una delle sue tisane aromatiche
"Parlando di cose serie, Althea" si rivolse alla donna dai capelli color cioccolato.

"La cena con i nostri nuovi soci?" sussurrò mia madre, con l'intento di non farsi sentire.

"Ancora non volete dirmi con chi state collaborando? Insomma ma chi sono io? Un'estranea?" alzai gli occhi al cielo, indignata dal fatto che non volessero ancora dirmi con chi stavano collaborando. Soprattutto perché erano quegli sconosciuti il motivo per cui avevo abbandonato la mia amata New York.
Era possibile odiarli anche se non li conoscevo? E non ci tenevo a conoscerli.
Allo stesso tempo però, ero curiosa di sapere chi fossero.

"Non dire sciocchezze, tesoro" agitò la mano in aria, mia madre, come a scacciare non una mosca, ma i miei pensieri.

"In realtà..." subito spostai l'attenzione su mio padre
"Li conoscerai, a breve. A questa cena presenzierai anche tu, contenta?" continuò.

"Controllerò la mia agenda" addentai un ultimo biscotto.

"Sono sicura che ti piaceranno, hanno anche dei figli deliziosi!" disse entusiasta mia madre.

"Non ho alcun dubbio" canzonai, per poi alzarmi e raccogliere la borsa;
fuori c'era il mio autista pronto per portarmi alla Maxton Hall, quindi salutai i due adulti ed uscii fuori.

"Penso che mi servirà qualcosa di più dei soldi dei miei genitori se voglio entrare ad Oxford" corrucciai le sopracciglia pensando a cosa fare.

Ero insieme a Ruby e alunni, passeggiavamo per i corridoi della scuola, confrontandoci su alcune questioni, ad esempio: come entrare in una delle più prestigiose università del mondo. Oltretutto, volevo entrarci senza l'aiuto dei miei genitori, almeno per una volta.

"Potresti chiedere una lettera di referenza al rettore Lexington" propose Ruby. Sorrisi, perché era geniale come idea!

"Nessuno studente ha mai osato chiedere al rettore una lettera di referenza" controbatté Lin.

"Conto proprio su questo. È perfetto!" feci un occhiolino
"Andate a vedere la partita? Vi raggiungo subito, vado un attimo in bagno" svoltai a destra allontanandomi dalle due ragazze.

Camminavo a passo svelto e per poco persi l'equilibrio quando mi sentii tirare per il braccio: mi ritrovai in una stanza buia, munita di scale che portavano in posti a me ancora sconosciuti.

"Proviamo un'altra volta"

"È un rituale quotidiano, Beaufort?" sbuffai.

"Smettila di fare Madre Teresa e dimmi cosa vuoi dalla mia famiglia" mi rimproverò, incrociando le braccia al petto.

"Un ordine restrittivo" gli scoccai un occhiataccia.

"Dovrei sorridere?" chiese retoricamente facendo una smorfia.

"Fai quello che vuoi, non mi interessa" spostai lo sguardo dal suo volto, portandolo sulle mie unghie laccate di rosa cipria.

"Tutti hanno un prezzo, anche quelli come noi" con due dita mi fece alzare lo sguardo
"Quale è il tuo?" sussurrò. Non risposi.

Effettivamente non sapevo quale fosse; mi limitai quindi a guardarlo, con leggera aria di sfida. Sfida, che colse anche lui.

"Che vuoi fare?" gli chiesi quando con un gesto rapido si tolse la giacca.

"Ti concedo una piccola avventura con il più fico della scuola" rispose ovvio, cominciando a sbottonarsi la camicia. Per poco non scoppiai a ridergli in faccia.

"È la prima volta che ti vendi, oppure è un'abitudine?" sputai acida.

"Non penso siano affari tuoi" si avvicinò.

"Se solo ti avvicini un altro pò, ti faccio a pezzettini e ti do in pasto al mio barboncino!" dissi, facendolo arretrare
"Anzi no, gli verrebbe l'acidità poi" lo squadrai.

"Allora perché non vai al punto, Amelia" sbuffò.

"Ti ho già detto che mi chiamo Amaya!" ribattei.

"Come vuoi, però non ho tutto il giorno!" sbottò esasperato, portandosi una mano tra i capelli dorati.

"Vuoi sapere il mio prezzo?" incrociai le braccia al petto.

"Illuminami, te ne prego!" spalancò gli occhioni azzurri.

