chapter thirteen.
「 a JAMES BEAUFORT fanfiction 」
⋆ chapter thirteen ⋆
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"Mi piace lo sport, la musica" fece una breve pausa "Oh, e il cibo asiatico piccante" ridacchiò
"Vorrei mangiare nei mercatini di Bangkok" ammise.
"Cavallette fritte e cose del genere? Non me lo sarei mai aspettata da te, Beaufort!" gli diedi una leggera spintarella.
"Esatto" rise di gusto, vedendo il mio viso scosso da una smorfia.
Erano le prime luci dell'alba, del nostro ultimo giorno ad Oxford. Avevamo deciso di passeggiare un po', dopo essere riusciti a chiarirci finalmente una volta per tutte.
Stavamo parlando del più e del meno, e del fatto soprattutto che ci conoscessimo davvero poco, dato che la maggior parte dei nostri incontri erano caratterizzati dal 60% litigi e 40% insulti.
"Cosa fai?!" osservai con la coda dell'occhio l'oggetto che aveva poggiato tra i miei capelli, intravedendo un colore simile al lilla "Mi hai davvero messo un fiore nei capelli? L'hai trovato nel manuale "come conquistare una ragazza?"
"Sì, quello che mi ha dato mio padre" ironizzò.
"Che stupido idiota che sei" mi finsi offesa, dandogli una spallata. Lui scrollò le spalle, ridendo.
Il motivo del suo recente orribile comportamento, era stata una conseguenza di suo padre Mortimer, ovviamente. Quell'uomo non conosceva l' empatia, nemmeno per la sua stessa famiglia. E pensare che avesse minacciato i miei genitori, e di rispedirli a New York, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Quale è il tuo colore preferito?" quella domanda mi risvegliò dai miei pensieri.
"Io adoro il blu scuro, come il limpido cielo di notte" ci pensai un attimo e poi alzai lo sguardo in alto, facendo un piccolo giro su me stessa
"Il tuo?" mi girai verso di lui.
"Non ci ho mai riflettuto più di tanto" fece una leggera smorfia, ruotò poi il volto verso di me e ci si soffermò per qualche secondo, poi rispose di getto
"Celeste"
"Celeste? E perché mai?" corrucciai le sopracciglia.
"Celeste con sfumature grigie, per l'esattezza" mi toccò il naso con l'indice.
"Oh..." abbassai il capo, mentre le mie guance cominciarono a scottare leggermente e a colorarsi di bordeaux.
Celeste con sfumature grigie. Il colore dei occhi.
"Insomma, vuoi esprimerlo questo desiderio o mi lascerai da solo?" quando alzai la testa, lo trovai intento a porgermi una moneta argentata.
Camminando eravamo arrivati su un ponticello, e sotto era presente un fiume cristallino.
"Vorrei! Ma adoro esprimere desideri con le monete" sorrisi prendendo quest'ultima.
"Tre... due... uno..." entrambi lanciammo le due monetine, chiudendo gli occhi esprimendo i nostri più intimi desideri.
«Desidero che questo, qualunque cosa sia, duri in eterno.»
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"Signorina Waldorf, mi dica: perché Oxford?" alla domanda dell'esaminatrice, alzai lo sguardo verso di lei, e sorrisi, cominciando il mio discorso.
"Conosce la storia dell'elefante incatenato? Tale metafora è usata per descrivere un insieme di convinzioni autolimitanti. Il fatto che molti siano capaci di cose più grandi di quanto credano. Inizio a rendermi conto di essermi incatenata al mio futuro e di non dare a molti momenti qui e ora, l'attenzione che meritano. Ora ho capito che sono le soste che facciamo a delineare il nostro cammino. La nostra vita è qui e ora e a volte proprio questi momenti ci mostrano nuove ed entusiasmanti visioni del futuro"
"La prego, continui" annuì piano la donna dai capelli castani e dagli spessi occhiali, segnando di tanto in tanto qualche appunto sul suo quadernino giallo.
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Ci rendiamo conto di non temere più il futuro, perché è nel presente che decidiamo se i sogni si avvereranno e se diventeremo le persone che volevamo essere.
La nostra permanenza al college era giunta al termine. Abbracciai e salutai Ruby e Lin, promettendo che poi ci saremmo viste una volta tornate a casa.