"Stammi lontano, una distanza sotto i due metri sarà troppo poco" ad avvicinarsi quella volta fui io
"Più tu mi starai lontano, più il vostro sudicio segreto sarà al sicuro" gli puntai un dito contro. Lo vidi confuso, ma non mi importava: presi, ed uscii dalla stanza.

Appena varcata la soglia, sentii il mio cellulare suonare. Era Lin: mi avvisava del fatto che Lexington avrebbe assistito alla partita di lacrosse.

Poteva essere la mia occasione per chiedergli della lettera. Quindi subito mi diressi verso il campo.

Appena arrivata non vidi nessuna delle mie amiche, e neanche il rettore. Vidi semplicemente persone che si azzuffavano nel campo.
Sospirai e mi poggiai con la schiena, alla ringhiera, dando le spalle ai giocatori.
Non mi interessava vederli. Mi interessava il rettore in quel momento, e non c'era ancora.

"Se cerchi il campo, è dietro di te" disse un ragazzo dai capelli ricci e mori, affiancandomi. Indossava la divisa della squadra di lacrosse, ed era proprio uno di quelli che si stavano prendendo a pugni nel campo.

"Grazie, sono qui per il wrestling. È davvero elettrizzante" dissi mentre mi giravo. Lui rise.

"Alistair" mi porse la mano, sorridente, d'un tratto.

"Amaya" la strinsi, ricambiando il sorriso.

Spostai lo sguardo sul campo, e vidi il numero 17, schiantarsi al suolo.
Risi lievemente quando mi accorsi che si trattava proprio del biondino ossigenato che da due giorni mi torturava.

"Sei una grande tifosa di lacrosse, vero?" mi osservò.

"Assolutamente, non mi hai mai vista? Sono sempre qui! Non mi perdo una partita" ironizzai.

"Ho sempre un pochino da fare sul campo" inclinò il capo.

"Certo, devi picchiare gli avversari" ridacchiai, scuotendo la testa. Fu allora che vidi Lin in compagnia del rettore.

"Ci vediamo, Alistair" lo salutai frettolosamente.

"Rettore, avrebbe un minuto?" domandai all'uomo, quando riuscì ad avvicinarmi.

"Ho da fare, signorina Waldorf"

"Sarò più veloce della luce!" e lui annuì
"Volevo chiederle... se poteva scrivermi una lettera di referenza per Oxford"

"Ci avrebbe dovuto pensare molto tempo fa" inarcò le sopracciglia.

"Con il trasferimento non ho avuto molto tempo per farlo" mi giustificai.

"Lei è senza dubbio un'ottima studentessa, e i suoi voti nella sua precedente scuola lo confermano. Ma non basta né questo e né avere dei genitori come i suoi, per una referenza incisiva per Oxford. Dovrà darsi molto da fare, anche con attività extracurricolari"

"Senz'altro! Sono già nel comitato degli eventi, insieme a Lin Wang. E Ruby Bell, che è a capo del comitato, mi ritiene già il suo braccio destro" strinsi la mano della ragazza
"Mi sto integrando già benissimo!" sorrisi cercando di convincerlo.

"Oh già. Come va con la festa di benvenuto?" chiese l'uomo. Guardai con la coda dell'occhio Lin, un po' nel panico.

"Siamo a buon punto" risposi di getto.

"Se tutto procederà per il verso giusto, potrò pensarci, e forse avrà la sua lettera" alzò l'angolo destro della bocca.

"La ringrazio, professore" annuii, indietreggiando per andarmene, con un sorriso a trentadue denti.

Fu quando mi voltai, che mi scontrai contro il petto di James Beaufort, in divisa e sudato.

"Cosa volevi da Alistair?" chiese arrabbiato; chiuse gli occhi in due fessure.

"Niente, perché?" risposi annoiata.

"Non so cosa hai in mente, Waldorf, ma-"

"Ma, niente. Ti ricordo che hai già infranto l'ordine restrittivo" lo allontanai, ma lui si riavvicinò.

"Scoprirò cosa stai tramando, e ti distruggerò" sussurrò al mio orecchio.

"Spostati, innanzitutto, che emani un odore più che sgradevole" feci una faccia disgustata, agitando la mano davanti il mio viso
"Non ho tempo per te e le tue minacce, che non spaventano nessuno. Ho una festa da organizzare" conclusi per poi superarlo e dargli una spallata. Lasciandolo lì, con i suoi compagni di squadra che festeggiavano la vittoria della partita.


















ciaooo!!
ecco a voi il secondo capitolo,
vi ricordo di lasciare una stellina se vi va
e di farmi sapere cosa ne pensate <33

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