Presi il mio bagaglio e mi incamminai verso l'autovettura con all'interno il mio autista.
"Vai via senza salutare?" mi voltai trovandomi un James imbronciato, in attesa di qualcosa.
"Ci rivedremo tra qualche ora" inclinai il capo sorridendo lievemente, lasciando la valigia e la borsa all'uomo che mi avrebbe portata a casa, così da metterle all'interno del bagagliaio dell'auto.
"Stai per caso mascherando la tua maleducazione, Waldorf?" si avvicinò tenendo le mani nella tasca dei pantaloni blu.
"Io e la parola maleducazione nella stessa frase? Non esiste!" risposi avvicinandomi cautamente, gli lasciai un bacio a fior di labbra. Sorrisi e feci per andarmene. Non ci riuscii, poiché mi prese per il polso costringendomi a voltarmi. Mi trascinò tra le sue braccia, lasciandomi un delicato bacio tra i capelli. E dopo, ancora una volta, mi baciò.
"Prima che Christoper mi abbandoni qui sul ciglio della strada, è meglio che io vada" dissi sentendo sbuffare l'autista.
"Potresti sempre licenziarlo" alzò e abbassò le sopracciglia.
"Sei proprio un pagliaccio" risi di gusto, dandogli un colpetto
"Ci vediamo prestissimo" dissi quando finalmente smisi di ridere.
"Prestissimo" calcò l'ultima parole e mi prese la mano stringendola, per poi premere le labbra su di essa.
Sorrisi un'ultima volta e mi allontanai a malincuore entrando all'interno della vettura.
Lo osservai per un'ultima volta, finché con l'auto non fummo ormai lontani da Oxford e dal lui.
Ci vuole coraggio ad andare oltre il presente.
A volte, però, è lo sguardo di una persona a gettare una nuova luce sul nostro futuro.
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Arrivata a destinazione, ad accogliermi c'erano solo la sfilza di domestici intenti a sistemare la grande casa. Vuota. I miei genitori non erano presenti.
Durante il viaggio ricevetti una chiamata, da parte di mia madre, dove mi avvisava che erano addolorati, ma al mio rientro non ci sarebbero stati. Come se fosse la prima volta.
Scossi il capo e scrollai le spalle, rivolgendo poi a tutti i domestici che incontravo, un gran sorriso. Nessuno sarebbe riuscito a strapparmi quel briciolo di felicità che sentivo in quel momento. Neanche cenare in solitudine, seduta da sola davanti quell'immenso tavolo.
Per la prima volta in vita mia mi sento al posto giusto. Non voglio andare avanti né indietro. Voglio essere qui e ora.
Ora vedo il mio futuro più chiaro che mai.
"Grazie Dorothea, se vuoi puoi accomodarti e mangiare un boccone insieme a me" le indicai il posto accanto al mio. Avevo passato le ultime orette a sistemare i bagagli, e l'orario di cena era arrivato
"Sai di essere la mia preferita" le riservai un occhiolino.
"La ringrazio signorina Amaya, ma sono costretta a rifiutare. Ho del lavoro da sbrigare" mi rivolse un sorriso sincero prima di allontanarsi.
"D'accordo, tranquilla" le sorrisi di rimando. Presi poi il cellulare e decisi di scrivere un messaggio al ragazzo biondo, nonostante lui non mi avesse ancora chiamata, per chiedergli se fosse arrivato sano e salvo.
Fatto ciò, vedendo che non rispondeva, tornai a smanettare sul cellulare, trovandomi davanti una foto mia e di James, di quella stessa mattina: eravamo nei corridoi di Oxford, e presentava una me in ansia con lui intento a distrarmi, e quale modo migliore se non fare una foto? Mi trovai ad abbozzare un sorriso.
Tutti i pezzi del puzzle sono a posto.
Abbiamo tutte le porte aperte.
Dobbiamo solo attraversarle.
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CON MESI DI RITARDO CE L'ABBIAMO FATTA!
l'ultimo capitolo di questa storia è finalmente
(o sfortunatamente) arrivato✨
spero che Amaya e James abbiano lasciato qualcosa dentro di voi come l'hanno lasciata a me :,)
grazie, a chi ha sostenuto "You belong to me"
<3
alla prossima!
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